Indipendenza della magistratura. Magistrati, magistratura e opinione pubblica

Libro dell'anno del Diritto 2012

Indipendenza della magistratura. Magistrati, magistratura e opinione pubblica

Angelo Antonio Cervati

Indipendenza della magistratura
Magistrati, magistratura e opinione pubblica

Nella prima parte, si esamina l’inasprimento dei rapporti tra magistratura e Governo nel corso del 2011: si fa riferimento ai conflitti tra poteri dello Stato insorti nel corso dell’anno, alla decisione sul legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri, e all’attività consultiva del CSM. Nella seconda parte, si accenna al d.d.l. di revisione costituzionale sulla riforma della giustizia. Nelle conclusioni, si considera il crescente interesse dell’opinione pubblica per i temi che riguardano l’indipendenza dei magistrati e del potere giudiziario.

La ricognizione. Cenni sulla «riforma della giustizia» e sul dibattito costituzionale nell’anno in corso

Nel corso del 2011, i temi della magistratura, requirente e giudicante, dell’autonomia dell’ordine giudiziario e dell’indipendenza dei magistrati sono stati al centro dell’interesse generale nel nostro Paese, dal punto di vista del diritto costituzionale e si è ripetutamente parlato di una «riforma della giustizia». I frequenti interventi su questi temi da parte del Presidente della Repubblica, dei membri del Governo, del CSM, dei mezzi di comunicazione hanno contribuito ad accrescere l’interesse dei cittadini per i temi della giustizia, dell’obbligatorietà o della discrezionalità dell’azione penale, dell’imparzialità e dell’indipendenza della magistratura e dei magistrati, temi che si sono collocati accanto alla più tradizionale richiesta di una maggiore efficienza della giustizia.

1.1 Problemi generali in tema di magistrati e di magistratura

In mancanza di nuovi dati costituzionali o legislativi in tema di magistrati e magistratura cui fare riferimento e per non limitarci a un puro esame testuale del d.d.l. governativo di revisione costituzionale presentato dal Governo nel corso del 2011 sulla «riforma della giustizia»1 – anche perché allo stato è difficile immaginare gli esiti di esso – è sembrato più opportuno fare riferimento alla prassi che ha animato nel corso dell’anno il dibattito sui problemi della magistratura. Per altro verso, la ricchezza e la varietà dei riferimenti giurisprudenziali ai valori della tradizione costituzionale europea, ai principi dello Stato di diritto, alla «separazione dei poteri», all’indipendenza della magistratura e al «principio di legalità» dell’azione governativa e amministrativa rivela quale carico di aspettative costituzionali sussista in questa materia. Un importante sintomo delle difficoltà esistenti tra magistratura e potere politico è rappresentato dai numerosi conflitti insorti tra i poteri dello Stato, che spesso sono stati promossi da organi del potere giudiziario, dai pubblici ministeri, dai giudici dell’udienza preliminare, nonché dalla Corte suprema di cassazione, ma è testimoniato anche dalle numerose questioni di legittimità costituzionale sollevate da giudici comuni, sempre con riguardo ai poteri degli organi giudiziari e alle garanzie di indipendenza dei magistrati. Da alcuni pareri del CSM si possono ricavare importanti elementi per individuare le esigenze di garanzia dell’ordine giudiziario, quali risultano dall’entità delle possibili minacce all’indipendenza e all’autonomia dei magistrati e della magistratura.

1.2 Cenni comparativi sull’indipendenza della magistratura

Nonostante la particolare tensione esistente in Italia sui temi della giustizia, non si può non considerare che l’attenzione ai problemi della magistratura, dei magistrati e della durata dei processi non è una prerogativa del nostro Paese, supera ampiamente i confini di esso, presentando analogie e persino tratti comuni nell’esperienza giuridica della maggior parte delle società contemporanee, a prescindere dal processo di integrazione europea2. Uno dei tratti del dibattito sulla riforma della giustizia è perciò il far riferimento, in una prospettiva di diritto costituzionale, a valutazioni comparative più o meno approfondite, oltre che ad esigenze di diritto costituzionale dell’UE. L’utilizzazione di argomenti tratti dalla comparazione è talvolta diretta ad evidenziare l’intensità del grado di autonomia e di indipendenza raggiunto dalla magistratura italiana, che avrebbe reso possibili azioni di vera e propria destabilizzazione degli altri poteri dello Stato, impensabili in altri Paesi europei, specialmente in quelli in cui la magistratura inquirente opera sotto un controllo più o meno penetrante del Ministro della giustizia. Tanto i critici del modello italiano di garanzie previste per i magistrati e per la magistratura che i sostenitori di tale modello sono soliti far riferimento ai principi costituzionali che reggono il sistema dei poteri statuali e alle concezioni del potere giudiziario che ispirano le diverse tradizioni dogmatiche in questa materia. In proposito, non ci si può esimere dall’osservare che l’utilizzazione della valutazione comparativa imporrebbe allo studioso di diritto di esaminare più intensamente il funzionamento, le insufficienze, le connessioni e i pregi di ciascun modello di garanzia, senza limitarsi al mero raffronto quantitativo della presenza in alcuni Paesi di congegni diretti a limitare le indagini della magistratura e di ridurre l’impatto del potere giudiziario sugli altri poteri dello Stato3. Non si tratta di assumere l’uno o l’altro modello come paradigma del più alto grado di indipendenza e di professionalità dei magistrati e neppure di trovare un astratto equilibrio tra la ragion di Stato e l’obiettivo della giustizia, ma di non perdere di vista le esperienze reali e i valori costituzionali in gioco, considerando l’esigenza di mettere i magistrati al riparo da controlli troppo invasivi sull’esercizio delle loro funzioni. L’utilità di una serena valutazione comparativa emerge inoltre attraverso un esame realistico – e non esclusivamente interno alla logica di un solo modello di potere giudiziario – che si proponga di mantenere aperto il dibattito sulle esigenze costituzionali di principio. Inoltre, il tema dell’indipendenza dei magistrati e della magistratura è talmente ricco di connessioni storiche e politiche e suscita riflessioni giuridiche che vanno molto oltre la ricostruzione delle coordinate sistematiche e delle indagini storiche su singoli problemi di organizzazione della giustizia e della ripartizione dei compiti giudiziari, che meriterebbe di essere considerato anche diacronicamente4. L’esperienza, d’altra parte, di condizionamenti dall’alto delle decisioni della magistratura e persino di piena obbedienza di essa nei confronti del Governo non sono poi tanto remote nel tempo e agli studiosi di diritto costituzionale incombe costantemente l’onere di mantenere viva la memoria di esse. Al carattere sempre più tecnico e dogmatico assunto apparentemente dal diritto costituzionale fa riscontro uno sviluppo della giurisprudenza cui corrisponde una riflessione più approfondita sul significato valutativo delle enunciazioni testuali dei principi costituzionali; e questo riguarda anche la portata ermeneutica dei principi di indipendenza e di imparzialità dei singoli magistrati. Nel valutare le esigenze di riforma della giustizia, occorre non perdere di vista le coordinate costituzionali e si avverte la necessità di fare riferimento alle reali minacce che incombono sul potere giudiziario, considerando l’attualità dei principi dello «Stato di diritto» e della «separazione dei poteri statuali», oltre che i profili di insieme della tutela del singolo dinanzi agli organi giudiziari.

La focalizzazione. Sviluppi della prassi

Gli aspetti della prassi che emergono nel corso del 2011 in tema di magistrati e magistratura riguardano i conflitti tra poteri dello Stato, i pareri del CSM e la presentazione di un d.d.l. di revisione costituzionale per la «riforma della giustizia », contenente, tra l’altro, la proposta di separazione della carriera dei magistrati inquirenti da quella dei giudici.

2.1 I conflitti tra poteri dello Stato

Nell’ambito dei conflitti tra i poteri dello Stato, in particolare tra Governo, Parlamento e organi del potere giudiziario, meritano di essere ricordate anzitutto una serie di decisioni della Corte costituzionale, da alcune ordinanze di ammissibilità dei conflitti fino alle sentenze che riconoscono nel merito la fondatezza delle richieste di tutela costituzionale fatte valere dinanzi alla Corte. Tutte queste pronunce, cui si possono aggiungere alcune sentenze di incostituzionalità delle leggi, adottate nel corso dell’anno, rappresentano importanti fonti di conoscenza dei problemi che riguardano la magistratura, i magistrati e i principi costituzionali che investono l’esercizio delle funzioni giudiziarie. Anche se si tratta di situazioni difficilmente ripetibili, l’esame di tali decisioni è di grande interesse, perché esse consentono di individuare alcuni nodi nei rapporti tra magistratura, Governo e Parlamento più difficili da districare, alcune effettive minacce all’indipendenza della magistratura e dimostrano comunque un’attenzione da parte della Corte ad approfondire i criteri di valutazione dei conflitti che riguardano questi temi. I conflitti tra poteri dello Stato hanno raggiunto un alto livello di intensità, in fattispecie nelle quali l’azione dei magistrati, inquirenti o giudicanti, si è trovata dinanzi a esternazioni di parlamentari lesive della dignità di singoli cittadini e con riferimento alle quali era stata fatta valere l’immunità parlamentare. In altri casi, il conflitto è stato sollevato dal Governo o dal Parlamento quando la magistratura aveva iniziato indagini dirette ad accertare la fondatezza di accuse contro membri del Governo, compreso lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri; in alcune ipotesi, tuttora pendenti, si è ritenuto di far ricorso dal Governo al segreto di Stato5, in altre si è ritenuto che ben può la Corte di cassazione approfondire la valutazione sull’attinenza delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle funzioni parlamentari6. La Corte costituzionale ha continuato ad individuare con rigore i limiti dell’immunità parlamentare, di cui all’art. 68, co. 1, Cost. – dopo la legge di revisione costituzionale n. 3/1993 – e ha affermato che l’autorizzazione a procedere nei confronti di un membro del Parlamento non può coprire ogni dichiarazione fatta da un singolo parlamentare, anche fuori della rispettiva Camera, ma che deve sussistere un preciso nesso funzionale tra le dichiarazioni del parlamentare e le funzioni effettivamente svolte all’interno della Camera di appartenenza7. In altri casi, la Corte si è trovata a pronunciarsi su complessi problemi di diritto europeo e di diritto costituzionale italiano: si segnala, a questo proposito, la sent. n. 136/2011, nella quale, pronunciandosi in sede di controllo incidentale, su rinvio da parte del TAR Lazio, la Corte ha ritenuto infondati i dubbi di costituzionalità espressi dal giudice a quo con riferimento alla legge italiana che disciplina la nomina di un magistrato – scelto nell’ambito di una rosa di nomi sui quali siano «acquisite le valutazioni» del CSM – come membro dell’Eurojust, in quanto tale organo non esercita direttamente funzioni giudiziarie. Si tratta, infatti, di un organo europeo di governance nella lotta contro gravi forme di criminalità organizzata e la Corte costituzionale, con grande equilibrio, ha messo in evidenza che le funzioni e i poteri dell’Eurojust «non sono riconducibili a quelli giudiziari propri del pubblico ministero»8, non prevedendo la legge impugnata esercizio di attività giudiziarie da parte dell’organo europeo né da parte del rappresentante italiano. È appena il caso di accennare, infine, alla fondamentale sent. n. 23/2011, in cui, a proposito di una legge ordinaria diretta a consentire al Presidente del Consiglio dei ministri dei ministri di opporre il «legittimo impedimento » ad essere sentito in giudizio, la Corte ha adottato una sentenza in parte di accoglimento parziale (dichiarando l’illegittimità costituzionale dei co. 3 e 4 dell’art. 1 della l. n. 51/2010, con riferimento alle previsioni che escludevano per il giudice la possibilità di valutare la consistenza in concreto dell’impedimento fatto valere dal Presidente del Consiglio dei ministri) e in parte di interpretazione del testo della legge impugnata. Con riferimento, in particolare, al co. 1 della l. n. 51/2010, la Corte ha precisato che esso va interpretato nel senso che le ipotesi di «legittimo impedimento» addotte dal Presidente del Consiglio dei ministri devono essere riconducibili a «un’attribuzione coessenziale alla funzione di governo prevista dall’ordinamento»9. Come si è accennato, si è in attesa di nuove decisioni in tema di conflitti di attribuzione tra potere giudiziario, Parlamento e Governo anche con riferimento all’art. 96 Cost. e di ammissibilità di un sindacato dei giudici sulla mancata autorizzazione a procedere per i reati commessi dal Presidente del Consiglio e dai ministri, da sottoporre alla giurisdizione ordinaria.

2.2 I pareri del CSM

Si segnalano, ancora, nell’esame della prassi, i pareri del CSM, sia per l’alto livello dei loro contenuti che per la solidità delle argomentazioni che li sorreggono; essi arricchiscono la qualità del dibattito e sono espressione della funzione che quest’organo assolve nel sistema delle garanzie costituzionali, in particolare al fine di assicurare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura10. A questo proposito, si può osservare che se il CSM, organo estraneo alla tradizione costituzionale di molti Paesi europei, che tendono a garantire piuttosto l’indipendenza del singolo giudice prima che l’autonomia dell’intero ordine della magistratura, può presentare talora rischi di politicizzazione dei problemi della giustizia, esso si è dimostrato un organo necessario in Italia, dove la magistratura corre rischi maggiori che in altri Paesi, per la complessità dei rapporti tra società e istituzioni. È appena il caso di accennare agli effetti nocivi all’esercizio di una funzione di garanzia che potrebbe comportare, de iure condendo, un aumento del numero dei membri del CSM di nomina parlamentare, perché ciò contribuirebbe a stabilire rapporti troppo stretti tra partiti politici e magistratura. Un tema sul quale il Governo ha richiamato più volte l’attenzione dell’opinione pubblica e che si presenta, come è facile immaginare, ricco di ambiguità e tale da far presa su quanti siano parti di un processo penale, civile o amministrativo è quello della responsabilità civile dei magistrati, giudicanti o requirenti; e su di esso esiste un’ampia e ragguardevole letteratura giuridica11. In proposito, merita di essere segnalato un parere del CSM (delibera del 28.6.2011) che prende posizione nei confronti di un tentativo ministeriale di modificare i principi finora vigenti, enunciati con la l. n. 117/1988 (art. 2, co. 1 e 2). Con tale emendamento, presentato alla Camera dei deputati (c. 4059) si proponeva di modificare gli articoli citati della l. n. 117/1988, «in dichiarata attuazione» di una sentenza della CGCE, che, però, a ben vedere, come osserva il CSM, non parla affatto della responsabilità del magistrato, ma ha solo riguardo alla responsabilità degli Stati per violazione delle norme comunitarie. È appena il caso di accennare che, secondo la legge italiana, i magistrati rispondono per i danni derivanti da «dolo e colpa grave», ma in nessun caso per «l’attività di interpretazione del diritto» o di «valutazione del fatto o delle prove». Il parere della CSM, nella sua essenzialità, mette in evidenza le esigenze che giustificano il mantenimento della limitazione della responsabilità civile dei magistrati, insistendo in particolare sui rischi di «conformismo giuridico» che deriverebbero da una responsabilità personale del magistrato per «l’attività di interpretazione del diritto», come anche per quella di valutazione del fatto e delle prove. L’emendamento, successivamente stralciato, prevedeva la responsabilità dei magistrati per ogni comportamento, atto o provvedimento «in violazione manifesta del diritto», per la quale resterebbe solo la responsabilità dello Stato. Merita, in particolare, di essere segnalata la corretta esposizione degli argomenti di diritto comparato e di diritto comunitario, da cui risulta che «i limiti previsti dalla legge italiana sulla responsabilità civile dei magistrati sono conformi alla legislazione degli altri Paesi europei e non ostano alla configurazione dell’illecito comunitario, in quanto si tratta di fattispecie differenti»12. Il CSM segnala inoltre il rischio di un contenzioso infinito che potrebbe investire alcune controversie, qualora fosse consentito alle parti più convinte delle proprie ragioni (e, si potrebbe aggiungere, in grado di affrontare le spese di più gradi di giudizio) di chiamare senza alcun limite i singoli magistrati a rispondere di manifesta violazione del diritto e non solo di dolo o colpa grave.

2.3 A proposito del progetto di «riforma della giustizia»: il d.d.l. di revisione costituzionale per la «riforma della giustizia»

Nel d.d.l. di revisione costituzionale presentato dal Governo si insiste particolarmente sui temi della responsabilità dei giudici e dei pubblici ministeri e il suo esame dà l’impressione che esso sia stato predisposto più per l’esigenza di evitare le minacce che potrebbero nascere – per il Governo e per il potere politico – dal consolidamento delle garanzie di indipendenza e di imparzialità di tutta la magistratura, che dai rischi che corre la magistratura di fronte ai tentativi del potere politico di condizionare l’esercizio dei poteri giudiziari. Il d.d.l. governativo contiene la riformulazione di tutti gli articoli del titolo IV della parte II della Costituzione, aprendo la strada a una progressiva riduzione delle garanzie di indipendenza della magistratura, dei magistrati e dei pubblici ministeri13. Il d.d.l. governativo è orientato verso una parificazione dei poteri dell’accusa rispetto a quelli della difesa nei processi penali e alla separazione delle carriere di magistrato requirente e giudicante; al co. 1 dell’art. 4 del d.d.l., secondo cui «i magistrati si distinguono in giudici e pubblici ministeri», fa seguito infatti un co. 2 secondo cui «la legge assicura la separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri», cui segue, a sua volta, l’introduzione di due diversi Consigli superiori, uno per la magistratura giudicante e l’altro per quella requirente. Tralasciando un esame analitico del d.d.l. di revisione costituzionale, si può osservare che l’opinione pubblica italiana, come quella di gran parte dei Paesi latini, è tradizionalmente abituata a considerare i pubblici ministeri come parte della magistratura (anche se poi sono diverse le conseguenza che se ne traggono nei singoli ordinamenti legislativi). La storia del potere giudiziario dimostra quanto siano stati frequenti i tentativi di politicizzare l’azione dei pubblici ministeri e di mettere questi ultimi al servizio del Governo e alle dipendenze del Ministro della giustizia. La tendenza a vedere, anzi, tutti i magistrati come funzionari dello Stato, responsabili soprattutto disciplinarmente, ha una lunga storia nell’Europa continentale, ma proprio in momenti in cui il malcostume tende a farsi strada all’interno del ceto politico sembra più che mai essenziale vedere nei magistrati i titolari di una funzione primaria per la vita della collettività e insistere tanto sulla loro educazione e sensibilità di giuristi che sulle garanzie della loro indipendenza14.

2.4 (segue) La separazione delle carriere dei magistrati inquirenti e giudicanti

A proposito dello statuto del pubblico ministero, che è quello preso maggiormente in considerazione nel d.d.l. di revisione costituzionale, è innegabile che l’impatto dell’accusa sull’opinione pubblica sia spesso più incisivo persino di quello di una sentenza di condanna o di assoluzione, che può intervenire successivamente. Resta il fatto che i principi dello Stato di diritto esigono l’indipendenza del magistrato dell’accusa, come del magistrato giudicante; né si può ignorare che il pubblico ministero è in possesso della stessa educazione giuridica del giudice, che vi è una sensibilità giuridica comune per l’esercizio indipendente delle funzioni giudiziarie e a tutti i magistrati si chiede di agire nell’interesse generale, per il bene della giustizia15. Questa visione comune del rispetto delle regole e dell’interesse generale caratterizza entrambe le funzioni e giustifica il passaggio, su richiesta, dall’una all’altra, anche se le attività del magistrato dell’accusa sono diverse da quelle del magistrato giudicante ed esigono esperienze anche in parte diverse, ma non sono equiparabili a quelle dell’avvocato che opera in funzione di difesa dell’interesse dell’accusato. A voler individuare un modello di garanzia dell’indipendenza del pubblico ministero che abbia ispirato alla lontana il Governo nel disegno di legge di revisione costituzionale, si potrebbe pensare all’art. 65 della Costituzione francese dopo la riforma del 27.7.2008; in tale disposizione, però, sono previste tre diverse composizioni del CSM, una per i magistrati requirenti, una per i giudici e una terza che riunisce tutti i membri del Conseil supérieur de la magistrature. Inoltre, se la legge ordinaria francese, soprattutto nel c.p.p. francese16, prevede un potere di direttiva del Ministro della giustizia con riferimento all’esercizio dell’azione penale, tanto in termini generali, di politica criminale, quanto con riferimento al caso di specie, sul quale dovrà pronunciarsi la magistratura giudicante, resta la considerazione che il pubblico ministero è indipendente nelle scelte relative al processo orale e che egli opera nell’interesse della giustizia17. Obiettare che si tratterebbe soltanto di attribuire armi pari all’accusa e alla difesa significa non considerare che quella del pubblico ministero è una funzione pubblica che riveste, per la sua incidenza sulla vita sociale, una non trascurabile importanza per il mantenimento dell’ordine giuridico, per cui può essere pericoloso metterla nelle condizioni di operare alle dipendenze del Governo o della maggioranza parlamentare, affidando a quest’ultima, come propone il d.d.l. governativo, il compito non solo di prevedere reati, ma di stabilire i criteri per l’esercizio dell’azione penale. In Europa, sembra farsi strada piuttosto la tendenza a vedere il magistrato come un professionista del diritto, in possesso di un’educazione giuridica e responsabile in quanto tale dinanzi agli organi della giurisdizione, nei limiti previsti dalla legge18. I modelli europei di magistratura sono tuttora molto distanti tra loro, come diversi sono i congegni diretti ad assicurare l’indipendenza e l’imparzialità del magistrato, i sistemi di selezione, di nomina e di progressione nella carriera, ma la via per migliorare la qualità della giustizia italiana non sembra certo essere quella di limitare l’azione dei pubblici ministeri, ponendo l’esercizio dell’azione penale sotto il controllo ministeriale.

I profili problematici. Magistrati, educazione giuridica e opinione pubblica

L’organizzazione della giurisdizione non si fonda più su una delega di potere sovrano dal Re o dal Parlamento agli organi del potere giudiziario, ma sulla fiducia dei cittadini nei titolari delle funzioni di magistrato, sulla considerazione di tutti per la preparazione giuridica e per la capacità dei singoli magistrati di interpretare il diritto in modo adeguato ai tempi. Questo affidamento conferisce un intenso significato alla cultura e all’esperienza giuridica dei magistrati ai fini della valutazione dei principi di imparzialità e di indipendenza dei magistrati. Queste esigenze si traducono nel rafforzamento dei congegni di garanzia della loro indipendenza e impongono anche un continuo aggiornamento ed un’autoeducazione dei titolari delle funzioni giudiziarie, chiamati a decidere le controversie che sorgono nel nostro tempo. Stabilire con urgenza un controllo governativo e parlamentare sull’azione dei giudici e dei pubblici ministeri, istituire corti di disciplina i cui membri siano scelti in rilevante misura dei membri del Parlamento non è solo in contrasto con le tradizioni del costituzionalismo liberale, almeno nelle sue elaborazioni più garantiste, ma urta contro l’idea, ampiamente diffusa nell’opinione pubblica italiana, che le attribuzioni del potere giudiziario si caratterizzano per l’imparzialità e l’indipendenza del loro esercizio. Il magistrato deve restare un professionista del diritto che ispira la sua azione al rispetto della legge e del diritto e non deve trasformarsi in un «funzionario» dello Stato, cui sia affidato il compito di attuare gli indirizzi e le deliberazioni del potere governativo. Riportare le garanzie di indipendenza dei magistrati e della magistratura ai principi istituzionali della separazione dei poteri e dello Stato di diritto significa ridare concretezza a problemi che non meritano di essere dogmatizzati solo in astratto, ma valutati nella loro effettiva vigenza in ciascun ordine costituzionale, tenendo conto dei rischi che corre ogni singolo magistrato. Il potere giudiziario, potere considerato «en quelque façon nul», è in effetti, nonostante le apparenze, un potere in grado di esercitare una forte influenza politica e sociale sull’intero assetto della collettività, ma è anche un potere essenziale per il mantenimento della pace e della convivenza. I problemi posti dall’esigenza di garantire l’indipendenza del magistrato non passano solo attraverso l’istituzionalizzazione di un organo di autogoverno, perché l’obiettivo principale ai fini del perseguimento della giustizia deve restare quello di assicurare l’indipendenza del singolo magistrato. È fondamentale, a questo proposito, il mantenimento di istituzioni che assicurino la realizzazione dell’obiettivo di un’adeguata educazione giuridica, che consenta alla società di nutrire fiducia nei propri magistrati requirenti e giudicanti. Il fondamentale tema dei rapporti tra i magistrati e l’opinione pubblica è emerso anzitutto dalla crescente attenzione con la quale quest’ultima tende a seguire le vicende giudiziarie e le polemiche sul ruolo della magistratura, apprezzando positivamente i numerosi magistrati che danno prova di imparzialità e di indipendenza rispetto ai poteri costituiti, di cultura giuridica e sensibilità per i problemi delle società contemporanee. Alle prese di posizione che diffondono un’immagine negativa dei magistrati, che si rivelerebbero non imparziali di fronte ai conflitti sociali e darebbero persino prova di ostilità nei confronti di alcune coalizioni governative, fa riscontro un positivo apprezzamento dell’attività da essi svolta a tutela della legalità, anche quando ciò comporta il coinvolgimento nelle inchieste di membri del Governo, del Parlamento e dei maggiori partiti politici. Il tema dei rapporti dei magistrati con l’opinione pubblica è irto di difficoltà e di contraddizioni rivelatrici della sua complessità: si può accennare soltanto che il magistrato deve adottare un atteggiamento non di accondiscendenza nei confronti dell’opinione pubblica, ma di imparziale consapevolezza dei diversi punti di vista presenti nella società, facendo appello alla propria cultura giuridica e sensibilità umana. E. Friesenhahn, professore a Bonn di diritto costituzionale negli anni sessanta del Novecento e giudice costituzionale, ha affermato che nelle società pluralistiche contemporanee si avverte sempre di più l’esigenza della presenza di giudici che sappiano togliersi dagli occhi quella benda che per molto tempo ha caratterizzato le rappresentazioni della giustizia come «dea bendata »19. Riaffermare i principi dello Stato di diritto e della separazione dei poteri è un’esigenza strettamente legata alle aspettative di un ordine giuridico pluralista, in cui, per mantenere le regole del rispetto reciproco, si impone una riflessione sugli equilibri necessari a garantire un assetto istituzionale dinamico e variegato. Proprio per questo, non si può pensare di garantire un ordine pluralistico lasciando che gli equilibri sociali siano alterabili discrezionalmente da parte di un solo potere dello Stato, anche qualora si tratti di quello che gode del consenso di una larga parte dell’elettorato, ma appare decisivo che i magistrati siano posti in grado di mantenere le regole della convivenza.

Note

1 Si tratta del d.d.l. costituzionale n. 4275, intitolato Riforma del titolo IV della parte II, presentato alla Camera dei deputati il 7.4.20011, al cui esame è stato abbinato quello di altri progetti di legge sullo stesso argomento.

2 Per la considerazione di una prospettiva più ampia, si veda Picardi, La giurisdizione all’alba del terzo millennio, Milano, 2007, 183 ss.

3 Cfr. Cervati, Annotazioni in tema di indipendenza della magistratura in una prospettiva di comparazione giuridica, in Rass. for., 2010, 513 ss.

4 Cfr. Royer, Histoire de la justice en France, III ed., Paris, 1995, 17 ss.; Engelman, Richter zwischen Recht und Macht, Darmstadt, 1995 187 ss.

5 Si veda l’ord. n. 376/2010, di ammissibilità del conflitto di attribuzione sollevato dal g.i.p. presso il Tribunale di Perugia, in relazione al segreto di Stato, fatto valere in ordine a vicende ritenute estranee alle finalità in relazione alle quali esso può essere apposto (con l’effetto di paralizzare le attività giudiziarie).

6 Cfr. Corte costituzionale, sent. e ord. citate nella nota seguente.

7 Con l’ord. n. 14/2011 e, successivamente, con la sent. n. 194/2011 dello stesso anno, la Corte costituzionale si è pronunciata sull’ammissibilità e poi sulla fondatezza del conflitto di attribuzione sollevato dalla Corte di cassazione con riferimento alla domanda del magistrato G. Colombo di risarcimento dei danni da parte di un deputato, che, nel corso di una trasmissione televisiva, aveva usato espressioni ingiuriose nei suoi confronti. La domanda di risarcimento, in riforma della decisione di primo grado, era stata respinta dalla Corte d’appello, in base alla delibera della Camera dei deputati che aveva opposto l’immunità parlamentare, ma la Corte di cassazione ha ritenuto di sollevare un conflitto di attribuzione con la Camera per mancanza di connessione tra le opinioni ingiuriose espresse dal parlamentare e l’esercizio delle attività connesse al mandato parlamentare. La Corte costituzionale ha sottolineato che non spettava alla Camera di appartenenza, ma al potere giudiziario valutare se i fatti imputati fossero coperti dall’immunità parlamentare prevista all’art. 68, co. 1, Cost. L’attenzione dedicata dalla Corte di cassazione alla valutazione dei fatti che costituiscono il presupposto della responsabilità civile del parlamentare conferma che, nel valutare i presupposti di fatto di un conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato, ogni organo del potere giudiziario è chiamato ad esaminare in tutta la loro portata i termini concreti dell’eventuale conflitto. La Corte costituzionale ha poi, con l’ord. n. 38/2011, ritenuto ammissibile un conflitto tra i poteri dello Stato sollevato dalla Corte d’appello di Roma nei confronti di una delibera del Senato della Repubblica, con la quale si dichiaravano insindacabili, in base all’art. 68, co. 1, Cost., opinioni espresse dal senatore R. Castelli fuori dalla Camera stessa, nel corso di un programma televisivo e ritenute lesive della dignità professionale dell’on. O. Diliberto, che aveva chiesto il risarcimento del danno. Un’altra fattispecie che merita di essere ricordata è quella di cui all’ord. n. 241/2011, nella quale il conflitto, sollevato dalla Camera dei deputati, riguarda l’art. 96 Cost., in relazione all’iniziativa giudiziaria promossa dalla Procura della Repubblica e dal g.i.p. presso il Tribunale di Milano, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri S. Berlusconi, per il reato di «concussione» (per la cui conclusione occorrerà attendere la decisione finale della Corte costituzionale). Va segnalato anche il caso di cui all’ord. n. 147/2011, nella quale il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bergamo ha sollevato un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti di una delibera della Camera che aveva affermato l’insindacabilità delle dichiarazioni rese dall’on. S. Berlusconi, durante una trasmissione televisiva, nei confronti dell’ on. A. Di Pietro, querelante: in questo caso, l’on. A. Di Pietro era stato definito «un assoluto bugiardo», «uomo che mi fa orrore perché non rispetta gli altri e perché ha scaraventato in galera, rovinando le vite degli altri cittadini» (nella stessa occasione si contestava l’autenticità della laurea dell’on. A. Di Pietro). Anche secondo la Camera dei deputati, la dichiarazione dell’on. S. Berlusconi era insindacabile, perché «aveva valenza politica». La Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile il conflitto di attribuzione sollevato dal giudice. Con l’ord. n. 142/2011, la Corte costituzionale ha poi ritenuto ammissibile il conflitto sollevato dal g.i.p. presso il Tribunale di Milano nei confronti del Senato della Repubblica, con riferimento alle affermazioni contenute in un articolo del senatore L. Jannuzzi, con le quali erano state espresse opinioni ritenute offensive della reputazione dei magistrati G. Natoli e G. Caselli, imputando peraltro ad essi «fatti determinati». Con ord. n. 104/2011, la Corte costituzionale ha ritenuto ammissibile un conflitto di attribuzione sollevato dal Senato della Repubblica nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e del g.i.p. presso il Tribunale di Napoli, che investiva l’interpretazione dell’art. 96 Cost. e dell’art. 6 della l. cost. n. 1/1989, con riferimento a un’ipotesi di reato ministeriale di cui era stato imputato un membro del Senato. La Corte costituzionale, con sent. n. 98/2011, ha inoltre accolto il conflitto di attribuzione sollevato dal g.i.p. presso il Tribunale di Roma, affermando che non spettava al Senato della Repubblica dichiarare l’insindacabilità delle valutazioni espresse dal senatore F. Storace, contro il quale il magistrato H.J. Woodcock aveva sporto querela per il reato di diffamazione a mezzo stampa. La Corte ha annullato la delibera di insindacabilità adottata dal Senato della Repubblica, perché le valutazioni del parlamentare non erano espresse nell’esercizio delle sue funzioni di membro del Parlamento. Del pari, la Corte costituzionale, con ord. n. 98/2011, ha annullato, sulla base di un conflitto proposto dalla Corte di cassazione, la delibera della Camera dei deputati di insindacabilità delle dichiarazioni rese dall’on. C. Belluscio, nei confronti del magistrato S. Senese, che aveva chiesto il risarcimento del danno per alcuni articoli del parlamentare ritenuti lesivi della dignità del magistrato.

8 La Corte ha aggiunto, con riferimento ai poteri che l’organo europeo può esercitare nei confronti delle autorità nazionali, che «la loro natura non vincolante impedisce di riscontrare in esse i connotati propri dell’autonomo esercizio di funzioni giudiziarie requirenti, costituendo, invece, espressione di poteri strumentali all’esercizio di dette funzioni, che restano riservate, in via esclusiva, alle autorità giudiziarie nazionali». Di conseguenza, «la carenza dei suddetti connotati delle funzioni giudiziarie requirenti inducono a qualificare tali attività come amministrative», mentre non si può ignorare, d’altra parte, che il legislatore italiano, nell’attuare la decisione del Consiglio europeo, non ha ritenuto di attribuire poteri giudiziari né all’organo sovranazionale né al rappresentante nazionale.

9 La difesa del Presidente del Consiglio dei ministri aveva sostenuto che poteri di controllo eccessivamente penetranti sul legittimo impedimento risulterebbero preclusi dal principio della separazione dei poteri, che vieta al giudice di sindacare in concreto l’attività di Governo. La Corte ha ritenuto che «il principio della separazione dei poteri non è violato dalla previsione del potere del giudice di valutare in concreto l’impedimento, ma, eventualmente soltanto dal suo cattivo esercizio».

10 Si vedano, ad esempio, il parere del CSM del 28.6.2011 e quello del 13.7.2011.

11 Cfr. Giuliani, Picardi, La responsabilità dei giudici, ried., Milano, 1995, 37 ss.; Biondi, La responsabilità del magistrato, Milano, 2006, 7 ss.

12 Il CSM richiama un parere del Consiglio consultivo dei giudici europei del Consiglio d’Europa e le raccomandazioni della Magna Charta dei giudici europei, adottata a Strasburgo il 17.11.2010, cap. VII, §§ 66-68.

13 Si può osservare, a proposito di tale riformulazione dell’art. 104 Cost., che il primo compito della legge dovrebbe essere quello di assicurare l’indipendenza e l’imparzialità di tutti i magistrati, non di esasperare la separazione delle carriere e le garanzie di indipendenza; si veda anche l’enunciazione contenuta nella proposta del «nuovo» co. 3 dell’art. 110: «il ministro della giustizia riferisce annualmente alle camere sullo stato della giustizia, sull’esercizio dell’azione penale e sull’uso dei mezzi di indagine». Ma la violazione più evidente del principio della separazione dei poteri e dell’indipendenza dei magistrati è contenuta negli articoli sulla composizione dei due Consigli superiori della magistratura, uno per i giudici e un altro per i pubblici ministeri, eletti per la metà dagli appartenenti alla stessa categoria di magistrati e per metà dalla semplice maggioranza parlamentare del Parlamento in seduta comune, così come l’istituzione di una «Corte di disciplina della magistratura giudicante e requirente», i cui membri si prevede siano nominati per metà dal Parlamento in seduta comune e per l’altra metà, questa volta, da tutti i giudici e tutti i pubblici ministeri. L’associazione di questo sistema di nomina, senza la previsione di maggioranze qualificate, in presenza peraltro di un sistema elettorale maggioritario, la dice lunga sulle conseguenze di una siffatta riforma delle garanzie dell’indipendenza della magistratura. Vorrei solo accennare, in aggiunta: a) all’introduzione nella Costituzione del principio secondo cui i magistrati sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione della legge, che non mi sembra abbia riscontro in altri testi costituzionali; b) alla previsione, al riguardo, di una sezione II bis, dopo la sezione II del testo della Costituzione vigente; c) all’enunciazione che il legislatore stabilisce i criteri per l’esercizio dell’azione penale da parte dei pubblici ministeri (si veda il testo proposto all’art. 13 del d.d.l. governativo).

14 Si vedano, in proposito, le osservazioni di Autin, Riflessioni sullo statuto della magistratura, in Cervati-Volpi (a cura di), Magistratura e Consiglio superiore in Francia e in Italia, Torino, 2010, 46 ss.

15 Albrecht, Strengthen the Judiciary’s Independence in Europe!, Berlin, 2009.

16 Cfr. l’art. 30 del c.p.p. francese, modificato con la l. del 9.3.2004, secondo cui «il ministro della giustizia guida la politica relativa all’esercizio dell’azione penale, in accordo con le determinazioni del Governo. Vigila sulla coerenza della sua applicazione sul territorio della Repubblica. A tal fine indirizza ai magistrati del pubblico ministero delle direttive generali». Va anche detto che il pubblico ministero francese formula liberamente le osservazioni orali che egli ritiene conformi all’interesse della giustizia.

17 Cfr. Gelli, Il pubblico ministero in Francia, in Magistratura e Consiglio superiore in Francia e in Italia, cit., 120 ss. Questo Autore insiste particolarmente sulle contraddizioni e sulle difficoltà dell’esercizio dell’azione penale nel sistema francese.

18 Cfr. Giuliani, Picardi, La responsabilità dei giudici, cit., p. 184 ss.

19 Cfr. Friesenhahn, Der Richter unserer Zeit, in Deutsche Richterzeitung, 1969, 169 ss.

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