ALIMENTARI, INDUSTRIE

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

ALIMENTARI, INDUSTRIE

Raimondo Cubadda
Raimondo Cubadda - Osvaldo Massi
Giovanni Battista Marini-Bettolo

(App. III, I, p. 68; IV, I, p. 96)

Con lo sviluppo delle i.a. sono mutate le caratteristiche salienti delle imprese operanti nel settore, mentre le tecnologie della conservazione degli alimenti si sono rinnovate, grazie anche all'accrescersi delle acquisizioni scientifiche. Vengono qui esaminati i nuovi caratteri delle imprese e sono indicati, per sommi capi, i più recenti progressi tecnologici e i principi su cui si fondano i singoli procedimenti di conservazione degli alimenti. Si riportano, altresì, le conoscenze attuali sulle funzioni degli additivi impiegati. Viene, infine, descritto il quadro aggiornato delle conoscenze sulle alterazioni degli alimenti a opera di contaminazioni o di sofisticazioni. Vedi tav. f. t.

Imprese. - La caratteristica saliente dell'i. a. mondiale negli anni recenti è la crescita di dimensione d'impresa a cui si accompagna la modernizzazione delle strutture, l'ampliamento dei mercati al difuori dei confini nazionali e la diversificazione degli investimenti in differenti settori merceologici.

La 'grande dimensione' viene considerata come la scelta obbligata per far fronte agli ingenti investimenti in tecnologie e marketing, necessari per la conquista di nuovi mercati. Pertanto, le acquisizioni di società, pacchetti azionari, stabilimenti, marchi, ecc. sono talmente frequenti che le classifiche di imprese per fatturato, utile netto, numero di addetti e altri indicatori economici sono sempre provvisorie. Al riguardo basti ricordare che negli ultimi anni le prime dieci imprese nel mondo sono state in gran parte protagoniste di importanti acquisizioni che hanno interessato, talvolta, anche aziende di per sé già di rilevante dimensione.

Pur nei limiti imposti da questi continui cambiamenti le imprese che si collocano, sulla base del fatturato, ai vertici della classifica mondiale sono le seguenti: Unilever, Nestlè, RJR Reinolds Nabisco, Pepsico, Sara Lee, Hauson Conogra, Barlow Rand, Grand Metropolitan, Anheuser-Bush, Coca-Cola, Beatrice Int. Foods. Tra le prime imprese alimentari del mondo viene inclusa la Philip Morris-General Foods, che ha tuttavia una prevalente attività nel settore del tabacco. La tendenza alla concentrazione investe anche l'i. a. italiana, la quale tuttavia sotto il profilo delle dimensioni resta esclusa dal novero delle grandi aziende multinazionali.

Secondo una classifica apparsa nel 1985 fra le prime cento imprese mondiali 43 erano americane, 22 inglesi, 14 giapponesi, 6 canadesi, 4 francesi, 2 sudafricane, 2 svizzere, 2 olandesi, 1 spagnola, 1 svedese, 1 australiana, 1 sudcoreana, 1 anglo-olandese. Solo di recente una impresa italiana, la Ferruzzi Finanziaria, la quale tuttavia presenta una elevata quota agricola, è entrata a far parte delle imprese alimentari mondiali.

Per rendersi conto dei differenti ordini di grandezza basti ricordare che la Nestlè, dopo la recente acquisizione della Buitoni-Perugina, raggiunge un fatturato intorno a 24.000 miliardi di lire che rappresenta un valore superiore a quello che possono mettere insieme le prime 40 imprese alimentari italiane, esclusa la Ferruzzi.

A parte questi limiti di dimensione rispetto ai colossi mondiali, a livello nazionale l'i. a. italiana è al terzo posto, dopo il meccanico e il tessile, per valore aggiunto ai prezzi di mercato (cioè per il complesso dei redditi prodotti, a cui vengono aggiunte le imposte indirette nette). Nel periodo 1980-86 tale valore aggiunto è passato dal 9,7% al 10,8% del totale della trasformazione industriale, dimostrando una dinamicità superiore alla media delle industrie manifatturiere. Nello stesso periodo il settore ha manifestato un'alta redditività consentendo buoni utili agli investimenti in questo campo. Il numero complessivo di addetti, dopo un periodo di più o meno importanti fluttuazioni, si è consolidato intorno alle 388.000 unità.

Nella tab. 1 viene riportato, per le prime trenta imprese alimentari italiane, il fatturato, l'utile o perdita e il numero degli addetti. Molte aziende indicate nella predetta tabella appartengono ai cosiddetti 'poli alimentari'che si differenziano dalle altre aziende nazionali perché raggruppano più imprese e marchi e in generale sono di dimensioni maggiori. Nella tab. 2 sono riportati dieci dei principali poli alimentari operanti in Italia unitamente alle più importanti imprese che ne fanno parte, ai marchi che rappresentano e ai prodotti alimentari ottenuti.

Per quanto riguarda il campo di attività l'i. a. italiana è articolata in comparti, ognuno dei quali fa capo a una Associazione di Categoria. I comparti produttivi più importanti sono: i. delle conserve vegetali; i. delle conserve animali; i. delle conserve ittiche; i. degli alimenti surgelati; i. degli alimenti dietetici e della prima infanzia; i. risiera; i. molitoria; i. della pastificazione; i. dolciaria; i. saccarifera; i. delle materie grasse vegetali; i. lattiero casearia. A queste si aggiungono le i. di produzione delle bevande (acque minerali, bevande alcooliche, birra, vino).

Molti di questi settori sono caratterizzati dalla presenza di un elevatissimo numero di imprese: quello lattiero-caseario, per es., ne comprende circa 3000 (dato del 1986) per un fatturato intorno ai 13.000 miliardi, pari a circa la metà del fatturato della multinazionale Unilever. Un analogo marcato frazionamento si rileva nell'industria delle conserve animali con oltre 2500 unità produttive. Va tuttavia osservato che le strutture che presentano un'organizzazione di tipo aziendale sono intorno a 800 e che di quest'ultime appena 330 si collocano tra le aziende con più di 20 addetti. Situazione simile si riscontra nel settore molitorio dove operano oltre 1200 unità funzionali con un grado di utilizzazione degli impianti di appena il 57%. Un buon margine di esubero rispetto alla effettiva utilizzazione degli impianti (67%) va pure rilevato per quanto riguarda l'industria di pastificazione la quale, senza calo della capacità produttiva, ha tuttavia manifestato nel periodo 1970-86 una netta riduzione del numero delle imprese, che sono passate da 505 a 185.

Un notevole processo di concentrazione è in atto nell'industria dolciaria dove le aziende con oltre venti dipendenti oscillano intorno alle 250 unità, mentre la produzione nell'arco di sei anni (1980-86) è aumentata del 18,6% in quantità e dell'85,6% in valore. Tale incremento è soprattutto a carico del cioccolato e prodotti al cacao, della biscotteria e pasticceria industriale. Per quanto riguarda l'industria delle conserve vegetali, dove si stima che operino tra piccole, medie e grandi imprese oltre 800 unità produttive, esiste, dal punto di vista strutturale, una produzione abbastanza accentrata per le conserve di frutta e ortaggi e per i succhi e nettari, mentre la produzione di pomodoro e sottaceti risulta molto frazionata.

Caratteristica comune per tutti i comparti è la predisposizione agli investimenti volti alla sostituzione di impianti o al loro miglioramento e ammodernamento. Notevoli investimenti, soprattutto da parte delle aziende più grandi, sono stati fatti in azioni promozionali.

Tecnologie della conservazione dei prodotti alimentari. - Premessa. - I prodotti a., vegetali e animali, vanno incontro a deterioramento che si manifesta con modificazioni della struttura originaria, con cambiamenti di colore, sapore e odore a cui si accompagnano perdite di valore nutritivo e talvolta formazione di sostanze tossiche. L'alimento diventa non commestibile entro un tempo più o meno breve a seconda del tipo di prodotto. Le cause di tale alterazione sono di origine microbica, enzimatica o più semplicemente chimico-fisica.

Le tecnologie di conservazione includono tutti quei trattamenti che tendono appunto ad arrestare o rallentare i processi vitali che si svolgono nel prodotto non trattato, consentendone pertanto una più lunga 'vita'.

Per la conservazione degli alimenti vengono usati soprattutto mezzi fisici ma talvolta anche chimici. I principali metodi utilizzati sono:

a) mezzi fisici:

per azione del freddo: refrigerazione, congelamento

per azione del calore: pastorizzazione, sterilizzazione

per disidratazione: essiccamento, liofilizzazione

per azione di gas inerti: atmosfere controllate

per azione delle radiazioni: raggi X e gamma

b) mezzi chimici:

naturali: sale, olio, aceto, zucchero, alcool etilico, ecc.

artificiali: composti chimici vari

Per la conservazione dei prodotti alimentari di origine animale si utilizza anche l'affumicamento (ove coesiste una pluralità di meccanismi) o l'azione combinata della temperatura, del sale, del fumo.

Trattamenti con il freddo. - Si basano da un lato sull'azione bloccante del freddo su tutte le funzioni metaboliche inclusa la riproduzione, dall'altro sulla diminuzione della velocità delle reazioni chimiche ed enzimatiche; possono suddividersi in refrigerazione, in cui l'acqua contenuta nell'alimento rimane sotto forma liquida e le temperature usate non sono sufficienti ad arrestare in modo completo o quasi i processi biochimici e vitali, e congelamento (o surgelazione), in cui l'acqua è quasi completamente sotto forma di ghiaccio e le temperature raggiunte sono così basse da inibire l'azione di tutti gli enzimi.

a) Refrigerazione. Trova oggi vasta applicazione nella conservazione degli ortofrutticoli. Di recente si è proposta come efficace alternativa alla tradizionale lotta antiparassitaria per la conservazione dei cereali, legumi secchi e altri granulati.

Nel caso della frutta il periodo di conservazione va da un minimo di 7÷15 giorni delle albicocche e delle susine a un massimo di 1÷7 mesi della mela. Le temperature utilizzate oscillano da un minimo di −1÷0 °C della prugna, fico e mirtillo a un massimo 10÷12 °C del pompelmo mentre l'umidità relativa varia, secondo la specie frutticola, da 85÷90% a 95÷98%. La conservazione avviene generalmente in celle di grandi dimensioni dove il prodotto è sistemato seguendo particolari accorgimenti e dopo essere stato sottoposto ad alcune operazioni preliminari quali la selezione, la calibratura, il lavaggio, la disinfezione, ecc. Le celle di conservazione sono opportunamente isolate, dotate di circuiti frigoriferi, cioè di attrezzature capaci di sottrarre calore (evaporatori), di mantenere in movimento l'aria (ventilatori), di umidificare l'ambiente (vaporizzatori). A questi si accompagnano strumenti di controllo (termostati, umidostati).

Per quanto riguarda i cereali e altri granulati, la tecnica di refrigerazione si sviluppa a partire dagli anni Sessanta, in seguito a studi condotti in Germania. Attualmente migliaia di unità refrigeranti sono in funzione in oltre 50 paesi, con una capacità complessiva di raffreddamento valutata in 80 milioni di quintali/mese. Lo scopo della refrigerazione, in questo caso, è quello di evitare l'infestazione da parte degli insetti nel prodotto immagazzinato o bloccarne gli effetti qualora essa abbia avuto origine direttamente sul campo. La temperatura viene normalmente portata tra gli 8 °C e i 12 °C, che risulta del tutto inadatta alla vita e al regolare sviluppo degli insetti infestanti.

L'abbassamento della temperatura avviene mediante un'unità refrigerante e un sistema di distribuzione dell'aria posto alla base dei silos, i quali sono completamente automatizzati e autoregolati. L'aria esterna viene aspirata, raffreddata e deumidificata a valori prefissati, indipendentemente dal variare della sua temperatura e umidità. L'aria fredda viene immessa in pressione fra i chicchi di cereali che, presentando una grande superficie, scambiano calore rapidamente e senza dispersioni.

Ritornando ai prodotti ortofrutticoli, va rilevato che purtroppo la refrigerazione non è in grado da sola di contenere gli attacchi parassitari e le fisiopatie, per cui si sono sviluppate tecnologie per realizzare il più completo controllo e riduzione dell'attività metabolica tramite modificazioni della composizione gassosa dell'aria negli ambienti di conservazione. Tale è la refrigerazione in atmosfera controllata (A.C.) che richiede celle a perfetta tenuta ai gas, nonché apposite apparecchiature capaci di mantenere i livelli gassosi ai valori prescelti. L'inibizione dell'attività metabolica cellulare è in generale ottenuta abbinando la presenza di anidride carbonica (CO2) e la carenza di ossigeno (O2) secondo la classica formula base 3% CO2, 3% O2, 3 °C di temperatura. Naturalmente questi parametri variano a seconda della specie ortofruttico la. Così mentre la regimazione consigliata per la conservazione in A.C. del l'aglio è quella classica del triplo 3, per i pomodori rossi è 2% CO2, 3÷5% O2, 0÷5 °C. Uno dei sistemi per l'abbassamento dell'ossigeno consiste nel bruciarlo con propano in bruciatore catalitico che aspira l'aria della cella e ve la riimmette povera di O2.

b) Congelamento. Può avvenire per congelamento (o surgelazione) lento o rapido. È accertato che il mantenimento delle naturali caratteristiche biochimiche e organolettiche (colore, sapore, ecc.) degli alimenti conservati con il freddo dipende principalmente dalla velocità con cui viene indotta la bassa temperatura nella profondità (a cuore) del prodotto. Se il freddo penetra lentamente, i liquidi si separano dalle parti solide (cosiddetta separazione di fase) cosicché durante lo scongelamento, trovandosi in posizione extracellulare, essi fuoriescono bagnando tutto il prodotto. La lentezza del congelamento dà luogo inoltre a formazione di grossi cristalli di ghiaccio all'interno delle cellule, causando la rottura delle membrane cellulari e conseguente fuoriuscita di liquidi.

Per ovviare a questi inconvenienti il moderno procedimento industriale di congelamento viene attuato in maniera rapida, immettendo i prodotti in tunnel di refrigerazione ventilato a temperature bassissime di −40 °C per tempi variabili a seconda della natura dell'alimento. Il prodotto deve essere conservato a temperature inferiori o almeno pari a −18 °C, quantunque le temperature nelle celle di conservazione a lungo termine siano tenute intorno ai −25÷-30 °C.

Più o meno tutti gli ortaggi di maggior consumo possono essere sottoposti a surgelazione. Considerato tuttavia che gli enzimi degli ortaggi possono continuare la loro attività anche a bassissime temperature con deterioramento del sapore e dell'odore, la surgelazione è preceduta dalla scottatura, meglio nota con il termine inglese blanching.

Industrialmente il blanching può essere realizzato attraverso un apposito riscaldatore rotante in cui la temperatura del prodotto è mantenuta a circa 100 °C per pochi minuti oppure in tunnel sotto getti di vapore. Il primo sistema comporta consistenti variazioni di colore e perdite di soluti e di vitamine idrosolubili. Per esempio, per la vitamina B1 sono state osservate perdite rispettivamente del 25% per i piselli e del 50% per gli spinaci. Il blanching mediante vapore presenta rispetto a quello ad acqua diversi vantaggi, il principale dei quali consiste in una minore perdita di soluti per lisciviazione. È infine da segnalare che dopo il blanching gli ortaggi debbono essere immediatamente raffreddati onde arrestare il processo di cottura. Il blanching è sconsigliato nel caso della frutta in quanto incide negativamente sul colore e sull'aroma. Attualmente la pratica della surgelazione della frutta è quasi interamente indirizzata verso quella destinata alla preparazione di dolci, gelati e simili. In ogni caso sono preferiti i frutti di piccole dimensioni e con polpa molle, come fragole, lamponi, mirtilli, ribes, ciliegie, pere, mele, ecc., purché sbucciati e affettati. Per evitare che l'aria s'interponga tra i frutti sezionati o interi, è raccomandato l'uso di sciroppi zuccherini alla concentrazione del 30÷40% che hanno anche la funzione di migliorare la consistenza e il sapore nonché di abbassare la temperatura.

Trattamenti con il calore. - Nella tecnologia moderna il trattamento degli alimenti con il calore si associa con la conservazione in contenitori ermeticamente chiusi dei prodotti trattati: il calore inattiva i microrganismi responsabili delle alterazioni mentre l'isolamento consente la preservazione dall'attacco da parte dei microrganismi presenti nell'ambiente. Le tecniche impiegate possono suddividersi in pastorizzazione, realizzata a temperature inferiori a 100 °C per cui l'azione battericida è insufficiente a devitalizzare i microrganismi termofili e ancor meno quelli sporigeni, e sterilizzazione, realizzata a temperature tali da assicurare la morte di tutti i germi patogeni presenti e anche di microviventi che, attaccando proteine e grassi, deteriorerebbero e quindi renderebbero incommestibile il prodotto.

a) Pastorizzazione. Questo processo viene preferito nei casi in cui un trattamento al calore più drastico influenzerebbe negativamente la qualità del prodotto; l'obiettivo è quello di distruggere i microrganismi patogeni presenti in forma vegetativa; i microrganismi causa delle alterazioni sono poco termoresistenti; è desiderabile ridurre la carica microbica totale per permettere a qualche speciale microrganismo di portare avanti una fermentazione utile e desiderata.

Nel settore degli alimenti di origine vegetale, la pastorizzazione rappresenta il miglior modo di conservazione per il vino, per frutta intera o dimezzata, per sciroppi e succhi di frutta. La pastorizzazione dei succhi è realizzata, in generale, sul prodotto concentrato in scambiatori di calore a tubo o a piastra a una temperatura di circa 85 °C per un tempo variabile. Il processo è completato da un rapido raffreddamento e successivo immediato confezionamento.

Nel settore degli alimenti di origine animale, molte preparazioni non possono essere sterilizzate poiché l'alta temperatura modifica le caratteristiche del sapore, della consistenza, o perché i contenitori, non metallici, non resistono alle temperature di sterilizzazione. Si ricorre così alla pastorizzazione (eseguita a 65÷75 °C, e anche a temperature maggiori senza però mai raggiungere i 100 °C). I prodotti così trattati sono detti semiconserve (mortadella, würstel, prosciutto cotto), hanno un periodo di conservazione limitato e debbono essere tenuti preferibilmente in frigorifero (4÷5 °C). Il fatto che nelle semiconserve residuano alcune forme microbiche non deve allarmare il consumatore poiché, ai fini della salvaguardia della salute, la temperatura di pastorizzazione, anche quando non uccide i germi, ne riduce notevolmente la possibilità di crescita e ne prolunga quindi la latenza; ovviamente, la conservazione in frigorifero non oltre i limiti previsti è garanzia contro la moltiplicazione microbica.

b) Sterilizzazione. Trova vasta applicazione per la conservazio ne della carne, del pesce (tonno, sardine, ecc.), di prodotti vegetali (pomodori, piselli, fagioli, fagiolini verdi, spinaci, carciofi, peperoni, ecc.).

Il trattamento tra 118÷125 °C per 30÷40 minuti (in rapporto al volume della scatola) non uccide le spore che, pur restando vitali, non sono in grado, a causa dello shock termico subito, di germinare e riprendere la forma vegetativa. Pertanto le conserve alimentari in scatola, più che sterili in senso assoluto, vengono definite ''commercialmente sterili''. I prodotti così trattati hanno teoricamente una conservazione illimitata nel tempo, sempre che non intervengano modificazioni a carico del metallo sia all'interno (difetti della banda stagnante) che all'esterno (formazione di ruggine, ammaccature, ecc.). Se però l'ambiente di conservazione è di oltre 40 °C (è il caso dei paesi africani) può avvenire che le spore di alcuni germi possano riprendere lo sviluppo. Poiché l'aumento della temperatura di sterilizzazione oltre i 130 °C apporta talune modificazioni al gusto dell'alimento, si preferisce, nelle confezioni destinate ai paesi caldi, prolungare il tempo di sterilizzazione anziché aumentare la temperatura.

Il processo è realizzato in contenitori sigillati. Poiché durante il riscaldamento in contenitore non tutte le parti dell'alimento possono ricevere la stessa quantità di calore nell'unità di tempo, vi sarà una zona critica che si riscalderà più lentamente e sarà l'ultima a raggiungere la temperatura giudicata necessaria e sufficiente per la sterilizzazione. Tale zona critica prende il nome di punto freddo.

Nella pratica corrente la sterilizzazione si può realizzare in vari modi:

− in bagno aperto per riscaldamento in vasche, secondo un vecchio metodo antieconomico, utilizzato da qualche piccolo produttore, che presenta, fra l'altro, diversi inconvenienti come il fatto che la sterilità dell'alimento non è mai uniforme;

− in autoclave, mediante vapore sotto pressione, che presenta il vantaggio di una sterilizzazione uniforme;

− in apparecchio continuo costituito da un tunnel, nel quale i recipienti sono trasportati dalla finestra d'immissione a quella di scarico tramite nastri trasportatori.

Schematicamente il trattamento termico industriale in contenitori sigillati può così riassumersi:

− arrivo della materia prima, lavaggio, cernita (ove necessario), sbucciatura, adattamento e taglio, disossamento, scottatura, pelatura, triturazione, concentrazione, ecc.;

− riempimento dei contenitori ed eliminazione dell'aria (onde evitare sia che essa eserciti una pressione dall'interno verso l'esterno determinando il rigonfiamento dei fondelli, sia che l'ossigeno apporti, nel tempo, alterazioni tali del contenuto da provocare corrosione al metallo);

− chiusura ermetica dei contenitori e trattamento termico dei contenitori così sigillati;

− raffreddamento rapido dei contenitori;

− immagazzinamento degli alimenti inscatolati.

Trattamenti di disidratazione. - Essi hanno come base il fatto che i microrganismi per vivere e crescere richiedono una certa quantità d'acqua. Pertanto, lo sviluppo batterico è condizionato dalla disponibilità d'acqua libera, rapportata al fabbisogno dei singoli microrganismi.

Il termine disidratazione è abitualmente usato per indicare il procedimento della rimozione per evaporazione di quasi tutta l'acqua presente in un alimento tramite l'applicazione controllata del calore (essiccamento) oppure per sublimazione dell'acqua congelata (liofilizzazione o crioessiccamento).

a) Essiccamento. I metodi impiegati sono molteplici, ma quello basato sull'impiego di aria calda è certamente il più usato, il più conveniente e di facile controllo. Esso equivale, come principio, all'essiccamento naturale (peraltro non del tutto scomparso per i prodotti ittici e anche per la carne), ma rispetto a quest'ultimo è più rapido, il che permette di ridurre la possibilità che durante il processo l'alimento vada soggetto a fermentazioni o che continui, in certi prodotti, l'attività respiratoria a livello cellulare.

Per la conservazione dei prodotti vegetali, l'essiccatore a tunnel è quello più utilizzato. Esso consiste in un tunnel lungo 10÷15 m e oltre, all'interno del quale scorre un nastro che trasporta gli alimenti da essiccare, posti in contenitori di tipo adeguato. L'aria calda per l'essiccamento può essere immessa o nella stessa direzione di marcia del nastro oppure in direzione opposta (controcorrente). Il tunnel a controcorrente richiede una minore quantità di calore e dà un prodotto più secco. In genere si utilizzano tunnel combinati con passaggio del prodotto prima in equicorrente con l'aria per assicurare un'alta velocità iniziale d'essiccamento, e poi in controcorrente per l'essiccazione a fondo. I prodotti vegetali essiccati, oltre ai frutti secchi, includono farine, fiocchi, puré, zuppe di ortaggi, tuberi, radici; il prodotto più noto è certamente la pasta alimentare.

La pasta fresca, ottenuta da un impasto di semola e acqua sottoposto a trafilazione sotto vuoto, contiene il 30÷32% d'acqua che, se non ridotta, provocherebbe il deperimento del prodotto entro breve tempo. Il prodotto pertanto, dopo trafilazione e taglio, viene sottoposto a disidratazione in un particolare tunnel d'essiccamento, capace di lavorare nell'arco di 24 ore fino a 1000 q di pasta secca. L'essiccamento viene eseguito in maniera da eliminare l'acqua sino a raggiungere un'umidità finale non superiore a 12,5%. Questa operazione è particolarmente delicata e dev'essere condotta in maniera strettamente controllata (soprattutto importante è il controllo del gradiente di umidità che nel corso dell'essiccamento si stabilisce tra la parte interna e quella periferica della pasta).

Per lungo tempo le paste alimentari sono state essiccate a temperature inferiori a 60 °C regolando il processo in maniera da conservare l'integrità fisica del prodotto finale, onde evitare la formazione di fessure o di microlesioni. Intorno agli anni Settanta sono stati introdotti essiccatori capaci di essiccare a temperature più elevate, comprese tra i 75÷90 °C. Il maggior vantaggio di questa nuova tecnologia è quello di consentire cicli di lavorazione notevolmente più brevi e linee più compatte per una data capacità. È stato tuttavia osservato che l'essiccamento ad altissime temperature (oltre 80 °C) induce modificazioni nei componenti della pasta, particolarmente le proteine e gli aminoacidi essenziali, con conseguente possibile diminuzione di valore nutritivo. L'attuale orientamento dei produttori è di utilizzare linee che, pur conservando i vantaggi anzidetti, influenzino il meno possibile le caratteristiche nutritive del prodotto.

b) Liofilizzazione. È una tecnologia di conservazione piuttosto recente, usata inizialmente, a partire dagli anni Quaranta, nell'industria farmaceutica. Il processo è basato essenzialmente sul congelamento dell'alimento e successiva sublimazione del ghiaccio formatosi in condizioni controllate di temperatura e pressione.

A parte alcune operazioni preliminari di preparazione del prodotto da liofilizzare (lavaggio, cernita, taglio, ecc.), le fasi del processo sono essenzialmente tre: congelamento dell'acqua presente nell'alimento; rimozione dell'acqua congelata per sublimazione del ghiaccio; evaporazione dell'acqua residua attraverso un aumento della temperatura all'interno dello stesso liofilizzatore.

Il prodotto ottenuto dopo liofilizzazione conserva la struttura originaria che può essere ripristinata per semplice aggiunta d'acqua o di altro liquido al momento dell'uso. La rimozione dell'acqua con il processo dà come risultato un prodotto più leggero, poroso, di forma e grandezza simile all'iniziale, che può essre conservato per lungo tempo (anche qualche anno) a temperatura ambiente a condizione che sia protetto dall'umidità, dalla luce e dall'ossigeno.

La liofilizzazione rappresenta il sistema più moderno, sia pur di applicazione ancora limitata, per conservare carne, pesce, latte, formaggi, ecc.; ovviamente riguarda porzioni ridotte di alimento quali fette, tocchetti o granuli che vengono reintegrati mediante immersione in acqua, in pochi minuti, al momento della loro utilizzazione.

Trattamenti per azione di gas inerti. - Essi si basano sul principio di modificare l'atmosfera degli ambienti di conservazione, tramite immissione di gas inerti, creando condizioni che non consentono la vita dei parassiti.

In aggiunta a quanto in precedenza accennato circa l'utilizzazione dell'atmosfera controllata in combinazione con il freddo per la conservazione di prodotti ortofrutticoli, questo processo ha trovato alcune recenti applicazioni nella conservazione a temperatura ambiente di cereali e altri granulati. Inizialmente come gas inerte è stato utilizzato l'azoto, poi sostituito, per ragioni di costi d'impianto e di esercizio, da altri gas. Attualmente nelle atmosfere modificate prevale l'anidride carbonica in combinazione con basse percentuali di ossigeno e di azoto (per esempio 60% CO2, 8,4% O2, 31,6% N2 oppure 85% CO2, 3% O2, 12% N2).

Trattamenti per azione delle radiazioni. - Essi si basano sulla capacità delle radiazioni ionizzanti di: inattivare o distruggere i microrganismi, patogeni o non; eliminare o inattivare i parassiti e controllare l'infestazione degli insetti in qualsiasi stadio del loro ciclo vitale; prevenire, nel caso di alimenti vegetali, il germogliamento di tuberi e radici o ritardare la maturazione di alcune specie di frutta.

Sulla possibilità di conservare gli alimenti tramite esposizione alle radiazioni ionizzanti è in corso, da circa vent'anni, un intenso lavoro di ricerca, sollecitata pure da organismi internazionali quali la FAO, l'OMS e l'UNESCO per la necessità di disporre di un mezzo che assicuri la conservazione di grandi quantitativi di alimenti, soprattutto proteici, da destinare ai paesi del Terzo Mondo che non dispongono di diffuse catene frigorifere.

L'impiego delle radiazioni nella conservazione delle carni desta talune perplessità, poiché l'azione ionizzante, anche se si svolge in modo preminente su germi e parassiti, interessa anche le molecole del prodotto alimentare con possibili modificazioni della loro struttura chimica. Difatti l'irradiazione, anche a dosi modeste, provoca pur sempre modificazioni di odore, gusto e sapore dei prodotti trattati e una più rapida perdita di vitamine e sali minerali. Il colore della carne muta dal rosso vivo al rosso scuro che poi rinviene durante la cottura. Per diminuire questi inconvenienti si praticano dosi sempre più basse, tali però da non consentire la sterilizzazione, ma una semplice pastorizzazione.

Sotto il profilo sanitario i ricercatori assicurano che il trattamento con i raggi gamma o con elettroni accelerati con energia inferiore a 10 MeV non determina tossicità alcuna negli alimenti. Anche l'OMS nel 1980 ha dichiarato innocui gli alimenti trattati con bassi dosaggi di radiazioni.

Numerosi stati hanno autorizzato l'irradiazione limitandola ad alcuni prodotti vegetali (in Italia il provvedimento riguarda patate, cipolle e agli) per prevenire la germinazione o per decontaminarli da germi o parassiti, ma per le carni il trattamento è stato consentito solamente in URSS, Olanda, Israele e Sud Africa. Negli Stati Uniti è stato recentemente consentito l'uso di radiazioni limitatamente alle carni suine per risanarle da un parassita (la trichina). Resta nell'opinione pubblica un atteggiamento di generale prevenzione, e anche se il problema è già all'attenzione della Comunità Economica Europea, non è prevedibile in tempi brevi un regime generalizzato.

Trattamenti con mezzi chimici. - L'uso di mezzi chimici, soprattutto naturali, nella conservazione degli alimenti è abbastanza frequente e risale a tempi antichissimi. Le sostanze utilizzate hanno in generale funzione antimicrobica e agiscono con meccanismi d'azione a livello della membrana cellulare o del citoplasma o del nucleo o dei mitocondri o dei vari processi enzimatici.

Il prodotto chimico più usato per la conservazione è il cosiddetto sale da cucina, cioè il cloruro di sodio; esso esercita una debole azione batteriostatica, cioè inibisce o limita lo sviluppo dei germi disidratando le cellule batteriche (attraverso il meccanismo della pressione osmotica e, soprattutto, combinandosi con le proteine) e causandone spesso la plasmolisi; favorisce la riduzione di acqua libera nei prodotti trattati e conferisce a essi gusto, sapore e colore. Il sale viene prevalentemente usato sotto forma di salamoia (concentrazione in cloruro di sodio non inferiore al 25%) per la conservazione di olive e altri prodotti, mentre per conservare carne e pesce la salagione può anche essere fatta a secco, cioè cospargendo il sale sulla superficie dei prodotti, rimuovendolo e rinnovandolo periodicamente.

Altri prodotti chimici naturali impiegati per la conservazione sono: l'aceto per vari ortaggi (sottaceti); l'olio per funghi, carciofi, olive, conserve ittiche, ecc.; l'alcool etilico per la frutta; lo zucchero, alla concentrazione del 50÷60%, per la frutta sciroppata, le marmellate e le gelatine di frutta.

Per quanto riguarda i mezzi chimici artificali si rimanda al paragrafo relativo agli additivi alimentari.

Affumicamento. - Il fumo, mediante la liberazione di aldeide formica, esercita una qualche azione antisettica sui prodotti, anche se molto debole e non certo idonea a garantire la conservazione dell'alimento. Unitamente agli altri prodotti della combustione, quali l'acido acetico, l'alcool metilico, il guaiacolo, l'acido formico (oltre a resine e cere) conferisce all'alimento sapore e aroma gradevoli. L'azione conservante è più che altro dovuta all'effetto disidratante del calore che nell'affumicamento può variare da una prolungata applicazione a 22 °C a una di poche ore a 80 °C.

Dal fumo sono state isolate sostanze ritenute sospette (benzopirene) per cui oggi si ricorre a tale trattamento per tempi brevi e solo per conferire all'alimento un gusto particolare. Un apposito decreto autorizza esclusivamente l'uso di legna allo stato naturale con esclusione di quella colorata o comunque impregnata di particolari sostanze.

Trattamento per azione combinata della temperatura, del sale e del fumo. - Nella preparazione dei prodotti cosiddetti stagionati quali prosciutti, bresaole, speck, coppe, capocolli e altri prodotti di salumeria, i processi di salagione ed essiccamento, e a volte anche di affumicamento (bacon, ecc.), vengono applicati congiuntamente. Dopo la salagione i prodotti vengono posti in locali climatizzati (naturali o artificiali) per lo svolgimento di quei fenomeni biochimici che trasformano la carne in pregevoli alimenti di particolare gusto e sapore, e anche ben digeribili per la predigestione che essi subiscono nel corso della stagionatura, a opera di enzimi.

Diversi prodotti suinicoli stagionati sono stati tipizzati da apposite disposizioni legislative che indicano la materia prima da utilizzare e i procedimenti tecnologici da adottare a garanzia della qualità; essi assumono la denominazione ufficiale di prodotti di origine controllata (DOC).

Studi recenti hanno dimostrato che la deperibilità dei prodotti carnei non è tanto dovuta alla quantità di acqua totale di costituzione, quanto invece a quella porzione non legata strutturalmente ai sistemi colloidali e che costituisce l'acqua libera del sistema. Poiché è solo in essa che i germi trovano possibilità di sviluppo, ne consegue che tutti gli interventi atti a ridurre l'acqua libera consentono una migliore conservazione dei prodotti.

Negli insaccati e nei prosciutti a lunga conservazione è importante a tal fine la disidratazione dei tessuti che avviene in locali poveri di umidità e sotto l'azione di drenaggio del sale che assorbe e allontana l'acqua libera. Prodotti invece a emulsione cotta tipo fàrcia (mortadelle e würstel), che conservano una quantità generalmente elevata di acqua libera, sono di breve conservazione.

Additivi impiegati nella preparazione e conservazione degli ali menti. - Premessa. - Lo sviluppo dell'i. a. ha comportato, unitamente alla diffusione dei metodi fisici di conservazione, un uso sempre più esteso di additivi alimentari. Con questo termine si indicano quelle sostanze prive di potere nutritivo che vengono aggiunte agli alimenti per meglio conservarne le caratteristiche organolettiche, per evitarne il precoce deterioramento e per esaltarne l'aspetto, il sapore, l'odore, ecc.

L'uso degli additivi è disciplinato in Italia dalla legge 283/1962 e dal D.M. del 31 marzo 1965 che elenca, fra l'altro, le sostanze consentite, elenco continuamente aggiornato nel tempo da altri D.M. Nella tab. 3 vengono riportati gli additivi più utilizzati in Italia, suddivisi per categorie funzionali e contraddistinti dal numero CEE.

La condizione all'impiego di un additivo è che la sostanza sia innocua per ogni categoria di consumatore nelle condizioni di uso normali e raccomandate. La innocuità di un additivo nelle dosi di impiego comune viene valutata sulla base di tutta una serie di studi (valutazione del rischio tossicologico tramite indagini metaboliche, biochi miche-enzimatiche, ecc.), che permettono di stabilire la dose giornaliera ammissibile (DGA) mediante l'opportuna adozione di fattori di sicurezza che tengano conto dell'eventuale debolezza delle difese organiche connesse a stati particolari come l'infanzia, la gravidanza, la vecchiaia, le malattie, ecc.

La presenza degli additivi negli alimenti dev'essere dichiarata in ottemperanza alla legge sull'etichettatura, emanata nel 1982 in base al recepimento delle direttive CEE che trattano questo soggetto e modificano leggermente la legge prima vigente in Italia. Essa prevede che appaiano in etichetta, con l'elenco degli ingredienti enumerati nell'ordine corrispondente al decrescere del loro peso percentuale al momento dell'utilizzo, anche gli additivi che prima venivano invece menzionati a parte. Non sono considerati nell'elenco gli additivi presenti come residuo di altri trattamenti o come coadiuvanti tecnologici.

Qui di seguito si riporta lo stato attuale delle conoscenze sulle funzioni esplicate dagli additivi nei prodotti a. trasformati.

Additivi conservanti. - A questo gruppo appartengono diversi composti chimici. Quelli di più esteso impiego vengono brevemente appresso descritti.

Acido sorbico e suoi sali: l'acido sorbico è usato largamente soprattutto come agente inibente lo sviluppo di muffe, quantunque la sua azione in condizioni d'intensa presenza di queste ultime sia limitata. Esso infatti può essere metabolizzato dai microrganismi e perdere quindi di efficacia allorché lo sviluppo di muffe è forte. Ha anche limitate proprietà antibatteriche. L'acido sorbico e i suoi sali hanno una tossicità molto bassa e perciò vengono considerati con favore dagli studiosi. Vengono usati in molte preparazioni alimentari fra le quali si ricordano i formaggi, i ravioli e altre paste ripiene, semiconserve ittiche, maionese, prodotti dolciari da forno, pane in cassetta confezionato, grassi e oli (escluso l'olio di oliva), frutta secca.

Acido benzoico e suoi derivati: impiegato largamente come conservante per semiconserve ittiche, bibite analcoliche, caviale e succedanei, maionese, ecc. Normalmente viene aggiunto sotto forma di benzoato di sodio. Agisce sui lieviti e sulle muffe, a concentrazioni dello 0,1% e anche meno. La sua azione è tanto più efficace quanto più acido è il mezzo. La sperimentazione su animali e soggetti umani ha dimostrato l'innocuità di questo additivo, la cui dose massima giornaliera accettabile per l'uomo è stata fissata in 5 mg/kg di peso corporeo. Altri derivati dell'acido benzoico di uso abbastanza comune sono il metilparaossibenzoato, l'etileparaossibenzoato e il propileparaossibenzoato.

Anidride solforosa e suoi derivati: usati sin dall'antichità per il trattamento dei mosti ove svolgono un'azione particolarmente efficace nei confronti delle muffe e dei batteri, mentre sono quasi inefficienti per i lieviti che possono così più agevolmente svolgere la fermentazione alcoolica per la trasformazione dei mosti in vino. L'anidride solforosa e i suoi derivati bloccano l'imbrunimento enzimatico in vari alimenti, hanno proprietà sbiancanti e impediscono la decolorazione delle marmellate di frutta e degli ortaggi conservati, se aggiunti in quantità fino a 2000 ppm. Oltre che per il trattamento di mosti e vino, l'anidride solforosa e i suoi derivati vengono pertanto impiegati per succhi e sciroppi di frutta, marmellate, frutta secca, filetti di baccalà, crema di gamberi, mentre come residuo di precedenti trattamenti si ritrovano in molte altre preparazioni alimentari (mostarda di frutta, birra, frutta candita, ecc.). Nonostante l'anidride solforosa sia usata da molti anni come additivo a., le implicazioni tossicologiche che la riguardano rimangono egualmente vivissime, tanto che si cerca ancora di trovare un efficace sostitutivo di questa sostanza, finora però senza risultato. Nelle attuali condizioni, infatti, l'anidride solforosa è molto difficile da sostituire, particolarmente in campo enologico.

Nitrati e nitriti: svolgono numerose funzioni, quali la stabilizzazione del colore, l'esaltazione dell'aroma, il miglioramento della conservazione, l'inibizione dello sviluppo di determinati germi e loro tossine, la selezione della flora batterica d'inquinamento (ostacolando l'attività dei germi patogeni, favorendo la presenza di quelli necessari al processo di maturazione). Da diversi anni l'attenzione dei ricercatori è rivolta verso alcune sostanze chimiche chiamate nitrosammine, probabilmente pericolose per la genesi dei tumori o comunque tossiche (ma non tutte), che si formano a partire da ammine nitrosabili, cioè dalla combinazione di prodotti derivanti dal disfacimento delle proteine con nitriti e nitrati che vengono aggiunti in taluni alimenti per i motivi di cui si è detto. Presupposto fondamentale affinché la combinazione si realizzi è l'esistenza di un processo di fermentazione o di riscaldamento ad alte temperature o di un processo di maturazione incontrollata dei prodotti alimentari. Il pericolo per la salute appare più consistente per gli animali da esperimento che per l'uomo, giacché la quantità necessaria di nitrosammine per generare processi cancerogeni, mutageni o tossici sarebbe mille volte superiore a quella che l'uomo è in grado di ingerire con gli alimenti. Il processo biochimico della formazione di nitrosammine nell'organismo è comunque tutt'altro che chiarito, tanto che non è esclusa la possibilità che in talune fasi della digestione si possano determinare condizioni fisico-chimiche che portino alla formazione spontanea di nitrosammine, come pure non si esclude la capacità della flora batterica intestinale di degradare le nitrosammine; comunque le attuali conoscenze non permettono conclusioni definitive circa l'effettivo rischio dei composti nitrosici sulla salute dell'uomo.

Acidi organici e loro sali: sono sostanze di varia natura chimica, che vengono aggiunte agli alimenti per esplicare svariati compiti. Unitamente ai nitrati sono però accomunati dall'avere un effetto conservativo secondario. Questo gruppo comprende:

acido acetico, acetato di potassio, acetato di calcio, sodio diacetato: dotati di proprietà fungistatiche, particolarmente usati negl'impasti per pane e per prodotti dolciari lievitati;

acido propionico, propionato di sodio, propionato di potassio, propionato di calcio: dotati come i precedenti di proprietà fungistatiche, hanno lo stesso impiego e trovano inoltre utilizzazione per i trattamenti della superficie della crosta dei formaggi contro l'ammuffimento; sono costituenti normali dei prodotti fermentati. Possono essere considerati sicuri dal punto di vista sanitario, non avendo dimostrato alcun effetto nocivo nelle esperienze di tossicità acuta e di tossicità a breve e lunga scadenza;

anidride carbonica: è un gas solubile in acqua, utilizzato per gassare bevande (vini, liquori, acque, bibite analcoliche); esplica un potere conservativo antisettico, ed è sprovvisto di tossicità per l'organismo, nelle condizioni in cui viene impiegato come additivo alimentare.

Additivi antiossidanti. - L'ossidazione degli alimenti porta ad alterazione dei prodotti interessati, con formazione di prodotti tossici e di sostanze di odore, sapore o colore sgradevole. Gli antiossidanti sono sostanze destinate a impedire o ritardare tali fenomeni. Di seguito vengono esaminati alcuni dei più comuni antiossidanti previsti dalla nostra legislazione.

Acido ascorbico: questo composto (vitamina C) svolge una notevole funzione, specie negl'insaccati, poiché legandosi all'ossigeno (attività riducente) impedisce all'impasto di assumere quel colore brunastro (ossimioglobina, metamioglobina, ecc.) non gradito dai consumatori. Inoltre l'acido ascorbico ha una certa azione limitante lo sviluppo microbico. Esso non solo è innocuo poiché viene metabolizzato in tempi brevi dall'organismo umano ma, agendo come vitamina nelle dosi dovute, ha una funzione positiva. A parte gli insaccati di cui già si è detto, trova impiego nelle preparazioni di carne fresca, nelle farine di grano tenero per panificazione, nei succhi di frutta, sciroppi, liquori, nel vino e vini aromatizzati, nella birra, nei prodotti dolciari e conserve vegetali. Con le stesse finalità sono usati i sali di sodio e potassio dell'acido ascorbico.

Ascorbile palmitato: rispetto all'acido ascorbico ha un impiego più ristretto; la sua maggiore utilizzazione è nelle sostanze grasse come antiossidante sinergico in associazione con i tocoferoli.

Butilidrossianisolo (BHA) e butilidrossitoluolo (BHT): entrambi sono largamente impiegati come antiossidanti per grassi e oli, escluso l'olio d'oliva, nonché per il trattamento di fiocchi e farine di patata. La loro azione viene esaltata dall'associazione con altri antiossidanti o con sinergici fenolici. Vengono eliminati alle alte temperature e pertanto perdono la loro attività negli oli fritti.

Gallati di propile, ottile, dodecile: i gallati sono stati i primi antiossidanti a essere sintetizzati (il brevetto del gallato di propile come antiossidante è del 1942). Tali antiossidanti hanno l'inconveniente di essere poco stabili in ambiente umido e di dare una colorazione violetta ai prodotti che contengono tracce di ferro, fenomeno che può essere attenuato con l'aggiunta di un agente chelatore, come l'acido citrico.

Tocoferoli: hanno spiccate proprietà antiossidanti e vengono impiegati per proteggere gli oli e i grassi commestibili; sono inattivati dalle alte temperature. L'α−tocoferolo costituisce la vitamina E. La forma naturale è la d-α mentre per sintesi si ottiene la forma dl.

Acido tartarico e tartrati: sotto forma di acido libero è un componente naturale della frutta, e costituisce il 60÷80% dell'acidità non volatile dei vini. Nell'organismo umano è metabolicamente inerte. A parte l'uso come antiossidante, trova impiego in qualità di correttore di pH.

Acido citrico e citrati: come il precedente, l'acido citrico è un componente naturale, molto diffuso, di piante e tessuti animali. Ha proprietà antiossidanti, sequestranti e acidulanti ed è soprattutto impiegato per il trattamento dei vini.

Acido fosforico e fosfati di calcio, sodio e potassio: si trovano naturalmente in molti alimenti e sono dei costituenti essenziali dell'organismo umano. Mentre piccole aggiunte di acido fosforico come additivo non comportano alcun rischio per la salute, eccessi possono avere un'azione nociva per il sistema osseo. Le funzioni in qualità d'additivo sono molteplici: antiossidante, sequestrante, acidulante e aromatizzante nelle bevande e negli alimenti a base di frutta.

Lecitina di soia: le lecitine sono componenti naturali delle uova, del latte e della soia, la quale ultima rappresenta la principale fonte industriale della produzione di lecitine. Le lecitine hanno proprietà antiossidanti ed emulsionanti, e come tali vengono impiegate nell'industria dolciaria, in quella dei formaggi e per proteggere i grassi.

Additivi gelificanti e addensanti. - In questa categoria vengono raggruppati gli additivi che agiscono sulla consistenza dell'alimento al quale sono incorporati, modificandola oppure stabilizzandola. Così, per esempio, conferiscono maggiore viscosità ai succhi di frutta permettendo la sospensione delle particelle; danno una maggiore consistenza e struttura fisica ai gelati inibendo la cristallizzazione del ghiaccio; aumentano il rigonfiamento nelle creme e nei budini conferendo loro viscosità e plasticità.

I principali addensanti e gelificanti sono:

acido alginico: una sostanza colloidale estratta da diverse specie di alghe marine; unitamente agli alginati è usato nella maionese, nei gelati, budini e in alcuni formaggi freschi non filati;

agar agar: polvere estratta da alghe impiegata nella produzione di gelati, sciroppi per mostarde di frutta, pasticceria fresca e prodotti dolciari, carne in scatola, semiconserve ittiche, budini, ecc.;

carragenati: estratti dai licheni, aggiunti alla maionese, gelati e prodotti dolciari;

gomme (carrube, guar, adragante, arabica, xantana): ricavate da diverse specie di piante, a eccezione della gomma xantana che è ottenuta per via microbiologica da Xanthomonas campestris per fermentazione di carboidrati; vengono usate nei gelati, prodotti dolciari e altri prodotti alimentari;

pectine: presenti in natura nella frutta, formano gel solidi in presenza di acqua e danno una consistenza densa a gelati, confetture, gelatine, ecc.;

cellulosa e suoi derivati: evitano la formazione dei cristalli nei gelati; in pasticceria rendono le paste più leggere e ne facilitano la conservazione; stabilizzano le salse senza grassi e la maionese;

gelatina animale: ottenuta per idrolisi parziale del collagene proveniente dalla pelle, dai tessuti connettivi e dalle ossa degli animali, viene aggiunta ai gelati, ai prodotti dolciari e alla carne cotta;

polifosfati: vengono usati specialmente negli insaccati cotti, per la proprietà di far assumere e quindi legare acqua all'impasto in modo da renderlo morbido e succulento alla masticazione; la caratteristica è che, pur incorporando una maggiore quantità di acqua, il prodotto appare perfettamente asciutto e sodo, tanto da prestarsi a un taglio normale; l'esempio classico è rappresentato dalla mortadella. I fosfati favoriscono inoltre l'emulsione dei grassi, omogeneizzando l'impasto ed esercitando anche una certa azione batteriostatica; il limite molto contenuto (0,20%÷0,40%) fissato dalla legge in Italia è dovuto non tanto a preoccupazioni di ordine tossicologico, quanto a impedire un eccesso di assorbimento di acqua da parte dei tessuti carnei.

Emulsionanti. - Questo gruppo di additivi comprende quelle sostanze che favoriscono la formazione di emulsioni stabili. Tale capacità è dovuta alla struttura chimica che conferisce loro proprietà tensioattive. Essi contribuiscono alla formazione di dispersioni di fasi solide in fasi liquide oppure di emulsioni fra due fasi liquide non miscibili.

Fra gli emulsionanti permessi si ricordano:

lecitine: già trattate fra gli additivi antiossidanti;

mono- e poli-gliceridi degli acidi grassi: preparati a partire da acidi grassi alimentari, sono esteri fra glicerina e uno o due radicali di acidi grassi; sono impiegati nel pane speciale con grassi, nei prodotti di pasticceria da forno e biscotti, nei grassi emulsionati;

sucroesteri: esteri del saccarosio con acidi grassi alimentari, consentiti nella produzione di grassi emulsionati, gelati, pasticceria da forno, biscotti, maionese e margarina.

Additivi aromatizzanti. - Gli aromatizzanti sono composti che conferiscono all'alimento proprietà olfattive e di gusto. Si valuta che il numero degli aromi utilizzati nella produzione di alimenti sia superiore a 2000. Le regolamentazioni relative a tali additivi, e in particolare la compilazione di elenchi positivi, sono ancora in corso a livello sia europeo che mondiale. La maggior parte degli aromatizzanti oggi in uso proviene da vegetali o parti di vegetali, alcuni da prodotti animali allo stato naturale o leggermente modificati. L'industria chimica ha tuttavia prodotto molti aromi artificiali che sono sia molecole chimicamente identiche a quelle che si trovano in natura sia molecole che non sono mai state identificate in natura.

La nostra legislazione attualmente ammette, entro limiti percentuali ben fissati, l'uso dei seguenti additivi aromatizzanti artificiali:

acetilato di etile, capronato di allile, dimetilresorcina, metilamilchetone, metilciclopentenolone: nella produzione di caramelle;

aldeide paratoulica: per caramelle e simili;

etilbetanaftolo, allilecicloesanpropianato, metile eptincarbonato: per caramelle e liquori;

etimetilfenilglicidato: per caramelle, liquori, biscotti e budini;

etilvanilina: per caramelle, confetti, lievito artificiale, cioccolato, marmellate, canditi, liquori, vini aromatizzati, biscotti, budini, zucchero a velo e gelati;

gammanonolattone: per caramelle, biscotti e margarina;

ossicitronellale: per caramelle, liquori e margarina;

metiliononi e undecalattone: per caramelle, liquori e biscotti;

naftilmetilchetone: per caramelle, lievito artificiale, cioccolato, marmellate, biscotti, budini, liquori e vini aromatizzati;

glutammato monosodico: per conserve ittiche e di carne.

Altri additivi. - Numerose altre sostanze, oltre a quelle elencate nelle categorie di additivi prima descritti, possono essere aggiunte agli alimenti o venire in contatto con essi. Alcune restano in parte nel prodotto finale, altre sono identificabili unicamente in tracce, altre ancora non sono più individuabili.

Una trattazione completa sarebbe oltremodo lunga; qui basterà ricordare: le sostanze per i trattamenti in superficie (paraffina solida, olio di vasellina, calce spenta, ecc.), i coloranti, i decoloranti e sbiancanti, gli acidificanti, i neutralizzanti, i chiarificanti e infine i composti per i trattamenti post-raccolta di frutta fresca (difenile, etilina, ecc.).

Bibl.: F. Patrizi, G. Ciani, Gli alimenti di origine animale, Varese 1949; V. B. Van Arsdel, M. J. Copley, Food dehydration, vol. i, ii, Vestport 1964; P. Rosati, Gli alimenti di origine animale, Napoli 1965; G. F. Stewart, M. A. Amerine, Introduction to food science and technology, New York-Londra 1973; F. Gorini, La frigoconservazione dei prodotti ortofrutticoli, Roma 1979; P. S. Elias, A. J. Cohen, Recent advances in food irradiation, Amsterdam 1983; E. S. Josephson, M. S. Peterson, Preservation of food by ionizing radiation, vol. i, Boca Raton 1983; C. R. Lerici, C. Peri, Progressi delle tecniche di disidratazione di frutta e ortaggi, Roma 1985; I. Ghinelli, Le carni conservate, Padova 1985; B. Romboli, G. Mantovani, Ispezione e controllo delle derrate di origine animale, Torino 1985; K. T. H. Farrer, A guide for food additives and contaminants, Casterton Hall (England) 1987; O. Massi, F. Faccincani, Atlante delle carni, Milano 1987; O. Massi, Le carni preparate e conservate, ivi 1988.

Sofisticazioni e contaminazioni. - Gli alimenti possono risultare alterati a opera di sofisticazioni, cioè da modificazioni o contraffazioni intenzionali e dolose delle caratteristiche chimiche o fisiche di un prodotto, o di contaminazioni, cioè da inquinamenti di varia natura, e non sempre intenzionali, del prodotto, che risulta in tal modo nocivo alla salute dell'uomo.

Sofisticazioni. - La sofisticazione degli alimenti ha, come primo movente, la frode commerciale per lucrare un illecito guadagno vendendo un prodotto adulterato, elaborato con materie prime di scarso valore in luogo di prodotti genuini: esempio classico sono le adulterazioni dei grassi (oli e burro) con oli scadenti o con margarine.

La sofisticazione, oltre a un aspetto commerciale, riveste quasi sempre anche un aspetto sanitario. La legislazione alimentare e il sistema di sorveglianza, in quasi tutti i paesi appoggiato a un sistema di controllo chimico e microbiologico rigoroso, oggi perfezionato con l'introduzione di metodi chimico-fisici e immunologici di avanguardia, è in grado di stroncare molte sofisticazioni e contraffazioni su larga scala. Più difficile è controllare talune iniziative locali come la sofisticazione degli oli con oli di semi di basso valore o dei vini artificiosamente tagliati.

È necessaria pertanto una continua sorveglianza per far fronte anche alle iniziative, che possono configurarsi come crimini, di alcune persone che uniscono l'ignoranza all'intraprendenza. Un esempio è stata la messa in commercio, nei mercati del Nord Africa, di un olio vegetale in cui erano presenti percentuali varie di oli minerali lubrificanti contenenti tricresilfosfato (disponibile per la svendita di materiale militare), pericolosissimo per l'uomo, e che ha causato decine di morti. O più recentemente, in Italia, la preparazione di vini artificiali utilizzando alcool metilico (altamente tossico per l'uomo), ottenuto a prezzo molto basso, approfittando dolosamente degli sgravi fiscali del prodotto per il suo impiego nell'industria come solvente o materia prima.

Sofisticazioni cervellotiche e dannose possono svilupparsi ovunque e in ogni momento per iniziative legate anche a situazioni locali, con conseguenze molto pericolose per la comunità. Pertanto è indispensabile assicurare e potenziare in tutto il mondo una continua e capillare sorveglianza alimentare non solo sull'i. a. già soggetta alla fonte a numerosi controlli, ma anche nei confronti delle iniziative di operatori clandestini che possono coinvolgere e danneggiare l'immagine di interi settori, anche sani, della i. alimentare.

Contaminazioni. - Poiché l'uomo sta al vertice di tutte le catene alimentari, è naturalmente soggetto ad assumere, attraverso gli alimenti, tutti i prodotti, anche contaminati, che questi hanno concentrato nei successivi passaggi. Le contaminazioni degli alimenti possono suddividersi in contaminazioni di origine biologica, chimica o radioattiva. È opportuno esaminare singolarmente queste tre forme per rendersi conto della natura dei diversi problemi.

Contaminazione biologica. - Un primo tipo di contaminazione biologica è dovuto a contaminazione batterica, cioè a batteri che possono infettare direttamente l'uomo, come nel caso delle salmonelle, oppure a prodotti tossici del metabolismo batterico (tossine), come nel caso della tossina botulinica, capaci a loro volta di provocare gravissimi disturbi all'organismo e talvolta la morte.

La contaminazione batterica è conseguenza, in molti casi, della produzione di carni bovine od ovine da allevamenti non controllati, che si trovano spesso in regioni tropicali. Nel caso di prodotti avicoli, essa è dovuta a mangimi di origine animale, che possono costituire i vettori di varie infezioni batteriche. La Salmonella si può ritrovare così anche nelle uova di gallina, oggi prodotte in allevamenti razionalizzati che impiegano mangimi della più diversa origine.

La contaminazione batterica del latte è ben nota da anni e ha portato alla raccolta centralizzata e al trattamento termico del latte per evitare infezioni da Mycobacterium tubercolosis, da Brucella abortus, o anche da altri microrganismi. I prodotti del latte, quando questo non sia stato previamente trattato, presentano gli stessi pericoli.

La contaminazione batterica può essere anche indiretta, in quanto i microrganismi presenti nelle derrate possono portare alla formazione di sostanze tossiche. È questo il caso della già citata tossina botulinica, che è estremamente pericolosa (un microgrammo è capace di uccidere un uomo) e che viene prodotta in anaereobiosi dal C. botulinicus. La tossina fortunatamente è sensibile al calore e quindi si distrugge con la bollitura, ma il pericolo permane per le carni crude e conservate (insaccati) e per le conserve di verdure.

Un altro importante tipo di contaminazione biologica è dato dalla contaminazione da miceti, dovuta alla presenza di miceti su derrate alimentari; essi si sviluppano durante la fase di conservazione degli alimenti, soprattutto nei climi umidi e caldi, e inducono delle contaminazioni specifiche dovute ai prodotti del loro metabolismo (micotossine), generalmente tossici o comunque pericolosi.

Oltre all'esempio più noto delle aflatossine, che si sviluppano sui semi di arachide durante la conservazione e che possono inquinare i prodotti che si ricavano da tali semi (in particolare l'olio e il panello), vi sono numerosi altri esempi di sostanze prodotte da altri miceti, per es. da Aspergillus (A. flavus, A. parasiticus) su cereali e legumi, che causano gravi danni alla salute. Tra le micotossine si ricordano le ocratossine, la strigmatocistina, prodotte tutte da Aspergillus sp., e anche altre tossine come la patulina (prodotta da Penicillium), le tricotecine da Fusarium, ecc.

Per evitare gli effetti di queste sostanze sull'uomo e sugli animali è necessaria una sorveglianza accurata dei depositi e l'ispezione del materiale; soprattutto si devono sottoporre preventivamente le materie prime ad alcuni trattamenti chimici prima del loro consumo. Così le aflatossine negli oli vengono distrutte nella fase di raffinazione dell'olio, che viene dibattuto con una soluzione alcalina, mentre il botulino degli insaccati viene bloccato dall'aggiunta di nitrati.

Una importante garanzia contro le contaminazioni è soprattutto quella di assicurarsi una fornitura di materie prime esenti da contaminazioni all'origine e che siano state conservate e immagazzinate in modo da non venire infestate da microrganismi, insetti, topi, ecc. La più comune e banale intossicazione alimentare è per esempio quella prodotta dalla tossina di Staphylococcus aureus, molto diffuso nell'ambiente. Alcune varietà di questo microrganismo sono capaci di produrre delle enterotossine, denominate A, B, C, D, che sono costituite da proteine a basso peso molecolare. Le enterotossine si sviluppano facilmente contaminando alimenti particolarmente adatti, se favoriti da una temperatura conveniente (25÷30 °C), come terreni di coltura: creme pasticcere, patate, maionese, brodi, ecc. Di qui il maggior pericolo di intossicazioni alimentari nell'estate e nei paesi tropicali.

Tra le forme di intossicazione biologica si devono ricordare quelle da alimenti marini (pesci o anche frutti di mare) dovute in parte a sostanze tossiche presenti nei tessuti dei pesci o alla concentrazione di tossine o batteri da parte di molluschi (mitili, ostriche, ecc.). Così pure la presenza nei molluschi di alcuni dinoflagellati (Gonyalux), concentrati nel mare delle coste atlantiche degli Stati Uniti, è causa di numerose intossicazioni.

Nell'ambito della contaminazione biologica può essere ricondotta anche la contaminazione naturale da sostanze estranee, dovuta alla presenza in alcuni alimenti naturali, sempre o in alcuni periodi dell'anno, di sostanze che, interferendo sui meccanismi biologici della nutrizione, possono essere pericolose per l'uomo.

Così per esempio molti legumi, o anche cereali, possono contenere degli enzimi a basso peso molecolare, inibitori delle proteasi, che danneggiano l'assimilazione delle proteine. Saponine con proprietà emolitiche sono presenti in molti alimenti, come per es. la soia e la quinoa degli altipiani andini; quest'ultima viene resa commestibile dilavandone la farina con acqua. Emoagglutinine, che agiscono sull'assimilazione delle proteine, sono presenti invece in molte varietà di fagioli e di legumi. Ben noti sono inoltre i disturbi causati da un glucoside presente nella fava, che provoca un'anemia emolitica acuta, detta favismo, diffusa in alcune zone della Sardegna. Vanno ricordate altresì alcune sostanze che si trovano in altri legumi usati nell'alimentazione, specie nei tropici, come il Cicer aretinum, che causano il cosiddetto latirismo, responsabile di degenerazioni neurologiche e deformità dello scheletro, per la presenza di amminonitrili nel seme. Molti semi di legumi contengono inoltre glucosidi cianogenetici, tossici in quanto liberano acido cianidrico per idrolisi. Questi sono presenti anche in tuberi molto usati per l'alimentazione, come la manioca in Sud America e in Africa. Per questo è necessario che il loro consumo sia preceduto da un'idrolisi che allontani il componente tossico.

È noto anche come alcune sostanze contenenti derivati solforati, cioè dei tioglucosidi, presenti nei cavoli e in molte crocifere, possano causare disturbi alla tiroide per la loro azione goitrogena.

Va ricordato infine che le stesse patate, Solanum tuberosum, se conservate alla luce, producono un glucoalcaloide, la solanina, molto pericoloso per l'uomo.

Contaminazione chimica. - Una forma di contaminazione indiretta degli alimenti è quella dovuta al trattamento con sostanze chimiche di prodotti agricoli o bestiame destinati al consumo alimentare.

a) Contaminazione dei prodotti agricoli. La moderna agricoltura, com'è noto, ha raggiunto livelli di produttività notevoli grazie al sempre maggiore impiego di prodotti chimici, quali fertilizzanti, pesticidi ed erbicidi.

Pesticidi ed erbicidi consentono di proteggere gran parte dei raccolti (soprattutto quelli basati sulla monocoltura) sia dagli insetti e dai funghi, sia dalle erbe infestanti. Questo è tipico per i cereali, in particolare il riso, trattandosi di coltura che richiede molta acqua, ma anche per altri prodotti (barbabietola, patata, vite, piante da frutto, olivo e ortaggi).

La quantità di pesticidi impiegata nel mondo aumenta ogni anno per far fronte ai nuovi problemi posti dagl'insetti, spesso divenuti resistenti.

Largamente impiegati negli anni Quaranta e Cinquanta furono i composti clorurati come il DDT e i clorodienici, successivamente banditi in quasi tutti i paesi per la loro caratteristica persistenza nel suolo (dovuta a un'elevata resistenza a qualsiasi trasformazione biologica o chimica), che provoca la contaminazione non solo dei prodotti agricoli, ma di tutta la catena alimentare naturale. Per tale ragione, negli ultimi anni si è passati all'uso di composti organofosforici, mentre nel campo dei fungicidi i sali di rame sono stati generalmente sostituiti dai composti organici.

Naturalmente i pesticidi penetrano nella catena alimentare e si ritrovano, sia pure in tracce, in tutti i cibi di origine non solo vegetale ma anche animale, in quanto il bestiame viene alimentato a base di prodotti dell'agricoltura. La contaminazione da pesticidi riguarda infatti non solo il prodotto agricolo destinato al consumo umano, ma anche quello consumato dagli animali destinati poi, direttamente o indirettamente, all'alimentazione umana; i mangimi per gli allevamenti dei bovini, dei suini, dei polli danno origine così a carni contenenti residui di pesticidi e, nel caso dei polli, anche a uova contaminate. Il meccanismo del commercio mondiale che caratterizza le derrate destinate agli allevamenti fa sì che talvolta, in paesi dove taluni pesticidi sono legalmente proibiti, si allevino animali con mangimi contaminati da pesticidi provenienti da paesi dove tale proibizione non esiste.

Un quadro e un'indicazione abbastanza efficace dei pesticidi che contaminano gli alimenti è contenuto, a livello internazionale, nelle raccomandazioni della FAO-OMS, e, a livello europeo, dalle direttive della CEE, norme che vengono recepite dai vari stati per la tutela della salute pubblica.

In Italia la prima regolamentazione che fissa le quantità massime di pesticidi consentite negli alimenti trae la sua prima norma dalla direttiva comunitaria del 1979. Attualmente essa recepisce la direttiva della Comunità Europea del 19 luglio 1982 con l'Ordinanza ministeriale del 6 giugno 1985, che disciplina dettagliatamente tutta la materia. La disciplina si estende non solo ai residui di sostanze attive ma anche alle relative impurità contenute nei pesticidi presenti negli alimenti destinati all'alimentazione sia umana che animale.

Alimenti sono definiti nell'Ordinanza "i prodotti agricoli vegetali e animali destinati ad essere usati come alimenti, le derrate alimentari immagazzinate, nonché i prodotti alimentari derivati dalla trasformazione degli uni e delle altre". In questa Ordinanza il tabacco viene assimilato agli alimenti, in quanto prodotto vegetale destinato al consumo dell'uomo.

Le tabelle riportate nell'Ordinanza indicano le quantità massime di pesticidi tollerate nelle singole derrate ed espresse generalmente in mg/kg cioè in ppm, come pure i giorni che devono intercorrere tra l'ultimo trattamento della pianta e il suo consumo. Si tratta di un elenco di circa 150 sostanze per quanto riguarda i limiti dei residui e di circa 350 per quanto riguarda gl'intervalli da rispettare prima del consumo.

Le derrate alimentari prese in considerazione vanno dagli ortaggi e dalla frutta ai cereali, alle barbabietole da zucchero, alle piante medicinali e aromatiche (compresi il tabacco e i fiori), alle olive, ai foraggi e ai semi oleosi, coprendo praticamente tutte le sostanze destinate all'alimentazione umana e animale.

I prodotti chimici indicati rientrano nelle classi dei fungicidi, degli insetticidi, dei diserbanti e anche dei fumiganti. Essi appartengono a strutture chimiche diverse.

Vanno infine menzionati anche gli acaricidi, impiegati negli allevamenti per difendere gli animali da carne dalle zecche, e che si possono ritrovare come residui non solo nelle carni ma anche in talune piante.

Tutti questi prodotti vengono autorizzati all'impiego, dopo essere stati sottoposti a un complesso esame della loro tossicità per l'uomo e per l'ambiente; in Italia vengono generalmente registrati e regolati dall'autorità sanitaria, come 'presidi sanitari'.

b) Contaminazione delle carni da allevamento. Tenuto conto che l'80% della produzione mondiale di cereali e legumi è destinato all'alimentazione degli animali si comprende come molti residui di pesticidi usati in agricoltura si possano ritrovare nella carne di bovini, ovini, caprini, suini e anche di pesci destinati all'alimentazione, come pure nei prodotti derivati come uova, latte e prodotti lattiero-caseari.

Questo è anche il risultato di un effetto indiretto della contaminazione dovuta a pesticidi e ad altre sostanze tossiche riversate nell'ambiente, dove sono ormai ubiquitarie e dove possono anche manifestarsi fenomeni di concentrazione attraverso la catena alimentare, legati soprattutto a sostanze non biodegradabili come pesticidi clorurati, polibifenili clorurati (PBC), già usati in molte tecnologie, o anche ioni metallici, come lo ione mercurio.

A queste cause vanno aggiunti i trattamenti per disinfestare gli animali da insetti e parassiti, specie i bovini e gli ovini, effettuati con sostanze chimiche che poi passano facilmente nell'ambiente.

A queste sostanze legate alla catena alimentare e all'alimentazione stessa degli animali, bisogna aggiungere i trattamenti per realizzare un aumento di peso degli animali negli allevamenti, che vengono effettuati con antibiotici (generalmente tetracicline), con anabolizzanti e recentemente anche con altri prodotti chimici.

Qualora non vi sia un adeguato intervallo tra la somministrazione di queste sostanze agli animali e la loro macellazione, nella carne si possono trovare residui che potrebbero essere pericolosi per la salute dei consumatori.

Non tutte le legislazioni sanitarie dei vari paesi sono d'accordo su questo punto. Così in Europa le disposizioni comunitarie vietano l'uso di estrogeni, mentre sono ammessi dalla normativa degli Stati Uniti.

c) Contaminazioni indirette da imballaggi. I contenitori degli alimenti possono inoltre essere sorgenti involontarie della contaminazione dei cibi.

Per i recipienti di metallo vanno tenute presenti le cessioni di ferro, ma soprattutto di metalli pesanti quali stagno, piombo e cadmio provenienti dalle saldature; per carte o cartoni, dei coloranti; per i vari contenitori di plastica, dei plastificanti, ecc. Per questo motivo le autorità sanitarie nei vari paesi hanno imposto dei severi limiti al contenuto dei contaminanti provenienti dalle cessioni dei contenitori.

Contaminazione radioattiva. - Negli anni Cinquanta e Sessanta, in seguito alle frequenti esplosioni nell'atmosfera di ordigni nucleari a scopo di saggiarne gli effetti e la potenza, fu notato un arricchimento nella stratosfera di isotopi radioattivi, che con il tempo ricadevano sulla terra, soprattutto attraverso le piogge.

Gli isotopi più pericolosi per l'uomo, sia per la loro vita media che per la loro capacità di entrare nei processi metabolici degli organismi animali, sono lo stronzio−90 () e il cesio−137 ().

Questi isotopi ricadendo sul suolo possono determinare una contaminazione radioattiva della vegetazione che, consumata dagli animali (soprattutto dai bovini), viene trasferita nel latte o nelle carni.

In quegli anni in molti paesi dell'emisfero settentrionale furono organizzati sistemi di rilevamento e di misura della radioattività ambientale, della vegetazione e degli alimenti. Un controllo analogo veniva fatto, in vista della capacità di concentrazione di isotopi radioattivi da parte di organismi marini, sui prodotti del mare soggetti al consumo alimentare, a causa della possibile contaminazione dei mari in seguito a scarichi radioattivi.

Gli accordi tra le grandi potenze per la sospensione delle esplosioni nucleari nell'atmosfera hanno diminuito negli ultimi anni il pericolo di contaminazione da fall-out radioattivo. In alcuni casi errori di gestione d'impianti nucleari per la produzione di energia hanno dato origine a immissioni di iodio−131 () radioattivo (a Windscale nel 1951), seguite in Gran Bretagna da drastiche misure per la distruzione dei prodotti contaminati. Comunque nel caso dello il suo tempo di semitrasformazione di circa 7 giorni facilita notevolmente le misure da prendere per la tutela degli alimenti.

L'incidente nella centrale nucleare di Černobyl (Ucraina, URSS) nel 1986 ha causato una notevole immissione di radioisotopi nell'atmosfera. Questi, trasportati dai venti sulla Scandinavia e poi sull'Europa centrale e anche sull'Italia, hanno riproposto drammaticamente il problema della contaminazione radioattiva degli alimenti e soprattutto dei vegetali.

Il sistema di sorveglianza e monitoraggio radioattivo, che si trova in moltissimi paesi dell'emisfero settentrionale, facilita di molto la localizzazione delle aree contaminate e i laboratori preposti a questi servizi sono stati in grado di fornire tempestivamente i livelli di radioattività delle derrate. Questo ha portato a misure amministrative per il divieto d'importazione e di vendita, per alcune settimane, di talune derrate alimentari, anche se tali misure sono state in alcuni paesi troppo tuzioristiche rispetto al pericolo reale.

In quella occasione un particolare fenomeno di concentrazione di radioattività si è avuto con la contaminazione dei licheni del Circolo polare artico e quindi delle carni di renna, largamente impiegate dalle popolazioni locali e anche esportate. Vedi tav. f. t.

Bibl.: O. R. Fennema, Principles of food science. Food chemistry, New York e Basilea 1976; M. A. Spadoni, C. Peri, M. I. Contino, Nuove frontiere della tecnologia alimentare "mild technologies", Roma 1987; E. Pagliarini, Conservation and processing of foods, Milano 1987; C. R. Worthing, S. B. Walker, The pesticide manual: a world compendium, Londra 1987; A. Sampaolo, R. Binetti, Valutazione dei rischi delle sostanze chimiche, Roma 1990; A. Sampaolo, A. Stacchini, I. Camoni, Conoscere i nostri alimenti, Grugliasco (TO) 1990.

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