IONI

Enciclopedia Italiana (1933)

IONI ("Ιωνες, Iōnes)

Arnaldo Momigliano

Una delle stirpi greche. Secondo il concetto comune a tutti i popoli antichi, i membri di essa credevano di derivare da un unico capostipite, Ione figlio di Xuto e fratello di Acheo: Xuto sarebbe stato a sua volta figlio di Elleno e fratello di Doro e di Eolo. Questa genealogia (che si trova già in Esiodo) tradisce il suo carattere artificioso, perché Xuto "il biondo" (Ξουϑός) non è altro che un epiteto di Apollo, e dunque si è voluto combinare la tradizione, che faceva di Ione un figlio di Apollo, venerato infatti dagli Ioni come padre (Apollo Patroo), con l'altra tradizione che faceva derivare i capostipiti delle quattro stirpi greche da Elleno, il padre di tutti i Greci. Acheo poi fu considerato più strettamente congiunto con Ione che non gli altri capostipiti, perché una serie di leggende connetteva gli Ioni con l'Acaia. Si narrava appunto che Xuto dalla sua originaria sede in Tessaglia era passato ad Atene, dove, sposatosi con la figlia del re Eretteo, ne aveva avuto i due figli, ma poi era stato cacciato anche dall'Attica ed era andato in Acaia. Ione si era qui impadronito della regione di Egialo e perciò gli abitanti da Egialei mutarono il loro nome in Ioni. Più tardi, sospinti dall'invasione dorica sopravveniente, gli Ioni (sempre secondo la tradizione) abbandonarono l'Acaia ed emigrarono ad Atene con a capo Melanto, che vi fu nominato re ed ebbe figlio Codro. Dei figli di Codro uno, Medonte, ereditò il regno di Atene, gli altri emigrarono in Asia Minore e vi fondarono le dodici colonie ioniche.

Ora, a prescindere dagli altri particolari, è assai difficile potere stabilire se questa tradizione, dell'esistenza in Acaia di una popolazione che aveva nome di Ioni, abbia qualche fondamento di verità. L' unico fatto positivo di cui noi disponiamo è che a Sicione c'era una tribù detta degli Egialei, che era aggiunta alle tre tribù doriche e quindi era probabilmente composta di gente ammessa tardi nella cittadinanza; ma nulla ci conferma che questi Egialei di Sicione fossero Ioni e quindi si entra in un circolo vizioso quando si sostiene l'esistenza di Ioni in Sicione, perché c'erano degli Ioni in Egialo, e poi viceversa si conferma l'esistenza degli Ioni di Acaia con gli Egialei di Sicione. Del resto la tradizione ora citata non è l'unica sulla residenza degli Ioni nel Peloponneso. Erodoto (VIII, 73) ci parla di Ioni che una volta avrebbero risieduto in Cinuria e sarebbero stati poi assimilati alla popolazione locale; diffusissima era poi l'opinione che gli Ioni fossero andati in Asia partendo da Pilo in Messenia. Nessun argomento sta in favore di questa tradizione. La tradizione più comune poi è certamente falsa: essa si basa sul fatto che colui il quale era ritenuto il fondatore di Mileto o anche di tutte le colonie ioniche (v. più sotto), Neleo, era stimato o un re di Pilo egli stesso o un omonimo discendente del re di Pilo. Ma Neleo era in realtà una divinità infera, e la sua patria, Pilo, non era già in origine la città messenica, ma la "porta" (πύλος, πύλη) dell'inferno. Quando sparì la coscienza della natura infernale di Neleo, lo si credette un capostipite umano e perciò lo si localizzò a Pilo e si favoleggiò della derivazione degli Ioni da Pilo. Questo esempio ci fa dubitare che anche le altre tradizioni possano essere state originate non da ricordi storici, ma da combinazioni artificiose.

Di certo possiamo solo dire che fin dai più antichi tempi della storia greca abitavano al di quà e al di là dell'Egeo, rispettivamente per un lato nell'Attica e nell'Eubea e per l'altro lato in una striscia di costa dell'Asia Minore press'a poco fra le valli del Caico e del Meandro, delle popolazioni che parlavano un dialetto greco loro peculiare e ben distinto dagli altri dialetti greci per alcune caratteristiche, tra cui ricorderemo la contrazione di αε in ā anziché in η, la sostituzione di η ad ā degli altri dialetti (δῆμος per δᾶμος), la particella ἄυ comune solo con l'arcadico in confronto al , κέ degli altri dialetti, e presto la sparizione totale del digamma (v. grecia: Lingua). Queste popolazioni inoltre avevano una suddivisione caratteristica in quattro tribù (Γελέοντες, "Οπλητες, 'Αγραδεῖς). Poiché in ogni fondazione di nuove città erano inviati ad abitarla rappresentanti di tutte quattro le tribù, queste quattro tribù si dovevano trovare all'origine in ogni città ionica: e quando erano poi aggregati elementi stranieri, quasi sempre essi erano raccolti in ulteriori tribù di nuova fondazione (tra le più diffuse in Ionia quelle dei βορεῖς e Οἰνῶπες destinati evidentemente a raccogliere l'elemento indigeno penetrato molto fra i Greci).

Poiché la comunanza del dialetto e delle tribù presuppone che queste popolazioni, separate in due gruppi dal mare in tempo a noi noto, fossero in tempo più antico unite, e poiché d'altra parte non è verosimile che gli Ioni possano essere originarî d'una terra come l'Asia Minore, di cui occuparono sempre soltanto le coste, è credibile che gli Ioni d'Asia venissero da qualche regione del continente greco; ma quale fosse questa regione non sappiamo, e se non è da escludere che uno dei centri di espansione verso l'Asia possa essere l'Attica stessa, resta il problema della provenienza degli Ioni che vennero ad abitare l'Attica e quindi il problema del luogo o del tempo in cui si formò la distinzione delle varie stirpi greche. Il nome però degli Ioni (d'incerta etimologia) dovette sorgere in Asia, perché esso restò proprio soltanto degli Ioni di Asia.

La forma più antica del nome doveva essere 'Ιάονες, donde con la S caduta del digamma deriva la forma che si trova in Omero 'Ιαονες: la forma "Ιωνες per la differenza dell'accento non può considerarsi una contrazione di 'Ιάονες, e resta linguisticamente oscura. L'esistenza della forma col digamma ci è testimoniata direttamente da quelle lingue di popoli orientali, che, a contatto con gli Ioni prima che con gli altri Greci, chiamarono la Grecia Ionia (cfr. l'ebraico Yāwān = Grecia).

Come dimostra il fatto stesso della limitazione del nome Ioni agli Ioni d'Asia, questi ultimi si sentirono assai più legati fra loro che non con coloro che parlavano più o meno il medesimo dialetto in Attica e in Eubea. Ma la coscienza dell'unità della stirpe rimase in tutti fortissima, alimentata, oltre che dal dialetto e dalle peculiari divisioni etniche, da un patrimonio mitico-religioso comune (Neleo, Codro, Apollo Patroo, ecc.), da feste religiose peculiari (le Apaturie), dalla contrapposizione con le altre stirpi e in specie con i Dori, per cui certi santuarî erano aperti ai soli Ioni, dall'affine vita sociale basata sul commercio e sulla navigazione.

Prova ne è che nella anfizionia delfiese Atene stava fra gli Ioni e in tempo storico aveva uno dei due voti a loro riservati. Inoltre fin dal sec. VII a. C. tutti gli Ioni si radunavano per feste comuni a Delo sotto l'egida di Apollo (come già appare dall'inno omerico al medesimo). . Tuttavia è indubbio che la storia degli Ioni d'Asia si svolse indipendente da quella degli Ateniesi ed Eubei, ed è perciò opportuno nello studiare la loro storia considerare Ateniesi ed Eubei, soprattutto i primi, solo come delle genti affini, con cui gli Ioni ebbero maggiori relazioni. È bene anche non confondere con la storia degli Ioni la storia della colonizzazione ionica occidentale. Questa colonizzazione è più tarda (dal principio del sec. VIII alla fine del VII circa) ed è dovuta nella maggior parte a Calcide di Eubea, da cui furono fondate Cuma, Reggio, Nasso, Zancle (e da Nasso a sua volta derivarono Catania e Leontini, come da Zancle Mile e Imera), nel resto agli Ioni stessi d'Asia, a cui si deve la fondazione di Siri in Italia, per opera di Colofone, e di Massalia (Marsiglia) in Gallia, per opera di Focea, dalla quale Massalia poi derivarono Nicea (Nizza), Antipoli (Antibo), Olbia, Tauroeis sulla costa francese, Emporia, Alone, Emeroscopio e Menace in Spagna.

A quando risalga l'emigrazione degli Ioni in Asia non è dato sicuramente sapere. Gli antichi ritenevano che essi si fossero sovrapposti a Lelegi, Carî, Cretesi: il che è vero nel senso generico che essi trovarono certamente una civiltà fiorente in Asia, di cui ora conosciamo abbastanza bene la fase hittita (v. hittiti), ma difficilmente corrisponde a ricordi precisi sulla qualità di tali popolazioni preesistenti. Gli scavi intrapresi da Inglesi, Tedeschi e Austriaci nei centri principali della Ionia (soprattutto a Efeso e Mileto e più recentemente a Smirne) hanno di solito trascurato gli strati più antichi. Gli unici importanti resti micenei sono stati trovati a Mileto (qualcosa anche a Efeso); e per quanto da taluni si vogliano ritenere appartenenti a una popolazione pre-ionica, è molto verosimile che essi siano la più antica testimonianza degli Ioni di Asia. Resti di vasi di stile geometrico si trovano poi in ogni luogo: e quindi è da ritenere che fra il tardo miceneo e il primo geometrico vada posta la fioritura delle colonie ioniche, fra il sec. XI e il IX a. C.

Il primo fatto conosciuto della storia ionica è la guerra di Efeso, Samo, Priene e Mileto contro la città greca di Melia, che fu distrutto (Vitruvio, IV,1). Venne tuttavia conservato il santuario a Posidone Eliconio, che era nella città. Poiché questo santuario ci appare più tardi come il centro della lega ionica sotto il nome di Panionio, è stato congetturato giustamente che la lega ionica si sia fondata in seguito alla guerra contro Melia come allargamento dell'alleanza fra le quattro città ioniche che vi avevano partecipato.

Non sappiamo se sin dall'origine le città partecipanti alla lega siano state tutte le dodici a noi note (Focea, Eritre, Chio, Clazomene, Colofone, Mileto, Miunte, Priene, Samo, Teo, Lebedo, Efeso): certo quando l'Iliade, XI, 692, attribuisce a Neleo dodici figli, presuppone già dodici città ioniche confederate, le quali tutte, e non solo Mileto, come ci testimonia la tradizione indigena più tarda, si ritenevano derivate da Neleo. Questo passo è anche l'unico documento che ci resta per datare la presa di Melia e la fondazione della lega, ma per l'incertezza della cronologia della composizione dell'Iliade è difficilmente utilizzabile.

Le colonie ioniche, se anche nei tempi omerici erano soprattutto centri agricoli, si trasformarono rapidamente nel sec. IX e nell'VIII in centri commerciali, che non avevano rivali se non tra i Fenici. Il commercio era sia marittimo per tutto il Mediterraneo e per il Mar Nero, sia terrestre lungo le vie carovaniere, che dalla Mesopotamia giungevano attraverso l'Eufrate e il Tauro nelle valli dell'Ermo e del Meandro. Era commercio di grani, spezie, tessuti e vasi di produzione propria, minerali, ecc., sostenuto dalla fondazione di una fitta rete di fattorie, poi trasformatesi quasi tutte in città, dovute del resto in parte anche alla sovrapopolazione delle metropoli. La fondazione di filiali divenne tanto più necessaria con l'accrescersi della potenza, nel sec. VII, del regno di Lidia, che minacciava di chiudere gli sbocchi verso l'interno dell'Asia. L'attività più intensa nel fondare nuove città fu di Mileto, cui spetta anche il merito di aver aperto l'Egitto alla penetrazione greca sostenendo la sua lotta per l'indipendenza e ottenendo compensi commerciali. In Egitto i Milesî fondarono nel VII secolo una fortezza a deposito e protezione dei loro scambî commerciali, che poi si trasformò nell'emporio di Naucrati, in cui avevano loro quartieri tutte le principali città ioniche. Risale al secolo VI l'accentuarsi dell'espansione in Occidente, di cui fu massimo prodotto (verso il 600) la fondazione di Massalia da parte dei Focesi.

All'attività commerciale si accompagnava un'altrettanto intensa attività intellettuale, eccitata dalle relazioni con popoli svariati, con forme mentali differenti. In questi contatti la fede nella religione greca ereditata venne ben presto meno negli spiriti più vivaci: e nella ricerca di sostituirla prevalevano, non senza influenze orientali, tendenze naturalistiche, ora accentuandone gli aspetti costruttivi di un cosmo nuovo (Talete, Anassimene, Anassimandro), ora i lati distruttivi del cosmo vecchio (Senofane e, in parte, Ecateo), ora infine giungendo a intuire, a conciliazione del cosmo vecchio e del nuovo, nello stesso trapasso delle cose l'essenza della realtà (Eraclito). Dovunque era poi diffuso l'amore per la cultura, per la bellezza (sull'arte ionica, v. Grecia: Arte) e il lusso: e perciò i fautori dell'austerità della dorica Sparta le contrapporranno poi spesso la mollezza ionica, ma dimenticando che questa mollezza era il prodotto raffinato di uno spirito libero, intraprendente e coraggioso.

L'intensa attività commerciale non poteva non essere accompagnata da conflitti, sia tra le diverse città ioniche in concorrenza fra di loro, sia con Greci e barbari vicini. Abbiamo così, ad es., notizia di un conflitto che portò intorno all'800 a. C. allo ionizzamento dell'eolica Smirne da parte di Colofone: circa un secolo dopo si parla di una sconfitta che una flotta ionica ricevette da Sennacherib: intorno al 600 Samo e Mileto, per quanto abitualmente rivali, si unirono per rovinare Priene. Ma la lotta di gran lunga più importante fu quella con i vicini Lidî, che finirono per prevalere per le discordie interne degli Ioni, male raffrenate dall'organismo federale (di cui ignoriamo la struttura) sempre più impotente. Lungo la seconda metà del sec. VII e la prima del VI la mira dei Mermnadi, sovrani di Lidia, e soprattutto di Aliatte e di suo figlio Creso fu di estendere in ogni modo diretto o indiretto la propria influenza sulle città ioniche. Loro particolare cura fu d'intervenire nei conflitti interni delle città. In queste un'aristocrazia di grandi proprietarî fondiari e commercianti si era da tempo sostituita alla vecchia monarchia ereditaria (dei Nelidi a Mileto, dei Codridi a Teo, Eritre, ecc.): era un'oligarchia spesso concentrata in un solo gruppo famigliare come quello dei Basilidi di Efeso o di Eritre. Ma l'incremento delle industrie e del commercio aveva per un ulteriore sviluppo dato forza anche alle masse popolari, che dovunque si ergevano contro le aristocrazie e davano luogo a tirannidi. A queste vennero in aiuto appunto i Mermnadi: è tipico che un tiranno di Efeso, Mila, sposasse una figlia di Aliatte.

La penetrazione riuscì così bene, che Creso sottopose a tributo tutte le città ioniche: quelle poche (come Efeso) che tentarono ribellarsi rimasero isolate e dovettero sottomettersi. Il governo di Creso fu assai mite, e perciò gli Ioni non lo abbandonarono, salvo i Milesî, nella lotta contro Ciro di Persia. La rovina di Creso portò quindi naturalmente al dominio persiano nella Ionia, e alcune città (Priene, Focea, Teo) furono anche fieramente punite per la loro resistenza. Ma nel complesso, secondo la tendenza della politica persiana, gli Ioni furono trattati mitemente e aggregati alla satrapia di Lidia con l'obbligo del tributo e di fornire un contingente militare. Tuttavia un gravissimo danno venne agli Ioni dallo stesso incremento della potenza persiana. Con la conquista dell'Egitto essa metteva fine al predominio commerciale ionico nella regione; con la spedizione scitica giungeva a controllare gli sbocchi del Mar Nero. Sopravveniva infine, indipendentemente, la rovina di Sibari in Italia, che era stata uno dei centri del commercio ionico in Occidente. Si venne così formando quel disagio economico, che preparò la ribellione ionica; ma tale ribellione non sarebbe mai avvenuta, se il disagio economico non avesse innanzi tutto accentuato il sentimento nazionale degli Ioni con l'impedire la pacifica convivenza coi dominatori. La ribellione guidata da Aristagora di Mileto (500-494 a. C.) non poté tuttavia ottenere alcun risultato, dopo il primo successo di occupare e ardere la capitale della satrapia lidica, Sardi, perché mancò l'aiuto dei Greci continentali. Con la distruzione di Mileto nel 494 la rivolta era domata. Ma la sorte toccata agli Ioni ebbe efficacia nel decidere i Greci alla resistenza disperata nelle guerre persiane, involgendo per di più nel loro programma la liberazione degli Ioni. E infatti dopo la battaglia di Micale (479 a. C.) gli Ioni ridiventarono liberi.

Gli antichi legami e le affinità spirituali orientarono allora glí Ioni verso Atene ed essi nel 478 entrarono a far parte della lega delio-attica (v. delio-attica, lega). Risale a questo tempo la genesi della tradizione che fa Atene fondatrice di tutte le città ioniche considerando i fondatori delle singole città dei figli di Codro o ritenendo che Neleo, trasformato in figlio di Codro, le avesse fondate tutte. Presto tuttavia anche l'egemonia ateniese fu sentita come un peso, tanto più che essa andava a tutto vantaggio del commercio ateniese. Atene fu allora forzata a imporre modificazioni nelle costituzioni delle città per meglio assicurarsene il predominio (così Mileto ebbe l'ordinamento clistenico in dodici tribù). Ma il malcontento, che già si era manifestato nella ribellione di Samo del 440, portò al passaggio delle città ioniche a Sparta durante la guerra del Peloponneso. E tuttavia, per l'alleanza fra Sparta e la Persia, il risultato ne fu che di fatto, se non di diritto, dal 404 in poi le città ioniche tornarono sotto il dominio persiano (v. grecia: Storia). Il loro tentativo di partecipare alla ribellione di Ciro il giovane, da cui si tenne lontana solo Mileto, fallì con la morte di Ciro a Cunassa, né variò durevolmente la loro condizione con la spedizione in Asia di Agesilao di Sparta, volta nello stesso tempo a liberare gli Ioni e ad impedire la preponderanza persiana nel bacino dell'Egeo. Fallita anche questa spedizione, nel 386 la cosiddetta pace del re sanciva legalmente il dominio persiano su tutte le città ioniche della costa (ne erano cioè eccettuate Samo e Chio). Le precarie condizioni dell'impero persiano, le frequenti rivolte dei satrapi fecero tuttavia sì che anche le città rimaste sotto il dominio persiano godessero di una relativa autonomia: Eritre ad esempio poteva stringere un patto con Ermia d'Atarneo, Mitilene un trattato con Focea, ecc. Ma una unità ionica, sia pure nel senso relativo in cui prima era esistita, venne meno.

Il dominio persiano trasformò gli Ioni in Greci. E perciò non si potrà più parlare di storia ionica, ma di storia delle singole città. Ciò non vuol dire, s'intende, che sparisse al tutto la coscienza dell'unità di stirpe, tanto più che Alessandro Magno ricostruì, dopo la vittoria del Granico, la lega ionica. E questa lega era ancora viva nel sec. III d. C., sotto il dominio romano, con funzioni sacrali e perciò appunto sotto la direzione di un gran sacerdote (ἀρχιερεύς), accanto al quale le iscrizioni imperiali nominarono un re (βασιλεὺς τῶν 'Ιώνον), le cui origini e i cui compiti sono estremamente oscuri. Ma di fatto le singole città agirono sempre di per sé, e solo si può dire che spesso la maggioranza di esse si trovò coinvolta in identiche vicende. Rimaste fedeli in genere ad Antigono Monoftalmo e a Demetrio Poliorcete, passarono poi intorno al 294 in mano di Lisimaco, che impose violenti cambiamenti, ricostruì Efeso, distrusse Colofone, aggiunse alla lega Smirne, sottopose la lega medesima a uno stratego, ecc. Donde il grave malcontento che favorì la ribellione in favore di Seleuco I di Siria, al qual regno queste città appartennero, salvo brevi intervalli di supremazia tolemaica, fino alla conquista romana, ma senza mai avere pace per la lotta continua a cui parteciparono insieme con tutte le città greche contro le pretese accentratrici del governo siriaco, per mantenere le loro autonomie, perdute e riacquistate più di una volta. Quando infine, nel 197 circa, Antioco III nell'ultimo tentativo di domare le città greche dell'Asia le sottopose a tributo e a presidio, non fece che incitare grande parte di queste città a passare ai Romani. Dopo il trattato di Apamea (190 a. C.) le città che si erano ribellate ad Antioco (sono sicuri i nomi di Clazomene, Eritre, Chio, Colofone, Mileto, Priene) furono proclamate autonome, le altre divennero tributarie del regno di Pergamo: tutte insomma caddero nell'orbita del regno di Pergamo e col regno di Pergamo passarono, conservando la loro precedente condizione, nella provincia d'Asia il 133 a. C. (v. asia minore.

Bibl.: Per la storia arcaica: E. Meyer, Herodot über die Ionier, in Philologus, XLVIII (1889) p. 268 segg.; Die Forschungen zur alten Geschichte, I, p. 125 segg.; id., Die Heimath der Ionier, in Philologus, XLIX (1890), p. 479 segg.; id., Geschichte des Altertums, II, i, 2ª ed., Stoccarda e Berlino 1928; J. Beloch, Griechische Geschichte, I, i, 2ª ed., Strasburgo 1912, p. 126 segg.; U. von Wilamowitz, Über die ionische Wanderung, in Sitzungsb. Berl. Akad., 1906, p. 59 segg.; id., Panionion, in Sitzungsb. Berl. Akad., 1906, p. 38 segg.; D. Hogarth, Ionia and the East, Oxford 1909; id., Cambridge Ancient History, II (1924), p. 542 segg.; P. Kretschmer, Ionier und Achäer, in Glotta, I (1909), p. 9 segg.; L. Pareti, Storia di Sparta Arcaica, Firenze 1920, I, p. 42 segg.; W. Ramsay, Asianic Elements in Greek Civilisation, Londra 1927, p. 1 segg.; F. Bilabel, Die ionische Kolonisation, in Philologus, Suppl. XIV, i, Lipsia 1920.

Per le tribù ioniche, v. inoltre: E. Szanto, Die griechischen Phylen, in Sitzungsb. Akad. Wien, CXXIV (1902), parte 5ª, Ausgewählte Abhandlungen, p. 257 segg.; J. Lezius, Gentilizische und Locale Phylen in Attica, in Philol., LXVI (1907), p. 321 segg.; J. Bolkenstein, Zur Entstehung der ionischen Phylen, in Klio, XIII (1913), p. 424 segg.; G. De Sanctis, 'Ατϑίς, 2ª ed., Torino 1912, p. 48 segg.; V. Costanzi, I nomi delle tribù ioniche rischiarati con l'analogia dei nomi delle tribù di Tegea, in Annali delle Università toscane, n. s., XI (1927), p. 1 segg.

Per la storia della Ionia dal sec. VII in poi, è necessario tenere presenti, oltre le storie greche generali, le monografie sulle singole città. Per la storia del periodo ellenistico e romano si v. inoltre asia minore; pergamo; siria e la relativa bibliografia. Qui ricorderemo solo per la ribellione ionica: Th. Lenschau, Zur Geschichte Joniens, in Klio, XIII (1913), p. 175 segg.; G. De Sanctis, Aristagora di Mileto, in Rivista filol. class., LIX (1931), p. 48 segg. (Problemi di storia antica, Bari 1932, p. 63 segg.), e per la storia del sec. IV, W. Judeich, Kleinasiatische Studien, Marburgo 1892. Si cfr. poi in genere Th. Lenschau, in Pauly-Wissowa, Real-Encykl., IX, col. 1869 segg., e meglio M. O. B. Caspari, The ironian confederacy, in Journal of Hell. Stud., XXXV (1915), p. 173 segg.

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