Inquinamento

Universo del Corpo (2000)

Inquinamento

Guido Barone

L'inquinamento (dal latino inquinamentum, "immondezza, lordura") può essere definito come l'alterazione dell'ambiente naturale da parte dell'uomo, attuata mediante l'introduzione di sostanze, rifiuti ed energia nelle sue più varie forme (calore, radiazioni, vibrazioni meccaniche ecc.), capaci di causare danno o rischio per la salute umana, per le specie utili e per gli ecosistemi.

sommario : 1. Principali cause dei processi inquinanti. 2. Riduzione dell'inquinamento e sviluppo sostenibile. 3. Inquinamento e salute. □ Bibliografia.

Principali cause dei processi inquinanti

L'inquinamento può essere inteso in generale come tutto l'insieme di quelle azioni che interferiscono con gli usi legittimi dell'ambiente da parte dell'umanità. Esso può essere di varia natura. L'inquinamento chimico è generalmente originato dall'estrazione, dal trasporto e dal trattamento delle materie prime minerali e fossili e delle sostanze organiche naturali, portate queste ultime a elevati e perciò pericolosi livelli di concentrazione nei processi di purificazione; questo tipo di inquinamento è inoltre prodotto dalle emissioni, quali fumi e scarichi liquidi, e dai depositi di scarti e residui di lavorazione delle industrie, dalle emissioni del traffico terrestre, aereo e navale o delle centrali termoelettriche e del riscaldamento civile e industriale. L'inquinamento fotochimico riguarda le ulteriori trasformazioni degli inquinanti chimici primari, stimolate o potenziate dalla radiazione solare. Esiste poi un inquinamento di tipo biologico, risultante dall'accumulo di rifiuti organici, deiezioni umane e animali, scarti delle industrie agroalimentari, zootecniche e conciarie, rifiuti ospedalieri. Infine, si può distinguere un inquinamento essenzialmente fisico, che può essere di carattere termico, sonoro oppure da radiazioni ionizzanti, queste ultime per la maggior parte dovute alla presenza di radionuclidi dispersi nell'atmosfera o nelle acque e, quindi, nella catena alimentare.

Vi sono inoltre molti altri fenomeni legati all'impatto antropico sulla natura, originati dall'accelerazione dello sviluppo economico e tecnologico e dalla crescita demografica, che esulano dalla definizione di inquinamento: la deforestazione dei monti e delle colline, con la compromissione della stabilità idrogeologica del territorio e delle coste; la messa a coltura di vaste aree prima boschive; la desertificazione provocata da pratiche agricole errate; l'urbanizzazione e la cementificazione, che causano 'isole di calore', alterando i microclimi locali. A questi sono da aggiungere gli sconvolgimenti degli ecosistemi imputabili alle grandi opere di ingegneria (dighe, porti, reti stradali e ferroviarie, creazione di canali e deviazioni di fiumi per facilitare il trasporto per vie d'acqua o per l'irrigazione, tagli di istmi o parziali ostruzioni di stretti marini), che possono alterare il regime delle piogge o le correnti marine e, quindi, modificare in maniera imprevista il clima di vaste regioni.

Nei tempi passati si potevano individuare fenomeni ristretti ad aree particolari (inquinamento atmosferico dovuto alle emissioni del riscaldamento civile o alle attività industriali, come il tipico smog di Londra o l'aria inquinata di Detroit, oppure l'avvelenamento di alcuni fiumi e laghi per gli scarichi delle concerie, delle industrie galvanoplastiche ecc.). Con il crescere esplosivo della popolazione umana, oggi, invece, non c'è più lembo di terra o distesa d'acqua immune dall'inquinamento. L'inurbamento crescente e lo sviluppo del traffico automobilistico privato non risparmiano più nessuna città o paese; gli scarichi industriali e i rifiuti tossici avvelenano sempre più le acque interne, quelle costiere e persino quelle marine e oceaniche; la crescente meccanizzazione e industrializzazione dell'agricoltura, le campagne di disinfestazione delle aree agricole, dei magazzini e dei mezzi di trasporto delle derrate alimentari, effettuate per prevenire l'attacco dei parassiti e aumentare la produttività della terra, anche se finalizzate a vincere la lotta contro la fame e le carestie, introducono quantità di sostanze tossiche che la natura non riesce più a 'metabolizzare' e a trasformare in prodotti inoffensivi per l'uomo. E inoltre, la produzione di rifiuti industriali e civili, sia in forma di effluenti liquidi sia di scarti solidi, sta mettendo a dura prova le capacità delle autorità locali di far fronte ai problemi ambientali che ne conseguono.

L'inquinamento deve essere quindi definito in termini quantitativi, spaziali e temporali, spesso interconnessi tra loro. Per es., si calcola che siano stati sintetizzati cinque o più milioni di molecole organiche non presenti in natura e che soltanto per il 10% di esse siano state saggiate le eventuali proprietà nocive per la salute umana: in realtà, la gran parte di queste sostanze è prodotta in piccole quantità, che rimangono confinate nei laboratori di ricerca e di regola vengono conservate o distrutte in modo controllato; un certo numero di esse, tuttavia, per quanto molto limitato, viene poi prodotto in quantità industriale e può diventare pericoloso per la comunità umana, in quanto tale o a causa degli eventuali prodotti di trasformazione spontanea che si possono formare dopo l'immissione nell'ambiente. Anche diverse sostanze naturali prodotte sia da piante sia da microrganismi, alla cui presenza in tracce la specie umana si è adattata nel corso della sua evoluzione, possono diventare pericolose se entrano nel ciclo di un processo industriale che le concentra o le produce per via sintetica per consentirne l'impiego massivo in zone limitate, come è avvenuto per molti pesticidi e insetticidi naturali. In generale, molte delle sostanze che vengono prodotte al fine di migliorare la salute delle piante e delle specie animali e aumentare la produttività del settore agrozootecnico possono costituire un rischio, qualora vengano usate in quantità abnormi o incontrollate in aree ristrette e per tempi eccessivamente lunghi.

Alcune tecnologie che mirano a rendere migliore la qualità della vita umana possono manifestare la loro pericolosità soltanto anni dopo essere state introdotte, quando la loro grandissima diffusione ne rivela gli imprevisti effetti globali nocivi. L'uso dei clorofluorocarburi (indicati con la sigla CFC e taluni con il nome commerciale 'freon'), per es., nell'ambito della tecnologia frigorifera, al posto dei pericolosi gas usati in precedenza, quali ammoniaca o anidride solforosa, ha reso enormemente più sicura ed economica la conservazione degli alimenti; solo in anni recenti si è però constatato che la loro fuga nell'atmosfera (dovuta all'impiego nei nebulizzatori per profumi, lacche e vernici, nonché nell'industria della componentistica elettronica per eliminare micropolveri e umidità) sta provocando quasi certamente l'assottigliamento dello strato di ozono che ci ripara dalle radiazioni ultraviolette più energetiche e pericolose. I CFC interferiscono inoltre con i fenomeni naturali, causa del cosiddetto buco dell'ozono che si manifesta periodicamente nella stratosfera dell'Antartide (v. aria). Tutto ciò ha portato a una moratoria internazionale, stabilita nel 1987 dal Protocollo di Montreal, per regolamentarne l'uso. Attualmente però è già possibile calcolare che la sostituzione dei CFC con analoghi composti fluorurati non contenenti cloro ‒ sostanza, questa, responsabile dei fenomeni globali prima citati ‒ sebbene di grande utilità immediata per attenuare i medesimi, porterà nel giro di poche decine di anni a un accumulo di alcuni di questi prodotti nell'atmosfera, specialmente di quelli che non contengono atomi di idrogeno.

Tale accumulo altererà l'entità dell'effetto serra a livelli paragonabili a quelli che oggi attribuiamo alle emissioni antropiche di anidride carbonica: le sostanze cui abbiamo fatto cenno sono infatti pressoché indistruttibili da parte degli agenti naturali fisici, chimici e biologici. Questo esempio dimostra quindi che non esistono tecnologie ecocompatibili in eterno: l'ecocompatibilità dipende dalla quantità di prodotti diffusi con il passare degli anni e non distrutti durante o dopo i loro cicli di uso e di consumo. Altri esempi di tecnologie, la cui introduzione in tutti i paesi ha finito per evidenziarne le retroazioni o le conseguenze negative, riguardano l'uso indiscriminato dei concimi chimici, degli antiparassitari, degli erbicidi e di molti antibiotici. Dal punto di vista della collocazione territoriale delle sorgenti inquinanti, possono essere citati esempi contrastanti di strategie per la limitazione dell'inquinamento complessivo di vaste regioni. È molto diffuso lo slogan 'piccolo è bello', applicabile in moltissimi casi per turbare il meno possibile i delicati equilibri degli ecosistemi e la qualità della vita umana con la presenza di sorgenti di emissioni fortemente inquinanti.

Per contro, l'inquinamento atmosferico urbano, dovuto almeno per un terzo al traffico automobilistico, può essere efficacemente contrastato, almeno in prospettiva, affiancando le limitazioni del traffico privato con il rafforzamento dei mezzi pubblici. Occorre, però, introdurre o reintrodurre quasi esclusivamente la trazione elettrica (filobus, tram o autobus con motori elettrici di vario tipo). A sua volta, l'energia elettrica deve essere prodotta in grandi centrali termoelettriche (in attesa di un nucleare davvero sicuro o di altre fonti alternative e rinnovabili), le cui emissioni sono molto più facilmente ed efficacemente abbattibili, fatta eccezione per l'anidride carbonica e il vapore acqueo, che non le incoercibili emissioni di centinaia di migliaia di automobili, mezzi pesanti, moto e ciclomotori in movimento nelle aree urbane e sulle reti stradali extraurbane. Oltretutto, gli scarichi del traffico sono formati da una miscela altamente reattiva di ossidi di azoto, che dà luogo alla formazione di ozono, idrocarburi incombusti e altre sostanze organiche volatili ossidabili in grado di produrre, per reazione con i primi o con la radiazione solare, radicali liberi e pericolose sostanze cancerogene, le quali, prima che il gioco dei venti possa diluirle e disperderle, possono venire assunte dalla popolazione, specialmente nelle aree ad alta densità. Le stesse considerazioni valgono per gli inceneritori di rifiuti solidi urbani o 'termovalorizzatori': meglio pochi e grandi, purché moderni e ben gestiti da personale qualificato, piuttosto che molti e piccoli, con conduzione non sempre ben controllata e oltretutto antieconomici.

Riduzione dell'inquinamento e sviluppo sostenibile

L'inquinamento, come tutte le conseguenze delle attività umane, non è eliminabile, ma può essere limitato o prevenuto con opportune normative, o almeno contrastato con interventi a posteriori. Una politica di prevenzione deve sempre fare i conti con le necessità economiche della produzione in un regime di mercato e di concorrenza internazionale sempre più spinto. Ma in tutti i paesi più avanzati, in particolare in quelli di cultura europea, l'affermarsi di una consapevolezza ambientale presso un'elevata percentuale di cittadini sta contribuendo sempre più al rispetto dei valori umani fondamentali, che comprendono il diritto alla salute e a una buona qualità di vita. Si sta affermando, dunque, il principio del cosiddetto sviluppo sostenibile, concetto di primaria importanza, anche se viene utilizzato spesso in maniera distorta. Al riguardo sono invece esemplari, nel loro equilibrio e raziocinio, le affermazioni contenute nel Rapporto Brundtland del 1987 (che prende nome dal ministro svedese, segretario della commissione istituita dall'ONU), una delle quali recita: "si deve perseguire uno sviluppo che garantisca che il benessere non diminuisca nel tempo; non bisogna cioè compromettere le possibilità delle generazioni future; si deve lasciare a esse una riserva di beni capitali, naturali e prodotti dall'uomo non inferiore complessivamente a quella attualmente disponibile; è possibile quindi tollerare un degrado ambientale controllato e un consumo delle risorse non rinnovabili, se il capitale di beni, conoscenze, infrastrutture, organizzazioni sociali, istituzioni prodotte o promosse dall'uomo possa compensare la perdita di risorse e di beni ambientali".

Queste generose ma non utopiche affermazioni richiedono, ovviamente, trattati internazionali accanto a politiche nazionali e locali fondate su valori etici, prima ancora che economici, e a un forte avanzamento delle conoscenze scientifiche che consenta una salvaguardia efficace dell'ambiente e della salute, anche per gli effetti a lungo termine. Al riguardo è molto importante conoscere a fondo i meccanismi di dispersione nell'atmosfera, nelle acque e nel suolo, e di concentrazione nella catena alimentare degli inquinanti e dei loro prodotti. Non è sufficiente determinarne la tossicità, ma è necessario anche valutare le alterazioni degli ecosistemi capaci di favorire lo sviluppo di microrganismi patogeni e prevedere le conseguenze a lungo termine sulla salute degli animali superiori e dell'uomo (mutagenicità, teratogenicità, cancerogenicità). Le normative e i disincentivi economici (ecotassazioni) possono certamente obbligare oppure convincere ad adottare efficaci sistemi di abbattimento degli inquinanti aeriformi o liquidi, accanto a sistemi di immagazzinamento controllato di rifiuti tossici liquidi e solidi, in attesa del loro eventuale incenerimento o della loro inertizzazione mediante mineralizzazione, vetrificazione, grafitizzazione, inclusione in conglomerati indistruttibili.

Emissioni zero non sono praticamente ottenibili, in particolare se si tratta di tutte quelle attività che coinvolgono la combustione di sostanze fossili non rinnovabili (carbone e petrolio), su cui l'attuale motorizzazione è basata. Motori a idrogeno o a metano o elettrici non sono ancora economicamente competitivi, anche perché il complesso delle industrie automobilistiche e petrolifere ha ostacolato a lungo questa conversione tecnologica. È stato molto più facile invece intervenire amministrativamente sui consumi, imponendo limitazioni al traffico privato nei centri urbani, anche per l'evidente peggioramento della qualità dell'aria e per l'intasamento delle strade di cui tutti si possono rendere conto. A sua volta, la produzione industriale ha sempre dei margini di rischio, così come li ha la distribuzione capillare dei combustibili per uso civile. Grandi disastri sono solo in parte prevedibili e spesso le normative non sono state sufficientemente severe, sia per le pressioni delle lobby industriali sia per la riservatezza che ha coperto molti processi produttivi, impedendo di valutarne la pericolosità da parte dei servizi di consulenza scientifica delle autorità politiche e degli amministratori locali. Basta ricordare il disastro di Seveso (emissioni di sostanze tossiche per errata manovra), avvenuto nel 1976, o quello di Bhopal in India, del 1984 (fuga di un gas tossico come il cianato di metile), per non elencarne altri consimili, e tutti i disastri ecologici causati dagli innumerevoli naufragi di petroliere.

D'altra parte, gli incidenti nucleari come quello di Černobyl (1986) o quelli più limitati di altre centrali nucleari (per es. l'incidente di Tokaimura in Giappone del 1999) hanno suscitato un vasto movimento di opinione in tutto il mondo con il blocco, almeno momentaneo, delle politiche nucleari di molti paesi occidentali, in attesa di un nucleare sicuro di non ancora accertata attuabilità. L'incidente, nel 1979, di Three Miles Island negli Stati Uniti ha fatto innalzare i livelli di sicurezza prescritti, al punto da rendere le centrali nucleari a fissione non più competitive sul mercato americano dell'energia, così che alle aziende interessate attualmente non resta che cercare di vendere all'estero la tecnologia o gli impianti pronti per essere montati. Deve essere infine chiaro che la salvaguardia dell'ambiente richiede un approccio olistico e competenze multidisciplinari. Alla base vi è l'unità della scienza moderna pur nell'articolazione delle singole discipline. La chimica, per es., ha migliorato la qualità della vita con apporti decisivi alla lotta contro la fame, all'approvvigionamento di acque potabili, alla sconfitta di molte malattie endemiche e virulente, al miglioramento delle condizioni igieniche e della salute, contrastando efficacemente l'azione dei microrganismi patogeni e dei loro vettori naturali.

A loro volta, la biologia e in particolare le biotecnologie, figlie delle rivoluzioni scientifiche avvenute nel campo della biologia molecolare e della genetica, stanno venendo in soccorso di coloro che si sforzano di riparare i guasti provocati dalla chimica, sebbene sia probabile che ben presto si debbano affrontare gli eventuali danni causati da qualche biotecnologia, la cui applicazione possa sfuggire ai controlli delle commissioni bioetiche. Nel campo dell'energia, grandi speranze sono alimentate dalla prospettiva di un nucleare sicuro, ma nel frattempo tutti gli sforzi devono essere volti al raggiungimento di fonti energetiche alternative ai combustibili fossili. Infine, fisica e chimica debbono fornire apporti congiunti finalizzati a migliorare da una parte le tecnologie di produzione dell'energia, dall'altra i materiali occorrenti o a inventarne di nuovi.

Inquinamento e salute

Le conseguenze dell'inquinamento sulla salute del corpo umano non sono ancora completamente accertate. Si distingue tra: tossicità, cioè capacità di arrecare danno grave alla salute o avvelenamento anche a seguito di accumulo nel tempo; mutagenicità, cioè capacità di danneggiare i meccanismi di duplicazione cellulare, predisponendo l'organismo o provocando direttamente malattie degenerative (tumori, cancro ecc.), oppure di alterare la trasmissione dei caratteri ereditari, causando malattie genetiche anche in generazioni successive; teratogenicità, cioè capacità di provocare malformazioni e mortalità perinatale (fetale o della prima infanzia).

Si definisce, infine, cancerogenicità la comprovata capacità di far insorgere tumori in animali da laboratorio. Soltanto da poco si è cominciato a capire che varie forme di inquinamento possono operare sinergicamente, rafforzando l'azione degli agenti patogeni e amplificando le conseguenze delle condizioni di stress che sono alla base di moltissime malattie definite psicosomatiche. A loro volta, gli stati depressivi e ansiogeni prodotti dallo stile di vita dei grandi agglomerati urbani possono incidere sul sistema immunitario, abbassandone le difese e predisponendo l'organismo ad ammalarsi più facilmente. Lo stesso sviluppo intellettivo dei bambini e degli adolescenti ne può soffrire gravemente. I test per accertare la tossicità su insetti e animali superiori, sia a breve sia a lunga scadenza, hanno basi quantitative; tuttavia, possono essere estesi solo per estrapolazione all'uomo.

In alcuni casi è stato possibile utilizzare serie storiche di dati sugli effetti causati alla salute di lavoratori dell'industria o addetti agricoli che abbiano manipolato sostanze tossiche senza precauzioni, per loro ignoranza o per incuria dei datori di lavoro o delle autorità sanitarie. Gli studi preventivi sono tesi ad accertare il dosaggio che non provoca effetti negativi osservabili (NOAEL, No observed adverse effect level): questo viene misurato somministrando quotidianamente, per almeno due anni, agli animali da esperimento (ratti, topi, conigli ecc.) dosi prefissate. La durata degli esperimenti consente anche di mettere in evidenza possibili effetti di sensibilizzazione negli organismi superiori. In base ad appropriati criteri di stima, si può così valutare l'apporto giornaliero ammissibile (ADI, Acceptable daily intake) che un uomo può tollerare senza rischi per la salute durante l'intera vita. In molti casi, tuttavia, tale valore è calcolato dividendo semplicemente il NOAEL per un fattore di sicurezza (SF, Safety factor) che si aggira intorno a 100. Attualmente, anche per motivi etici si tende sempre più a usare, al posto degli animali, colture cellulari. Se si hanno disponibili solo questi ultimi dati, la stima di tale valore è però molto più incerta. Nel caso che la sostanza (un fitofarmaco, un diserbante o un insetticida) debba essere utilizzata in luoghi dove possono soggiornare abitualmente bambini o gestanti, si moltiplica l'SF per 10. Il NOAEL e l'ADI vengono misurati in mg assunti quotidianamente per kg di massa corporea. Nonostante ciò, poiché le estrapolazioni lineari da una specie a un'altra non sono affidabili, soprattutto per l'insorgere di risposte specifiche differenziate nel tempo (sensibilizzazione), l'EPA (Environmental protection agency) consiglia valutazioni più complicate.

Per lo stesso motivo l'OMS (Organizzazione mondiale della sanità) suggerisce l'uso di un ADI 'a breve termine', o dose limite di riferimento (acute-RfD, acute Reference dose), calcolata in base a misurazioni di NOAEL della durata di poche settimane. Per esprimere invece l'aggressività nei confronti delle specie parassite, ma anche di specie utili e di animali da esperimento, vengono usate la 'dose letale' (LD, Letal dose) e la 'dose letale orale' (LOD, Letal oral dose), espresse in mg per kg di massa corporea e riferite all'assunzione di un'unica dose in un tempo limitato. Più comunemente sono usate la LD₅₀ e la LOD₅₀, che definiscono le dosi medie sufficienti a uccidere metà dei parassiti o degli animali sottoposti a esperimento. Per l'accumulo di inquinanti non metabolizzati o di loro derivati nei tessuti animali e vegetali, si possono avere inoltre fenomeni di biomagnificazione della concentrazione attraverso la catena alimentare. Per es., si è accertato che il diclorodifeniltricloroetano (DDT) è ormai presente in tracce nel latte di tutte le specie di animali superiori, compresa quella umana. Basandosi sul solo processo di diffusione dall'acqua ai tessuti adiposi dei pesci, è stata introdotta la definizione di fattore di bioconcentrazione (BCF, Bioconcentration factor) che può dare una misura quantitativa del fenomeno.

Il BCF è stato messo in relazione con un parametro chimico-fisico, facilmente misurabile in laboratorio, che sfrutta il semplicissimo modello offerto dal sistema a due fasi acqua-ottanolo (un alcol a lunga catena idrocarburica estremamente poco solubile nell'acqua stessa). Il rapporto tra le concentrazioni in ciascuna delle due fasi liquide (l'ottanolo simula il tessuto lipidico) è definito coefficiente di ripartizione (KOW). Quest'ultimo risulta da due a dieci volte più grande del BCF e, dati i suoi elevati valori numerici, si preferisce, per analogia con la scala analitica dell'acidità, usare il logaritmo decimale, che risulta essere il più delle volte un numero compreso tra 1 e 10. La bioamplificazione operata dalla catena alimentare può portare invece a valori di concentrazione molto più alti di quelli valutati attraverso il BCF; inoltre, è indispensabile anche studiare gli effetti degli eventuali prodotti di trasformazione metabolica non usuali, che possono risultare più tossici dell'inquinante primario. La FAO (Food and agricultural organization) e altre organizzazioni delle Nazioni Unite, in accordo con varie associazioni scientifiche nazionali, come l'EPA americana, e internazionali hanno raccomandato una serie di test per accertare la mutagenicità e il potenziale genotossico di qualsiasi nuovo prodotto che si intenda immettere sul mercato, in particolare se la sua struttura chimica è molto differente da quella di altri già sperimentati. Si tratta di accertare, a livello molecolare, le possibili interazioni con il materiale genetico (DNA, RNA, cromatina del nucleo) o con gli enzimi e le altre proteine che regolano la trascrizione e replica del DNA stesso.

Un'alterazione di questi meccanismi, deputati alla duplicazione cellulare e alla crescita dei tessuti, può causare l'insorgenza di tumori o la formazione di difetti genetici durante l'embriogenesi. Accanto ai test biochimici viene raccomandato un insieme di test in vivo, impiegando batteri, animali da laboratorio e cellule sia animali sia umane, sebbene le estrapolazioni relative all'azione sull'uomo non possano dimostrare definitivamente la correlazione tra causa ed effetto. I risultati di questi studi rappresentano comunque un insieme di informazioni che possono portare a sconsigliare o proibire l'uso esteso di una determinata sostanza. Non sono stati ancora approntati, invece, saggi sulla possibile depressione del sistema immunitario o sulla possibile interferenza con i fattori di crescita e con le malattie degenerative del cervello. Mentre è provata la correlazione tra l'insorgere di tumori, del cancro e di altre malattie degenerative e l'esposizione prolungata a determinate sostanze chimiche (idrocarburi policiclici aromatici, derivati policlorurati aromatici, benzene, sostanze del catrame delle sigarette e molte sostanze organiche di sintesi), per moltissimi altri inquinanti si hanno soltanto sospetti che debbono essere definitivamente accertati.

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