IONIZZAZIONE

Enciclopedia Italiana (1933)

IONIZZAZIONE

Leonardo MARTINOZZI
Giovanni junior GENTILE

. Con questo termine si comprendono tutti i processi in cui i gas, sotto l'azione d'un agente esterno, detto agente ionizzante, perdono la loro caratteristica d'essere isolanti e divengono buoni conduttori dell'elettricità. Un elettroscopio conserva in condizioni ordinarie, la carica elettrica per molto tempo, ma se l'aria o altro gas a contatto con le parti elettrizzate è sottoposto all'azione dei raggi X o di luce ultravioletta, si può constatare il fatto che l'elettroscopio si scarica rapidamente. Si dice allora che il gas è stato ionizzato: l'assorbimento della radiazione da parte d'una molecola del gas provoca difatti la liberazione d'un elettrone. La molecola assume così una carica positiva, mentre l'elettrone vaga libero per il gas finché non è catturato da un'altra molecola che in tal modo assume una carica negativa. Le molecole, che in ogni singolo processo elementare a coppie acquistano e perdono rispettivamente un elettrone, si dicono ioni. In presenza d'un campo elettrico gli ioni vengono accelerati nella direzione delle linee di forza, dando luogo a un trasporto d'elettricità. Si spiega così il fatto che il fenomeno della ionizzazione renda conduttore un gas. Ci possono essere in altri casi, per es., nei liquidi, fenomeni più complicati di dissociazione di molecole in atomi o gruppi di atomi elettricamente carichi; ma nei gas ordinariamente le molecole non si dissociano, ionizzandosi invece nella maniera descritta, perdendo cioè o acquistando uno o più elettroni.

L'accelerazione che gli ioni subiscono in un campo elettrico è proporzionale inversamente alla massa e direttamente alla carica; carica che naturalmente è sempre multiplo intero della carica dell'elettrone (e = 4.77 × 10-10 u. e. s.).

Benché molteplici e di varia natura siano i processi che possono portare alla ionizzazione d'un atomo, pure si può fare una prima generale distinzione secondo che la causa perturbatrice esterna sia una particella materiale o una radiazione elettromagnetica di frequenza opportuna.

Nel primo caso si tratta d'un fenomeno d'urto fra l'atomo e il corpo ionizzante; e quando si pensi che questo può essere un atomo, della stessa specie o di specie diversa dell'atomo ionizzato, uno ione o un elettrone, s'intende quale diversità di aspetti deve presentare il fenomeno, perché sono essenzialmente diversi nei varî casi i singoli processi elementari. Così in questa categoria va anche compresa la ionizzazione in seguito a una reazione chimica: durante l'avvicinamento degli atomi, che formeranno la molecola, si guadagna energia che in parte va spesa nel lavoro di liberazione d'un elettrone. Anche la dissociazione elettrolitica avviene in seguito a un processo di urti, che però sono molto più frequenti che in un gas: su ogni molecola dell'elettrolita agiscono le molecole più contigue del solvente in modo da rendere più debole il legame, che la teneva insieme, e per tale ragione gli ioni che la costituivano si dissociano permanentemente.

Nel secondo caso si tratta del fenomeno dell'effetto fotoelettrico scoperto da H. Hertz nel 1887: luce d'una certa frequenza cade su un atomo e libera un elettrone se l'energia del quanto hv è superiore a Ve (V potenziale di ionizzazione dell'atomo ed e carica dell'elettrone) (v. Fotoslattricità). Così accade che le radiazioni di frequenza elevate come la luce ultravioletta, i raggi X e i raggi γ sono agenti ionizzanti.

A questi fenomeni di ionizzazione si sovrappongono altri fenomeni di diffusione, ricombinazione, ecc., di modo che si può, molto sommariamente, descrivere così quel che succede nel caso reale d'un gas, sottoposto a un'azione ionizzante. Supponiamo che in un secondo si formino q ioni per cmc. con carica + e altrettanti con carica −. Contemporaneamente un certo numero di ioni si ricombinerà, in misura evidentemente proporzionale al prodotto n1n2(n1 e n2), (m e n2 sono i numeri degli ioni di ciascuna carica, ed è m = n2). Da questo prodotto dipende infatti la probabilità d'urto tra ioni di specie diversa.

Quindi avremo l'equazione:

Di qui si ottiene

cioè il numero degli ioni positivi o negativi, presenti in un cmc., cresce con il tempo tendendo al limite √a/q. Il coefficiente a di ricombinazione varia con il gas, la temperatura e la pressione: così per l'idrogeno a 15° e a 760 mm. di pressione è a = 2980.

Ionizzazione per urto. - Nel fenomeno di ionizzazione per urto la causa determinante è l'interazione che ha luogo tra i corpi all'atto dell'urto. Così che non solo ha importanza il vario tipo di forze che agiscono tra i due corpi, ma anche il tempo entro cui agiscono. Se questo tempo, dipendente dalla velocità relativa V delle particelle urtanti è dato come ordine di grandezza - nel caso che la particella incidente sia di dimensioni trascurabili, elettroni, particella a ecc. - dal rapporto V/a (a è il raggio dell'atomo attraversato); se questo tempo d'urto, dicevamo, è molto breve rispetto al periodo proprio del movimento orbitale degli elettroni nell'atomo, allora è possibile trattare questi elettroni come liberi, considerando indipendentemente l'urto con ciascun elettrone.

Ma se il tempo d'urto non è breve rispetto al periodo proprio del movimento orbitale, non è più consentita una tale approssimazione. Anzi lo sviluppo della teoria e delle ricerche sperimentali ha mostrato in questi casi (p. es. urto con elettroni lenti), che non basta neppure tener conto esattamente di quel che è il probabile moto degli elettroni nell'atomo e quindi non è possibile una rappresentazione cinematica in senso classico di questi fenomeni.

L'energia che durante ogni urto viene dissipata nel lavoro di ionizzazione può essere fornita p. es. da un campo elettrico e si hanno allora i fenomeni della scarica elettrica nei gas (v. elettriche, scariche). Ma evidentemente la stessa agitazione termica delle molecole provoca la ionizzazione, che in questo caso avviene a spese dell'energia cinetica propria delle molecole.

Ionizzazione per effetto dell'agitazione termica. - Il fatto che siano così difficilmente descrivibili i singoli atti elementari d'un tale processo non costituisce una seria difficoltà. Perché, dato il gran numero di urti che avvengono in un gas, si può determinare con considerazioni generali quale sarà a una data temperatura la concentrazione degli ioni per cmc. Consideriamo per semplicità il caso d'un gas monoatomico racchiuso in un recipiente e mantenuto a temperatura costante. Il numero degli urti anelastici, che provocano la formazione d'una coppia di ioni, è tanto maggiore quanto maggiore è l'energia media di traslazione di un atomo del gas (energia, secondo la teoria cinetica, uguale a 3/2 kT, dove la temperatura assoluta e k, costante di Boltzmann, ha il valore di 1,36 10-16 erg/gradi). Quindi la concentrazione degli atomi dissociati cresce con la temperatura: se questa è mantenuta costante si forma nel gas un equilibrio statistico in cui la concentrazione media dei singoli costituenti del gas è perfettamente determinata, secondo le leggi della termodinamica, dalla condizione di minimo dell'energia libera dell'intero sistema: atomi + elettroni + ioni. Sviluppando i calcoli si arriva al risultato che il prodotto delle concentrazioni degli ioni e degli elettroni diviso quello degli atomi indissociati dipende dalla temperatura soltanto secondo la formula:

se V è il potenziale di ionizzazione dell'atomo; così si trova che alla temperatura dell'arco elettrico, circa 4000 gradi assoluti, il 7% degli atomi di vapori di sodio è ionizzato: alle temperature elevatissime che si hanno nell'interno delle stelle quest'effetto assume proporzioni grandiose e i nuclei degli atomi vengono del tutto spogliati del loro involucro di elettroni. Un fenomeno analogo è quello della fuoruscita di elettroni da metalli incandescenti (v. termoionici, fenomeni); questi elettroni possono alla loro volta ionizzare gli atomi dei gas con cui il metallo è in contatto e aumentare l'effetto già prodotto dall'agitazione termica. In tal modo ci si rende conto perfettamente del fatto che il gas delle fiamme sia costituito di ioni; come possiamo facilmente accertarci se mettiamo la fiamma d'una candela tra i piatti verticali d'un condensatore: la fiamma si divide in due, per l'opposta polarità degli ioni che la costituiscono.

Ionizzazione prodotta da raggi a e β. - Se le particelle ionizzanti hanno grande energia cinetica, come è nel caso dei raggi α e β, cioè nuclei di He ed elettroni, emessi da sostanze radioattive, già una singola particella provoca la ionizzazione d'un numero considerevole di atomi. Questo fatto è importante, tra l'altro, perché dalla osservazione della scia di ioni che un corpuscolo individualmente lascia dietro di sé, si possono trarre infomazioni sull'energia che esso possiede, sulla sua natura, e sugli effetti che produce nell'urto con nuclei o con elettroni. Si deve anzi al fisico inglese C.T.R. Wilson un metodo per mettere in evidenza, direttamente, alla vista o con la fotografia, le tracce di particelle o di radiazioni ionizzanti. Egli utilizza per questo scopo la proprietà che hanno gli ioni di essere dei nuclei di condensazione per il vapore soprasaturo in un gas. L'apparecchio che ha costruito, consiste quindi in una camera di ionizzazione, cioè un cilindro con pareti di vetro, a base orizzontale di alcuni centimetri di diametro e contenente un gas che contiene vapore acqueo saturo. La base superiore è coperta da un sottile strato conduttore e trasparente di gelatina borica, mentre la base inferiore è mobile ed è coperta da gelatina borica mescolata a inchiostro di China, in modo da formare il fondo nero occorrente per le fotografie. Tra le due basi viene applicata una differenza di potenziale per eliminare gli ioni che volta per volta si formano dopo ogni espansione. Difatti, durante ogni brusca espansione, ottenuta abbassando il fondo del cilindro, il gas si raffredda e il vapore diventa leggermente soprasaturo. Se una particella α attraversa in quel momento la camera, si forma una leggiera nebbia sulla sua traccia costituita da tante gocce formatesi intorno agli ioni che la particella a ha prodotti.

Illuminando all'atto dell'espansione il cilindro, si può registrare fotograficamente il fenomeno (v. fig.).

In questo modo P. M. S. Blackett è riuscito a mettere in evidenza direttamente la disintegrazione dell'azoto, per effetto dell'urto con una particella a veloce.

Le tracce d'una particella a si distinguono nettamente da quelle d'un elettrone β, perché, per la diversa grandezza della massa, gli effetti ionizzanti sono notevolmente differenti; e precisamente il numero di ioni formati per cm. di percorso da una particella a è 100 volte maggiore dello stesso numero per l'elettrone. Inoltre, mentre gli elettroni β sono facilmente deviati per urto con altri elettroni del gas, che per l'energia così acquistata producono alla loro volta nuove tracce (nella fig. a destra si vedono numerose deviazioni), i raggi a vanno in linea retta e subiscono deviazioni notevoli solo per i rari urti con un nucleo pesante.

Il numero degli ioni prodotti per cm. direttamente o no dalla particella α aumenta con la distanza percorsa sino a un massimo, per poi cadere rapidamente a zero in 3 mm. circa di percorso: una particella a, emessa dal Ra C con un'energia iniziale di 7,68•106 volt-elettroni e che ha un percorso nell'aria a pressione e temperatura normale di 6,97 cm., provoca nel primo cm. la formazione di 24.400 ioni, arriva a un massimo di 6000 per mm. dopo 6,5 cm.; dopo la sua funzione ionizzante cessa rapidamente. Qualcosa di analogo accade per i raggi β: la ionizzazione specifica cresce con l'energia degli dettroni sino a circa 100 volt-elettroni; a 4000 volt-elettroni è di circa 1140 coppie di ioni per cm.; per raggi β più veloci scende a 50 ioni per cm.

La teoria di questi fenomeni, essenzialmente la stessa per raggi α e β, deve, quindi, distinguere i varî casi di piccole, grandi velocità, ecc.

Ionizzazione provocata da raggi X e γ. - La ionizzazione provocata da raggi X e γ, e in genere da una radiazione elettromagnetica per effetto fotoelettrico è in principio essenzialmente diversa da quella, sinora considerata, per urto. Perché, mentre qui la particella viene frenata nel passaggio attraverso il gas o il corpo materiale, cedendo parte dell'energia, un quanto di luce invece procede indisturbato finché non è completamente assorbito per effetto fotoelettrico, liberando così un elettrone. Se però la lunghezza d'onda del raggio X è molto piccola, come nel caso dei raggi γ emessi da sostanze radioattive, acquista importanza anche un altro fenomeno, dovuto all'effetto Compton: il quanto di luce cede parte del suo impulso e della sua energia all'elettrone che urta, mentre esso stesso viene deviato e l'energia che possiede corrispondentemente diminuita. Gli elettroni liberati nei varî punti della traiettoria del raggio γ sono radi, e possono alla loro volta provocare un'ulteriore ionizzazione le tracce continue che si vedono in una camera di Wilson, sono dunque dovute a un fenomeno che solo indirettamente è provocato dai raggi γ. In genere un raggio γ ionizza 100 volte meno d'un raggio β. Se 1 è il coefficiente d'assorbimento fotoelettrico, da distinguere da quello di diffusione, e N è il numero di quanti, presenti nel cmc., il numero di elettroni liberati n è dato dalla relazione: τN = n. Dalla variazione di τ con la frequenza si deduce quindi immediatamente come varia anche la ionizzazione specifica; questo coefficiente τ cresce con la lunghezza d'onda, e subisce una brusca discontinuità in prossimità d'ogni frequenza v0 caratteristica, propria dell'elemento che si considera. Nell'intorno di queste frequenze la variazione di τ si può rappresentare bene con formule del tipo:

che la teoria di G. Wentzel ha perfettamente giustificato (Z è il numero atomico e N è il numero di atomi in 1 cmc.). Dal coefficiente di assorbimento A.H. Compton deduce, per mezzo della formula di Klein-Nishina, che il numero di elettroni liberati in un cmc. e con energia compresa tra ε ed ε + dε dipende dalla frequenza del quanto incidente secondo la relazione:

Quest'espressione, per lo meno nei dominî di lunghezza d'onda in cui è stata verificata, si è dimostrata in buon accordo con l'esperienza.

Bibl.: J. J. Thomson e G. P. Thomson, Conduction of Electricity through Gas, Cambridge 1928; E. Rutherford, J. Chadwick, C. D. Ellis, Radiations from Radiactive substances, Cambridge 1930.

Ioni e ionizzazione dell'atmosfera.

Per quasi un secolo fu ritenuto che la conducibilità dell'aria, nota sin dai tempi di Ch.-A. Coulomb (1785), fosse intimamente collegata con l'umidità atmosferica, nonostante alcune brillanti ricerche mostrassero il contrario; tra le principali quelle di C. Matteucci (1849) e di E. Warburg (1872) e i lavori di F. Linss (1887), più estesi e completi. L'interpretazione soddisfacente dei fenomeni osservati fu data quasi contemporaneamente (1899-1900) da C. T. R. Wilson e da J. Elster e H. Geitel al lume dei fatti, allora recentemente acquisiti, sulla ionizzazione dei gas.

Le esperienze di laboratorio avevano dimostrato la produzione nei varî gas di ioni molecolari di elevata mobilità (nel caso dell'aria, dell'ordine di un centimetro al secondo per campi di un volt al centimetro); ioni costituiti (salvo alcuni casi eccezionali) dal raggruppamento che risulta particolarmente stabile, per attrazione elettrostatica, d'una decina di molecole attorno alla molecola ionizzata.

Nelle prime ricerche sia sulla conducibilità dell'aria, sia sulla densità ionica, si ammetteva, più o meno esplicita, l'ipotesi che tali ioni fossero esclusivamente gli agenti dei fenomeni osservati.

Nel 1905 P. Langevin, nel corso delle sue profonde ricerche sulla conducibilità atmosferica, scoprì la presenza nell'aria di altre particelle elettrizzate, di mobilità assai minore, dell'ordine di 3 × 10-4 cm. al secondo in campi di 1 volt al cm., costituite per la maggior parte da particelle di pulviscolo o da minute goccioline d'acqua caricate per contatto con uno ione, o per condensazione attorno ad esso. Tali particelle furono chiamate grossi ioni, in contrapposto agli altri cui fu riservato il nome di piccoli ioni. Successivamente A. Pollock (1909) constatò la presenza nell'atmosfera di ioni intermedî di mobilità dell'ordine del decimo o centesimo di centimetro al secondo per campi di un volt per centimetro; l'esistenza di tali ioni è stata confermata in modo indubbio ultimamente da H. Israel (1930). È ancora dibattuta la questione della stabilità dei varî tipi di ioni: secondo P. Langevin e B. Chauveau, oltre i piccoli ioni, la cui stabilità statistica (salvo, cioè, ricombinazione o collisioni con particelle più grosse) è indiscussa, potrebbero esistere stabilmente soltanto i grossi ioni: a base di tale asserzione sta l'ipotesi che questi siano costituiti da goccioline di acqua o comunque da granellini igroscopici, e in tal caso il comportamento della tensione del vapore su superficie non piane, mostra che solo delle sferette di 10-6 cm. di diametro possono stare stabilmente in sospensione nell'atmosfera: a tali particelle, se elettrizzate, spetterebbe appunto una mobilità dell'ordine del decimillesimo di centimetro al secondo per campi di un volt per centimetro. A sostegno di tale ipotesi starebbe una serie numerosa di esperienze tra cui quelle dirette di J. A. McClelland e H. Kennedy, le quali mostrerebbero che gli ioni comunque prodotti in laboratorio tendono ad assumere una mobilità limite appunto di 10-4 cm. al secondo in campi di 1 volt al cm. D'altra parte ioni intermedî di varia mobilità sono stati ritrovati sistematicamente dall'Israel il quale ha stabilito anche qualche relazione tra la distribuzione delle mobilità degli ioni e le caratteristiche climatiche di diverse località; e del resto non è detto che tutte le polveri in sospensione nell'atmosfera siano igroscopiche.

Gli ioni atmosferici, qualunque sia la loro mobilità, si ritiene abbiano nella gran generalità, una sola carica, positiva o negativa, uguale, in valore assoluto, a quella dell'elettrone; appunto su questa ipotesi sono basati tutti i metodi di misura di densità ionica.

Gli apparecchi per la misura della densità ionica, che differiscono solo nelle proporzioni delle varie parti da quelli per la misura della conduttività atmosferica, sono basati sul principio di misurare la corrente che si stabilisce tra le armature di un condensatore con dielettrico d'aria. Supponiamo di avere un condensatore cilindrico della capacità C (in cm.), di applicare alle armature una differenza di potenziale V (in volt), e supponiamo di fare attraversare lo spazio compreso tra le armature da una corrente d'aria di portata P (in cm3•sec.-1); si dimostra facilmente che si ha la corrente di saturazione allorché sussista la seguente relazione

nell'ipotesi che siano presenti soltanto ioni di mobilità k o maggiori di k. Il principio si realizza nel modo seguente: si dispone il condensatore cilindrico con l'armatura esterna al potenziale Ve quella interna collegata al suolo e a un sensibile elettrometro: a un certo istante si isola il sistema formato dall'armatura interna e dall'elettrometro e si osserva la variazione del potenziale v che si ha in un tempo t; la carica totale portata dagli ioni (dello stesso segno del potenziale dell'armatura esterna) sarà evidentemente

ma ciascun ione ha la carica e = 4.77 × 10-10 u.e.s. C. G. S., quindi nel tempo t si sono depositati

e sono passati Pt cm3 d'aria, quindi per ciascun cm3. si avranno

ioni (densità ionica). D'altra parte tale metodo si può prestare anche a misurare la mobilità K degli ioni variando progressivamente V. In realtà alla formula cui siamo pervenuti occorre aggiungere dei termini correttivi per le correnti di ionizzazione spontanea e per i difetti d'isolamento.

È chiaro che allorché i valori che compaiono nella formula (1) sono disposti per ottenere la saturazione per ioni di piccola mobilità, si è certi di avere catturato anche tutti gli ioni più mobili. Variando il potenziale V si può quindi, per differenza, conoscere le densità degli ioni di varia mobilità. Il primo contatore di ioni su questo principio fu realizzato da H. Ebert (1902); P. Langevin in collaborazione con M. Moulin, e C. Nordmann hanno realizzato degli apparecchi automatici registratori che disgraziatamente sono assai complicati e perciò quasi completamente in disuso. Tra gli apparecchi non registratori il più perfetto è quello dovuto all'Israel (1929). Questo studioso ha disposto nel suo apparato una coppia di condensatori cilindrici, che disposti in parallelo funzionano come se fossero un solo condensatore, mentre è possibile porli in serie e applicare varie differenze di potenziale alle loro armature, in modo che il primo costituisca una specie di filtro rispetto al secondo, così da poter misurare direttamente lo "spettro". cioè la distribuzione, delle mobilità degli ioni.

La densità ionica è un elemento assai importante della fisica atmosferica e forse ha un'importanza notevole anche dal punto di vista biologico; però ancora le nostre conoscenze in argomento sono troppo scarse per poterne dedurre qualche sicura notizia. Ciò che è accertato è una relazione piuttosto intima tra i varî fattori meteorologici e la densità ionica; tra gli studî più recenti, cfr. gli scritti di McLauglin (1929), Israel (1930-32) e Martinozzi (1932). Notevole influenza hanno anche le condizioni locali, quali la presenza di terreni o sorgenti particolarmente radioattive o d'una notevole attività industriale. Nelle campagne si ha una preponderanza di piccoli ioni (500 ÷ 600 per cm3.) mentre nelle città il numero di piccoli ioni si riduce notevolmente (anche al disotto di 100 per cm3) e invece si hanno sino a 50.000 grossi ioni per cmc. In generale si ha un aumento di grossi ioni ogni volta che si ha un aumento di torbidità dell'atmosfera. Si è inoltre constatato una variazione diurna e annua del tenore di piccoli ioni presso a poco inversa a quella del gradiente di potenziale elettrico atmosferico mentre questa è in relazione diretta con la variazione del numero dei grossi ioni. Il numero di ioni varia con l'altezza sul livello del mare: in generale con l'altezza aumenta la conduttività dell'aria dovuta, ad altezze notevoli, quasi esclusivamente a elettroni liberi e a dei piccoli ioni, mentre il numero dei grossi ioni diminuisce notevolmente sino a ridursi a zero all'altezza di qualche migliaio di metri. In quanto alle cause che producono la ionizzazione atmosferica va posta in primo luogo la radioattività dei terreni, delle acque, e l'emanazione presente nell'aria; secondariamente si ha produzione di ioni per l'infrangersi delle acque sul terreno (onde del mare, torrenti, piogge violente), per strofinio di masse di terra sollevate per azione del vento, per sparpagliamento delle gocce d'acqua nell'aria, per l'attività delle industrie, per le scariche temporalesche, per la radiazione penetrante, ecc.

Bibl: V. F. Hess, The electrical conductivity of the atmosphere and its causes, Londra 1928, e per i lavori più recenti gli scritti degli autori citati.