IRNERIO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)

IRNERIO

Ennio Cortese

"Fondatore" della scuola di Bologna, celebrato ai suoi tempi come "lucerna iuris", I. è tuttora noto più per gli insolubili problemi biografici che per i pochi dati certi.

Il nome con cui egli stesso si sottoscrive è Wernerius; la forma Warnerius e quelle italianizzate Garnerius/Guarnerius sono usate dai suoi contemporanei, mentre la variante Yrnerius/Irnerius, di cui è dubbia l'origine, compare solo dopo la sua morte (Patetta, 1967, pp. 451 s.; Nicolaj, 2000, p. 1045, propone la derivazione paleografica di y da wer). Non è un nome raro.

Per prudenza è bene evitare identificazioni con alcuni omonimi: un "Guarnerius de Montesilicis/ comes/ missus" che compare in un atto di data incerta e in un altro del 1100 (Spagnesi, 1970, pp. 160-162), un "Warnerius presbiter" del 1095 e del 1101, un "Guarnerius de Brigey" del 1106 (Dolcini, 1996, pp. 98-100; Mazzanti, 2000, pp. 154-159) nonché un "magister Garnerius" di una carta siciliana del 1117 (Besta, I, p. 49).

Le uniche date della sua vita che si ritengono sicure sono quelle della sua partecipazione a placiti; due tra il 1112 e il 1113 in veste di causidicus, ben undici tra il 1116 e il 1118 in qualità di iudex Bononiensis (Spagnesi, 1970); la notizia della sua presenza a Roma all'elezione dell'antipapa Gregorio VIII (Maurizio Burdino) nel marzo 1118; la scomunica lanciata contro di lui il 30 ott. 1119 dal concilio di Reims.

Il documento di un arbitrato del dicembre 1125, in cui fungeva da avvocato del monastero di S. Benedetto di Polirone, è stato di recente sospettato (Codice diplomatico polironiano, a cura di R. Rinaldi, Bologna 1993, pp. 331-335).

Quanto alla data di nascita, la si è avventurosamente posta tra il 1055 e il 1060 sulla base di episodi in realtà insussistenti, come l'immaginario magistero romano e le errate datazioni di opere che oltretutto non sono sue. Era forse già in età matura nel 1112 quando nel placito di Cornacervina fu registrato in capo alla lista dei causidici, fatto che dovrebbe indicare ch'era il più anziano.

Non va presa sul serio la tarda additio in cui si narra ch'egli avrebbe raggiunto "nimiam senectutem" (Pace, p. 131); più che di una notizia si tratta di una nota di colore nella favola, esemplata sul racconto di Aulo Gellio, della morte di Aristotele (Tamassia, pp. 318-321), della designazione che avrebbe fatto in punto di morte del proprio successore (narrata nella cronaca dei Morena: "Bulgarus os aureum, Martinus copia legum / Mens legum est Hugo, Iacobus id quod ego"). Meno che mai si può dare credito a Robert de Torigny (Robertus de Monte) che, nella cronaca normanna, fa iniziare gli studi di I. sulle leggi romane nel 1032 con il presunto maestro Lanfranco di Pavia. Anziché immaginare che I. abbia frequentato la scuola di Lanfranco in Normandia (Padovani, pp. 20-22; Mazzanti, 2000, pp. 173 s.), conviene pensare che Robert de Torigny (monaco e priore di Bec tra il 1128 e il 1154, prima della nomina ad abate di Mont-Saint-Michel) abbia attinto da una confusionaria tradizione orale di Bec.

È riemersa negli ultimi decenni la tradizione dell'origine teutonica d'I., che contrasta con la qualifica di "Bononiensis" o "de Bononia" che gli è data nei placiti. Si può forse supporre che fosse cittadino di Bologna ma di ascendenza germanica, il che spiegherebbe la fiducia riposta in lui dall'imperatore Enrico V che amava circondarsi di connazionali.

L'origine teutonica è attestata da un'annotazione in una summa quaestionum monacense risalente al 1185-90 (Nörr) e, circa un secolo più tardi, da un'additio torinese di un allievo di Francesco d'Accorso (Pace). Si è tentato di argomentare l'inattendibilità della nota monacense (Spagnesi, 1970, p. 22 n. 1); Dolezalek (1971, p. 497) e Fried (1990, p. 137) suggeriscono invece che I. abbia avuto il nomignolo di Teutonicus per via dei rapporti intrattenuti con l'imperatore o dei soggiorni compiuti in Germania.

Circa la formazione d'I., di cui nulla si sa, si sono tuttavia fatti i nomi di ipotetici maestri - un misterioso Geminiano, Pepo e Lanfranco di Pavia - che nessuna fonte attendibile conferma.

Fitting, prontamente smentito dal Patetta (1967, pp. 361, 386-388), ha immaginato I. allievo di un Geminianus sulla scorta dell'incerto rapporto tra una regula attribuita a quest'ignoto dalla glossa di Colonia e un passo delle Questiones de iuris subtilitatibus erroneamente assegnate a I. (H. Fitting, Questiones de iuris subtilitatibus des Irnerius, Berlin 1894, pp. 22, 46 s.). Quanto al legame con Lanfranco di Pavia, ammetterlo esigerebbe un castello di supposizioni: che I. dimorasse in Francia (Padovani, p. 23) prima della nomina di Lanfranco ad arcivescovo di Canterbury nel 1070, in tempi in cui era tanto giovane da rendere opportuna l'ulteriore ipotesi ch'egli e la sua famiglia fossero del luogo, o almeno vi avessero residenza stabile. La tesi, infine, che Pepo fosse stato suo maestro è stata aprioristicamente dedotta dall'asserito magistero bolognese di Pepo: Besta (I, pp. 51 s.) ha comunque definito la cosa non inverosimile e De Vergottini (1996, pp. 7-9) sicura. Ulteriore conferma è parsa venire dal suggerimento di P. Fiorelli (Clarum Bononiensium lumen, in Per Francesco Calasso, Roma 1978, pp. 415-459) che Pepo fosse diventato vescovo scismatico di Bologna a partire dal 1085. Ma la scarsa attendibilità del quattrocentesco senese Sigismondo Ticci, fonte di Fiorelli, e i buoni argomenti con cui l'insegnamento bolognese di Pepo è stato negato da Walther (p. 142), Nicolaj (1991, pp. 59-65) e Theisen valgono, malgrado i dissensi (cfr. C. Dolcini, Velut aurora surgente. Pepo, il vescovo Pietro e l'origine dello Studium bolognese, Roma 1987, pp. 24 s.), a confermare l'idea che I. e Pepo appartenessero a mondi separati.

Odofredo (m. 1265) dichiara che I. era magister in artibus al momento in cui giunsero a Bologna, forse provenienti da fondi nonantolani (Colliva, p. 638), parti ignote del Digesto. Egli cominciò allora per conto proprio a studiare e a insegnare il diritto giustinianeo, incontrando un crescente successo sull'onda della crociata contro i diritti germanici e della politica di restauro dell'autorità imperiale.

Odofredo afferma il magistero in artibus d'I. in due passi della sua Lectura (in C. 2.21[22].9: "Dominus Yr., quia loicus fuit et magister fuit in civitate ista in artibus antequam doceret in legibus, fecit unam glosam sophisticam que est obscurior quam sit textus"; in D. 1.1.6: "Sed dominus Yr., dum doceret in artibus in civitate ista, cum fuerunt deportati libri legales, cepit per se studere in libris nostris"). Sull'esistenza stessa di una scuola di arti liberali a Bologna nell'XI secolo si sono però avanzati dubbi (Cencetti); sospetti inoltre sul magistero in artibus d'I. hanno nutrito, per la mancanza di riscontri, Tamassia (pp. 397 s.) e Fried (1974, pp. 103-106). Un riscontro aveva invece trovato Besta (I, p. 53) nell'eleganza della prosa irneriana e nella conoscenza della logica (sottolineata quest'ultima ora da Padovani, pp. 256 s.).

Ultimamente è stata riaffermata la provenienza d'I. dai ranghi dei teologi. Il problema verte in realtà soltanto sull'attribuzione del Liber divinarum sententiarum - raccolta di materiale patristico specialmente agostiniano - che va sotto il suo nome e che storici-letterati, ma non i giuristi, usano assegnargli. La paternità d'I., suggerita nel manoscritto Y.43 sup. della Biblioteca Ambrosiana di Milano del Liber divinarum sententiarum attribuito a un Guarnerius qualificato, in un'aggiunta interlineare di mano del copista, come "iurisperitissimus", è stata ultimamente rivendicata da Mazzanti (1999); se attrae il suo tentativo di agganciare la prima scienza giuridica romanistica alla cultura teologica esplosa con la riforma gregoriana, gli argomenti, pur ingegnosi, non bastano a eliminare le numerose perplessità.

Molto più attendibile è l'immagine di un I. filologo. La propone la cronaca di Burcardo di Biberach, prevosto di Ursperg, là ove narra della richiesta rivolta da Matilde di Canossa a I. di "renovare libros legum […] secundum quod olim a […] Iustiniano compilati fuerant".

Sbrigliate fantasie di interpreti del passo di Burcardo hanno condotto, nella prima metà del '900, a inventare che la contessa avesse dato incarico a I. d'istituire la scuola di Bologna, che, per di più, sarebbe nata come Studio imperiale per via di un vicariato concesso da Enrico V a Matilde nel 1111. In realtà basta leggere attentamente il brano per vedere che Matilde invocava solo un restauro dei testi che li riconducesse agli originali, ossia una sorta di edizione critica, ch'era cosa quanto mai opportuna data la tradizione manoscritta lacunosa e disordinatissima. L'immagine di I. filologo, va notato, potrebbe adattarsi bene a quella del magisterin artibus testimoniata da Odofredo. Quanto alla datazione della vicenda, è logico pensare che la contessa avesse formulato la richiesta quando I. aveva già fama di esperto dei manoscritti delle leges; verrebbe comunque da ricordare che nel maggio 1113 la contessa e I. s'incontrarono a Baviana, in territorio ferrarese, in occasione di un placito.

Non è possibile datare l'inizio dell'insegnamento irneriano delle leges. Sono arbitrari i tentativi fatti nei secoli andati, da quello cinquecentesco di Carlo Sigonio che parlava dell'anno 1102, fino agli assurdi 1128, 1190 o 1200 (Spagnesi, 1970, pp. 16-18). Anche la collocazione generica verso la fine del sec. XI (Kantorowicz, 1938, p. 69) è ragionevole ma indimostrabile. Vecchie dicerie sulle varie città nelle quali I. avrebbe tenuto scuola, in particolare Pisa, Roma e Ravenna, non trovano riscontro. Per il magistero bolognese si può dire soltanto che nel 1116 la fama del giurista era acquisita se venne adottata in città la nuova formula notarile dell'enfiteusi da lui escogitata, e si accantonò quella di tipo ravennate usata fino ad allora. La creazione di tale nuova formula fu all'origine della falsa tradizione, divulgata da Odofredo, che I. avesse composto il primo formularium tabellionum.

Il 1116 fu un anno significativo e intenso per Irnerio. Compare in ben nove documenti, per lo più accanto all'imperatore Enrico V che accompagnò nel secondo viaggio italiano (Spagnesi, 1970, pp. 138-143). I. aveva il titolo di iudex e tra i giudici, fuorché nei due primi atti padovani di marzo, occupava il primo posto, fatto che dovrebbe essere segno di riguardo o di anzianità. Deve aver seguito l'imperatore fino a Roma, raggiunta nella primavera del 1117; nel marzo del 1118 partecipò in S. Pietro all'elezione scismatica di Maurizio Burdino. La notizia data da Landolfo attribuisce però genericamente a un "quidam", e non specificatamente a I., la prolixa lectio con cui venne spiegato al popolo che la procedura da seguire, in spregio al decreto di Niccolò II del 1059 che prevedeva il voto dei cardinali vescovi, consisteva nell'acclamazione della persona designata dall'imperatore. I due primi docenti di diritto romano hanno operato dunque entrambi all'ombra di uno scisma: dopo il 1080 Pepo, dal 1118 Irnerio. Il 30 ott. 1119 il concilio di Reims lo colpì di scomunica (Holtzmann).

Indipendentemente dal fatto che abbia tenuto o meno l'orazione preelettorale in S. Pietro nel marzo del 1118, I. fornì di certo fonti e argomenti. Non è difficile immaginare ch'egli abbia fatto leva sulla lex regia, con la quale il popolo romano aveva trasmesso i suoi poteri a Vespasiano nel 69; la leggenda dice che sul modello della lex regia un concilio romano del 774 aveva conferito a Carlo Magno il diritto, appunto, di nominare il papa. Tale leggenda, divulgata da cronache ecclesiastiche, recepita dal diritto canonico (sarà consacrata da Graziano, Decr. D. 63 c. 22), era confluita nelle falsificazioni cosiddette ravennati di parte imperiale del tempo di Enrico IV (nell'Hadrianum e nel Privilegium maius), nella cui tradizione è logico si muovesse Irnerio. Fu Callisto II, eletto e consacrato a Vienne nel febbraio 1119, a colpire di scomunica Enrico V con un gruppo di nobili, di prelati e di ostinati scismatici: nella lista reperita e pubblicata da Holtzmann nel 1933 compare Irnerio. Mazzanti (2000, p. 121) ritiene che la scomunica, curiosamente ritardata di un anno e mezzo, colpisse i fedeli di Enrico che in quell'autunno 1119 continuavano ad appoggiare l'antipapa.

Con tutta probabilità nel 1119 I. si trovava Oltralpe alla corte dell'imperatore. I documenti, che dopo il novembre 1116 tacciono per un anno e mezzo, nel giugno 1118 lo presentano a Bombiana, nel Bolognese, e il 1° agosto a Treviso, in un placito presieduto dal sovrano nel quale I. è il primo dei giudici. Le due carte disegnano un itinerario verso la Germania coincidente con quello tenuto da Enrico V. Non sono invece dimostrabili il successivo trasferimento d'I. in Francia né il soggiorno e il decesso nel convento vittorino di Parigi ipotizzati da Mazzanti (2000, pp. 127-181). Il ritorno a Bologna potrebbe essere testimoniato dalla sua comparsa nell'arbitrato di Casale Barbato del 10 dic. 1125, in cui lo si dice "iudex Bononiensis", se si ammettesse che l'eventuale falsificazione della carta non fosse falsificazione dell'episodio. Non si ha più notizia di lui dopo il 1125.

La morte d'I. è stata presuntivamente collocata dopo il 1125 o il 1132 (Palmieri) o il 1136 (Pescatore, 1888), o poco prima del 1140 (Gaudenzi, 1901). Recentemente una minuziosa indagine di Mazzanti (2000, pp. 127 s.) ha individuato I. nel "magister Garnerius Teutonicus" di un tardo obituario di S. Vittore di Parigi che data il trapasso a un 19 settembre, senza indicazione di anno; Mazzanti sembra collocare quel decesso tra il 1125 e il 1140 (p. 180). Tale identificazione, però, non convince. Anzitutto quell'ignoto tedesco doveva essere un ecclesiastico e I., in quanto giudice imperiale, non lo era. Inoltre non è verosimile che i cinque volumi con glosse lasciati all'abbazia da quel Garnerius, come ricordato nell'obituario ("quinque libros optimos glosatos", ibid., pp. 127 s.), possano essere un Corpus iuris, sia perché all'epoca di I. le leges non erano ancora ripartite nei cinque tomi tradizionali, sia perché gli apparati d'I. sono discontinui.

Opere: alla fine dell'Ottocento si ritenne la produzione d'I. sterminata; oggi la si riduce alle glosse. La loro individuazione ha creato tuttavia problemi per via delle sigle y, I, g, w, che in altri tempi si credeva lo designassero; oggi si considera affidabile solo la y, forse derivata dal segno di richiamo in capo alla glossa e ornamentale in fine (Dolezalek, 1971, p. 497), oppure dalla stilizzazione di un wer. abbreviato (Nicolaj, 2002, p. 1045). La sigla yr nei manoscritti antichi indica Enrico da Baila, ma sui tardi anche Irnerio. Solo una parte delle glosse è stata edita (da Cujas, da Savigny, forse da Bollati, da Pescatore, da Besta, da Torelli, da Rota), ma di quelle pubblicate parecchie non gli appartengono, o perché consistono di più tarde citazioni del suo pensiero o perché la sigla non è sua. Può essere genuina la distinctio in materia di locazione-conduzione attribuitagli da Roffredo (cfr. Savigny, Geschichte, IV, pp. 469 s.). Quanto al suo pensiero, va ricordato, tra l'altro, ch'egli credette non autentico il testo dell'Authenticum, e tuttavia ne introdusse estratti (authenticae) in calce alle costituzioni del Codice giustinianeo cui le Novelle derogavano. Ebbe interessi processualistici testimoniati da glosse e distinctiones (Radding, Errera); taluno ha creduto che fosse persino attento a questioni feudali (Pescatore, 1908; Rota, 1954) e al mondo della Lombarda (Paradisi, La renaissance, p. 984). La sua celebre tesi che nega validità alle consuetudini contra legem dopo la definitiva cessione della sovranità del popolo al principe mediante la lex regia (Savigny, Geschichte, IV, p. 459) rivela i suoi sentimenti filoimperiali e lo mostra ancora ignaro dei meccanismi del sistema del diritto comune. Lasciò quattro allievi famosi - Martino Gosia, Bulgaro, Iacopo e Ugo - che, proseguendo degnamente il suo magistero, assicurarono la gloria dello Studium di Bologna.

Inizialmente gli è stato attribuito il Brachylogus, seppur cautamente (Savigny), e l'Epitome Exactis regibus, opere tutte presto consegnate a scuole francesi postirneriane. Più tardi Fitting pubblicò sotto il suo nome le Questiones de iuris subtilitatibus che datò a Roma intorno al 1082 (Berlin 1894), la Summa Codicis Trecensis, che immaginò composta a Bologna prima del 1090, un breve scritto de aequitate che compariva nei manoscritti delle Questiones ed è tolto dalla Trecensis (cfr. Summa Codicis des Irnerius (Trecensis), Berlin 1894). Gli assegnò inoltre parte di un de natura actionum nonché, sempre per ipotetiche affinità con la Trecensis, persino la Summa legis Langobardorum edita da A. Anschütz (Halle 1870). G.B. Palmieri, allievo di Gaudenzi e seguace di Fitting, presentò nella Bibliotheca iuridica Medii Aevi (I, Bononiae 1913; I, Addendum, ibid. 1914) sotto il nome d'I. la Summa Institutionum Vindobonensis e il Formularium tabellionum, testi di cui si è disconosciuta in seguito la paternità irneriana. Infine Gaudenzi, che però poco dopo si corresse, e Grabmann attribuirono a I. il Liber divinarum sententiarum. Dall'ultimo decennio dell'800 soprattutto Patetta, Pescatore, Besta e Kantorowicz (1938, pp. 33-37) hanno fatto giustizia di queste attribuzioni (letteratura in Weimar, 1973). Tra le esposizioni più o meno attendibili e quasi coeve del pensiero d'I., lo stesso Kantorowicz ha descritto ed edito un Exordium Institutionum "Quia intentio generalis est" (1938, pp. 59-65, 240) e una Materia Codicis "Cum Iustiniani nomine" (ibid., pp. 233-239). I sospetti nutriti da I. circa l'autenticità delle Novelle, prolisse e sistemate nell'Authenticum disordinatamente, lontane cioè dallo stile esibito da Giustiniano nel Codice, sono espressi in una glossa irneriana edita da Savigny; secondo Carlo di Tocco e Roffredo, I. avrebbe però finito col cambiare idea (Savigny, Geschichte, III, pp. 491-495). Sulle autentiche irneriane si è discusso (Patetta, 1926).

Glosse irneriane sono state edite da Savigny (Geschichte, IV, pp. 458-470); L. Chiappelli, Glosse d'I. e della sua scuola, in Memorie dell'Accademia nazionale dei Lincei, cl. di scienze morali, s. 4, II (1886), pp. 184-236; glosse al Codice da G. Pescatore, Die Glossen des Irnerius, Greifswald 1888, pp. 83-111; glosse al Digestum vetus da E. Besta, L'opera d'I., II, Torino 1896 e, poche, da A. Rota, Lo Stato e il diritto nella concezione di I., Milano 1954, pp. 65, 72, 115 s., 121; glosse alle Institutiones da P. Torelli, Glosse preaccursiane alle Istituzioni. Nota prima: glosse d'I., in Id., Scritti di storia del diritto italiano, Milano 1959, pp. 45-94; glosse all'Authenticum da I. Cuiacius, Notae in Institutiones Iustiniani, in Id., Opera, I, Francofurti 1595, pp. 73-75. Taluni manoscritti del Digestum novum con glosse irneriane sono segnalati in G. Dolezalek, Der Glossenapparat des Martinus Gosia zum Digestum Novum, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Rom. Abt., LXXXIV (1967), pp. 261, 263, e altri specialmente del Codex in G. Dolezalek - L. Mayali, Repertorium manuscriptorum veterum Codicis Iustiniani, II, Frankfurt a.M. 1985, pp. 928 s. Non appartengono a I., come già brevemente accennato, le opere edite da Fitting e da Palmieri; resta incertissima la paternità dell'opera teologica edita da G. Mazzanti, Guarnerius iurisperitissimus: Liber divinarum sententiarum, Spoleto 1999.

Fonti e Bibl.: Landulphus iunior, Historia Mediolanensis, a cura di C. Castiglioni, in Rer. Ital. Script., 2a ed., V, 3, p. 28; Robertus de Monte, Cronica, a cura di L. Bethmann, in Mon. Germ. Hist., Script., VI, Berolini 1844, p. 478; Burcardus Urspergensis, Chronicon, a cura di O. Abel - L. Weiland, ibid., XXIII, ibid. 1874, p. 342; O. Morena - A. Morena, Historia Friderici I, a cura di F. Güterbock, ibid.,Script. rer. Germ. ad usum scholarum, n.s., VII, p. 59; Odofredo, in Dig., 1.1.6, de iust. et iure, Ius civile, rist. Bologna 1967, 7rb; Dig. Infort., prooem., rist., 2ra; Dig. Nov., prooem., rist., 2rb; Cod., 1.2, de sacrosanctis eccl., auth. Qui res, rist., 17ra nr. 3; Cod., 2.21[22].9, de in integr. rest., Non videtur, rist., 101va; W. Holtzmann, Zur Geschichte des Investiturstreites…Eine Bannsentenz, in Neues Arch. der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde, L (1933), pp. 318 s.; Radulfus Niger, Moralia regum, in H. 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