inno Componimento poetico-musicale, cantato da coro e spesso accompagnato da strumenti. Caratterizzato da una struttura strofica, l’i., già nella musica greca e poi nel canto liturgico cristiano, era destinato alle celebrazioni religiose.
Si chiamò i. (dal lat. hymnus, gr. ὕμνος), originariamente, una forma poetica della melica greca che, associata al canto e alla danza, invocava e pregava la divinità celebrando le virtù e le imprese degli dei; era accompagnata dalla cetra e il ritornello (efimnio) permetteva che al canto prendessero parte in coro anche gli ascoltatori. Già in Omero (Iliade X, 284-294) fra l’invocazione e la preghiera s’inserisce una parte narrativa, che in seguito divenne la parte più significativa dell’inno. Il verso usato negli i. veri e propri fu di solito l’esametro; ma si scrissero i. anche in forme più chiaramente liriche e i. furono introdotti anche nelle tragedie. Particolare importanza ebbe l’i. nell’età alessandrina, in cui Callimaco tornò alla forma esametrica (in un i. adottò il distico elegiaco); e in esametri sono gli i. orfici (che sono d’età imperiale, forse del 2° sec.). Invece gli i. di Mesomede (2° sec. d.C.) sono in anapesti, quelli di Sinesio di Cirene (4°-5° sec. d.C.) in anapesti e giambi. Accanto all’i. con funzione rituale si sviluppa poi l’i. come semplice genere letterario, per es. in alcuni carmi di Orazio; ma i. vero e proprio è, in Orazio, il Carmen saeculare.
In ambito letterario, il termine – già usato da
La parola i. fu usata nel linguaggio dei cristiani a significare dapprima anche i salmi, i canti biblici, le dossologie ecc., ma in seguito soltanto un componimento in lode di Dio, delle Persone della Ss. Trinità, della Vergine e dei santi, costituito di strofe metriche o ritmiche. L’innografia cristiana venne poi a comprendere quei canti liturgici o extraliturgici, nei quali si esprime il sentimento, la riflessione, l’amore della Chiesa e dei fedeli rispetto ai fatti e misteri della Rivelazione; in senso ristretto, quei canti strofici contenuti nel breviario, che danno espressione lirica al significato delle varie ricorrenze.
Già il Nuovo Testamento ci offre esempi di i., nel Vangelo di Luca (Magnificat 1, 46 seg.; Benedictus 1, 68 seg.; Gloria in excelsis 2, 14; Nunc dimittis 2, 29 seg.) e altrove, come nell’Apocalisse e in alcuni tratti dell’epistolario paolino (per es., I Corinzi 13). E Plinio, scrivendo a Traiano, riferisce che i cristiani usavano carmen Christo quasi deo dicere. E infatti frammenti di i. si trovano nell’epistolario di s. Ignazio d’Antiochia, e in numerosi apocrifi. Tra questi va ricordato in particolare quello di Leucio (Carino) negli Atti di Giovanni. Gli gnostici ricorsero largamente alla poesia, e vanno almeno menzionate le
Nella letteratura greca si segnalano poi personalità come s. Gregorio di Nazianzo, Sinesio di Cirene, s. Cirillo d’Alessandria e altri, sino allo stesso imperatore Giustiniano; mentre tra i Siri emerge s. Efrem, seguito da numerosi autori, quali Balas, Severo di Antiochia ecc. Ricchissime sono l’innografia bizantina (basti pensare a s. Giovanni Damasceno), armena, copta. In Occidente si considera quale più antico autore di i. (ma è suo contemporaneo Mario Vittorino) Ilario di
Notevole importanza ebbe l’innografia nella Riforma protestante i cui capi (specialmente Lutero, ma anche Zwingli e Calvino) furono tutti autori di inni. Tale innografia, largamente coltivata in
L’innologia è il ramo delle scienze storico-filologiche ed ecclesiastiche che studia gli inni religiosi, sotto l’aspetto sia letterario, sia della liturgia e devozione privata.