INNOCENZO VIII Papa

Enciclopedia Italiana (1933)

INNOCENZO VIII Papa

Giovanni Battista Picotti

Giovanni Battista Cibo, nato a Genova nel 1432 da illustre famiglia imparentata con i Doria, era vissuto da prima alla corte aragonese, aveva studiato a Bologna e a Roma, servito al cardinale Calandrini, era stato vescovo di Savona (1467), di Molfetta (1472), cardinale (7 maggio 1473). Doveva la carriera ecclesiastica a Giuliano della Rovere; gl'intrighi di questo e, come sembra accertato, la simonia gli diedero la tiara, il 29 agosto 1484: Giuliano rimase papa et plusquam papa. Prima di ricevere gli ordini sacri, I. aveva avuto due, o forse più, figli illegittimi; riconobbe Franceschetto e Teodorina; celebrò in Vaticano le nozze del primo con Maddalena de' Medici e di Peretta Usodimare, figlia di Teodorina, col marchese del Finale. A Franceschetto, scapestrato e di poco ingegno, diede l'Anguillara (18 febbraio 1491) e altri feudi e danaro, meno tuttavia di quello ch'egli avrebbe voluto e che Lorenzo de' Medici consigliava.

Sebbene si proponesse, forse sinceramente, la pace, fu tratto, anche per gli eccitamenti del cardinale della Rovere, a guerra contro Ferrante di Napoli, restio agli obblighi feudali e non rispettoso dei diritti della Chiesa; fu alleato dei baroni ribelli, accolse in protezione l'Aquila, si strinse con Genova. Minacciata per due volte la stessa Roma, fece, l'11 agosto 1486, una pace, che Ferrante violò. Tentò allora di avere l'aiuto di Venezia; poi si gettò nelle braccia di Lorenzo de' Medici, al quale faceva dire "che esso pontefice dorma con gli occhi di esso magnifico Lorenzo": la nuova alleanza, che era resa più stretta dall'essere i Medici banchieri e prestatori della Curia, fu suggellata dal matrimonio di Franceschetto con la figliuola di Lorenzo (gennaio 1488) e dalla concessione della dignità cardinalizia al tredicenne Giovanni de' Medici, il futuro Leone X (9 marzo 1489). Lorenzo, pure appoggiando a parole più che a fatti il pontefice, lo tratteneva da misure estreme contro il re, che aveva appellato al concilio: il papa dichiarò Ferrante privato del regno (11 settembre 1489); ma né chiamò lo straniero, né uscì d'Italia, come aveva minacciato. E rimase spettatore inoperoso dei torbidi di Romagna (1488); vide Ancona levare bandiera ungherese (aprile 1488) e Perugia lacerata da discordie interne e presso che indipendente. Ma, quando, ribellatasi Ascoli con l'appoggio di Ferrante, nessuno diede aiuto al pontefice questi si volse a un'intesa col re (27 gennaio 1492), ne accolse il nipote Ferrandino con pompa regale (27 maggio 1492), diede sposa una nipote a un bastardo del duca di Calabria, figliuolo del re; assicurò al duca e a Ferrandino la successione.

Nel campo religioso, difese contro le ingerenze statali la libertà delle nomine vescovili e i privilegi della Chiesa, fu vigile contro l'eresia, condannò le novecento tesi di Pico della Mirandola (4 agosto 1486). Una sua bolla (Summis desiderantes, 5 dicembre 1484), che autorizzava gl'inquisitori di Germania a procedere contro la stregoneria, diede deplorevole impulso ai processi contro le streghe.

Il papa si adoperò per la crociata, scrivendo encicliche, mandando legati, imponendo decime; raccolse senza frutto un congresso in Roma (1489); si fece consegnare dal Gran Maestro di Rodi Gem, fratello del sultano Bāyāzid, per servirsene contro costui, quantunque accettasse poi dal sultano un canone annuo per la custodia del prigioniero e in dono la reliquia venerata della sacra lancia, che ricevette in Roma con pompa solenne. Pure nella penuria di denaro, fece eseguire restauri importanti, costrusse la villa della Magliana e, presso il Vaticano, il Belvedere, adornandolo di pitture, purtroppo quasi interamente perite, del Pinturicchio e del Mantegna; amò gli arredi preziosi e le gemme. Protesse letterati ed artisti; esortò il Poliziano a tradurre Erodiano e ne premiò il lavoro; rialzò le sorti dell'università romana.

Mite e benevolo, ma debole, biasimato per "inconstantia et viltà et corto iudicio", tollerò gli scandali del figliuolo e della corte, sebbene non meriti fede l'asserzione che permettesse il concubinato, non frenò la venalità negli uffici di curia, non seppe realizzare l'ordine nella città, vide per le spese, più o meno necessarie, e per il disordine amministrativo le finanze ridotte a tale strettezza da dovere impegnare fin il bottone e la mitra papale. Chiuse piamente, la notte dal 25 al 26 luglio 1492, il suo non glorioso pontificato ed ebbe, per la riconoscenza del nipote cardinale L. Cibo e per l'opera di A. Pollaiuolo, monumento magnifico in S. Pietro.

V. tav. LXXIX.

Bibl.: L. Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1912, e Supplemento, Roma 1931, e opere ivi citate; G. B. Picotti, La giov. di Leone X, Milano 1928. Per l'opera religiosa, J. Paquier, in Dict. de théol. cath., VII (1923), p. 2002 segg.

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