INGEGNERIA MOLECOLARE

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

INGEGNERIA MOLECOLARE.

Carlo Cavallotti

– Celle fotovoltaiche attivate da pigmenti. Foglia artificiale. Ingegneria metabolica. Biologia sintetica. Bibliografia

L’i. m. si occupa della costruzione di dispositivi aventi fra i propri elementi funzionali delle molecole, ossia degli insiemi di atomi uniti fra loro da legami chimici covalenti. Questo settore scientifico e tecnologico è di natura sostanzialmente multidisciplinare, in quanto la capacità di sintetizzare le molecole funzionali aventi le proprietà desiderate e di controllare il loro inserimento nel dispositivo che si intende realizzare richiedono competenze tipiche della chimica, dell’ingegneria e di quegli ambiti in cui è pensato e da cui è utilizzato il dispositivo. Si tratta quindi della fisica per le applicazioni in campo elettronico e optoelettronico, della biologia per i sistemi cellulari e della medicina per la creazione di dispositivi il cui scopo è il controllo o il miglioramento della salute.

Lo sviluppo dell’i. m. è stato significativo in questi ultimi anni, in cui alcuni dei suoi principali prodotti sono passati dalla fase sperimentale e di ricerca a quella industriale e applicativa. Si pensi, per es., all’ingegnerizzazione dei sistemi di trasporto del farmaco, che si basano sull’idea di usare come vettori delle nanoparticelle. Lo scopo è quello di ottimizzare la resa di un particolare principio attivo consentendone il rilascio solo nella sede (per es., cellule tumorali) che ne determinerà l’impatto più benefico. Si tratta di un settore, noto sotto il nome di nanomedical drug delivery, diffusamente utilizzato dall’industria farmaceutica, che è in costante crescita ormai da più di un decennio e il cui fatturato ha raggiunto l’ordine di grandezza del miliardo di dollari. Tuttavia, il settore di sviluppo dell’i. m. che al momento merita maggiore attenzione e che sarà oggetto di questo saggio è quello relativo alla creazione di sistemi artificiali che si ispirano a dei modelli naturali replicandone la struttura, ma modificando alcune funzioni al fine di favorire un particolare processo. I principali ambiti applicativi dei sistemi molecolari così creati sono la produzione di energia, elettrica o chimica, e la sintesi di prodotti chimici aventi un particolare valore aggiunto, quali, per es., i combustibili liquidi. Gli esempi qui riportati sono quattro: gli ultimi sviluppi delle celle fotovoltaiche attivate da pigmenti, un progetto di costruzione di una foglia artificiale, gli ultimi sviluppi dell’ingegneria metabolica e il nascente settore della biologia sintetica.

figura 1

Celle fotovoltaiche attivate da pigmenti. – Un settore nel quale l’i. m. ha avuto e continua ad avere particolare successo è quello delle celle fotovoltaiche attivate mediante pigmenti DSSC (Dye Sensitized Solar Cells). Si tratta di celle fotovoltaiche il cui primo prototipo è stato creato più di vent’anni fa da Brian O’Regan e Michael Gratzel e il cui principio di funzionamento, schematizzato nella figura 1, richiama quello della fotosintesi naturale. Gli elettroni di un centro attivo, costituito da un complesso di rutenio (il pigmento) adsorbito su nanoparticelle di biossido di titanio (TiO2), sono eccitati a seguito dell’assorbimento di un fotone a un livello energetico superiore a quello di riposo. Gli elettroni eccitati sono così in grado di lasciare il centro attivo spostandosi sui nano-cristalli di TiO2. Contestualmente gli atomi di rutenio possono reagire con uno ione di iodio (I-) presente in una soluzione elettrolitica posta a contatto con il materiale attivo che cede un elettrone ossidandosi a I3- e andando così a creare una differenza di potenziale tra l’elettrodo su cui è presente lo strato di TiO2 e un controelettrodo, in genere di platino e posto nella stessa soluzione elettrolitica, su cui è attiva la reazione inversa di riduzione di I3- a I-. La differenza di potenziale fra i due elettrodi può quindi essere utilizzata chiudendo il circuito per compiere lavoro o generare una corrente elettrica. Per quanto le celle DSSC siano state scoperte da tempo, è comunque rilevante parlarne in questa sede per via dei recenti sviluppi che hanno consentito di migliorarne le prestazioni e diminuirne il costo, e quindi avvicinare ulteriormente le DSSC alla produzione industriale. Un importante passo avanti compiuto recentemente ha infatti consentito di sostituire alla coppia redox I-/ I3-, usata per il trasferimento di carica in soluzione, un composto a base di ioni cobalto, che ha un potenziale redox superiore e consente quindi di incrementare l’efficienza energetica della DSSC (Yella, Lee, Tsao et al. 2011). Tale progresso è stato possibile accoppiando al sistema di trasporto a base cobalto un nuovo pigmento, costituito da una porfirina di zinco funzionalizzata con diversi gruppi alcossidi al fine di ridurre la velocità dei processi di ricombinazione di cariche. Le porfirine sono uno degli elementi costituenti della clorofilla, che utilizza uno ione magnesio invece che zinco nel processo di assorbimento della luce. Questa modifica dei criteri costruttivi delle DSSC ha consentito di ottenere un incremento significativo dell’efficienza energetica di queste celle, portandola oltre il 12% e avvicinandola quindi a quella degli standard commerciali del silicio, ma a un costo notevolmente inferiore. È qui utile osservare come un elemento importante di questo progresso sia costituito dall’ispirazione derivata dalla natura, in questo caso la conoscenza della struttura molecolare della clorofilla, associata alla comprensione di come una modifica strutturale di questa molecola possa essere utilizzata al fine di cambiarne le proprietà (in questo caso il tempo di vita dello stato eccitato della molecola) e renderla quindi adatta all’applicazione desiderata.

fig. 2

Foglia artificiale. – L’idea di trarre ispirazione dai sistemi naturali al fine di crearne uno artificiale che ne replichi il principio di funzionamento, ma che porti alla sintesi di prodotti di maggior valore aggiunto rispetto a quelli naturali, è alla base della creazione di una cella fotovoltaica cui è stato dato il nome di foglia artificiale. Come è noto, la foglia naturale utilizza l’energia solare al fine di convertire acqua e anidride carbonica in carboidrati e ossigeno. L’inventore della foglia artificiale, Daniel Nocera, studiando in dettaglio il meccanismo mediante il quale funziona la foglia naturale, ha osservato che un passaggio intermedio di tale processo, preliminare alla sintesi dei carboidrati, è la formazione di idrogeno nella forma di idrogenione. Arrestando il processo della foglia naturale al momento della formazione dell’idrogenione e riducendo questo a idrogeno molecolare tramite un adeguato catalizzatore diventa quindi possibile scindere una molecola d’acqua nei suoi costituenti: idrogeno e ossigeno. Il dispositivo che realizza questo processo è stato chiamato foglia artificiale (Nocera 2012). La funzionalità di una foglia naturale è garantita da due complessi proteici: il fotosistema 1 (FS1) e il fotosistema 2 (FS2). Il compito del FS2 è quello di assorbire la luce, portare alcuni elettroni a uno stato eccitato e trasferirli al FS1. Contestualmente il centro di produzione dell’ossigeno del FS2 converte due molecole d’acqua a una di ossigeno e a quattro idrogenioni. Gli idrogenioni sono quindi usati dal FS1 per convertire 2 molecole di NADP+ a NADPH, di fatto immagazzinando energia chimica che sarà poi utilizzata per la sintesi di carboidrati. Nella foglia artificiale, la cui struttura è schematizzata nella fig. 2, il compito del FS2 è eseguito da un catalizzatore a base di cobalto avente una struttura molecolare simile a quella a base di manganese del centro attivo del FS2, mentre il compito del FS1 è svolto da un catalizzatore metallico costituito da Ni, Mo e Zn. L’assorbimento della luce e la generazione di elettroni eccitati avvengono tramite una cella solare di Si. Una cella costruita con queste caratteristiche e immersa in acqua è in grado di scindere l’acqua nei suoi compenti: idrogeno e ossigeno. L’idrogeno così raccolto può essere successivamente utilizzato come combustibile. Essendo l’acqua il principale prodotto della combustione dell’idrogeno, la foglia artificiale consente di produrre energia chimica ‘pulita’, in quanto il suo funzionamento non comporta la formazione di CO2, un ben noto gas serra la cui produzione è associata all’utilizzo dei combustibili fossili.

Ingegneria metabolica. – I due esempi di utilizzo dell’i. m. appena descritti si basano sull’opportunità di trarre ispirazione dai sistemi naturali al fine di creare sistemi artificiali che svolgano in modo efficace delle trasformazioni chimiche alimentate da energia solare. Tuttavia, come si è osservato per le celle DSSC, l’ottimizzazione di questi sistemi è complessa per via della difficoltà di controllare in modo efficace la trasformazione dell’energia dei fotoni in energia chimica. Ciò non è sorprendente, se si considera come la natura abbia creato i propri sistemi di gestione dell’energia nel corso di milioni di anni, tanto per quanto riguarda l’utilizzo dell’energia solare quanto per l’immagazzinamento e la gestione dell’energia chimica tramite i cicli metabolici. È proprio partendo da tale constatazione che è interessante osservare come negli ultimi anni abbia avuto notevole successo nel campo dell’i. m. un approccio alternativo in cui, invece di creare sistemi artificiali, si cerca di modificare sistemi naturali esistenti al fine di esaltarne alcune caratteristiche e sfruttarli quindi per produrre composti chimici a elevato valore aggiunto. I due campi di ricerca e applicazione tecnologica che hanno avuto maggiore successo e si sono più rapidamente sviluppa ti negli ultimi anni sono l’ingegneria metabolica e la biologia sintetica.

fig. 3

L’ingegneria metabolica si basa sul principio di modificare i flussi metabolici di popolazioni di semplici organismi naturali, in genere cellule procarioti, al fine di utilizzare l’architettura cellulare pre-esistente per creare cellule modificate che producano in abbondanza metaboliti secondari, che sono talvolta prodotti chimici la cui sintesi chimica diretta può essere estremamente complessa o eccessivamente costosa. Questo risultato può essere ottenuto mediante modificazioni genetiche del DNA delle cellule utilizzate. Tali modificazioni possono consistere nell’eliminazione di alcuni geni, fatta al fine di rallentare o bloccare alcuni cammini metabolici competitivi con quelli del prodotto desiderato, o addirittura nell’addizione di un intero cammino metabolico all’interno dell’organismo ospite. Queste modifiche, tuttavia, devono essere effettuate con cautela e i loro effetti devono essere misurati con precisione in quanto l’impatto di una modifica genetica sul funzionamento di un organismo anche relativamente semplice, come una cellula procariota, è difficilmente prevedibile a priori poiché sono possibili effetti non lineari, legati, per es., ai meccanismi di regolazione propri della cellula. Una visione complessiva degli aspetti che devono essere considerati al fine di ottimizzare il metabolismo di una cellula modificata geneticamente per favorire la produzione di un particolare metabolita sono riassunti nella fig. 3 (Yadav, De Mey, Limet al. 2012). Diversamente dalle celle DSSC e dalla foglia artificiale di Nocera, l’ingegneria metabolica è ormai da anni una realtà industriale in costante crescita. Suoi esempi di applicazione riguardano la produzione di acido ialuronico, etanolo, acido lattico e acido succinico. L’ingegneria metabolica appartiene di diritto alla famiglia dei processi dell’i. m. in quanto gli elementi chiave di ogni ciclo metabolico sono gli enzimi, ossia macromolecole appartenenti alla famiglia delle proteine in grado di catalizzare particolari reazioni chimiche. La complessità chimica di un enzima, composto in genere da alcune migliaia di atomi, è tale che è praticamente impossibile produrlo direttamente in laboratorio per via sintetica. Tale limitazione non è tuttavia presente se si utilizza la struttura biochimica di una cellula al fine di produrre gli enzimi necessari.

Biologia sintetica. – La biologia sintetica si basa sullo stesso principio dell’ingegneria metabolica, ossia sull’utilizzo del-l’architettura molecolare naturale per la produzione dei composti chimici di interesse, ma segue una via diversa, proponendosi di sintetizzare direttamente, sulla base di un disegno preliminare del sistema funzionale desiderato, alcuni degli elementi biologici fondamentali. Un successo significativo in tale settore è stato ottenuto nel 2010 con la sintesi del primo DNA artificiale, seguito dal suo inserimento all’interno di una cellula e alla conseguente attivazione biochimica (Gibson, Glass, Lartigue et al. 2010). La cellula così modificata è stata in grado di riprodursi spontaneamente. Tale successo è stato da alcuni salutato come il primo esempio di vita artificiale, in quanto uno degli elementi fondamentali della cellula, il suo DNA, è stato creato in laboratorio. Anche se ciò non è forse del tutto vero, poiché in realtà si è creato solo un elemento del sistema cellulare, è comunque indubbio che la portata di tale risultato è di grande rilevanza, in quanto prelude alla possibilità di creare sistemi cellulari disegnati a priori così da produrre in modo selettivo ed efficiente il prodotto chimico desiderato a partire dai reagenti disponibili, come delle vere e proprie micro-fabbriche chimiche. Le difficoltà e i problemi che sono stati affrontati e risolti al fine di creare il primo DNA artificiale sono notevoli e vanno dalla scoperta di un nuovo metodo di aggregazione dei nucleotidi (il DNA sintetizzato è costituito da 1,08 milioni di basi) allo sviluppo di metodi adeguati a trasferire il DNA sintetizzato fra diverse cellule evitandone la frammentazione, fino a come evitare i sistemi di restrizione della cellula ospite.

Nonostante l’importanza del traguardo raggiunto con la produzione del primo DNA sintetico funzionale, l’utilizzo industriale di questa tecnologia richiederà ancora ulteriori sviluppi. Una limitazione importante con cui si scontrano attualmente tanto la biologia sintetica quanto l’ingegneria metabolica è la mancanza di una comprensione dettagliata dei meccanismi sui quali si basa il funzionamento di una cellula. Per valutarne la complessità è sufficiente considerare che il DNA del più semplice organismo unicellulare conosciuto, il Mycoplasma genitalium, comprende 482 geni che codificano proteine, dei quali 382 sono essenziali per la vita del batterio. Al fine di poter predire a priori il comportamento di una cellula modificata è necessario comprendere la funzione svolta da ognuno di questi geni. Per colmare questo vuoto conoscitivo sono al momento in fase di sviluppo alcuni modelli matematici il cui scopo è predire in modo completo, a partire dalla conoscenza della composizione del DNA, il comportamento dell’organismo unicellulare. Il primo di tali modelli (Karr, Sanghvi, Macklin et al. 2012), notevolmente complesso, è composto da 28 sottomodelli, che hanno il compito di descrivere in modo esplicito la dinamica di interazione fra proteine, RNA, DNA e i metaboliti necessari a dare alla cellula l’energia per sopravvivere.

In conclusione, è ragionevole aspettarsi notevoli progressi nel campo dell’i. m. nei prossimi anni, tanto per quanto concerne, dal lato scientifico, l’incremento della comprensione dei meccanismi di funzionamento di sistemi complessi, quali quelli costituiti dagli aggregati molecolari funzionali, quanto per l’impatto di queste scoperte scientifiche a livello industriale e sociale. Gli elementi chiave per l’ottenimento di tali risultati saranno il lavoro congiunto di gruppi di ricerca multidisciplinari e lo sviluppo parallelo di prototipi sperimentali e modelli matematici. Da ultimo, è necessario osservare come l’utilizzo sempre più spinto di sistemi naturali modificati geneticamente debba comportare un’adeguata presa di coscienza delle implicazioni sociali e filosofiche, poiché lo sviluppo di questi studi avrà l’effetto di creare e immettere nell’ambiente dei sistemi artificiali in grado di riprodursi.

Bibliografia: D.G. Gibson, J.I. Glass, C. Lartigue et al., Creation of a bacterial cell controlled by a chemically synthesized genome, «Science», 2010, 329, pp. 52-56; A. Yella, H. Lee, H.N. Tsao et al., Porphyrin-sensitized solar cells with cobalt (II/III) – based redox electrolyte exceed 12 percent efficiency, «Science», 2011, 334, pp. 629-34; J.R. Karr, J.C. Sanghvi, D.N. Macklin et al., A whole-cell computational model predicts phenotype from genotype, «Cell», 2012, 150, pp. 389-401; D.G. Nocera, The artificial leaf, «Accounts of chemical research», 2012, 45, pp. 767-76; V.G. Yadav, M. De Mey, C.G. Lim et al., The future of metabolic engineering and synthetic biology: towards a systematic practice, «Metabolic engineering», 2012, 14, pp. 233-41.

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