Ischemia cerebrale

Dizionario di Medicina (2010)

ischemia cerebrale


Discrepanza fra richiesta e offerta di substrati energetici nel cervello, per difetto di flusso ematico arterioso o ridotto deflusso venoso, con conseguente danno neuronale. L’i. c. causa l’80÷85% degli ictus cerebrali, le emorragie intraparenchimali rappresentano il restante 20÷15%. L’ictus cerebrale è la terza causa di morte nei Paesi industrializzati, dopo le malattie cardiovascolari e i tumori; rappresenta, inoltre, la principale causa di invalidità e la seconda causa di demenza dopo la malattia di Alzheimer. Circa il 20% dei pazienti colpiti decede entro il primo mese e oltre il 30% sopravvive con esiti invalidanti. L’impatto sociale dell’ictus, in termini di deficit e di invalidità residua, è purtroppo assai più rilevante. Ogni anno in Italia si verificano ca. 200.000 nuovi casi di ictus. L’incidenza aumenta naturalmente con l’età e raggiunge il valore massimo negli ultraottantacinquenni. Tuttavia una quota non trascurabile di ictus si verifica anche in persone giovani. L’ictus ischemico (➔ infarto cerebrale) si distingue dall’attacco ischemico transitorio (➔ TIA) per la durata dei sintomi, in quanto i sintomi di un TIA durano in genere meno di un’ora. Si devono distinguere tre principali sottotipi di ictus ischemico: aterosclerosi dei vasi di grosso calibro (per es., stenosi carotidea); cardioembolia (per es., presenza di fibrillazione atriale); occlusione dei piccoli vasi (ictus lacunari). Il quadro clinico può variare in funzione dei distretti vascolari interessati (➔ vasculopatie).

ischemia cerebrale

Conseguenze fisiopatologiche

Le conseguenze fisiopatologiche dell’ictus ischemico derivano dalla compromissione del metabolismo cellulare e dalla cascata di eventi che conseguono al fallimento dei sistemi energetici cellulari. Questi comprendono: la liberazione di mediatori eccitotossici; la depolarizzazione perinfartuale; l’infiammazione; l’apoptosi. Le prime due fasi caratterizzano le prime ore, le ultime due seguono a distanza di ore o di giorni.

Liberazione di mediatori eccitotossici. Lo squilibrio ionico derivante dall’i. c. favorisce il rilascio e l’inibizione della ricaptazione di neurotrasmettitori eccitatori come il glutammato, il cui legame ai recettori specifici (NMDA e AMPA) promuove un afflusso eccessivo intracellulare di calcio. Ciò provoca l’attivazione di una vasta gamma di fosfolipasi e proteasi, che a loro volta provocano il degrado delle membrane e di proteine essenziali per l’integrità cellulare. A questo degrado concorre anche lo stress ossidativo derivante dai radicali liberi dell’ossigeno, normalmente prodotti dai mitocondri, e che aumentano in conseguenza dell’i. c., anche favoriti dalla carenza di enzimi antiossidanti endogeni (quali superossidodismutasi, o SOD, catalasi, glutatione). I radicali di ossigeno e lo stress ossidativo danneggiano i mitocondri che liberano proteine apoptotiche, modulate da sistemi enzimatici come la SOD e la ossidonitricosintasi (NOS). L’attivazione della NOS durante i. c. aumenta la produzione di NO, che si combina con il superossido per produrre perossinitrito, un potente ossidante. Tale condizione produce un danno al DNA e l’attivazione dell’enzima poli (ADP-ribosio) polimerasi-1 (PARP-1), connesso con l’apoptosi e la necrosi cellulare.

Depolarizzazione perinfartuale. In seguito all’i. c. si verifica una depolarizzazione delle aree cerebrali adiacenti, attorno all’area centrale ischemica (core) nella zona dove le lesioni sono ancora reversibili (penombra ischemica), caratterizzata da una diffusione corticale di attività elettrochimica (CSD, Cortical Spreading Depression) che avanza attraverso i tessuti neurali causando una prolungata depolarizzazione. Tale attività si associa a numerose modifiche nei livelli dei fattori di crescita e di mediatori infiammatori, come l’interleuchina-1b e il TNF-α. Sebbene la CSD sia un fenomeno reversibile, può diventare permanente se l’i. c. perdura e l’incidenza e la durata complessiva della CSD sono correlate alle dimensioni dell’infarto.

Infiammazione. I meccanismi che mediano l’in­fiammazione sono strettamente connessi sia con l’insorgenza di ictus sia con i danni derivanti dall’ischemia. Un elevato rischio di ictus è infatti correlato alla presenza di elevati livelli di marker sierologici di infiammazione come per es. la proteina C-reattiva, la velocità di eritrosedimentazione (VES), l’interleuchina-6, il TNF-α e le molecole di adesione intercellulare (ICAM). Nelle prime ore dall’ictus a livello endoteliale viene espressa una molecola proinfiammatoria, la P-selectina. La cascata infiammatoria successiva all’i. c. amplifica ulteriormente i danni tessutali. Si verifica così un accumulo di microglia reattiva, macrofagi e leucociti, che liberano ulteriori mediatori infiammatori. Di particolare rilievo in questa fase sono l’ossidonitricosintasi inducibile (iNOS), la cicloossigenasi-2 (COX-2), l’interleuchina-1 (IL-1), e le proteine chemotattiche dei monociti-1 (MCP-1). Il peptide fattore di crescita vascolare endoteliale (VEGF) aggrava l’edema nella fase acuta di i. c., ma promuove il rimodellamento vascolare durante il recupero. Un particolare ruolo è svolto anche dalle metalloproteasi di membrana (MMP), in partic. dalla MMP-9.

Apoptosi. L’ultima fase della cascata ischemica è l’apoptosi (➔). In base al coinvolgimento dell’enzima proteolitico si distinguono l’apoptosi caspasi-dipendente, associata alla disponibilità di ATP e quindi prevalente nella penombra ischemica, e l’apoptosi caspasi-indipendente indotta dall’attivazione del PARP-1, caratteristica dell’area ischemica centrale (core).

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