Industria

Dizionario di Economia e Finanza (2012)

industria

Patrizio Bianchi

Ogni attività produttiva del settore secondario (differente quindi dalla produzione agricola, o settore primario, e dalle attività commerciali e di servizi, o settore terziario). Fonti diverse convergono nel ritenere che la parola i. derivi da endo, cioè «dentro», «interno», e struĕre, «costruire», quindi «costruire all’interno», a raffigurare un’organizzazione interna della produzione, al cui centro stavano il lavoro, il capitale e la loro struttura, in contrasto con la produzione esterna dell’agricoltura, al cui centro stavano la terra e il modello estensivo di produzione precapitalistico. Il termine fu usato fin dalla fine del Seicento per intendere ogni genere di attività produttiva, per poi passare a indicare le produzioni manifatturiere e infine la manifattura capitalistica, incentrata su una divisione del lavoro fra funzioni specificate e organizzate.

La prima fase della riflessione: dagli enciclopedisti ad Adam Smith

Analisi dettagliate dei cicli produttivi e degli strumenti di produzione di numerose attività manifatturiere erano già presenti nella Encyclopédie di D. Diderot e J.B. D’Alambert (Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers), ma è con A. Smith (➔) che si assiste alla prima riflessione organica del ruolo delle attività industriali nella vita economica. Smith lega la crescita di un Paese alla sua capacità di strutturare la produzione manifatturiera secondo principi di specializzazione delle funzioni e di complementarità fra queste, in modo da permettere lo sviluppo delle capacità produttive del lavoro. Smith sostiene che la divisione del lavoro, cioè l’organizzazione della produzione, deve essere limitata solo dall’estensione del mercato, quindi deve essere liberata dalla quantità di vincoli feudali e corporativi che costringevano le attività produttive nell’ancien régime. Così, la rivoluzione industriale diviene rivoluzione politica e l’affermazione del nuovo ceto dei produttori manifatturieri si contrappone, nell’Inghilterra del Settecento, ai nobili terrieri, rivendicando non solo un proprio spazio economico, ma anche un proprio riconoscimento politico.

Il modello Fisher-Clark

Il termine i. fu poi utilizzato per individuare un settore di attività produttive fra loro coerenti, in cui imprese aventi stessi processi e stessi prodotti sono fra loro in concorrenza, raggiungendo quell’equilibrio parziale analizzato da A. Marshall (1890). Questa nozione fu successivamente estesa da A.G.B. Fisher (1933) in un modello di economia a 3 settori, dove al settore primario – dato dall’agricoltura, dalla pesca, dalla caccia, dall’allevamento e dalla forestazione – si aggiunge un settore secondario – dato dalle attività manifatturiere, dalle minerarie ed estrattive, dalle costruzioni, dalle opere pubbliche, dall’energia, dal gas  e dall’acqua – e infine un settore terziario, in cui stanno tutti i servizi bancari, assicurativi, di trasporto, commerciali e quelli forniti o regolati dalla pubblica amministrazione, e in genere tutte le attività che non possono definirsi nel settore primario o secondario. C. Clark (1940) riprese questo modello, delineando uno sviluppo secolare in cui progressivamente il peso dei settori si muove dal primario al secondario e quindi verso le attività terziarie (modello Fisher-Clark).

Teoria della crescita e industrializzazione

Partendo da tale modello, S.S. Kuznets (premio Nobel per l’economia nel 1971) elaborò una teoria della crescita che legava i mutamenti del reddito pro capite alle variazioni della domanda, dai prodotti agricoli a quelli manifatturieri, ai servizi connessi al benessere. La stessa tematica è stata studiata da numerosi storici economici, da A. Gerschenkron a R. Romeo e W.W. Rostow, che stilizzò lo sviluppo in diversi stadi di attività economica. Il legame sviluppo-industrializzazione resta alla base dei modelli di sviluppo, e per converso di sottosviluppo, utilizzati per anni dai diversi organismi internazionali.

L’avvento della società postindustriale

Il processo di industrializzazione è andato assumendo un carattere complesso, in cui l’evoluzione della manifattura guida processi di concentrazione urbana che portano a una modifica sostanziale della società, con l’emergere di una più sofisticata divisione sociale del lavoro e di nuove attività terziarie. L’aumento della produttività e del progresso tecnico delle attività di trasformazione industriale, del resto, conduce a una progressiva articolazione delle stesse attività industriali, favorendo l’emergere di nuovi bisogni, soddisfatti a loro volta da nuove attività. Egualmente, molte tipologie di servizio incluse nell’ambito industriale, crescendo, vengono esternalizzate e diventano a loro volta imprese che offrono servizi al mercato, generando un fenomeno di crescita del settore terziario. Si parla quindi di società postindustriale (➔) in quei contesti in cui, ridotta ormai al minimo l’occupazione del settore agricolo, e declinando l’occupazione diretta nel settore manifatturiero-industriale, si accresce l’occupazione nei molteplici comparti rivolti ai servizi alle imprese e alle persone.

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