Introduzione alla storia del Medioevo Centrale

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

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Introduzione alla storia del Medioevo Centrale

Laura Barletta

Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Nel secolo XII, in una cronaca di Sigisberto di Gembloux, si racconta che nell’anno Mille si era verificato un terremoto ed era apparsa una minacciosa cometa a forma di serpente: la rappresentazione del diavolo dell’Apocalisse di Giovanni, incatenato per 1000 anni e uscito ad annunciare la fine del mondo. Nulla ne sanno gli uomini dell’anno Mille che si apprestano a vivere una fase espansiva di lunga durata della loro storia. Agli inizi del secolo XI, in realtà, la popolazione europea è già in crescita e, con essa, aumentano i nuovi centri abitati, la densità demografica nelle città, la superficie delle terre coltivate, le attività artigiane e commerciali, i mercati, le fiere, le vie di comunicazione, i porti, i traffici marittimi e la circolazione monetaria. Questi cambiamenti non avvengono in modo uniforme in tutta l’Europa: basti pensare alla diversa conformazione geografica e urbana delle regioni europee e all’incidenza di guerre, invasioni o epidemie, ma si tratta comunque di una tendenza di fondo della società. Gruppi di contadini abbandonano i territori dei signori feudali e si spostano in zone disabitate per disboscarne e dissodarne i terreni e fondare nuovi villaggi; le popolazioni germaniche si espandono verso Oriente in quelle foreste dalle quali erano migrate secoli prima; popoli marinari come gli amalfitani si dirigono verso l’Oriente e i paesi arabi, o come i veneziani verso il mondo bizantino, mentre i frisoni e i vichinghi solcano il Baltico e i grandi fiumi russi; le zone paludose sono oggetto di grandi opere di bonifica e di canalizzazione; compaiono nuovi strumenti e tecniche nautiche (la bussola, i portolani, le carte nautiche) e agrarie (l’aratro pesante, la ferratura del cavallo, la rotazione triennale delle culture); accanto ai beni di prima necessità cominciano a circolare con maggiore frequenza beni di lusso, come i profumi, le spezie e le pietre preziose; la produzione si scompone in fasi di lavorazione e si organizza in botteghe artigiane; le città antiche assumono un nuovo ruolo di centro di produzione e di scambio, diverso da quello di centri di consumo che avevano avuto nel passato e si formano corporazioni di mestiere regolate da statuti che finiscono coll’assumere un rilevante peso economico e politico. Quella che affronta il nuovo millennio è insomma un’Europa che si libera sia dell’attesa di una prossima fine del tempo terreno, sia delle frontiere geografiche dell’antichità, sia dei limiti angusti della sopravvivenza.

L’Europa politica

Anche le cosiddette seconde invasioni, che nei due secoli precedenti hanno imperversato in Europa, si vanno esaurendo e, se ancora agli inizi del secolo XI le coste settentrionali del Mediterraneo sono soggette al dominio o alle scorrerie dei musulmani, la loro spinta offensiva si affievolisce: l’Italia meridionale e l’Adriatico sono già tornati sotto il controllo dell’impero bizantino, che vive una rinnovata epoca di splendore culturale, militare e amministrativo; nella penisola iberica i piccoli regni di Asturie e di Navarra e le contee di Castiglia e di Barcellona consolidano le proprie posizioni nei confronti del califfato omayyade di Cordova, il cui sfaldamento all’inizio del secolo XI consente l’offensiva cristiana. Gli Ungari, convertiti sotto Stefano I, si vanno stanziando nelle terre lungo il Danubio dopo le sconfitte subite per opera degli imperatori della dinastia sassone, e in particolare dopo quella di Lechfeld presso Augusta (955). Gli Slavi, già cristianizzati nel secolo IX, si organizzano territorialmente e formano regni e principati che avranno lunga vita nei Balcani e in Serbia, in Polonia, a Kiev. I Normanni, provenienti dalla penisola danese e dalla Scandinavia, si sono già stabiliti lungo le coste atlantiche, nella regione che sarà chiamata Normandia, costituendovi un ducato vassallo del re dei Franchi Carlo il Semplice e, durante il secolo XI, raggiungono probabilmente le coste canadesi nel corso di scorrerie che proseguono quelle dei secoli IX e X nelle isole atlantiche e lungo i fiumi russi.

Ma, soprattutto, a quell’epoca essi si insediano stabilmente nell’Italia meridionale e in Inghilterra: approfittando della lotta tra Bizantini e Longobardi che chiedono sostegni militari nei loro conflitti locali, Roberto il Guiscardo riesce a occupare gran parte dell’Italia meridionale e della Sicilia, mentre il duca di Normandia, Guglielmo il Conquistatore, sconfigge ad Hastings (1066) l’esercito anglosassone di Aroldo II e diventa re d’Inghilterra, creando in tal modo, fra l’altro, i presupposti per i successivi conflitti tra la Francia e l’Inghilterra, in virtù dei vincoli feudali che legano i due sovrani. Nel cuore dell’Europa si vanno ridefinendo regni e signorie locali, a partire dalla contea di Parigi, dove, dopo la crisi dinastica seguita alla deposizione di Carlo il Grosso, si afferma stabilmente la dinastia dei Capetingi, mentre ad Aquisgrana è già nato il Sacro Romano Impero della Nazione Germanica, intorno al quale ruoterà tanta parte della storia del continente.

Il feudalesimo maturo

Si vanno quindi delineando le aree europee destinate a essere protagoniste nelle vicende dei secoli successivi e si pongono le basi di conflitti e rapporti politici duraturi. Se da un lato la geografia politica dell’Europa, con la cristianizzazione e la stabilizzazione di nuove popolazioni, tende a estendersi a Oriente, dall’altro questa sua composizione la rende sempre più lontana e diversa da quella dell’impero romano d’Occidente, le cui frontiere continentali erano fissate al Reno e al Danubio.

Il sogno della renovatio imperii attraverso il matrimonio tra Ottone II di Sassonia e la principessa bizantina Teofano, svanisce nell’astrattezza della sua costruzione intellettuale e, definitivamente, con la morte di Ottone III, figlio dell’imperatore e di Teofano. Suggestionato dalla teorizzazione della sacralità del titolo imperiale elaborata dal suo precettore Gilberto di Aurillac, che fa eleggere papa nel 999 col nome di Silvestro II, Ottone III vive giovanissimo il sogno di riunire sotto l’impero tutta la cristianità, provocando in tal modo una vivace opposizione feudale e nobiliare soprattutto in Germania e in Italia, dove l’aristocrazia romana lo costringe ad abbandonare la città per morire l’anno dopo, senza eredi, nel convento di Monte Soratte.

Nel confronto fra l’ideale di un impero universale, che continua a essere presente nei primi secoli del nuovo millennio, e la concretezza del potere territoriale, è dunque quest’ultimo a prevalere e la capacità del feudalesimo di rispondere alle esigenze contemporanee come modalità di riorganizzazione del potere pubblico, la sua pervasività, il suo profondo radicamento in tutti gli aspetti della vita quotidiana sono dimostrati dalla lunghissima persistenza del diritto feudale in contesti molto diversi, quando il suo ruolo politico sarà esaurito ormai da un pezzo, fino alla fine dell’età moderna e, in alcuni paesi, anche più tardi.

Il feudalesimo raggiunge nei secoli XI e XII la sua età più matura, tanto che, mentre alcuni storici parlano di un secondo feudalesimo, altri ritengono che solo nei primi secoli del secondo millennio si assista a un’età propriamente feudale. Infatti, se l’ereditarietà dei feudi maggiori era stata sancita da Carlo il Calvo nel capitolare di Quercy (877), è solo nel 1037 che viene riconosciuta quella dei feudi minori con la  Constitutio de feudis di Corrado II. Si infoltiscono allora i ranghi feudali, si fa più minuta la frammentazione territoriale, crescono la feudalizzazione di funzioni e giurisdizioni pubbliche, nasce una feudalità ministeriale ed ecclesiastica che si troverà spesso a competere con quella aristocratica, si consolida la tendenza alla formalizzazione dei rapporti. Il che fa del feudalesimo un vero sistema sociale, economico e politico che, insieme alla relativa continuità dell’organizzazione del potere pubblico nelle città sedi episcopali e alla miriade di piccoli centri di potere intorno ai castelli, porta alle estreme conseguenze quel particolarismo che il costume germanico della divisione ereditaria dei beni tra i figli aveva già avviato.

Nuove regole per la società

È proprio il continuo scontrarsi e ricomporsi delle diverse istanze particolaristiche, insieme con il persistere dell’idea di un ordinamento politico universale, a costituire il complesso scenario nel quale coesistono sia la violenza diffusa e la preminenza dell’elemento militare rispetto alla sfera della politica, sia una rinata tendenza alla formazione di regole in grado di imbrigliare la conflittualità disarticolata della società: regole come le tregue di Dio (sospensione delle operazioni militari disposte dall’autorità ecclesiastica dal mercoledì sera al lunedì mattina e nei giorni festivi) istituite nei concili di Arles (1037-1041) o come quelle relative alla cavalleria, codificate alla fine del secolo XI nel Liber de vita christiana di Bonizone di Sutri che, a partire, non a caso, dalla Francia e con il sostegno della Chiesa, favoriscono la stabilizzazione della società, forniscono un quadro di riferimento alle sue frange più inquiete, diffondono un’etica che esalta la giustizia, la difesa dei deboli e gli ideali cristiani.

In questo quadro di sviluppo civile non sorprendono il più incisivo ruolo femminile, nei monasteri come nella vita politica e sociale, una maggiore attenzione per i giochi e gli svaghi, una più intensa vita sociale e una nuova diffusione dell’alfabetizzazione e della cultura. Dal secolo XI aumenta la disponibilità dei testi classici – già in circolazione dal secolo VIII – soprattutto in traduzioni dal greco, dall’arabo e dall’ebraico, aumentano i lettori, si moltiplicano le note a margine dei libri, segno di un nuovo interesse per il loro contenuto, i monasteri diventano luoghi di studio aperti ai giovani e si affermano le prime università laiche, quella di Bologna per il diritto, quella di Parigi per la teologia. E il diritto inizia ad assumere un rilievo particolare per regolamentare le più articolate componenti economiche, politiche e religiose della società. Accanto al perdurare di una pluralità di ordinamenti giuridici che si giustappongono e si sovrappongono e di un diritto personale, che varia a seconda dell’etnia, della provenienza, dello status, della condizione, delle consuetudini, si profila la formazione di un diritto comune alimentato dalla scienza dei giuristi e fondato sulla compilazione giustinianea. Una necessità non dissimile di chiarezza e di uniformità porta alla formazione di un diritto canonico distinto dalla teologia, sulla base di una raccolta di testi del Vecchio e del Nuovo Testamento e dei padri della Chiesa, di frammenti di diritto romano, di canoni conciliari e decretali pontifici effettuata dal monaco Graziano intorno al 1140. Il richiamo a una romanità recuperata attraverso il diritto è anche a fondamento di una prima laicizzazione della politica, i cui segni possono essere intravisti nei Comuni, soprattutto in Italia, dove va perdendo centralità la figura del vescovo e le istituzioni politiche si richiamano all’età della res publica romana.

Rinnovamento religioso e riforma della Chiesa

In questo quadro dominato dal particolarismo, ma percorso dalla ricerca di prospettive più sicure e più ampie, si inserisce anche la tensione verso il rinnovamento religioso e la riforma della Chiesa. Un clero dedito alla simonia e al concubinato non sembra rispondere alla sua funzione di tramite con l’aldilà e, d’altra parte, una società che cresce e si diversifica richiede un corpo ecclesiastico meglio definito e specializzato.

I nuovi movimenti religiosi, pur nelle loro sensibili differenze, mostrano in sostanza una cifra comune nell’aspirazione alla semplicità evangelica, spesso alla povertà dei primi tempi e con un’aderenza al piano naturale che può giungere fino al rispetto per la vita di ogni essere, ma anche all’abolizione delle gerarchie e dei sacramenti e a rivendicazioni sociali e politiche. Patarini, catari, valdesi, umiliati, “manichei” di Aquitania, canonici di Orléans, eretici di Arras, eretici di Monforte e molti altri restano per un tempo più o meno lungo fra l’ortodossia e l’eresia.

Del resto molte delle loro istanze sono comuni ai movimenti riformatori che operano all’interno della Chiesa: basti pensare alla fondazione di monasteri che mirano a stabilizzare i monaci erranti, a controllarli, a uniformarne la dottrina, a sottrarli all’influenza mondana, a partire da quello di Cluny (910), che nasce proprio con lo scopo di liberare la Chiesa dalle ingerenze aristocratiche, fino al primo monastero vallombrosiano (1115) o a quello dei Cistercensi a Cîteaux (1098), o ancora a quello di Prémontré, per citarne solo alcuni fra i più noti. Il risultato non sarà sempre duraturo, gli stessi monasteri cluniacensi, ispiratori della riforma, vere e proprie fucine di personalità politiche e religiose, sono a loro volta oggetto di critiche severe e nuovi ordini religiosi vengono a imporre una disciplina più rigorosa.

Questi tentativi si inseriscono nella tendenza a ridare dignità al clero attraverso la moralizzazione dei suoi costumi e prestigio al papato attraverso l’eliminazione degli intrighi romani e dell’influenza dell’imperatore nell’ambito di un vasto disegno inteso a separare l’intreccio di interessi fra laici ed ecclesiastici, a distinguere la sfera religiosa da quella secolare, a riorganizzare il clero, e sopratutto ad assicurare la preminenza della Chiesa su ogni potere terreno in virtù della sua missione salvifica.

Il movimento di riforma è favorito dall’imperatore Enrico III, che sollecita il papa Clemente II a condannare la simonia nel concilio di Sutri (1046) e svolge un ruolo determinante nella nomina a papa di Brunone, vescovo di Toul (1049), che con il nome di Leone IX chiama a Roma i principali esponenti riformisti, tra cui Pier Damiani e Ildebrando da Soana. Questa Chiesa forte, che vuole il primatus Petri e la libertas ecclesiae romanae, rompe nel 1054 ogni rapporto con la Chiesa greca del patriarca Michele Cerulario e, dopo la morte di Enrico III, durante la reggenza di sua moglie Agnese di Poitou, emana nel 1059 il decreto che sottrae l’elezione del papa al controllo imperiale, particolarmente pressante dopo l’introduzione, nel secolo precedente, del privilegium othonis. L’assunzione della potestà imperiale nel 1066 da parte di Enrico IV vede un sostanziale rovesciamento dei rapporti di forza tra il papa e l’imperatore, costretto a combattere contro l’usurpazione di prerogative imperiali da parte di duchi e principi tedeschi appoggiati da feudatari minori. È durante questa lotta che Gregorio VII promuove un concilio che nel 1075, oltre a riaffermare la condanna della simonia e del concubinato, introduce il divieto dell’investitura degli ecclesiastici da parte dei laici, mentre in un testo coevo di 27 massime, noto come Dictatus Papae, si sancisce il primato del vescovo di Roma, legittimato anche a deporre l’imperatore. Scelta questa che apre la via alla lotta per le investiture e al conseguente secolare conflitto fra Chiesa e Stato. Nell’anno seguente, conclusa vittoriosamente in Germania la prova di forza contro la feudalità tedesca, Enrico IV, nel sinodo di Worms del 1076, depone il papa, il quale a sua volta lo depone e lo scomunica, sciogliendo dal vincolo di fedeltà all’imperatore l’aristocrazia tedesca, le cui frange ribelli convocano una dieta ad Augusta (1077) per giudicarlo. L’umiliazione di Canossa (1077), la vittoria in Germania nel 1080 contro Rodolfo di Svevia e i feudatari ribelli, la spedizione nel 1081 in Italia contro le truppe della contessa Matilde e l’assedio e la presa di Roma del 1084 rappresentano le tappe di uno scontro che si conclude con la morte di Gregorio VII nel 1085 a Salerno, dove si era rifugiato presso i Normanni di Roberto il Guiscardo. La lotta per le investiture terminerà con il concordato di Worms (1122) tra Callisto II e Enrico V.

La cristianità in espansione

Nonostante questi contrasti il rinnovamento ideologico e politico della Chiesa manifesta tutta la sua forza con Urbano II nell’organizzazione – a opera del legato pontificio Adhemar, vescovo di Puy – della prima crociata, iniziata nel 1096 e conclusasi vittoriosamente nell’estate del 1099 con la conquista di Gerusalemme, intesa come un pellegrinaggio ai luoghi santi che coinvolge larghe masse di penitenti e di armati, per lo più cavalieri cadetti, sotto il comando di capi lorenesi, francesi, fiamminghi e normanni, come Goffredo di Buglione – che diventerà re di Gerusalemme –, suo fratello Baldovino di Boulogne, Raimondo di Tolosa, Ugo di Vermandois, Roberto II di Normandia, Roberto II di Fiandra, Tancredi e Boemondo d’Altavilla, alla ricerca di nuovi orizzonti spirituali, politici e commerciali. Alle crociate è legata, oltre che un’esplosione di religiosità, anche un’accelerazione del processo di espansione delle attività di città costiere italiane, come Genova e Pisa, che conducono una politica aggressiva contro i musulmani, cacciati con le armi dalla Corsica e dalla Sardegna. Venezia, a sua volta, per le disposizioni favorevoli dell’imperatore Alessio I Commeno, assume un ruolo determinante nei commerci dell’Adriatico, dello Jonio e dell’Egeo sotto il controllo bizantino.

Ma in quegli anni è tutta la cristianità a essere in espansione. In Spagna Rodrigo Diaz, detto il Cid, partecipa alla conquista di Toledo (1085) e alcuni anni dopo, nel 1118, Alfonso I d’Aragona entra in Saragozza, mentre in Oriente si formano, dopo la conquista di Gerusalemme, piccoli stati crociati a carattere feudale, come il Regno dell’Armenia minore, la contea di Edessa, il principato di Antiochia, la contea di Tripoli, oltre allo stesso regno di Gerusalemme. Vengono istituiti anche ordini religiosi militari, nati per difendere i luoghi santi, ma poi presenti dovunque una lotta possa essere condotta contro gli infedeli e offrire occasione di gloria e di arricchimento. Seguiranno nel secolo XII una seconda e una terza crociata cui parteciperanno senza successo i sovrani europei.

Le autonomie comunali e l’impero

La vitalità europea si manifesta anche nella nuova concezione dei Comuni che nell’Italia settentrionale cercano di fare valere le proprie autonomie. È soprattutto nell’ultima parte del secolo XI che i Comuni iniziano ad assumere un assetto istituzionale fondato sulle assemblee cittadine, dette arengo o parlamento, che eleggono i consoli ai quali affidano temporaneamente, per sei mesi o un anno, le funzioni di governo, e i consigli (Consiglio maggiore e Consiglio di credenza) con funzioni consultive.

Nella stratificazione sociale delle realtà comunali si forma una distinzione fra grandi magnati (nobili, feudatari inurbati e ricchi borghesi), popolo (banchieri e grandi mercanti), popolo minuto (artigiani e bottegai) e plebe priva di diritti politici (servi e salariati). La complessa articolazione del sistema comunale, caratterizzato dal ricorso a forme associative per ciascuna componente sociale, comporta una notevole conflittualità politica nei confronti dei gruppi egemoni e in particolare dei grandi magnati dei quali i consoli finiscono per essere espressione. Di qui, verso la fine del secolo XII, la tendenza dei Comuni a ricorrere a organi di governo astrattamente neutrali, come i potestà, veri e propri professionisti della politica, scelti fra stranieri apparentemente privi di vincoli rispetto ai gruppi egemoni. I comuni italiani assumono un ruolo particolarmente rilevante nel confronto con l’impero e in particolare con Federico Barbarossa, che assume il potere nel 1152 e deve combattere ripetutamente in Italia per ripristinare l’autorità imperiale contro leghe in grado di opporre una valida resistenza, come quella della marca veronese in occasione della sua terza discesa in Italia (1163-1164) o della Lega Lombarda in occasione della quarta (1166-1168) e della quinta (1174-1178). Federico non trascura né la via militare, né i canali diplomatici, né quelli degli accordi dinastici, come da tradizione (nel 1178 viene incoronato ad Arles re di Borgogna dopo avere sposato Beatrice nel 1156, mentre in occasione della sua sesta discesa in Italia fra il 1184 e il 1186 si allea con il comune di Milano, dove suo figlio Enrico VI è incoronato re d’Italia e sposa Costanza d’Altavilla, acquisendone i diritti ereditari sull’Italia meridionale), ma introduce una novità a sostegno del suo disegno politico fondato anche su una scienza civile e neutrale per definizione come quella giuridica. È nel diritto romano, nel sapere giuridico di Bulgaro, Martino, Jacopo e Ugo, tutti allievi di Irnerio, che, nella seconda dieta di Roncaglia (1158), l’imperatore cerca una giustificazione che gli permetta di pretendere la restituzione alla corona delle regalie imperiali da parte dei Comuni. Il ricorso a questa neutralità laica è ribadito da Federico anche nella sua pretesa di imporre un podestà imperiale ai Comuni ribelli ed emergerà nuovamente quando, tra il 1178 e il 1180, l’imperatore promuoverà davanti al tribunale palatino prima e ai principi di Sassonia poi il processo a Enrico il Leone, reo di avergli negato l’aiuto militare in Italia durante la sua quinta discesa.

Il secolo XII si chiude con le morti improvvise di Enrico VI e di Costanza d’Altavilla e l’ascesa al pontificato, nel 1198, di Innocenzo III, che teorizza la superiorità del potere spirituale su quello politico e trova spazio per la sua concezione teocratica del potere nella debolezza dell’impero, il cui possibile erede Federico II è affidato alla sua tutela, e nel conflitto tra la monarchia inglese di Giovanni Senzaterra e la Francia di Filippo Augusto.

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