Ionosfera

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Ionosfera

Pietro Dominici

(App. II, ii, p. 56)

fig. 1

Uno degli effetti delle radiazioni, sia elettromagnetiche sia corpuscolari (cosiddetto vento solare), con cui il Sole investe la Terra, è di ionizzare le molecole dei gas atmosferici, producendo popolazioni di particelle elettricamente cariche, e precisamente elettroni liberi e ioni dei due segni (anche a seguito di processi secondari derivanti dalla ionizzazione); a quest'azione ionizzante del Sole si aggiunge, ma in misura assai minore, quella di agenti ionizzanti di origine extraterrestre ma non solare (i cosiddetti raggi cosmici), e, ancora meno, di origine terrestre, prevalentemente radiazioni da isotopi radioattivi presenti in rocce e acque. Con riferimento all'agente ionizzante di gran lunga più importante e quasi esclusivo, cioè la radiazione elettromagnetica solare nelle sue componenti ultravioletta e X, la sua intensità va decrescendo con la diminuzione della quota, a causa del progressivo assorbimento subito nell'attraversare l'atmosfera (fig. 1); d'altra parte, con l'aumentare della quota va diminuendo rapidamente la pressione atmosferica, cioè il numero delle molecole ionizzabili a unità di volume. Si comprende quindi come la concentrazione delle particelle cariche risulti massima a una quota intermedia tra il limite dell'atmosfera, dove è massima l'intensità della radiazione solare, e la superficie terrestre, dove è massima la concentrazione delle molecole ionizzabili (come diremo nel seguito, il tetto massimo si ha intorno a 300 km di quota): la parte dell'atmosfera nella quale si hanno valori di concentrazione ionica intorno a tale massimo, e quindi alti relativamente al resto dell'atmosfera, si chiama ionosfera terrestre.

La definizione ora data si precisa aggiungendo che il limite superiore della i. si pone alla quota ove l'atmosfera è completamente ionizzata e inizia la magnetosfera, che va fino ai confini dell'atmosfera (circa 64.000 km dalla superficie terrestre muovendosi verso il Sole, oltre un milione di km nella direzione opposta: v. atmosfera, App. V): come dire che, a differenza della magnetosfera, la i. è caratterizzata da una consistente concentrazione di particelle elettricamente cariche ma in presenza, specialmente al disotto del massimo di ionizzazione, di un'altrettanto consistente concentrazione di molecole non ionizzate.

Nello sviluppo storico delle nozioni sulla i. si è formata però un'altra definizione, di tipo operativo, che è tuttora corrente, secondo la quale la i. è quella parte dell'atmosfera terrestre ove la concentrazione di elettroni liberi e ioni è, in rapporto a quella delle molecole non ionizzate dei gas atmosferici, tale da influenzare apprezzabilmente l'indice di rifrazione dell'atmosfera nei riguardi di onde elettromagnetiche; in pratica, l'intervallo delle frequenze elettromagnetiche interessato può lecitamente ritenersi delimitato in alto dalle frequenze radio HF, con limite superiore di 30 MHz, corrispondente a un limite inferiore di lunghezza d'onda nel vuoto di 10 m: un intervallo comprendente quindi quelle che nella radiotecnica si chiamano onde lunghissime, lunghe, medie e corte.

2

L'estensione in quota della i. è convenzionalmente intesa tra 50 e 700 km (taluno pone il limite superiore a 1000 km); come mostra la fig. 2, una partizione può essere fatta tra i. inferiore, da 50 a 300 km (a quest'ultima quota, intesa, come tutte le altre qui nominate, come quota largamente media nel tempo e nello spazio, si ha il valore massimo della concentrazione di particelle atmosferiche elettricamente cariche), e i. superiore, la parte sovrastante, fino alla ionopausa, superficie di confine con la sovrastante magnetosfera; il rapporto tra componente ionizzata (elettroni liberi e ioni) e componente non ionizzata (molecole e atomi neutri) cresce continuamente nella i., finché nella magnetosfera l'atmosfera è completamente ionizzata.

La fisica della ionosfera, o fisica ionosferica, è una delle discipline in cui si articola la fisica dell'atmosfera terrestre e ha avuto un'evoluzione per vari versi singolare e interessante: nata praticamente negli anni Venti del 20° sec., a un suo primo grande sviluppo, volto essenzialmente allo studio delle variazioni dei parametri fisici della i. importanti ai fini delle radiocomunicazioni a grande distanza mediante onde corte, è seguita, dagli anni Settanta, la fase attuale, in cui un'attenzione ben maggiore che nel passato è stata rivolta ad alcuni ardui e irrisolti problemi fisici di fondo. Questo diverso atteggiamento è stato in gran parte determinato dal mutamento che, negli anni Sessanta, si è avuto nei rapporti, fino ad allora strettissimi, tra la fisica della i. e la radiotecnica delle onde corte.

Prima di parlare di questa fase attuale converrà tracciare un quadro sintetico delle conoscenze sulla i. acquisite durante la prima fase, quella che potremmo chiamare della morfologia ionosferica, riprendendo e completando alla luce delle conoscenze attuali una parte di ciò che è stato esposto nella voce dell'App. II.

La scoperta della ionosfera

Gli strettissimi rapporti tra la fisica della i. e la radiotecnica delle onde corte, in un reciproco alternarsi di dare e avere, si stabilirono fino dal concepimento stesso dell'idea dell'esistenza di una i. come strato ionizzato (quindi elettricamente conduttore) dell'alta atmosfera (a quote di parecchie decine di km), capace di riflettere verso zone anche molto distanti della superficie terrestre le onde radio artificiali emesse da stazioni terrene usate nei sistemi di radiocomunicazione.

fig. 3

Infatti, subito dopo il successo ottenuto da G. Marconi nel collegare radiotelegraficamente la località di Poldhu, in Cornovaglia, Gran Bretagna, con San Giovanni di Terranova, Canada (il primo collegamento ebbe luogo il 12 dic. 1901, mediante onde radio di grande lunghezza d'onda, intorno a 1000 m, e relativamente piccola frequenza, intorno a 300 kHz; il servizio commerciale, presto avviato nel 1902, si avvalse di onde di 4200 m in un verso e 4900 m nell'altro verso, con frequenza di circa 71 kHz e circa 61 kHz, nel campo di quelle che furono poi dette onde lunghissime), varie ipotesi furono formulate sul possibile meccanismo fisico in virtù del quale onde elettromagnetiche di quel tipo avrebbero potuto sormontare, nella loro propagazione rettilinea (così prescrivono le leggi dell'elettromagnetismo nel vuoto, valide, si pensava a ragione, anche nell'atmosfera terrestre), l'ostacolo virtuale costituito dalla curvatura terrestre (circa 250 km di altezza alla distanza tra la Cornovaglia e Terranova, di circa 3700 km). Una di queste ipotesi, avanzata pressoché contemporaneamente (1902) dall'inglese O. Heaviside e dallo statunitense A.E. Kennelly, consisteva nell'ammettere (fig. 3) che le onde radio, propagandosi anche verso l'alto, fossero riflesse verso il basso dall'alta atmosfera terrestre, supposta sufficientemente conduttrice per l'elettricità; quest'ultima supposizione era in accordo con le conoscenze dell'epoca sui fenomeni di ionizzazione nell'alta atmosfera (prime teorie sulle aurore polari) e sulla conducibilità elettrica dei gas rarefatti (specialmente in seguito alle ricerche dell'inglese J.J. Thomson). Tale ipotesi era però fortemente invalidata dalla teoria, assai ben fondata, secondo la quale le onde radio potevano superare la curvatura della superficie terrestre perché penetravano parzialmente in quest'ultima e ne seguivano la forma (v. ancora la fig. 3): circostanza che fu dimostrata poi vera, specialmente alle frequenze relativamente basse delle onde lunghissime, lunghe e medie (queste ultime per usi navali) che caratterizzarono il primo sviluppo industriale e militare delle radiocomunicazioni.

Nei primi anni Venti accadde però un fatto rivoluzionario: da un lato, alcuni esperimenti di Marconi e di altri, e, soprattutto, i risultati derivanti dall'esercizio di radiocomunicazioni con navi, che, per ragioni costruttive, usavano antenne e quindi radioonde di lunghezza minore di quelle delle stazioni terrestri, e dall'altro lato, i risultati ottenuti dai radiodilettanti che operavano nei campi delle onde di non grande lunghezza, che erano campi ignorati dall'industria delle radiocomunicazioni, mostrarono che usando onde di piccola lunghezza (pochissime decine di metri, frequenze di pochi MHz) si riusciva a coprire distanze grandissime, anche intercontinentali, con potenze assai piccole (poche decine di watt) rispetto a quelle, enormi, occorrenti per le onde lunghissime e lunghe degli impianti normalmente in uso (molte migliaia di watt). Riprese così piede, e stavolta su una consistente base di fatti, l'ipotesi dello strato atmosferico radioriflettente, l'unica che potesse spiegare quei fatti.

fig. 4

Sia i fisici, in particolare quelli interessati alla fisica dell'atmosfera, sia gli ingegneri delle radiocomunicazioni furono fortemente indotti a verificare direttamente tale ipotesi. In effetti, già nel dicembre 1924, in Inghilterra, E.V. Appleton e M.F. Barnett con un esperimento di tipo interferometrico provarono l'esistenza di uno strato riflettente a circa 100 km di quota, detto strato ionizzato di Kennelly-Heaviside; la denominazione fu poi mutata in quella di strato E (ora regione E della i.) con riferimento al simbolo, la lettera E, con cui si indica abitualmente la componente elettrica del campo elettromagnetico di una radioonda, ovvero la grandezza in gioco nell'esperimento in questione. In esso (fig. 4) un ricevitore R (a Oxford) rivelava i segnali di un radiotrasmettitore T a onde medie della BBC (a Bournemouth) la cui frequenza (circa 760 kHz) veniva fatta variare con continuità; la ricezione avveniva sia direttamente (TR) sia attraverso la riflessione ionosferica (TIR); a causa dell'interferenza tra onda terrestre e onda ionosferica, l'ampiezza A dei segnali ricevuti variava periodicamente al variare della frequenza; contando il numero di frange di interferenza (le successioni di massimi o minimi di A) per una variazione di frequenza Δf nota, si ricavò l'altezza virtuale di riflessione h', corrispondente ad assumere pari a c (velocità nel vuoto) la velocità dei segnali lungo l'intera traiettoria (in realtà, poiché la velocità diminuisce e s'annulla alla riflessione, la quota vera è un po' minore di h'). Una serie di misure fornì 7 frange per una variazione di frequenza da 759 a 779 kHz e per la distanza TR di circa 125 km: h' risultò così di 97 km rispetto a una quota vera di 92 km.

fig. 5

Successivamente (ottobre 1925) negli Stati Uniti G. Breit e M.A. Tuve con un esperimento di tipo ecometrico (fig. 5) confermarono i risultati di Appleton e Barnett. Sempre nel 1925 Appleton scoprì uno strato radioriflettente più alto (circa 250 km di quota) e più ionizzato del precedente strato di Kennelly-Heaviside, detto strato ionizzato di Appleton (poi strato F e ora regione F della i., proseguendo nell'ordine alfabetico, in quanto tale strato 'veniva dopo' quello E); negli anni immediatamente seguenti furono identificati altri strati, peraltro poco ionizzati e non sempre sistematici, al disotto dello strato di Kennelly-Heaviside, denominati, sempre alfabeticamente e ora in ordine di quota decrescente, D, C, B, A. Ricordiamo che il nome di ionosfera fu introdotto nel 1929 dall'inglese R. Watson Watt (il quale, incidentalmente, fu uno di coloro cui si deve la realizzazione del radar a partire dall'esperimento di Breit e Tuve).

Lo sviluppo della fisica ionosferica dalle origini agli anni Settanta

Come è stato accennato in precedenza, questa prima fase di sviluppo (che con criteri puramente convenzionali si può considerare protratta fino agli anni Settanta) si è svolta in stretta interazione con la radiotecnica delle onde corte: questa forniva alla fisica un prezioso insieme di fatti sperimentali da interpretare; la fisica, a sua volta, forniva alla radiotecnica tutta una serie di indicazioni di tipo operativo. Infatti, a differenza delle radiocomunicazioni a onde lunghissime e lunghe, per le quali la copertura di una zona sempre più vasta è soltanto questione di aumentare adeguatamente la potenza di trasmissione, le radiocomunicazioni a grande distanza a onde corte presentano, accanto ai vantaggi della modesta potenza, della semplicità dei sistemi di antenne ecc., il pesante inconveniente operativo costituito dalla necessità di scegliere accuratamente la frequenza radio di lavoro in rapporto alla concentrazione degli elettroni liberi nella i. sovrastante la traiettoria delle onde fra i luoghi da collegare e, in definitiva, in rapporto all'ora del giorno, all'epoca dell'anno e, infine, alla posizione dell'anno nel ciclo undecennale dell'attività radiativa (ionizzante) del Sole.

Ciò deriva dal fatto che la grandezza fisica determinante la riflessione verso terra delle onde radio e, in particolare, la grandissima portata geografica delle onde corte è, come negli ordinari fenomeni di rifrazione della luce, l'indice di rifrazione dell'atmosfera nei riguardi delle onde radio. Come dimostrò la teoria presto elaborata al riguardo (teoria magnetoionica, 1928-32), l'indice di rifrazione dipende primariamente, anche se non esclusivamente (interviene infatti anche, e in più modi, la densità dei gas atmosferici), dalla concentrazione nell'atmosfera degli elettroni liberi (correntemente detta densità elettronica) derivanti dalla ionizzazione di molecole presenti nei gas atmosferici a opera dei fotoni della radiazione solare: di qui la dipendenza dell'indice di rifrazione radio, e con esso della frequenza radio operativa, dalla posizione del Sole sulla volta celeste (ora del giorno ecc.) e dalla sua attività radiativa (fase del ciclo solare).

Così, è per queste valide ragioni applicative che gli sforzi di osservazione e di elaborazione prognostica della fisica ionosferica si rivolsero fin dall'inizio, e per lungo tempo, alla concentrazione elettronica, anche se dal punto di vista geofisico la natura e le proprietà degli ioni atmosferici appaiono di rilevanza non trascurabile. È da mettere subito in evidenza che il fatto di aver incentrato l'attenzione, in questa prima fase di sviluppo della fisica ionosferica, sulla componente costituita dagli elettroni liberi ha portato in definitiva a studiare, precisamente, non la i. ma piuttosto quella che andrebbe chiamata l'elettronosfera (ma non si usa chiamarla così): a questa distorsione di prospettiva è stato posto rimedio soltanto in anni recenti, come avremo modo di dire più avanti.

Metodi di misurazione delle grandezze caratteristiche della ionosfera

Per molto tempo si sono usati metodi indiretti di tipo radioelettrico, basati sull'osservazione da terra di fenomeni relativi alla propagazione di onde radio nella i.; a questi si sono poi aggiunti metodi non radioelettrici, anch'essi indiretti, basati sull'osservazione da terra di alcuni fenomeni dell'alta atmosfera (in particolare emissioni luminose) e, più recentemente, metodi, sia diretti che indiretti, basati su strumenti portati nella i. da satelliti artificiali terrestri.

Metodi indiretti radioelettrici per l'atmosfera ionizzata. - Per quanto riguarda la distribuzione in quota della concentrazione elettronica, il metodo principe è stato ed è tuttora quello del radiosondaggio coerente verticale da terra, lo stesso dell'esperimento radioecometrico di Breit e Tuve del 1925 (fig. 5), che ovviamente si è giovato via via dei grandi progressi compiuti dall'elettronica.

fig. 6

Lo strumento usato, completamente automatico, si chiama ionosonda coerente verticale a impulsi a riflessione (brevemente, ionosonda verticale a impulsi) ed è un ricetrasmettitore radio a impulsi (durata di qualche decina di µs, frequenza di ripetizione di qualche decina di hertz) operante a frequenza radio regolarmente variabile da circa 1 a circa 30 MHz e a una potenza di qualche kW di picco, collegato a un'antenna aperiodica a forte radiazione verticale (di norma, un'antenna rombica o semirombica nel piano verticale, con semiapertura di una sessantina di gradi al vertice alto e lati di qualche decina di metri); se la concentrazione elettronica N della i. sulla verticale dell'antenna è sufficientemente grande, ogni impulso trasmesso verso l'alto si riflette sulla i. e dà luogo a un segnale di eco che è avviato al ricevitore e presentato sullo schermo di un oscilloscopio a raggi catodici; il ritardo Δt dell'eco rispetto all'impulso trasmesso costituisce una misura della quota virtuale di riflessione, h´=cΔt/2, cioè (come accennato in precedenza) della quota che avrebbe la zona ionosferica riflettente se gli impulsi radio si propagassero nella i. con la velocità c della luce nel vuoto, mentre invece la velocità va progressivamente diminuendo fino ad annullarsi nel punto di riflessione, per cui occorre una particolare elaborazione del ritardo per avere la quota vera di riflessione (la quale è un poco minore di quella virtuale). Più semplice è la situazione per la concentrazione elettronica N nella zona ove ha luogo la riflessione, avendosi N=1,24∙10¹⁰ f² elettroni a metro cubo (m⁻³) se la frequenza radio f dell'impulso è misurata in MHz; facendo variare regolarmente f e registrando fotograficamente o graficamente ciò che appare sullo schermo dell'oscilloscopio si ottiene il diagramma della densità elettronica in funzione della quota virtuale di riflessione (ionogramma virtuale, o normale). La formula precedentemente data consente di misurare la concentrazione elettronica massima NM di uno strato ionosferico in relazione alla frequenza f₀, superata la quale le onde radio cessano di riflettersi sullo strato, attraversandolo e andando a riflettersi su strati più alti e più ionizzati oppure, se questi mancano, propagandosi indefinitamente nello spazio (f₀ è la frequenza critica dello strato). Da questi ionogrammi è immediato ricavare, con l'aiuto di un modello matematico gestito da un elaboratore elettronico, il diagramma della concentrazione elettronica N in funzione della quota vera h di riflessione nella i., ciò che si chiama uno ionogramma ridotto alla quota vera (fig. 6). Attualmente esistono ionosonde di questo tipo, assai compatte, che utilizzano soltanto componenti elettronici a stato solido ed effettuano automaticamente non soltanto le operazioni di sondaggio, ma anche quelle di elaborazione dei dati, fornendo, in forma grafica oppure digitale, sia gli ionogrammi virtuali sia quelli ridotti.

Negli anni Sessanta entrarono nell'uso ionosonde incoerenti verticali a retrodiffusione, o ionosonde Thomson, simili a una ionosonda verticale a impulsi ma a frequenza fissa piuttosto alta (dell'ordine di 50 MHz o più) e potenza di picco parimenti piuttosto alta (qualche megawatt); a causa dell'alta frequenza non si ha riflessione nella i. degli impulsi trasmessi, ma una piccola parte della potenza inviata viene diffusa incoerentemente, anche verso il basso, dai singoli elettroni e ioni del plasma ionosferico; analizzando lo spettro dei segnali raccolti dall'antenna della ionosonda si ricavano le concentrazioni degli elettroni liberi e della specie ionica prevalente, mentre la quota è dedotta dal ritardo d'eco delle componenti dello spettro e l'eventuale velocità verticale della zona retrodiffondente è dedotta dallo spostamento di frequenza che si verifica per effetto Doppler.

Negli anni Settanta entrò in servizio un nuovo tipo di strumento, la ionosonda verticale a onda continua, o a variazione di frequenza, costituita da un trasmettitore di modesta potenza (qualche decina di watt) a onda continua con frequenza variabile linearmente nel tempo all'interno del normale intervallo di sondaggio ionosferico (circa da 1 a 30 MHz) e da un ricevitore mantenuto rigorosamente accordato con esso; il segnale emesso dal trasmettitore a un certo istante, quando la frequenza di emissione è f, e riflesso dalla i., è rivelato dal ricevitore a un istante successivo (ritardo d'eco) quando la frequenza emessa f´ è maggiore di f; la frequenza di battimento tra f ed f´ ha il ruolo che nelle ionosonde a impulsi ha il ritardo d'eco Δt.

Sia le ionosonde a impulsi sia quelle a onda continua possono essere utilizzate per il radiosondaggio ionosferico obliquo, anziché per quello verticale, secondo due differenti tecniche: il sondaggio bistatico e il radiosondaggio obliquo monostatico.

La tecnica del sondaggio bistatico, o a due terminali, consiste nel porre la parte trasmittente e quella ricevente-registratrice in due siti diversi, anche a grande distanza tra loro, provvedendole di dispositivi che assicurino il necessario continuo accordo della loro frequenza di lavoro; si ottiene uno ionogramma obliquo che dà informazioni sullo stato della i. nel punto o nei punti di riflessione ionosferica della traiettoria seguita dai raggi di propagazione dall'uno all'altro sito; il loro uso principale è peraltro volto a scopi applicativi, specialmente militari, e precisamente per verificare con continuità il campo delle frequenze radio utilizzabili tra due dati siti. L'altra tecnica è quella del radiosondaggio obliquo monostatico, o per retrodiffusione dal suolo, e consiste semplicemente nel collegare una ionosonda verticale a un'antenna a irradiamento orizzontale anziché verticale; se si ha riflessione sulla i., i raggi riflessi sono riportati sulla superficie terrestre a una certa distanza D, dove sono diffusi in tutte le direzioni e una piccola parte dell'energia di essi ripercorre esattamente il percorso verso l'antenna della ionosonda, presentandosi nel ricevitore con un ritardo d'eco che è in relazione semplice con la distanza D dalla ionosonda misurata sulla superficie terrestre (la cosiddetta distanza di primo salto); lo ionogramma obliquo che si ottiene al variare della frequenza radio dà informazioni sullo stato della i. nel punto di mezzo della traiettoria di retrodiffusione, a distanza superficiale D/2; questa tecnica dà risultati comparabili con quelli ottenibili con la tecnica precedente, pur essendo assai più semplice, flessibile ed economica rispetto a essa; ha avuto e ha importanti applicazioni per studiare la i. sulla verticale di luoghi di difficile accesso (oceani, mari, ampie zone continentali desertiche o montuose).

Vanno infine ricordati altri metodi radioelettrici di osservazione, tra i quali alcuni sono varianti del radiosondaggio verticale e servono per misurare certe particolarità (per es., oscillazioni verticali delle superfici di uguale concentrazione elettronica), mentre altri sono di natura fisica affatto differente. Tra questi ultimi figurano vari tipi di misurazione relativi alle caratteristiche di segnali irradiati da stazioni lontane, e tra essi una particolare menzione merita il rilevamento dell'effetto Faraday ionosferico, cioè della rotazione del piano di polarizzazione che una radioonda monocromatica, polarizzata linearmente, emessa da un satellite subisce nell'attraversare la i.; tale misurazione consente di ricavare il valore del contenuto elettronico totale (TEC, Total Electron Content), cioè il numero di elettroni liberi contenuto complessivamente in una colonna di sezione con area unitaria dal satellite alla stazione di osservazione; le variazioni di questa grandezza sono significative della dinamica globale della ionosfera.

Metodi indiretti per l'atmosfera neutra. - Tra i più importanti di questi metodi ci limiteremo a ricordare l'analisi spettrometrica delle luminescenze atmosferiche (aurore polari, airglow, luce zodiacale), per mezzo della quale si possono determinare le varie specie molecolari e ioniche, nonché le loro temperature, quasi nell'intera i. inferiore, e il frenamento atmosferico di satelliti artificiali terrestri, dal cui studio si ricava la densità dell'atmosfera alle quote di volo dei satelliti (per lo più, tra 200 e 400 km).

Metodi di misurazione diretta. - La navigazione spaziale ha consentito, a partire dai primi anni Sessanta, di aggiungere ai precedenti metodi di misurazione indiretti da terra anche la possibilità di misurare direttamente nella i. le grandezze di interesse; ricorderemo, in particolare, la cosiddetta sonda Langmuir, o trappola ionica, uno strumento di tipo elettrostatico che, a bordo di satelliti artificiali terrestri, consente di misurare localmente la concentrazione degli elettroni liberi e delle varie specie ioniche presenti, nonché la carica specifica e la temperatura cinetica di queste particelle.

Sono state anche usate ionosonde, opportunamente semplificate, a bordo di satelliti per effettuare sondaggi della i. superiore, che è irraggiungibile con il radiosondaggio da terra (in quanto schermata dalla i. inferiore); il fatto che tale tecnica sia forzatamente sporadica rispetto al sondaggio normale da terra non è molto penalizzante, in quanto la conferma che con essa si è avuta del decadimento esponenziale della ionizzazione con la quota consente di presumere attendibilmente le caratteristiche della i. superiore, a partire da quelle rilevabili da terra.

Complessivamente, è da osservare che attualmente il rilevamento continuo e globale della distribuzione della concentrazione elettronica con la quota è affidato a ionosonde verticali, e precisamente a quelle dell'esistente rete mondiale di stazioni ionosferiche (della quale fanno parte le due stazioni italiane permanenti di Roma e di Gibilmanna, presso Palermo, dell'Istituto nazionale di geofisica, alle quali si aggiunge una semipermanente in Antartide), che forniscono contemporaneamente ionogrammi all'istante zero di ogni ora di tempo universale (qualcuna anche ogni mezz'ora e ogni quarto d'ora); gli altri strumenti che abbiamo nominato sono usati per misurazioni particolari o per particolari campagne di misurazione piuttosto che per scopi sinottici.

fig. 7
fig. 8
fig. 9

I risultati delle misure finora raccolte, mediati nel tempo e riferentisi a latitudini medie, sono sintetizzati graficamente nella precedente fig. 1 (importanza relativa dei vari intervalli spettrali della radiazione ionizzante solare), nella fig. 7 (distribuzione media in quota delle principali specie particellari neutre e ionizzate), nella fig. 8 (diagrammi giornalieri di valori mediani mensili invernali ed estivi di frequenza critica e di concentrazione elettronica massima) e nella fig. 9 (andamenti verticali medi della concentrazione elettronica in periodi di alta e bassa attività solare).

La ionosfera normale

Con tale espressione s'intende la i. rappresentata, sulla verticale di un dato sito, dai diagrammi dei valori mediani mensili della concentrazione elettronica N e della quota virtuale o, meno spesso, della quota vera h, in funzione del tempo oppure in funzione reciproca (ionogrammi normali), rilevati in un dato osservatorio ionosferico: per es., la fig. 8 dà gli ionogrammi normali, relativi a mesi diversi, dell'andamento diurno degli strati permanenti della i. rilevati nell'Osservatorio ionosferico di Roma. Il riferirsi ai valori mediani mensili è molto efficace nell'eliminare la grande variabilità a breve e medio termine, che, almeno in un esame di prima approssimazione, costituisce un elemento di notevole disturbo negli studi sulla morfologia della i. a grande e media scala spaziotemporale.

I principali fatti di carattere globale che sono rilevabili dall'esame dei diagrammi delle figg. da 7 a 9 sono quelli di seguito elencati.

a) Com'è stato già accennato, l'andamento della concentrazione elettronica con la quota (indicativo anche di quello della concentrazione ionica totale) non è monotòno, in quanto essa, a partire da un valore medio di 10⁹ elettroni a metro cubo (m⁻³) alla base della i. (i convenzionali 50 km già ricordati), aumenta fino a poco meno di 10¹²÷10¹³ m⁻³ (a seconda dell'attività solare) a circa 300 km di quota, che è il massimo assoluto e il termine della i. inferiore, prendendo poi a diminuire quasi esponenzialmente nella i. superiore, fino ai limiti dell'atmosfera.

Sono riconoscibili come entità permanenti un certo numero di massimi relativi di concentrazione elettronica. Come già accennato, le parti della i. corrispondenti a tali massimi relativi furono chiamate nel passato strati ionosferici e denominati via via, in ordine di quota, dallo strato D, a partire da circa 50 km, allo strato F (l'anzidetto massimo assoluto a 300 km); attualmente si preferisce parlare di regioni ionosferiche, che sono la regione D (tra 50 e 80 km, con massimo a 75 km, nella quale i precedenti strati da C ad A sono considerati, quando sono osservabili, non entità a sé stanti ma semplici particolarità occasionali), la regione E (tra 80 e 140 km, con massimo a 110 km, che è il vecchio strato di Kennelly-Heaviside), la regione F (tra 140 e 700 km, con massimo a circa 300 km, che è il vecchio strato di Appleton); nelle ore diurne dei mesi equinoziali ed estivi quest'ultima regione si presenta quasi sempre con due massimi relativi, il più alto dei quali è il massimo assoluto a 300÷400 km e individua lo strato F2, mentre quello più basso, a circa 200 km di quota, individua lo strato F1; per completare questo quadro occorre aggiungere che intorno alla quota del massimo della regione E, e precisamente a 100÷130 km, si presentano irregolarmente, ma più frequentemente nei mesi estivi e alle alte latitudini, strati di piccolo spessore (anche pochissimi km) fortemente ionizzati (anche oltre il massimo assoluto della regione F), che sono di svariata origine e a cui si dà il nome complessivo di regione E sporadica.

b) Sulla ionizzazione della i. agisce un forte controllo solare, nel senso che, in accordo con la teoria di Chapman (v. oltre), essa dovrebbe essere massima al mezzogiorno locale e comunque maggiore nelle ore diurne che in quelle notturne, maggiore nei mesi estivi che in quelli invernali, maggiore nei periodi di alta attività solare che in quelli di bassa attività. Ciò accade effettivamente per la regione E (figg. 8, 9), mentre una vistosa eccezione è costituita dal comportamento della parte più ionizzata della i., cioè della regione F, per il cui strato diurno F2 i valori di massima ionizzazione, invernali, sono assai maggiori di quelli estivi (anomalia annua, o stagionale) e il massimo diurno nei mesi non invernali non cade sempre intorno al mezzogiorno locale, ma talora poco prima o, più spesso, verso il crepuscolo serale (anomalia diurna); inoltre, per la regione F nel suo complesso accade che la ionizzazione notturna sia assai maggiore di quella che ci si aspetterebbe in assenza della radiazione ionizzante solare (anomalia notturna, particolarmente sorprendente nelle lunghissime notti delle zone polari).

La ionosfera reale

L'andamento reale, diurno o stagionale che sia, delle grandezze ionosferiche mostra due notevoli particolarità: la prima è che, sovrapposte a un andamento simile a quello mediano, sono presenti vistose irregolarità, e la seconda è che gli andamenti diurni da giorno a giorno successivo non si ripetono con quella regolarità che ci si aspetterebbe.

La ragione di ciò sta, per una parte, in irregolarità dell'emissione ionizzante solare, sia a lungo termine che a breve termine; le irregolarità a breve termine sono le più intense (particolarmente quelle associate alle cosiddette eruzioni cromosferiche del Sole) e provocano analoghe irregolarità del campo magnetico terrestre (tempeste magnetiche), con effetti drastici sulla distribuzione delle particelle elettrizzate nella i. (tempeste ionosferiche). Alle irregolarità della i. reale contribuiscono per la restante parte certe attività dinamiche della bassa atmosfera, alcune delle quali sono state riconosciute da poco (onde ionosferiche; v. oltre: La dinamica ionosferica a grande scala).

Lo sviluppo delle acquisizioni teoriche: la teoria di Chapman sulla ionizzazione dell'atmosfera a opera di fotoni solari.

La prima teoria della i. fu formulata dall'inglese S. Chapman nel 1931 ed era basata sulle seguenti ipotesi:

a) la ionizzazione atmosferica è adeguatamente rappresentata dalla concentrazione N degli elettroni liberi, che è governata dalla seguente equazione di continuità:

formula [

formula

1]

essendo t il tempo, q il tasso di produzione ed l il tasso di scomparsa degli elettroni (numero di elettroni rispettivamente prodotti oppure scomparsi nell'unità di tempo nell'unità di volume);

b) quali processi di produzione e di scomparsa degli elettroni sono considerati soltanto, rispettivamente, la fotoionizzazione a opera di fotoni solari e la ricombinazione ionica, secondo la relazione:

formula [

formula

2]

essendo f il fotone solare assorbito da una molecola neutra m nel processo di fotoionizzazione per dare luogo alla coppia ione monovalente positivo m⁺ ed elettrone libero e⁻ (lettura da sinistra verso destra), oppure (lettura da destra verso sinistra) il fotone eventualmente prodotto nella ricombinazione radiativa di un elettrone libero e⁻ con uno ione monovalente positivo m⁺ per dare luogo a una molecola neutra m;

c) si considera una sola specie molecolare e una radiazione solare monocromatica;

d) l'atmosfera è isoterma e in condizioni di equilibrio statico, come dire che la concentrazione della specie molecolare considerata diminuisce esponenzialmente con la quota, con una costante fissa di normalizzazione per quest'ultima, H, detta quota di scala e definita come la variazione di quota cui corrisponde una variazione di concentrazione pari a exp(−1), cioè a circa il 37%.

Da queste ipotesi derivano le seguenti espressioni per i tassi q di produzione ed l di scomparsa degli elettroni liberi che compaiono nella [1]:

formula

formula

[3]

formula [

formula

4]

fig. 10

essendo χ la distanza zenitale del Sole per il luogo considerato, qo il valore massimo di q (che si ha per χ=0, cioè con il Sole allo zenit del luogo), h la quota generica, hM la quota alla quale q ha tale massimo, α la costante di ricombinazione ionica. La fig. 10 mostra l'andamento di q in funzione della quota ridotta, o normalizzata, z=(hhM)/H, normalizzato al suo valore massimo qo e parametrizzato per alcuni valori della distanza zenitale solare χ; tale andamento è noto come funzione normalizzata di Chapman.

L'andamento di q riproduce abbastanza bene quello delle concentrazioni elettronica e ioniche nell'intorno di un loro massimo relativo quale risulta dalle misurazioni (fig. 7).

Questa circostanza, che appare ai nostri occhi piuttosto fortunata, dato il carattere di prima approssimazione della teoria di Chapman e l'arbitrarietà di alcune delle ipotesi alla sua base, non fu vagliata a quell'epoca con uno spirito sufficientemente critico, cosicché essa finì con l'avere per lungo tempo una duplice influenza sullo sviluppo della fisica ionosferica: da una parte, l'influenza positiva costituita dal fatto di poter disporre di una base teorica ritenuta buona per sviluppare e validare l'apparato prognostico insistentemente richiesto dai tecnici delle radiocomunicazioni a onde corte, e, dall'altra parte, l'influenza negativa costituita da una sorta di rimozione della necessità di una teoria ben più rispondente alla realtà, se non altro per spiegare le macroscopiche anomalie della regione F accennate poco sopra (le quali, va detto, non costituivano un problema per le questioni di previsione in sede applicativa) e le particolarità della ionizzazione E sporadica (che invece costituivano un serio problema).

Così, a parte alcuni pregevoli ma saltuari tentativi di fare luce su questi e altri particolari non chiari della fisica ionosferica, questa si sviluppò piuttosto ampiamente su temi di modellistica della i. normale, la quale lasciava da parte tutti i problemi di natura fisica sul comportamento di quella che si può chiamare la i. vera, con tutte le sue ampie variazioni spaziotemporali, sbrigativamente classificate come fluttuazioni rispetto ai modelli.

Il diminuito interesse tecnico della radiopropagazione per via ionosferica e la revisione aeronomica negli anni Settanta

A partire dagli anni Sessanta, nell'industria delle radiocomunicazioni divenne sempre più imperiosa la necessità di affidare alle onde radio portanti nuove categorie di segnali, con uno spettro migliaia di volte più ampio di quello dei precedenti segnali telegrafici, telefonici a un solo canale e di radiodiffusione con modulazione d'ampiezza (pochi kHz di larghezza di canale): dapprima i segnali di più canali telefonici trasmessi come un tutt'uno (canali multiplati), fino a centinaia di canali insieme, poi quelli di un canale televisivo, per terminare con quelli di più canali televisivi multiplati e di intensi flussi di dati informatici (canali ampi svariati MHz). Così, le portanti medesime furono costrette a spostarsi dalle frequenze HF (3÷30 MHz) delle onde corte alle frequenze VHF (30÷300 MHz) delle onde cortissime, per assestarsi infine nel campo delle frequenze delle microonde (EHF, 300÷3000 MHz), inizialmente in propagazione guidata entro cavi coassiali interrati, poi in propagazione atmosferica a fascio tra stazioni ripetitrici sulla superficie terrestre e, infine, anche in propagazione spaziale mediante stazioni ripetitrici a bordo di satelliti artificiali terrestri geostazionari. Poiché la propagazione atmosferica e spaziale delle microonde interessa soltanto molto marginalmente la i., il precedente legame tra la fisica ionosferica e la radiotecnica, che per tanto tempo si era mantenuto così estremamente stimolante e, nello stesso tempo, così condizionante, si è fortemente attenuato, nella stessa proporzione in cui è diminuito il peso delle radiocomunicazioni a onde corte per via ionosferica nel campo generale delle radiocomunicazioni a grande distanza.

Si può dire in sostanza che dall'allentarsi di questo legame la fisica ionosferica ha finito, tutto sommato, con il guadagnare molto in termini di autonomia disciplinare, ridefinendo i suoi campi di intervento e, precisamente, collocando la i. e i suoi fenomeni al posto giusto, che era ed è, naturalmente, l'ambito globale dell'atmosfera e dei fenomeni atmosferici.

Ci si rese conto che lo schema dell''elettronosfera', tacitamente anche se non esplicitamente ammesso fino ad allora, non poteva più reggere: la i. era in effetti costituita da elettroni liberi, ioni dei due segni e, anche, da tante molecole non ionizzate (ai 300 km circa del massimo di ionizzazione, vi sono ancora circa 1000 molecole per ogni elettrone o ione!). In conseguenza, l'interazione della i. con l'atmosfera neutra in cui essa era immersa non poteva più essere portata in conto in termini di frequenza delle collisioni elettroni-molecole come parametro dissipativo dell'energia, ma occorreva anche e soprattutto considerare la diffusione degli elettroni e degli ioni conseguente alle collisioni (ciò influenza sensibilmente il termine di scomparsa dell'equazione di continuità [1], che va quindi scritta sia per gli elettroni liberi sia per ciascuna specie ionica e molecolare).

Del resto, lo stesso processo di ridefinizione della disciplina è avvenuto in quegli anni anche nella geofisica in generale, quando si venne costretti ad attenuare la tradizionale partizione in Terra solida, acque terrestri e atmosfera, e, in quest'ultima, tra bassa, media e alta atmosfera, per riconoscere l'ambiente terrestre come un sistema globale (v. geofisica, in questa Appendice). Lo studio della i. nel suo contesto globale ha spostato l'attenzione verso le frequenti, intense e complesse interazioni fra tutti gli enti fisici e fisico-chimici presenti nella i.: precisamente, riprendendo e ampliando quanto detto poco sopra, l'atmosfera neutra alle quote ionosferiche e a quelle più basse, gli elettroni liberi, le varie popolazioni ioniche, la radiazione elettromagnetica e corpuscolare del Sole, il campo magnetico terrestre, il campo gravitazionale terrestre, la rotazione terrestre. Si è venuto così formando un nuovo punto di vista aeronomico della fisica ionosferica.

Il nuovo quadro aeronomico

Due settori in cui l'evoluzione in senso aeronomico ha determinato negli ultimi tempi progressi molto sensibili sono quello concernente i processi di formazione e di scomparsa degli elettroni liberi e degli ioni, e quello concernente i processi di diffusione, che, insieme, implicano, sotto l'aspetto rispettivamente chimico-fisico e termodinamico, le interazioni della radiazione solare con l'atmosfera neutra e di quest'ultima con la conseguente popolazione ionica, la quale ha finito con l'assumere un ruolo praticamente sconosciuto in altri tempi.

L'attuale impostazione teorica si basa quindi sul considerare l'equazione di continuità [1] per ogni i-esima specie (elettroni, ioni); un'altra e più notevole novità consiste nel considerare nei tassi di produzione e di scomparsa di una generica specie, qi e li, l'influenza dei fenomeni di diffusione mediante un tasso di diffusione (numero di particelle che, rispettivamente, appaiono oppure scompaiono per diffusione nell'unità di volume e nell'unità di tempo), per il quale si può dare, segno a parte, l'espressione generica:

formula [

formula

5]

tab. 1
tab. 2

con vi velocità delle particelle (le espressioni esplicite che si derivano dalla [5] per vari casi interessanti, anche molto semplificati, sono troppo complesse per potere essere riportate qui). La tab. 1 offre un quadro dei processi che ora sono considerati principali per i termini di produzione q e di scomparsa l, mentre la tab. 2 ne offre uno molto sintetico delle attuali conoscenze sulle regioni permanenti della i. (sono escluse, per necessaria semplicità, le varie formazioni della E sporadica).

I grandi temi della ricerca ionosferica attuale

Come è stato detto, la base teorica della morfologia ionosferica è stata costituita dalla teoria di Chapman; la già segnalata acriticità con cui tale teoria è stata considerata per lunghissimo tempo si è manifestata, per es., nel fatto che certi vistosi andamenti della ionizzazione della regione F non spiegabili con essa sono stati chiamati anomalie, quasi che i fenomeni rilevabili dovessero piegarsi alle implicazioni della teoria e non, viceversa, la teoria dovesse essere adeguatamente modificata per dare conto anche di essi, a cominciare dalle ipotesi di partenza.

In effetti, queste ultime appaiono tutte soggette a critica, più o meno profondamente. Per cominciare, l'ipotesi di rappresentare lo stato della i. con i valori e le vicende dei soli elettroni liberi non è accettabile appena si esca dal ristretto ambito delle radiocomunicazioni; per es., per spiegare certe emissioni radioelettriche naturali a bassissima frequenza (anche di pochi kHz) dovute a scariche elettriche atmosferiche, i cosiddetti whistlers, occorre tenere conto del comportamento elettrodinamico degli ioni della i. nel campo magnetico terrestre. La cosa diventa poi ben più manifesta quando si passa al magnetismo terrestre, ove si riconosce che la sensibile variazione diurna degli elementi del campo magnetico terrestre è dovuta a una corrente elettrica atmosferica che circonda la Terra nel piano equatoriale, a circa 120 km di quota (cioè nella regione E della i.), prodottasi per l'interazione tra movimenti verticali dell'atmosfera neutra, rotazione terrestre e presenza, con uguale importanza, di elettroni e ioni nella ionosfera. Accettabili soltanto nei relativamente ristretti intervalli di quota dove si hanno i vari massimi di ionizzazione appaiono poi le ipotesi concernenti l'omogeneità chimica (una sola specie presente) e l'isotermia, mentre appare troppo restrittiva l'assunzione dei due soli processi di fotoionizzazione e di ricombinazione ionica di fronte alla complessa situazione esistente soprattutto nelle regioni D ed E, di cui la tab. 2 dà soltanto un'idea. Assolutamente inaccettabile è poi pensare in condizioni di equilibrio statico la i., che invece è animata da movimenti assai ampi e vivaci.

La dinamica ionosferica a grande scala

Negli anni Ottanta, riprendendo criticamente alcuni risultati sperimentali precedenti, si scoprì che le più ampie e persistenti tra le fluttuazioni correnti delle grandezze misurabili con i radiosondaggi (quota di riflessione e relativa concentrazione elettronica) erano determinate da movimenti ondosi pseudoperiodici (cioè con periodo ben definito ma con ampiezza variabile) delle superfici di uguale concentrazione elettronica (e ionica), con uno pseudoperiodo da qualche decina di minuti (i meno ampi) a qualche ora (i più ampi: anche svariate unità in 10¹¹ elettroni/m³ in termini di concentrazione elettronica e qualche decina di km in termini di quota); si è riconosciuto che queste onde ionosferiche (trasversali) sono l'effetto sulla i. di onde elastiche (longitudinali) dell'atmosfera neutra, suscitate da varie instabilità sia della bassa atmosfera (quali onde impulsive eccitate dallo scoccare di fulmini, da esplosioni vulcaniche e anche da terremoti) sia dell'alta atmosfera (quali instabilità del vento solare o dell'elettrogetto polare).

Il fatto che le onde ionosferiche appaiano come trasversali deriva dalla circostanza che l'andamento rapidamente crescente della velocità del suono con la quota nella i. (da circa 335 m/s al suolo a circa 1000 m/s a 300 km di quota) deflette le superfici d'onda delle onde atmosferiche rendendole quasi orizzontali, in una situazione simile a quella che si verifica nelle onde di gravità della superficie mossa di un liquido.

Si dispone attualmente di una consistente massa di dati sperimentali sulle onde ionosferiche, ottenuta negli ultimi anni con numerose campagne di rilevamento da parte di reti di ionosonde verticali opportunamente distribuite su vaste aree. Si sono così precisate molte caratteristiche di tali onde, che hanno contribuito anche alla conoscenza dei fenomeni atmosferici da cui esse derivano, in particolare delle onde atmosferiche cosiddette di gravità.

fig. 11

Una particolare attenzione è stata rivolta alle onde ionosferiche di medio periodo (intorno a 2 ore), che presentano caratteri di sistematicità giornaliera sconosciuti alle onde di periodo minore o maggiore (fig. 11); si pensa, fondatamente, che esse siano associate alla brusca transizione termica dovuta al rapido movimento del terminatore solare, come dire il passaggio dalla notte al giorno o viceversa, che nell'alta atmosfera non ha la gradualità crepuscolare caratteristica della bassa atmosfera (onde ionosferiche di terminatore solare).

La revisione della teoria della ionosfera

La scoperta consolidata della grande dinamica ionosferica ha ulteriormente rafforzato le ricerche teoriche di fisica ionosferica, mettendo a profitto le risorse intellettuali lasciate libere dal diminuito interesse per i problemi applicativi.

La linea di ricerca più consistente è quella basata su una completa revisione della teoria di Chapman e che perciò potremmo chiamare linea revisionista, cioè che lascia inalterata la filosofia di fondo orginaria.

Si tratta di precisare, nell'ordine, la situazione chimico-fisica dell'atmosfera nel modo più completo possibile (composizione e stato fisico delle particelle, sia neutre sia elettricamente cariche), i possibili processi di produzione (interazione con la radiazione solare e cosmica) e di scomparsa (inclusa la diffusione) degli elettroni liberi e delle specie ioniche prevalenti alle varie quote (appare invece decisamente velleitario il proposito di considerare globalmente tutte le possibili specie ioniche), per arrivare infine a un apparato analitico che sia in grado di descrivere i fenomeni osservati. Già da questa sommaria elencazione appare la grandissima difficoltà degli scopi propostisi.

La consapevolezza di questa difficoltà sembra che non abbia attenuato finora il vigore con cui ci si è messi all'opera, anche se nel lasso di tempo intercorso, peraltro relativamente breve, non sono stati ottenuti ancora risultati sufficientemente significativi.

Va osservato che, a differenza di altri campi della geofisica e della stessa fisica, ove esistono questioni ostative di natura ancora non ben definita, i problemi appaiono qui essere di complessità banale, e non sostanziale, per cui si è ragionevolmente certi che la linea di ricerca sistematica sopra delineata possa portare alla loro risoluzione. Per es., appare ben fondata la speranza di poter spiegare, misurando concentrazioni molecolari, la grande anomalia annua dello strato F2 seguendo separatamente le vicende delle distribuzioni in quota dell'ossido di azoto NO, dell'ossigeno molecolare O₂ e dell'ossigeno atomico O, di cui sono attendibili indici le concentrazioni dei relativi ioni (fig. 7); d'inverno le quote dei massimi di concentrazione di queste tre specie ionizzabili sono relativamente vicine, per cui la radiazione solare, ancorché meno intensa che d'estate, risulta molto più efficace che in quest'ultima stagione, quando le tre specie sono sensibilmente separate in quota; analoga speranza esiste per poter spiegare, misurando coefficienti di diffusione, l'esistenza di duraturi e consistenti strati ionosferici notturni come dovuti ad apporti per diffusione di elettroni liberi dalle regioni diurne ad alta ionizzazione, adiacenti all'emisfero notturno.

Benefici decisivi sono attesi anche per il consistente filone di ricerca sulle perturbazioni ionosferiche irregolari, le più importanti delle quali, e cioè le tempeste, sono già abbastanza ben conosciute, e sui fenomeni ionosferici non lineari, per spiegare i quali occorre scrivere in forma non lineare le equazioni differenziali della teoria magnetoionica; ricordiamo che la scoperta del primo di questi fenomeni, l'effetto Lussemburgo, consistente nel trasferimento della modulazione d'ampiezza dall'una all'altra di onde radio propagantisi nella stessa regione ionosferica e spiegato compiutamente soltanto da poco, risale al lontano 1933.

Le previsioni ionosferiche

Dei tradizionali temi della ricerca ionosferica è rimasto ancora di un certo interesse quello relativo alla modellizzazione degli strati ionosferici per la previsione dei valori dei parametri operativi delle radiocomunicazioni per via ionosferica che sono rimaste ancora attive: comunicazioni a onde corte tra e con navi al di là dell'orizzonte radio di stazioni a onde cortissime o microonde; analoghe comunicazioni con aerei al di là del detto orizzonte radio; radiocomunicazioni militari.

All'inizio, diciamo a partire dagli anni della Seconda guerra mondiale, la previsione fu ristretta, per evidenti necessità di inevitabile prima approssimazione dei problemi interessati, ai valori mediani delle frequenze critiche massime (come dire delle concentrazioni elettroniche massime) e delle quote virtuali minime degli strati permanenti (E, F1, F2) per i vari mesi dell'anno.

Nei procedimenti di calcolo, dapprima manuali e poi elettronici automatici, che furono sviluppati in quel periodo e successivamente migliorati, fino a restare in gran parte ancora in uso, per queste previsioni mediane mensili si entra, accanto alle coordinate dei siti da collegare, alla data e all'ora del giorno, con la frequenza critica e la quota dove inizia ogni strato ionosferico; in conseguenza, ciò che per lungo tempo è stato richiesto alla fisica ionosferica erano appunto modelli mediani mensili di frequenze critiche e quote minime di strati ionosferici.

Per gli strati E e F1, le cui frequenze critiche sono, come si è detto, abbastanza ben descritte dalla teoria di Chapman, i modelli potevano consistere semplicemente, per la i. sulla verticale di un dato luogo, in formule numeriche dedotte da opportune analisi statistiche di lunghe serie storiche dei dati misurati; per es., per le frequenze critiche della regione E, foE, e dello strato F1, foF1, della i. sopra Roma si può scrivere, analizzando i dati di oltre trent' anni di misurazioni con radiosonde verticali:

formula [

formula

6]

formula [

formula

7]

essendo χ, come è stato già detto, la distanza zenitale del Sole, che dipende dalla latitudine geografica, dal mese e dall'ora del giorno, e R il numero delle macchie solari (grandezza adimensionata variabile tra 0 e un massimo di 150÷200), che, fornito da appositi bollettini astrofisici, costituisce una misura dell'attività radiativa solare.

Per lo strato F2, che poi è il più importante, sia dal punto di vista geofisico sia per le radiocomunicazioni a grandissima distanza, questa modellizzazione numerica così semplice non è possibile e occorre fare capo a modelli diagrammatici o nomografici, oppure a complessi modelli numerici gestiti da un elaboratore elettronico; in quest'ultimo caso il programma di previsione fornisce in genere anche i valori dei parametri radiotecnici operativi (migliore frequenza radio e minima potenza di emissione relativamente a determinati valori del rapporto segnale/rumore ammissibile).

La previsione in termini di valori mediani mensili o, ciò che è lo stesso, in termini di i. normale è stata ed è tuttora di grande utilità per il progetto di radiocollegamenti a onde corte, nonché per la ripartizione futura, da parte di autorità nazionali e internazionali, dei vari sottocampi di frequenze radio a onda corta tra i vari tipi di utenti; essa andò però rapidamente in crisi quando si tentò di passare dai parametri mediani previsti a quelli validi nell'immediato, cioè riferiti non alla fittizia i. normale ma alla i. reale al momento, specialmente in presenza di perturbazioni.

A tal fine, da una ventina d'anni a questa parte sono stati fatti vari tentativi teorici, effettuati in genere applicando ai valori previsti opportuni fattori correttivi dedotti da un radiosondaggio eseguito al momento. Questa via ha portato, al limite, a misurare al momento la migliore frequenza di lavoro e la potenza minima trasmessa per un dato radiocollegamento, mediante ionosonde a variazione di frequenza adattate alle antenne stesse del collegamento: tale tecnica, ovviamente, risolve il problema del collegamento nelle condizioni migliori ma costituisce, altrettanto ovviamente, la negazione delle previsioni ionosferiche, che restano purtuttavia un'esigenza primaria nei moltissimi casi in cui non si possano utilizzare le dette ionosonde.

Tornando quindi allo spirito delle previsioni vere e proprie, la conclusione tratta dall'esperienza fatta finora è che convenga adattare alle vicende della i. le tecniche delle moderne previsioni meteorologiche: ciò significa costruire un attendibile modello matematico costituito dalle equazioni differenziali che esprimono le condizioni di continuità delle variabili ionosferiche in regime dinamico nei nodi di una conveniente rete mondiale o locale, in cui entrare con un piccolo numero di dati al momento.

La situazione si presenta sotto una buona luce per quanto riguarda la struttura della rete osservativa, che, a differenza di quella meteorologica, può essere a maglie molto larghe (si ritiene che i dati di una ionosonda verticale siano significativi per la prognosi di base, almeno alle latitudini basse e medie, per tutta una zona di qualche centinaio di km tutto intorno), ma è ancora largamente insoddisfacente per quanto riguarda le conoscenze sulle differenze osservabili, apparentemente senza ragione, negli andamenti da giorno a giorno delle grandezze ionosferiche (fig. 11).

Si ha l'impressione che la riconosciuta connessione tra fenomeni atmosferici (per es., onde atmosferiche di gravità) e fenomeni ionosferici (per es., le grandi variazioni ondose della concentrazione elettronica che abbiamo chiamato onde ionosferiche) potrebbe essere soltanto l'indice dell'esistenza di una più profonda, e per il momento assai poco conosciuta, connessione tra lo stato generale dell'atmosfera e quello della i., presumibilmente per il tramite di fenomeni di natura particellare, cioè intrinsecamente microscopici e caotici: circostanza, questa, che ormai risulta tutt'altro che strana e inammissibile nel generale ambito della fisica dell'atmosfera; la questione è individuare al più presto il punto di attacco per disvelare questa connessione.

bibliografia

J.A. Ratcliffe, Sun, earth and radio. An introduction to the ionosphere and magnetosphere, London 1970.

S.J. Bauer, Physics of planetary atmospheres, Berlin-New York 1973.

J.K. Hargreaves, The upper atmosphere and solar-terrestrial relations, New York-London 1979.

M.H. Rees, Physics and chemistry of the upper atmosphere, Cambridge-New York 1989.

Per sviluppi recenti di alcune questioni di dettaglio, P. Dominici, Ionosfera, in Enciclopedia delle scienze fisiche, 3° vol., Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1993, ad vocem.

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