Informatica e diritto privato

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Informatica e diritto privato

Mauro Orlandi

I progressi nelle tecniche di memorizzazione e manipolazione artificiale di dati in forma elettronica non lasciano indifferente il mondo del diritto. Secondo un criterio qualitativo di rilevanza si possono isolare due grandi spazi: lo spazio della disciplina giuridica 'estrinseca' delle tecniche informatiche, entro cui esse sono considerate come materia da regolare, mercé norme di divieto o di protezione; lo spazio della disciplina intrinseca, ove le tecniche sono assunte a modalità di compimento di atti, suscettibili di efficacia giuridica in senso proprio.

Al profilo della rilevanza estrinseca appartengono i fenomeni della protezione dei dati e dei sistemi informatici. La protezione dei dati è resa necessaria dalla capacità delle macchine elettroniche di gestire, elaborare, confrontare, comunicare un'enorme quantità di dati, e così di ricostruire con analitica precisione profili personali e individuali sulla vita privata dei cittadini. Il right to privacy, o diritto alla riservatezza della vita privata, venne formulato fin dal 1890 da L.D. Brandeis e S. Warren per difendersi dall'invadenza della cronaca sulla stampa quotidiana; esso fu considerato come un nuovo diritto di libertà personale, ed è stato quindi riferito anche ai sistemi di informazione automatizzata. Il primo riconoscimento giuridico del right to privacy in questa forma si legge nel Fair Credit Reporting Act (1970) emanato negli Stati Uniti e riguardante i rapporti fra privati; nello stesso anno fu pubblicata nel Land Hessen, della Repubblica federale tedesca, la prima legge sulla protezione dei dati del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, e venne anche istituito un apposito organo di sorveglianza. Il 28 gennaio 1981 venne siglata la Convenzione sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati a carattere personale, aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio europeo. La dottrina italiana teorizzava negli stessi anni un diritto di libertà informatica come nuovo diritto di libertà personale, che era insieme diritto all'informazione (informare ed essere informati) e diritto alla riservatezza dei dati. Sollecitata dall'emanazione di una direttiva europea (95/46/CE) del 24 ott. 1995, che sarebbe divenuta legge in vigore anche per l'Italia entro il 23 ott. 1998, il Parlamento italiano emanò la prima legge (l. 31 dic. 1996 nr. 675) sulla tutela dei dati delle persone fisiche, giuridiche e delle associazioni non riconosciute. Legge superata e assorbita dal d. legisl. 30 giugno 2003 nr. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali).La protezione dei dati e dei sistemi ha presto attinto al diritto penale. Sulla scia degli altri Paesi europei, il legislatore italiano è intervenuto con la l. 23 dic. 1993 nr. 547. Le disposizioni sulla falsità in atti (artt. 476-491 c.p.) e sulla rivelazione del contenuto di documenti segreti (art. 621) hanno definito il concetto di documento informatico: ogni supporto informatico contenente dati, informazioni o programmi. Punita la falsità in atti per i documenti informatici pubblici o privati, qualora gli stessi contengano dati oppure informazioni aventi efficacia probatoria o programmi specificamente destinati a elaborarli (art. 491bis). La violenza sulle cose, rilevante ai fini dell'ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 392), è rilevante anche quando un programma informatico venga alterato, modificato, cancellato in tutto o in parte, ovvero venga precluso o turbato il funzionamento di un sistema informatico o telematico. La violazione, sottrazione o soppressione di corrispondenza è punibile anche ove sia compiuta per via informatica o telematica, ovvero con ogni altra forma di comunicazione a distanza (art. 616, 4° co.). Il delitto di attentato a impianti di pubblica utilità sussiste anche in relazione alle condotte dirette a danneggiare o distruggere sistemi informatici o telematici di pubblica utilità, ovvero dati, informazioni o programmi in essi contenuti o a essi pertinenti (art. 420, 2° co.); la distruzione o il danneggiamento del sistema, dei dati, delle informazioni o dei programmi e l'interruzione anche parziale del sistema sono puniti con la reclusione da tre a otto anni (art. 420, 3° co.).

È stato introdotto il delitto di frode informatica: il soggetto che, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico, ovvero intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi in esso contenuti o allo stesso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire centomila a due milioni (art. 640ter). Puniti l'accesso abusivo a un sistema informatico o telematico (art. 615ter); l'intercettazione, l'impedimento o l'interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617quinquies); la falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617sexies); il danneggiamento di sistemi informatici o telematici (art. 635bis).

L'incidenza più profonda delle nuove tecnologie si registra, però, nella materia del diritto privato, e segnatamente nei fenomeni della forma e della prova (v. anche informazione, trattamento sicuro della). Diverse sono le fonti: il d.p.r. 10 nov. 1997 nr. 513; il d.p.r. 28 dic. 2000 nr. 445, Testo unico delle disposizioni legislative e rego-lamentari in materia di documentazione amministrativa; il d. legisl. 23 genn. 2002 nr. 10; il Codice dell'amministrazione digitale (CAD o Codice), nella duplice forma del d. legisl. 7 marzo 2005 nr. 82, successivamente modificato dal d. legisl. 4 apr. 2006 nr. 159.

Le scritture informatiche richiedono una particolare disciplina dell'imputazione, che ne renda legalmente certo l'autore. Sono state in questo modo regolate la firma elettronica e quella digitale. Per inveterata consuetudine la firma evoca l'assunzione di paternità di una scrittura, il fare proprio un determinato testo. Suscettibile di firma - ossia di un modo attributivo della paternità - è ormai un documento non soltanto cartaceo, ma anche informatico. Le varie modalità di firma del documento informatico si raccolgono intorno al genus della cosiddetta firma elettronica, definita nell'art. 1, lett. q del Codice: "l'insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica".

Giova riflettere sul fatto che la metafora dell'apposizione mal si presti a descrivere l'assunzione della paternità di una scrittura nel mondo virtuale. Firma elettronica designa piuttosto un generico ed eterogeneo insieme di tecniche selettive, volte a restringere l'uso di congegni informatici a soggetti determinati. Il documento non attende di essere segnato al pari di un foglio di carta: esso è raggiunto ab externo, attraverso istruzioni logiche immesse nella memoria del computer. È la modalità di accesso al file che si vale di tecniche selettive, al fine di restringere l'accesso a determinati soggetti. Più che una definizione, sembra di imbattersi in una formula aperta, tale da comprendere qualsiasi dispositivo idoneo a identificare l'autore dell'accesso al file: si pensi a un codice segreto o a una password. Qui il legislatore sembra postulare diverse modalità tecniche, le quali implicano una diversa sicurezza della firma.

Si offre così la seguente definizione di firma elettronica qualificata del Codice (art. 1, lett. r): "la firma elettronica ottenuta attraverso una procedura informatica che garantisce la connessione univoca al firmatario, creata con mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo e collegata ai dati ai quali si riferisce in modo tale da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati, che sia basata su un certificato qualificato e realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma".

La più 'qualificata' tra le firme elettroniche è appunto la firma digitale, dotata dei dispositivi informatici più sofisticati e sicuri. Essa si avvale di un codice informatico identificativo, che viene associato in linea esclusiva a un determinato soggetto. Il codice è disgiunto in due parti: una chiave pubblica, resa conoscibile attraverso appositi registri consultabili per via telematica: una chiave privata, nota soltanto al titolare. Le due chiavi si corrispondono informaticamente, in modo che, attraverso specifici programmi, è possibile verificare con certezza se le chiavi siano complementari (ossia parti dell'unico codice originario) oppure estranee. Titolare della chiave è il soggetto al quale la chiave pubblica è stipulativamente 'attribuita'; 'intitolazione' è l'atto attributivo di codesta titolarità. Gli artt. 26 e seguenti del Testo unico istituiscono i cosiddetti certificatori; soggetti terzi, cui è affidato il compito di intitolare la chiave, identificando la persona del richiedente. La disciplina delle firme elettroniche rende opportuno distinguere tre categorie di documenti: documento informatico, ossia il documento privo di firma; scrittura elettronica, ossia il documento dotato di firma elettronica; scrittura digitale, ossia il documento dotato di firma elettronica qualificata o di firma digitale. Si analizzano i due principali problemi: il valore giuridico del documento informatico; il valore della scrittura digitale.

"Rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti" è la definizione di documento informatico recata dall'art. 1, lett. p del Codice, passata indenne attraverso le varie riforme. La capacità rappresentativa del documento, e segnatamente dei documenti scritti, è revocata in dubbio con riguardo alla materia informatica. La letteratura sul documento informatico appare oscillare tra due estremi: da un lato, l'indifferenza normativa verso la materia, su cui tracciare il segno; dall'altro, l'intrinseca debolezza della res informatica, di per sé incapace, in difetto di ulteriori e appositi accorgimenti, di lasciare una traccia delle eventuali successive digitazioni. Da questo angolo di osservazione, è parso opportuno dover espellere dalla categoria dei 'documenti' cose insuscettibili di costituire avanzi oppure tracce, incapaci di conservare una memoria corporale della propria genesi. Per la sua natura puramente logica, che non reca tracce del proprio passato ma soltanto informazioni magnetiche perennemente convertibili, il 'supporto' informatico non può confluire nella categoria dei documenti; mentre può recare un significato e un'idea comprensibili, esso non prova nulla della propria storia e non restituisce eventuali successive digitazioni o alterazioni del testo originario: la memoria informatica non produce avanzi del proprio passato.

L'oscillazione della dottrina si è trasmessa al legislatore. Prima della novella, l'art. 10, 1° co. del Testo unico disponeva che il "documento informatico, sottoscritto con firma digitale, […] soddisfa il requisito legale della forma scritta e ha efficacia probatoria ai sensi dell'articolo 2712 del Codice civile […]". Munito di firma digitale, il documento informatico perdeva l'originaria debolezza facendosi capace di rappresentare fatti oppure cose con efficacia di piena prova: da un lato i documenti 'forti', dotati di firma e assimilati alle riproduzioni meccaniche, ai sensi dell'art. 2712 c.c.; dall'altro i documenti 'deboli', estranei al sistema legale delle prove documentali. La capacità di rappresentare fatti o cose era così conseguita con il congegno della firma digitale. Tuttavia il legislatore del 2002 novella l'art. 10 del Testo unico ed estende l'efficacia probatoria dell'art. 2712 a qualsiasi documento informatico privo di firma, e così rifiuta o sorvola il problema della delebilità delle memorie elettroniche, riconoscendo piena prova alla rappresentazione informatica di fatti o cose. Il Codice sceglie una via più elegante, mediante la novella dell'art. 2712: "all'articolo 2712 c.c." recita il 1° co. dell'art. 23 del Codice "dopo le parole: "riproduzioni fotografiche" viene inserita la seguente: "informatiche"". Anche questa novella parrebbe postulare l'efficacia del documento informatico privo di firma. Dunque si può riprodurre non solamente con la fotografia, o con ogni altro mezzo meccanico ma anche informaticamente: e la riproduzione informatica forma, ai sensi dell'art. 2712 c.c., "piena prova dei fatti e delle cose rappresentati, se colui contro il quale" è prodotta "non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime". Al pari di ogni dotazione informatica le immagini si fanno presenti solo attraverso lo schermo, frapposto tra i nostri sensi e la remota e inaccessibile 'memoria' della macchina; esse rappresentano ogni fatto atto o dato, e così anche quegli atti o dati che chiamiamo parole.

Come la fotografia di un foglio scritto (si pensi ai microfilm delle emeroteche) rappresenta l'esistenza e il contenuto del foglio, allo stesso modo l'immagine digitale delle parole rappresenta il testo informatico della scrittura. La rappresentazione meccanica e la rappresentazione informatica vengono eguagliate nella medesima efficacia probatoria: esse formano piena prova dei fatti o delle cose rappresentati. Tuttavia questa interpretazione parrebbe urtare contro l'art. 21, 1° co. del Codice, il quale prevede che "il documento informatico, cui è apposta una firma elettronica, sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità". Se dunque il documento informatico (privo di firma) implicasse una piena prova del testo scritto, si avrebbe questa singolare disciplina: da un lato, l'efficacia di piena prova del documento privo di firma; dall'altro, la libera valutabilità di un documento con firma elettronica. Appare utile distinguere gli oggetti della rappresentazione documentale e separare documenti scritti e documenti non scritti: i primi restituiscono al presente l'originaria azione dello scrivere, cioè del tracciare i simboli sulla carta o su altra materia; i secondi rappresentano fatti o cose diversi dalla scrittura. L'estensione dell'efficacia probatoria dell'art. 2712 c.c. parrebbe metter capo al contenuto del documento. Ove esso rappresenti uno scritto e il video restituisca le lettere componenti un testo, allora emergerà il problema dell'imputazione a un autore; se il documento rappresenta fatti o cose, e non immagini di parole, allora la firma risulterà inutile, giacché essa non potrebbe servire quale mezzo d'imputazione di uno scritto che non c'è. In altre parole, altro è firmare una scrittura; altro firmare una fotografia: nel primo caso la firma serve all'imputazione dello scritto a un autore; nel secondo essa è vana, perché la fotografia non ha contenuto dichiarativo e non chiede di essere imputata a questo o a quel soggetto. Mediante le tecniche di documentazione informatica, la dicotomia scritto/non scritto sembra spiegarsi e risolversi nell'altra: dichiarativo/non dichiarativo. Ove, attraverso l'immagine informatica di parole, il documento rappresenti un atto dichiarativo, ossia un atto capace di esprimere idee mediante l'uso della lingua, allora emergerà una duplice esigenza: stabilire la conformità della rappresentazione all'atto rappresentato, in modo da accertare l'autenticità del testo (se i simboli rappresentati corrispondano a quelli originariamente manifestati); stabilire l'imputazione della dichiarazione all'autore. I documenti dichiarativi, ossia quei documenti che rappresentano atti da imputare e non genericamente fatti, vengono sottratti alla efficacia probatoria dell'art. 2712 e rifluiscono nella efficacia probatoria delle scritture (elettroniche o digitali).

Divisa è la dottrina sulla efficacia probatoria della scrittura digitale. Secondo alcuni essa farebbe piena prova della provenienza della dichiarazione dal titolare della chiave pubblica che risulta apposta (cosiddetta teoria della titolarità). Rispetto al documento materiale, nella scrittura digitale sarebbe infatti diverso il fatto rappresentato: non già l'autografia, ossia la personale redazione del segno, bensì la digitazione di una chiave, compatibile con quella pubblica; diverso il mezzo della rappresentazione, cioè non un segno chirografo, ma una dotazione informatica, quale 'coppia di chiavi asimmetriche'; diverso il canone di valutazione, che sta nell'esclusività del nesso tra chiave privata e chiave pubblica. L'imputabilità del testo dipende non più da un singolo gesto grafico, ma dall'originaria e generale scelta della titolarità. Sotto questa luce, l'imputazione della chiave parrebbe valersi di due mezzi probatori: la coppia di chiavi asimmetriche, mediante cui ottenere la prova dell'apposizione della firma; il certificato, attraverso cui si prova l'intitolazione. Sotto questa luce, il documento informatico parrebbe rifiutare il criterio dell'autografia, poiché esso è per definizione incapace di fornire prova della paternità materiale. Linformatica - ossia l'applicazione al documento della chiave pubblica - saprà rivelare se al documento risulti apposta la chiave privata di una persona fisica, ma nulla dirà intorno alla sua condotta, se abbia o non abbia egli personalmente digitato il segno di firma. Incapace di renderne la prova, il documento informatico implicherebbe l'irrilevanza dell'autografia quale criterio d'imputazione.Secondo altri si tratterebbe di una equipollente della scrittura privata cartacea, regolata dall'art. 2702 c.c. (cosiddetta teoria della presunzione di autografia). Il giudizio probatorio intorno al documento informatico è fondato sull'attendibilità del certificato e sulla legge di corrispondenza tra le chiavi. Si tratta della seguente illazione: il documento si presume provenire dal titolare della chiave. Tra l'identificazione del titolare e la presunzione di paternità sembrano collocarsi l'onere di custodia e l'onere di personalità: il legislatore prevede che il titolare custodisca diligentemente la chiave, in modo da evitare che altri possa servirsene e che egli utilizzi per-sonalmente il dispositivo.

Qualora l'autografia fosse irrilevante questa disciplina risulterebbe inutile e pure oziosa; invano il titolare invocherebbe la propria diligente conservazione della chiave, poiché in ogni caso il documento gli verrebbe imputato solo in ragione della titolarità. Delle due l'una: o l'imputazione prescinde dall'autografia, vale a dire dalla materiale apposizione, e allora l'onere di custodia non ha senso; oppure l'imputazione dipende dall'autografia, e allora torna rilevante la prova della diligenza del titolare. Secondo questa logica, anche l'imputazione del documento informatico riposerebbe sul criterio dell'autografia. L'intitolazione della chiave si ridurrebbe così a coelemento di una fattispecie complessa, schematizzabile nel modo seguente: corrispondenza esclusiva della coppia di chiavi; certificato di titolarità; onere di custodia. Il documento si presume firmato personalmente dal titolare in quanto le chiavi si corrispondono e perché soltanto il titolare può accedere al dispositivo di firma, e apporre sul documento la chiave privata. Secondo questa corrente di pensiero la scrittura digitale sarebbe disconoscibile, ai sensi degli artt. 214 e segg. c.p.c., al pari di quella cartacea.

Le nuove tecniche di firma implicano un nuovo concetto di scrittura. Secondo antica tradizione, il documento scritto si forma scrivendo, cioè tracciando segni sulla materia; ampia risulta la distanza tra documento scritto, risultato di uno scrivere, e documento non scritto, quale rappresentazione per immagini, suoni, mutamenti del reale diversi dal segno alfabetico. La tecnica informatica eguaglia le modalità di documentazione e consente al contempo di convertire nel medesimo circuito binario (linguaggio macchina 'acceso/spento') ogni alterazione percepibile della realtà. Risolvendosi in una dotazione di bit, il documento informatico si fa suscettibile di sottoscrizione a prescindere dalla modalità della sua formazione; e la firma digitale può essere apposta tanto su un file di testo, quanto su un file video o audiovideo. La stessa tecnica di redazione digitale di un testo lascia intendere questa nuova prospettiva. Il video restituisce non già il segno, quale risultato diretto dello scrivere, ma l'immagine delle parole, espresse nelle modalità alfabetiche della lingua prescelta; al pari di qualsiasi altra, anche l'immagine sul video di un testo scritto non è che una conversione grafica di un insieme di bit.

L'avvento delle firme elettroniche supera la necessità del tracciare segni, poiché il file firmato si fa capace di rappresentare allo stesso modo qualsiasi fatto, atto o dato. L'informatica moltiplica le modalità del documentare e dello scrivere; rendendo possibile la firma di file dal contenuto promiscuo, essa finisce per espandere le possibilità di redazione della scrittura digitale, la quale non si formerà più soltanto attraverso la redazione sulla materia di simboli grafici, ma anche attraverso la parola detta o il gesto fissati nel file: si pensi alla missiva da me sottoscritta con firma digitale, e formata attraverso la riproduzione digitale della mia dichiarazione verbale. Si coglie una dissociazione tra tecniche di scrittura e di documentazione. Il "farsi […] per scrittura privata" dell'art. 1350 c.c. non esige più, a rigore, un tracciare simboli alfabetici, giacché il file è sempre suscettibile di firma digitale - e in tal modo d'integrare la fattispecie dell'art. 2702 c.c. - anche quando rappresenti immagini e suoni di parole dette. Paradossalmente, anche il documento non scritto della tradizione (il film di un dialogo o di un monologo) è ridotto dalla macchina a mera dotazione informatica, capace d'integrare attraverso la firma digitale una scrittura privata. La scrittura digitale, descritta dall'art. 21, 2° co., del Codice, si lascia separare in due tipi: il documento scritto 'testuale' o 'letterale', costituito dalla rappresentazione informatica di un testo alfabetico; il documento scritto 'ultratestuale' o 'ultraletterale', costituito dalla rappresentazione informatica di fatti o atti diversi dal testo alfabetico. Dal lato della forma, cioè della redazione del documento (il documentare), la scrittura digitale si redige memorizzando informazioni su file di 'solo testo' oppure su file audiovideo, e apponendo o associando al file una firma. Dal lato della prova, cioè del risultato di questo fare (il documento), la scrittura implica, come ogni altro file, la rappresentazione informatica di fatti, atti o dati; la presenza di una firma comporta la possibilità di conseguire la prova della provenienza della dichiarazione, ai sensi dell'art. 2702 c.c. Segnata da un'originaria e intrinseca debolezza, la res informatica acquista attraverso il congegno della firma digitale una forza insospettabile, che non tollera di restringersi al profilo probatorio. La modalità di scrittura digitale si espande all'intero spettro delle manifestazioni umane rappresentabili su file di memoria: lo scrivere della tradizione, inteso come il tracciare segni alfabetici, sembra configurarsi soltanto come una delle possibili tecniche di redazione. Si profila il suggestivo scenario di scambi telematici privi di alfabeto, o di contratti per scrittura privata digitale attraverso immagini e suoni di parole o di gesti. Il legislatore prefigura e anticipa una sorta di polimorfismo espressivo, nuove e promiscue tecniche degli scambi senza parole.

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