ISACIO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)

ISACIO

Gianluca Borghese

Non si hanno notizie su I. prima del 625, quando divenne esarca d'Italia, suprema autorità civile e militare dell'Italia bizantina, ma, come viene indicato dall'epitaffio inciso sul coperchio del suo sarcofago, ancora visibile in S. Vitale a Ravenna, egli era di origine armena e aveva una sposa di nome Susanna. È indicato nelle fonti letterarie o epigrafiche come patricius et exarchus Italiae o più semplicemente, in un suo sigillo, tuttora conservato, come patricius ed exarchus.

La prima attestazione relativa a I. quale esarca d'Italia a noi nota è una lettera inviatagli alla fine del 625 da papa Onorio I per esortarlo a sostenere il re longobardo Adaloaldo, filocattolico, deposto da Arioaldo, ariano, e, una volta restaurato il trono di Adaloaldo, a prendere provvedimenti contro quei vescovi "transpadani" che si erano schierati a favore di Arioaldo (Onorio chiedeva addirittura l'invio a Roma dei presuli colpevoli). I., se pure si impegnò a seguire la politica suggeritagli dal papa, non fu in grado di compromettere la posizione di Arioaldo che tenne la corona fino alla morte, nel 636.

La lettera, pervenutaci senza data, è certo posteriore al 25-27 ott. 625, data della consacrazione di Onorio I quale vescovo di Roma, ma dovrebbe anche essere stata scritta entro i primi mesi del 626, quando a Roma si riteneva ancora possibile la rivincita di Adaloaldo. Poiché dal Liber pontificalis si sa che I. morì nel 643, ancora a capo dell'Esarcato, e l'epigrafe sul suo sarcofago attesta che fu esarca per diciotto anni, l'inizio del suo esarcato è comunemente datato alla seconda metà del 625.

In seguito all'invasione longobarda del 568 e alle successive conquiste in particolare dei re longobardi Autari (584-590) e Agilulfo (590-616), l'Esarcato era riuscito a mantenere sotto il suo effettivo controllo solo la costa ligure, costituita in Ducato, la laguna veneta, anch'essa un Ducato, la Romagna con la capitale dell'Esarcato, Ravenna, le Marche settentrionali (ovvero il Ducato della Pentapoli, comprendente però anche Rimini), un corridoio attraverso l'Umbria lungo la via Armerina (passando per Gubbio, Perugia, Amelia, Todi, Orte), il Ducato romano (la cui frontiera settentrionale era segnata dai capisaldi di Bomarzo e Sutri e quella meridionale arrivava fino al Garigliano), i Ducati di Napoli, Gaeta e Amalfi, la Calabria a sud del fiume Crati e la Puglia centromeridionale. La Sicilia, pure bizantina, era però amministrata da un praetor che rispondeva direttamente all'imperatore, mentre la Corsica e la Sardegna erano comprese nell'Esarcato d'Africa. Il governo centrale bizantino preferiva porre a capo dell'Esarcato personaggi non originari del posto e cominciò, dopo qualche anno, a cambiare il proprio rappresentante per evitare che gli esarchi, permanendo a lungo in carica e consolidando le proprie personali relazioni, conseguissero una eccessiva indipendenza dal governo centrale; da questo punto di vista I., di origine sì straniera, ma esarca per un periodo molto lungo, è un'eccezione per quanto riguarda il VII secolo, soprattutto se si considera che prima di lui l'esarca Eleuterio (nel 619) e dopo di lui l'esarca Olimpio (nel 652) si ribellarono a Costantinopoli tentando di staccare l'Esarcato dal resto dell'Impero. Evidentemente I. dovette godere di una particolare fiducia da parte dell'imperatore Eraclio, sotto il quale egli servì per quasi tutto il suo mandato, e con la sua prolungata permanenza a Ravenna finì per radicare profondamente la sua esistenza in Italia: è conservata a Ravenna (proveniente dalla chiesa di S. Mauro a Comacchio) anche l'iscrizione funeraria di un nipote di I. morto in tenera età, donde si può ricavare che l'esarca aveva al seguito la sua famiglia d'origine.

Secondo lo Pseudo Fredegario, re Arioaldo, poco prima di morire, avrebbe chiesto proprio a I. di far uccidere Tasone, duca di Toscana, ottenendo in cambio la riduzione del tributo pagato dall'Esarcato ai Longobardi da tre a due centenaria d'oro e l'esarca, accettata la proposta, avrebbe organizzato l'assassinio presso Ravenna; Paolo Diacono, invece, narra dell'uccisione di Tasone duca, non di Toscana, ma del Friuli, a Oderzo per iniziativa dell'esarca Gregorio, immediato predecessore di Isacio. Permane una generale incertezza riguardo all'episodio, ma, dando maggior credito a Paolo Diacono, Cosentino ha avanzato l'ipotesi che il primo autore abbia fatto confusione tra i due esarchi.

Nel 636 si ebbero due eventi gravidi di conseguenze per diverse province dell'Impero bizantino: a Oriente Eraclio usciva sconfitto da uno scontro con gli Arabi sul fiume Jarmuk in Siria e, ritenendo ormai tutto perduto, si ritirava in Asia Minore, cosicché Siria, Palestina ed Egitto negli anni immediatamente successivi caddero nelle mani degli invasori e furono perduti per sempre; nel Regno longobardo, invece, saliva al trono Rotari, ben deciso a riprendere in grande stile la politica di conquista ai danni dell'Esarcato d'Italia che aveva caratterizzato il regno di Autari. L'Esarcato, già normalmente governato con risorse locali, per far fronte all'offensiva dovette attingere alle sue sole forze economiche e militari, che si rivelarono insufficienti: Rotari completò la conquista di tutto il litorale ligure, creando così una continuità territoriale tra il Piemonte e la Tuscia, mentre nella pianura padana portò i confini del Regno al fiume Panaro in Emilia e a Oderzo nella Venetia. Le fonti che ci hanno tramandato il ricordo degli eventi (lo Pseudo Fredegario, l'Origo gentis Langobardorum e Paolo Diacono) non ne precisano la cronologia, ma generalmente viene proposto il 640 come data più probabile per la campagna di Rotari (Guillou, 1980; Falkenhausen). I. probabilmente poté solo sforzarsi di arginare il disastro.

Le vicende di I. a noi note si concentrano negli ultimi anni del suo governo (e della sua vita), a partire dal 638. Una lettera del novembre di quell'anno indirizzata da Cirillo, patriarca di Alessandria, a Sergio, patriarca di Costantinopoli, allude all'invio a I. del testo dell'Ekthesis, la formula dogmatica di compromesso che l'imperatore Eraclio aveva adottato per comporre il dissidio tra ortodossi e monofisiti nelle comunità cristiane orientali, principalmente in Egitto e Siria. È lecito immaginare che l'imposizione dell'Ekthesis nelle diocesi dell'Esarcato, dove l'ortodossia era la regola e il monofisismo non rappresentava un problema, avrebbe potuto rendere molto difficili i rapporti tra I. e il papa; tuttavia, poiché inizialmente Onorio I era stato sostanzialmente d'accordo sulle argomentazioni che avevano portato all'Ekthesis, non ci fu da principio tensione tra Roma, Ravenna e Costantinopoli.

Nel 639 fu compiuta a Torcello la chiesa dedicata a Maria Madre di Dio voluta da I.; la consacrazione dell'edificio, per mano di Mauro, vescovo di Torcello, avvenne nel ventinovesimo anno di regno dell'imperatore Eraclio, tredicesima indizione (tra il 1° settembre e il 5 ott. 639), come recita un'epigrafe ancora oggi visibile nel presbiterio della chiesa.

Nel periodo intercorso tra l'elezione di papa Severino, dopo la morte di Onorio I il 12 ott. 638, e la consacrazione di Severino stesso, il 28 maggio 640, I. adottò l'iniziativa più contestata - per lo meno da parte papale - di tutto il suo mandato.

Non per niente è il Liber pontificalis la nostra fonte sull'episodio. A Roma, infatti, poco dopo l'elezione di Severino, Maurizio chartularius, il più alto funzionario civile e militare locale dopo il duca (subordinato a sua volta all'esarca), aveva incitato alla rivolta le forze armate di stanza nella città che da tempo non venivano pagate, affermando che il denaro inviato dall'imperatore Eraclio per le truppe era stato illecitamente trattenuto dal defunto Onorio nel palazzo del Laterano; Maurizio aveva poi inviato missive a I. sollecitando il suo intervento. I., giunto a Roma, confiscò il tesoro custodito nel palazzo papale (di cui inviò poi parte all'imperatore Eraclio) ed esiliò gli esponenti di maggiore spicco tra il clero che si opponevano alla confisca: tutta l'operazione fu condotta in otto giorni e solo dopo di ciò si poté procedere alla consacrazione di Severino. Se effettivamente, come si afferma nella fonte, tale consacrazione fu compiuta in stretta successione con l'intervento di I. a Roma, l'intervento stesso e l'avvenuta confisca dovrebbero essere databili più precisamente alla primavera del 640. La presenza di I. a Roma potrebbe anche essere stata motivata dall'intento di ottenere l'approvazione del testo dell'Ekthesis da parte di Severino prima (e forse anche in cambio) della consacrazione.

La fedeltà di I. al governo di Costantinopoli, ove nel frattempo era morto Eraclio (641) e la successione aveva presentato vari problemi, ebbe modo di mostrarsi ancora allorché il chartularius Maurizio si ribellò per assumere autonomamente il governo del Ducato romano. Allo scopo egli aveva ottenuto il giuramento di fedeltà nei suoi confronti da parte delle truppe di stanza nei vari castra del territorio. Avutane notizia, I. reagì duramente: dopo aver soffocato la rivolta con l'invio del suo magister militum, Dono, ordinò che il ribelle fosse condotto a Ravenna, ma che non dovesse entrarvi vivo: Maurizio fu quindi giustiziato presso Ficoclae (l'attuale Cervia). Fece poi imprigionare i seguaci di Maurizio ed esporre la testa mozzata di quest'ultimo nel circo di Ravenna perché servisse da esempio.

Questi eventi sono posti dal Liber pontificalis al tempo di papa Teodoro I e databili all'inverno 642-643. Poiché il Liber aggiunge, con una certa soddisfazione, che I., di lì a poco, "colpito da Dio" morì (non gli si perdonava dopo tutto il sequestro del tesoro del Laterano), il 643 è l'anno universalmente indicato per la sua morte.

Si discute invece riguardo alle circostanze in cui la sua vita giunse a termine, circostanze che l'autore del brano del Liber pontificalis non ha interesse a specificare. Appoggiandosi alle tesi di Bognetti, che datava le conquiste di Rotari prima ricordate non al 640, come altri studiosi, ma al 643 (datazione poi ripresa anche da Delogu), Bertolini, anche sulla base di una rilettura del testo dell'epitaffio di I., ha ipotizzato che I. sia morto nella battaglia dello Scultenna (il Panaro), tentando di sbarrare a Rotari la via verso Ravenna. Cosentino, più recentemente, ha rimesso in discussione questa tesi.

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