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Innocenzo IV

di Simonetta Saffiotti Bernardi - Enciclopedia Dantesca (1970)
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Innocenzo IV

Simonetta Saffiotti Bernardi

. Sinibaldo Fieschi dei conti di Lavagna nacque a Genova alla fine del sec. XII. Formatosi allo studio del diritto a Bologna, ove fu anche maestro, iniziò la sua carriera alla curia romana al tempo di Onorio III come uditore, quindi fu vicecancelliere, e da Gregorio IX fu elevato al cardinalato (1227). Fu rettore della Marca di Ancona (1235-1240), quindi, dopo il brevissimo pontificato di Celestino IV e una vacanza di diciotto mesi, fu elevato al soglio pontificio (1243).

Formatosi alle idee teocratiche di Innocenzo III, delle quali dava l'interpretazione più oltranzista nel considerare la sede apostolica la massima autorità terrena da cui derivavano le altre autorità temporali, e partecipe di tutte le controversie che avevano così recisamente opposto Gregorio IX a Federico n, I. appena giunto al pontificato si adoperò per risolvere il contrasto con l'imperatore nel modo più conveniente per la Chiesa romana. Per quanto da cardinale si presume avesse fatto parte della schiera dei moderati, la sua posizione nei confronti di Federico fu informata alla più rigida intransigenza: pur dichiarandosi pronto a un incontro conciliativo con l'imperatore, fece in modo da evitare tale abboccamento, in questo assecondato anche da Federico che non mostrava alcuna premura di addivenire a un'intesa col pontefice, sempre nell'illusione di poter ristabilire la sua autorità che si andava inesorabilmente sfaldando. Inoltre, per poter svolgere la sua politica al riparo da qualsiasi ingerenza imperiale, si trasferì a Lione, nel regno di Arles, ancora nominalmente dipendente dall'Impero, ma in effetti sotto la protezione del re di Francia, e ivi convocò il concilio (1245) che era stato impossibile a Gregorio IX di tenere a Roma.

Dal concilio risultò la scomunica dell'imperatore, contro cui fu bandita una crociata, e lo scioglimento dei sudditi dal giuramento di fedeltà (17 luglio 1245). In opposizione a Federico, I. elevò alla dignità di re dei Romani Enrico Raspe langravio di Turingia (1246) e alla sua morte Guglielmo d'Olanda (1247). La lotta con Federico II, nella quale impegnò tutti i mezzi di cui poteva disporre sia come pontefice sia come membro di una delle più influenti famiglie italiane, polarizzò l'interesse di I. e gli fece porre in secondo piano altre iniziative più conformi allo spirito della Chiesa, quali la crociata di Luigi IX (1248). Dopo la morte di Federico il papa tornò in Italia e a Roma (1252), ma non pose fine alla sua politica antisveva, anzi si preoccupò immediatamente di trovare un altro principe cui investire il regno di Sicilia: a tal fine si ebbero abboccamenti con Riccardo di Cornovaglia, Carlo d'Angiò, Edmondo d'Inghilterra: trattative che comunque non approdarono ad alcun risultato per le eccessive pretese del papa. La morte di Corrado IV (1254) e l'affidamento del figlio Corradino alla tutela del papa parve risolvere la situazione: I. riconobbe la Sicilia e tutti gli altri possessi svevi al suo pupillo e si affrettò a prendere possesso del regno. La morte lo colse a Napoli il 7 dicembre 1254, giusto in tempo per non veder l'effimera riscossa sveva di Manfredi.

L'aspetto più significativo dell'opera di I. non è soltanto quello politico, in cui tuttavia impegnò la massima parte delle sue energie e della sua attività, perseguendo con tenacia e linearità d'intenti un sogno teocratico che si rivelerà superato dai tempi. Altrettanto significativo, se non di maggior contenuto, è l'apporto da lui lasciato come giurista. Formatosi allo Studio di Bologna, ove Graziano nella prima metà del secolo XII aveva dato l'avvio alla codificazione del diritto della Chiesa, lasciò una notevole traccia nel campo della legislazione ecclesiastica. Di lui è rimasto un lavoro di glosse sulle Decretali di Gregorio IX (In quinque Decretalium libro: ... commentario, pubbl. a Strasburgo nel 1478); espose in un Apologeticu de iurisdictione Imperii et auctoritate Romani Pontificis le sue teorie sulla supremazia della Chiesa, e infine compilò una serie di Decretali (Decretale Innocentii IV) commentate dai maggiori canonisti del secolo XIII. È notevole una sua teoria della persona giuridica. Nel 1244-1245 apri una scuola di diritto a Roma, e nel 1248 dichiarò Studio generale l'università di Piacenza, fondata nel secolo precedente.

Proprio l'aspetto di I. giurista è colto da Dante. Il poeta infatti non si occupa del papa avversario dell'Impero, come in, effetti non si è occupato di Gregorio VII né di Innocenzo III politico: per lui I. è soltanto il giurista le cui dottrine hanno contribuito a far deviare dal suo fine ultimo la Chiesa. Infatti nell'epistola ai cardinali italiani D. lamenta l'abbandono in cui sono lasciati i più significativi spiriti che nell'età passata formarono la Chiesa, a favore dell'opera dei moderni giuristi, la quale è più rispondente alla situazione attuale del clero, tutto dedito al conseguimento dei fini mondani: iacet Gregorius tuus in telis aranearum; iacet Ambrosius in neglectis clericorum latibulis; iacet Augustinus abiectus, Dionysius, Damascenus et Beda; et nescio quod ‛ Speculum ', Innocentium, et Ostiensem declamane. Cur non? Illi Deum quaerebant, ut finem et optimum; isti census et beneficia consecuntur (Ep XI 16). Il passo ha una diretta corrispondenza con Pd XII 82-85; infatti nella celebrazione di s. Domenico il poeta mette in evidenza come il santo non seguisse la tendenza del clero del suo tempo (Non per lo mondo, per cui mo s'affanna / di retro ad Ostiense e a Taddeo), ma avesse come fine ultimo la conoscenza diretta con Dio: per amor de la verace manna / in picciol tempo gran dottor si feo. Per quanto riguarda la rappresentazione dantesca di I., comunque, non si può escludere che nella condanna così recisa del giurista non influisse la valutazione negativa del politico.

Bibl.-Un buon indirizzo bibliografico e di fonti relative a I. si trova alla voce I.I V, di R. Morghen, in Enc. Ital. XIX, e di P. Brezzi, in Enc. Cattolica VII; si veda inoltre la Storia della Chiesa, a c. di A. Fliche e V. MARTIN, X, Torino 1968, ad indicem, e F. Calasso, Medio evo del Diritto, I, Le fonti, Milano 1954, 369, 517, 562, 585.

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