deboli, interazioni Uno dei 4 tipi di interazioni fondamentali tra
1. La teoria di Fermi del decadimento beta
La radioattività beta fu scoperta nel 1896 da H. Becquerel, ma solo dopo il 1930 le conoscenze teoriche, con lo sviluppo della meccanica quantistica e della teoria dei campi, permisero di affrontare il problema di una teoria del decadimento beta, l’unica classe di processi deboli allora noti. Il decadimento beta (β−) consiste nella trasformazione di un neutrone, libero o legato in un nucleo (con opportune condizioni per l’energia di legame), in un protone con l’emissione di un elettrone e di un antineutrino: n → p + e− + ν̄e. Nei nuclei si può anche avere il processo inverso (β+): p → n + e+ + ν̄e. Il neutrino (➔), di spin 1/2 e massa nulla o comunque molto piccola, fu appunto introdotto da
[1] formula
dove hVα e lVα (il suffisso V sta per vettoriale) indicano le correnti adronica e leptonica rispettivamente, h✝Vα e l✝Vα i corrispondenti operatori hermitiani coniugati, x è la coordinata spazio-temporale, α è l’indice di Lorentz e GF è una costante dimensionale d’accoppiamento che prende appunto il nome di costante di Fermi. Nel decadimento β− la corrente adronica induce la transizione n → p mentre la corrente leptonica produce dal vuoto la coppia e− ν̄e. Si parla quindi di correnti ‘cariche’, in quanto nelle transizioni indotte da ciascuna corrente la carica elettrica varia di una unità, mentre naturalmente nel processo complessivo la carica è conservata. In questo senso la corrente elettromagnetica è invece ‘neutra’ perché l’emissione o l’assorbimento di un fotone non cambiano la carica elettrica. La densità di lagrangiana [1], essendo il prodotto di due correnti (quadri)vettoriali, è invariante per trasformazioni di Lorentz e conserva separatamente P e C. Tuttavia già nel 1936 G. Gamow e E. Teller mostrarono che il termine di Fermi V•V, sufficiente per spiegare le transizioni tra nuclei con il medesimo spin J, certamente non può spiegare i decadimenti beta con incremento di spin ∣ ΔJ ∣ = 1, osservati con velocità di reazione comparabili, per i quali sono necessari termini con correnti assiali o tensoriali.
La forma attuale della lagrangiana effettiva per i decadimenti beta e, più in generale, per i processi deboli da corrente carica a basse energie, fu raggiunta solo circa tre decenni più tardi con lo studio di una classe sempre più vasta di processi deboli. La struttura generale rimane fissata nel prodotto di due correnti
[2] formula
dove la corrente debole carica jα è la somma di una corrente adronica e di una leptonica
[3] formula
La corrente adronica hVα−A e quella leptonica lVα−A sono ambedue sovrapposizioni di un termine vettoriale e di un termine pseudovettoriale o assiale, con comportamento opposto sia sotto P sia sotto C. La struttura della corrente leptonica è identica per i tre doppietti di leptoni (coppie elettrone-neutrino) conosciuti
[4] formula
ed è data da
[5] formula
dove e(x), νe(x) indicano i campi spinoriali a quattro componenti per le particelle corrispondenti, γα e γ5 sono le matrici 4×4 di Dirac (Dirac, Paul Adrien Maurice) e con e ↔ μ ed e ↔ τ si sono indicati i termini, del tutto identici, per i doppietti del μ e del τ. Il termine in γα è puramente vettoriale mentre il termine in γαγ5 è puramente assiale. Come si vede, questi due termini intervengono con lo stesso peso e con il segno relativo fissato, il che giustifica il suffisso V – A che figura sulle correnti hVα –A, lVα –A e il nome di ‘teoria V meno A’ (delle correnti d. cariche) che ricorre di frequente. Il termine elettronico della corrente lVα –A può dare luogo alle transizioni νe e+ → 0, νe → e–, 0 → e–ν̄e, e+ → ν̄e, mentre le transizioni inverse sono indotte dalla corrente hermitiana coniugata l✝αV –A, e analogamente per gli altri termini leptonici. La struttura della corrente carica adronica hVα –A, espressa in termini dei campi dei costituenti degli adroni, cioè i quark, è ancora del tutto simile a quella di lVα –A. Si hanno infatti tre doppietti di quark
[6] formula
in completa simmetria con i doppietti leptonici. Ogni doppietto di quark è replicato in 3 ‘colori’. I numeri quantici di colore sono però irrilevanti ai fini delle interazioni d., le quali distinguono solo il flavour, e si possono pertanto ignorare. Nei doppietti [5] d′, s′ e b′ sono delle sovrapposizioni lineari unitarie dei campi dei quark d, s e b, i quali ultimi hanno massa definita. A ogni doppietto corrisponde un termine in hVα –A della stessa forma che nel caso leptonico
[7] formula
In questo caso le transizioni indotte dal primo termine sono ud̅′ → 0, u → d′, 0 → d′ū, d̅′ → ū, mentre le transizioni inverse derivano dal termine corrispondente in h✝αV –A. Una proprietà fisica fondamentale delle interazioni d. che è contenuta nella formulazione ora enunciata è la violazione della parità e della coniugazione di carica C. Infatti nel prodotto di due correnti (V−A) ∙ (V−A) si hanno sia termini del tipo VV + AA, scalari e con C positiva, che termini del tipo VA + AV, pseudoscalari e con C negativa. I primi termini conservano P e C, mentre i secondi violano entrambe, pur conservando il prodotto CP. La violazione è massimale in quanto il coefficiente dei termini che rompono tali simmetrie è in modulo uguale a quello dei termini che le preservano. La possibilità della non conservazione della parità nelle interazioni d. fu considerata da T.D. Lee e C.N. Yang nel 1957 che così risolsero in modo corretto il problema posto dall’esistenza dei decadimenti del K+ in 2π e in 3π: K+ → π+π0, K+ → π+π π0. Dal fatto che il K+ ha spin zero e che i π sono particelle pseudoscalari segue che gli stati finali 2π e 3π hanno parità opposte. Lee e Yang osservarono che non esistevano prove sperimentali della conservazione di P nelle interazioni deboli. Suggerirono quindi che si trattasse di un unico tipo di particella che decade nei due modi con violazione di parità (anziché ammettere l’esistenza di due particelle diverse con uguale massa e vita media) e indicarono, infine, varie esperienze per accertare in modo diretto la violazione di P. Queste esperienze, eseguite poco dopo, mostrarono che P è effettivamente violata sia nel decadimento beta nucleare (C.S. Wu et al., 1957) sia nei decadimenti del μ e degli iperoni. Similmente la violazione massimale di C fu stabilita sperimentalmente nel decadimento del μ e dalla misura/">misura di una polarizzazione all’incirca opposta per leptoni e antileptoni prodotti nei processi da corrente carica. La struttura V – A delle correnti cariche comporta infatti che, nel limite di massa nulla, hanno interazioni d. da correnti cariche solo i fermioni fondamentali (quark e leptoni) con elicità negativa e gli antifermioni con elicità positiva, essendo l’elicità la componente dello spin nella direzione del moto. In questo limite la teoria V – A ha una struttura chirale, in quanto solo le particelle con definita chiralità possono interagire. Poiché l’applicazione di P cambia segno all’elicità e quella di C muta fermioni in antifermioni con uguale elicità, si ottiene subito che la proprietà suddetta delle interazioni d. rappresenta una chiara violazione di P e C mentre è compatibile con l’invarianza sotto il prodotto CP. Il limite di massa nulla potrebbe essere realizzato esattamente per i neutrini, e in effetti si osservano esclusivamente neutrini con elicità negativa e antineutrini con elicità positiva.
Un’altra delle proprietà fondamentali delle interazioni d. è l’universalità. Tutti i fermioni fondamentali (quark e leptoni) hanno interazioni d. e inoltre abbiamo visto che nelle correnti deboli cariche i termini ν̄ee–, νμμ–, νττ–, ūd′, c̄s′ e t̄b′ appaiono in modo perfettamente simmetrico. Si hanno quindi tante interazioni con un unico accoppiamento universale. Nel caso dei quark però l’intensità complessiva di ogni quark di tipo ‘up’ (carica + 2/3) è suddivisa tra tutti i quark di tipo ‘down’ (carica – 1/3). Così per es.
[8] formula
e analogamente per s′ e b′, queste ultime combinazioni essendo ortogonali tra loro e a d′. Si ha quindi che la somma delle probabilità di transizione dal quark u ai quark d, s e b, con massa definita, è uguale alla probabilità della singola transizione ῡee–, e analogamente negli altri casi. In particolare, se consideriamo il settore dei quark leggeri u, d, s e trascuriamo l’accoppiamento di u a ogni quark più pesante di s, approssimazione che si rivela empiricamente molto accurata, d′ assume la forma
[9] formula
originariamente introdotta nel 1963 da N. Cabibbo, al quale si deve la formulazione corretta dell’universalità delle interazioni d., nei termini ora descritti. ϑC è detto appunto angolo di Cabibbo e sperimentalmente risulta ϑC ≃ 13°, ovvero sen ϑC ≃ 0,224. La combinazione ortogonale a d′
[10] formula
all’epoca della formulazione originale della teoria di Cabibbo appariva disaccoppiata, mentre oggi sappiamo che interagisce con il quark con charm c. L’esistenza di questo mescolamento (mixing/">mixing) nel caso dei quark deriva dal fatto che hanno masse differenti e che gli stati selezionati dall’accoppiamento debole non coincidono con gli stati a massa definita. La stessa complicazione sarebbe presente anche nel settore leptonico se le masse dei neutrini fossero differenti tra loro, in particolare non tutte nulle, e la eventuale esistenza di un mixing leptonico potrebbe essere dimostrata rivelando le cosiddette oscillazioni dei neutrini.
3. Processi da correnti cariche
Dallo sviluppo del prodotto delle correnti cariche nell’equazione [2], tenuto conto delle equazioni [3, 4, 6], si ottengono le tre classi dei processi puramente leptonici, semileptonici e non leptonici che corrispondono ai termini ll+, hl+ + lh+ e hh+ rispettivamente.
3.1 Processi puramente leptonici
Sono quelli per i quali lo studio degli effetti delle interazioni d. è in linea di principio più semplice in quanto i leptoni (➔ leptone) non hanno
[11] formula
Altri notevoli processi puramente leptonici da correnti cariche sono i decadimenti del τ (τ± → e± ± νe ∓ ντ, τ± → μ± ± νμ ∓ ντ) e le reazioni elettroneneutrino: e– + νe → e– + νe, e– + ν̄e → e– + ν̄e alle quali ultime contribuiscono anche le correnti neutre.
Rientra in questa categoria un grande numero di decadimenti di mesoni e barioni (in particolare i decadimenti beta già discussi) e i processi di diffusione leptone-adrone.
Sono i più complessi da analizzare in quanto gli effetti delle interazioni forti sono pienamente operanti in questo caso. I processi più studiati sono i decadimenti con violazione di stranezza dei K in pioni (K → 2π, 3π) e degli iperoni, che sono spiegati nella teoria di Cabibbo dal prodotto di una corrente u ↔ d, ū ↔ d̅ con una corrente s ↔ u, s̄ ↔ ū con accoppiamento complessivo proporzionale a cos ϑC sen ϑC e regole di selezione ∣ ΔS ∣ =1, ΔI = 1/2, 3/2 (dove I è l’isospin). Di particolare importanza sono i decadimenti K0L → 2π, non consentiti da interazioni che conservano CP. Nel 1964 J.A. Christenson e collaboratori scoprirono invece che tali decadimenti in effetti avvengono, seppure con probabilità relativa molto piccola, dell’ordine di 10−3. Ne consegue che la conservazione di CP è violata e che gli stati a vita media definita K0S e K0L non sono autostati di CP. Attualmente si attribuisce la violazione di CP a una proprietà della matrice di mixing dei quark già descritta a proposito della universalità.
4. Teoria unificata delle interazioni elettrodeboli
Verso la fine degli anni 1960 il problema di una descrizione fenomenologica dei processi da interazioni d. fino ad allora conosciuti (lasciando da parte la violazione di CP come un effetto dovuto a un’interazione ‘superdebole’ ulteriore) poteva considerarsi risolto dalla interazione ottenuta come prodotto locale di due correnti V – A. Era però chiaro che la teoria esistente non poteva considerarsi compiuta a livello fondamentale. Infatti i risultati interessanti e in accordo con l’esperienza si ottenevano trattando l’interazione all’ordine più basso perturbativo, ignorando i termini di ordine superiore nello sviluppo, i quali d’altra parte erano privi di senso perché infiniti. Il problema che si poneva era dunque quello di riottenere i risultati fisici corretti della teoria fenomenologica a partire da una teoria di campo ben definita, in particolare con un comportamento meno singolare ad alti momenti trasferiti, che corrispondono a piccole distanze. Un primo passo in questa direzione fu quindi l’introduzione di un range finito per le interazioni d. in quanto il grado di singolarità a piccole distanze della teoria diminuisce se il prodotto di due correnti nello stesso punto è sostituito con l’emissione e l’assorbimento in due punti diversi di un bosone vettoriale carico W+ (o la sua antiparticella W–) accoppiato alla corrente debole (fig. 2), in analogia allo scambio di un fotone tra due particelle cariche nell’interazione elettromagnetica. L’interazione fondamentale tra il W±, detto bosone intermedio debole, e la corrente debole carica jα(x), definita nell’equazione [3], diviene
[12] formula
dove gW è una nuova costante adimensionale. All’ordine più basso della teoria delle perturbazioni i risultati dedotti da questa nuova densità di lagrangiana coincidono con i precedenti a meno della sostituzione (in unità ℏ = c = 1)
[13] formula
dove qa è il quadrimomento trasferito da una corrente all’altra (q2 = qαqα) e MW è la massa del W±. Per piccoli valori di q2 (q2 ≪ M2W) si riottengono i risultati della teoria basata sul prodotto di due correnti, con l’identificazione
[14] formula
Ad alti momenti trasferiti (q2 ≫ M2W) si ottiene invece un andamento decrescente come –g2W/8q2 che rende la teoria più convergente per q2 → ∞. La compatibilità con i risultati sperimentali richiedeva che MW ≳ 20 GeV/c2. L’introduzione dei W± pur migliorando il grado di convergenza della teoria non è però di per sé sufficiente a renderla finita. Nel caso dell’elettromagnetismo la proprietà ulteriore che rende la teoria rinormalizzabile è l’invarianza di gauge, cioè l’invarianza sotto un gruppo di trasformazioni i cui parametri sono diversi da punto a punto dello spazio-tempo. L’osservazione fondamentale che le correnti deboli cariche e la corrente elettromagnetica sono componenti di uno stesso multipletto di isospin o di SU(3) (CVC, algebra delle correnti e relative verifiche sperimentali) conduce naturalmente a considerare l’estensione della simmetria di gauge a includere anche il settore debole e la costruzione di una teoria di gauge unificata delle interazioni elettromagnetiche e deboli. Tali tentativi, iniziati già alla fine degli anni 1950, urtarono da principio contro due ordini di difficoltà. La prima difficoltà consisteva nella dissimmetria tra la massa nulla del fotone e l’elevata massa dei W± che rendeva problematica la identificazione di queste ultime particelle con dei bosoni di gauge (che hanno necessariamente massa nulla se la simmetria di gauge è soddisfatta). La seconda nella apparente assenza di una corrente debole neutra, anche essa accoppiata a un bosone di gauge Z0 di massa elevata, essenzialmente inevitabile per il completamento della struttura algebrica di una teoria di gauge. D’altra parte la violazione di P e C, presente nelle interazioni d. e non in quelle elettromagnetiche, poteva essere incorporata nella teoria dotando il gruppo di gauge di una struttura chirale, cioè facendo trasformare in modo diverso i fermioni con elicità positiva e negativa (di massa nulla nel limite di simmetria esatta). Il primo tipo di difficoltà, di natura tecnica, fu superato con la formulazione delle teorie con rottura spontanea di simmetria e del ‘meccanismo di Higgs’ (bosone) che permette, in una teoria di gauge, di rimuovere i bosoni di Goldstone a massa nulla necessariamente associati alla rottura spontanea di simmetria e non osservati e, allo stesso tempo, di dotare di massa i bosoni di gauge con i numeri quantici corrispondenti ai generatori delle simmetrie rotte e i fermioni fondamentali, senza distruggere la rinormalizzabilità della teoria (G. ’t Hooft, 1971). Questi progressi furono mutuati dalla fisica dei fenomeni critici (critico) e in generale dalla teoria dei sistemi a molti corpi. Si giunse così alla formulazione del quadro generale della teoria attuale delle interazioni elettrodeboli (S. Weinberg, 1967, A. Salam, 1968) basato sul gruppo di gauge SU(2) ⊗ U(1) già considerato in precedenza nel limite di simmetria esatta (S. Glashow, 1961). Tale teoria sembrava però smentita dall’esperimento per l’assenza della corrente debole neutra, che con i quark allora conosciuti avrebbe necessariamente dovuto possedere delle componenti con violazione di stranezza, facili da rivelare ma di fatto non osservate. La soluzione a questo problema fu trovata con l’introduzione di un quarto tipo di quark, con un nuovo numero quantico di flavour, detto charm (S. Glashow, J. Iliopoulos,
[15] formule
(dove α è la costante di struttura fine), mentre per lo Z0, nel caso di massima semplicità corrispondente a bosoni di Higgs doppietti di SU(2), si ha
[16] formula
Da varie esperienze si ottiene sen2 ϑW = 0,226 ± 0,010; ne consegue che MW ≃ 80 GeV/c2 e MZ0 ≃ 90 GeV/c2. La corrente neutra risulta la combinazione di una corrente V – A e della corrente elettromagnetica che è puramente vettoriale. Gli esperimenti sui processi deboli da corrente neutra permettono di misurare non solo il valore di sen2 ϑW già riportato, ma anche il valore del rapporto ρ = MW2/MZ20 cos2 ϑW determina l’intensità della interazione debole da corrente neutra. Esso risulta uguale a uno, entro qualche per cento, in accordo con la predizione teorica, fornendo così una conferma indiretta del meccanismo di Higgs per la generazione delle masse dei bosoni intermedi. Dati sperimentali sono stati ottenuti in un gran numero di esperimenti relativi a diversi processi. Tra i processi puramente leptonici sono importanti le difficili misure delle reazioni di diffusione elastica ± νμ + e– → ± νμ + e– che sono indotte unicamente dalla corrente neutra poiché la transizione νμ ↔ e– non è presente tra i termini di corrente carica. Diversa è la situazione dei processi ± νe + e– → ± νe + e– ai quali contribuiscono sia le correnti cariche sia la corrente neutra. I processi semileptonici sono quelli per i quali esistono i dati più abbondanti. Vanno ricordati in particolare i processi inclusivi ± νμ + N → ± νμ + X che in effetti hanno portato alla scoperta della corrente neutra. Questi dati, insieme a quelli relativi ad alcuni specifici canali X, permettono di risalire agli accoppiamenti di corrente neutra dei singoli quark leggeri. Molto importante è stato anche l’esperimento, eseguito a SLAC, che ha rivelato la minuscola violazione di parità indotta dalla corrente debole neutra nel processo, dominato dalla interazione elettromagnetica, su deuterio e– + D → e– + X; l’effetto è stato misurato anche su protone, seppure con minore precisione. La quantità non nulla che dimostra la violazione di parità è la variazione percentuale, dell’ordine di 10–4, tra le sezioni d’urto da elettroni con elicità positiva oppure negativa. L’interazione tra elettroni e quark mediata dallo Z0 è anche responsabile di violazioni di parità in fisica atomica che sono però così piccole da poter essere osservate, con difficoltà, solo in casi particolarmente favorevoli. Alcune esperienze volte a questo scopo hanno in effetti misurato delle violazioni di parità, in buon accordo con le previsioni teoriche, pur nei limiti non stringenti degli errori sperimentali. La rivelazione di effetti da corrente neutra in processi non leptonici, infine, sarebbe in linea di principio possibile, ma è difficile in pratica. La verifica ultima della teoria si è avuta (1983) al CERN, grazie alla scoperta da parte di