Interdire

Enciclopedia Dantesca (1970)

interdire


È usato due volte nel Purgatorio; la prima volta, nello specifico significato di " emanare un interdetto " da parte dell'autorità (qui religiosa), quando nel girone dei golosi Forese parla di un tempo nel qual sarà in pergamo interdetto [" vetabitur publice in pulpito ", Benvenuto] a le sfacciate donne fiorentine l'andar mostrando con le poppe il petto (XXIII 100): " quando l'autore finge che avesse questa fantasia, incominciavano le donne a prendere la disonestà, e non era anco tanto cresciuta che meritasse riprensione; ma poi creve tanto eccessivamente, che al tempo, ch'elli scrisse et inanti, già si predicava contra tale disonestà dai predicatori " (Buti).

Con valutazione ovviamente anacronistica l'Ottimo riferisce l'evento a data successiva alla morte di D., " nel mille trecento cinquantuno essendo vescovo messer Agnolo Acciaioli "; un altro interdetto, ma non vescovile, è ricordato da G. Villani (IX 245): " Nel detto anno 1324... arbitri furono fatti in Firenze, i quali feciono... forti ordini contra i disordinati ornamenti delle donne di Firenze ". L'interdetto di cui parla D. nel luogo citato dovette invece cadere in una data imprecisabile tra il 1314 e il 1315: cfr. G. Petrocchi, Intorno alla pubblicazione dell'Inferno e del Purgatorio, in " Convivium " n.s., VI (1957) 652-669 (rist. in Itinerari danteschi, Bari 1969, 109-110).

Semplicemente per " vietare ", nel participio con valore predicativo di Pg XXIX 153 quando il carro [della processione nel Paradiso terrestre] a me fu rimpetto / ... quelle genti degne / parvero aver l'andar più [" il procedere oltre "] interdetto: ma non si tratta di un divieto esplicito, tanto vero che è detto per similitudine (parvero), e si potrebbe parafrasare con il come chi trova suo cammin riciso, di Pd XXIII 63.