Israele

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Stato del Vicino Oriente, confinante a N con il Libano, a E con la Siria e la Giordania, a SO con l’Egitto.

Caratteristiche fisiche

Dal punto di vista morfologico il territorio può essere diviso in 4 aree (la pianura costiera; le alteterre centrali; la fossa tettonica palestinese; il Negev, di cui le prime tre si succedono da O a E, mentre la quarta occupa l’intero settore meridionale). La fertile pianura costiera si affaccia sul Mediterraneo per quasi 230 km con un litorale basso e sabbioso interrotto solo dal promontorio di Haifa, propaggine orientale del Monte Carmelo (2810 m). In questa fascia, larga da 20 a 40 km, si concentra oltre la metà della popolazione e sorgono i principali centri urbani. Immediatamente a E, si elevano le alteterre, sulle quali si estendono, da N a S, le regioni storiche della Galilea, della Samaria e della Giudea. Segue la fossa palestinese, lunga depressione assoluta percorsa dal fiume Giordano e in parte occupata dal Lago di Tiberiade e dal Mar Morto. La regione steppico-desertica del Negev è caratterizzata da strutture tabulari dai fianchi talora assai ripidi e sovrastata da picchi rocciosi (Monte Ramon 1035 m).

Popolazione

Nel 2009 la popolazione residente superava i 7 milioni di abitanti. Di questi, 267.000 cittadini israeliani vivevano nei territori occupati e 180.000 in Gerusalemme Est. La dinamica demografica risulta caratterizzata da elevati tassi di crescita, determinati in buona parte da saldi migratori costantemente e largamente positivi. Poco più del 65% dei residenti, infatti, è nato in Israele, mentre la restante percentuale è costituita da immigrati. Ai tradizionali flussi provenienti dall’Europa occidentale, dal Nordamerica, dagli altri paesi del Vicino Oriente e dall’Africa si sono aggiunti, a partire dall’ultimo decennio del 20° sec., quelli originati dalle repubbliche ex sovietiche e dai paesi dell’Europa orientale. Nel periodo 1989-2002 sono infatti giunti quasi 800.000 immigrati, in gran parte proprio dall’Europa dell’Est e dalla CSI. I saldi migratori consentono di riequilibrare tassi di natalità nei quali la maggioranza ebraica registra valori inferiori (18‰) rispetto alle minoranze musulmana (38‰), drusa (26‰) e cristiana (20‰). Secondo l’Ufficio Centrale di Statistica israeliano, nel dicembre 2006, il 76% della popolazione era ebrea, il 20% araba ed il 4% è classificata come ‘altro’. La minoranza musulmana (16%), prevalentemente sunnita, è concentrata in Galilea e nel distretto di Gerusalemme. I drusi (1,6%) risiedono in alcuni villaggi del Golan, della Galilea e del Carmelo. I cristiani, infine, popolano quartieri delle città di Gerusalemme, Nazareth e Akko (2,1% circa della popolazione, per 3/4 arabi). La densità media, superiore ai 340 ab./km2, nasconde le profonde differenze esistenti, in termini di distribuzione di popolazione, tra le diverse aree del paese. Lungo la fertile piana costiera e soprattutto nell’area metropolitana di Tel Aviv, la densità supera i 7000 ab./km2. Livelli ben superiori alla media si registrano anche a Gerusalemme (5700) e nella zona di Haifa (850). All’opposto si collocano l’area settentrionale (230) e le regioni desertiche meridionali, non prive di insediamenti ma con densità che non superano i 70 ab./km2. Per far fronte alle rilevanti ondate migratorie che periodicamente hanno interessato il paese, fin dal 1948 era stato varato un piano di colonizzazione volto a impedire la concentrazione nelle aree urbane e a favorire l’insediamento nelle campagne e nelle aree steppiche e desertiche. Ciononostante, oltre il 90% della popolazione israeliana è urbana. L’Ufficio Centrale di Statistica individua 72 città, 14 delle quali superano i 100.000 abitanti.

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Israele ha proclamato Gerusalemme, la città più grande con i suoi 919.438 abitanti (al 2018) residenti su un’area di 125,1 km2,  sua capitale unita e indivisibile nel 1980, ma il suo status non è universalmente riconosciuto in sede internazionale poiché la parte orientale della città, in territorio cisgiordano, rivendicata dai palestinesi come capitale del loro Stato, è occupata da Israele dalla guerra del 1967; di fatto quasi tutti i paesi che hanno relazioni diplomatiche con I. mantengono le proprie ambasciate a Tel Aviv o nelle immediate vicinanze della città sulla costa mediterranea. Posta in Giudea, in prossimità dello spartiacque tra il Mediterraneo ed il Mar Morto, è non solo una delle più antiche città del mondo, ma anche città santa per le tre religioni monoteiste. Oltre che centro storico e religioso, Gerusalemme esercita un importante ruolo amministrativo e culturale, cui si sono aggiunte, più di recente, attività industriali e funzioni turistiche. Il cuore economico del paese è Tel Aviv (380.000 residenti), al centro di una vasta area metropolitana, la Gush Dan (che deve il suo nome a una delle tribù dell’antico regno di Israele), che complessivamente vanta una popolazione di circa 3 milioni di abitanti sparsi in oltre 20 città di medie e piccole dimensioni. La presenza della cosiddetta Silicon Wadi, l’area con la massima concentrazione di attività legate alla new economy e alle TLC (telecomunicazioni), il suo carattere moderno e cosmopolita, le dimensioni della sua area metropolitana fanno di Tel Aviv la capitale culturale ed economica del paese e la candidano a entrare, caso unico nel Vicino Oriente, nel novero delle ‘città globali’. Haifa, con i suoi 267.000 abitanti, è la terza città del paese. Alla storica funzione portuale ha affiancato quella industriale, prima, e quella legata alla ricerca e all’innovazione tecnologica, poi.

Tra le città minori spiccano Nazareth in Galilea (65.000 ab., funzione turistica), Bersabea (185.000 ab.) capoluogo del distretto meridionale, centro di industrie chimiche e nodo di comunicazione con il Negev, ed Elat (46.000 ab.) per la sua posizione strategica sul Golfo di ‛Aqabah.

Condizioni economiche

La cronica carenza di acqua, l’assenza di risorse naturali, l’interminabile conflitto con la nazione palestinese e le difficili relazioni con i vicini paesi arabi non hanno impedito a I. di affermarsi come il paese economicamente più avanzato e dinamico del Vicino Oriente. Il PIL, che tra il 1980 e il 1990 era aumentato in termini reali del 3,5% annuo, nel decennio successivo ha raggiunto tassi di incremento superiori al 5%; dopo la crisi internazionale del biennio 2001-02 è tornato a crescere, seppur a ritmi più contenuti (3,9% nel 2008). A trainare la crescita sono stati soprattutto il settore terziario e quello industriale, con un aumento negli investimenti fissi, soprattutto di macchinari industriali. Per effetto delle politiche di contenimento attuate nei primi anni 2000, il debito pubblico è sceso sotto la soglia del 100% del PIL (75,7% nel 2008 contro il 103% del 2004). Le spinte inflazioniste (4,7% nel 2008) appaiono sotto controllo anche per la decisione della Banca Centrale di intervenire alzando il tasso di sconto e contribuendo così anche al rafforzamento dello shekel rispetto alle principali valute estere. Gli ingenti aiuti statunitensi nonché i capitali ebraici affluiti un po’ da tutto il mondo hanno consentito non solo di sostenere le ingenti spese militari, ma anche di alimentare un’economia chiaramente orientata all’innovazione tecnologica e alla ricerca. I. è al secondo posto al mondo (dopo gli USA) per numero di start-up companies, al primo posto (escludendo l’America Settentrionale) per società quotate nel listino NASDAQ, al primo posto ancora per percentuale di ricercatori e tecnici sul totale degli occupati (140 ogni 10.000). È qui che sono state sviluppate tecnologie irrigue (l’irrigazione a goccia e la microirrigazione) che hanno reso l’agricoltura israeliana un modello insuperato di efficienza. Ed è qui che per sopperire alla mancanza di materie prime energetiche si è puntato con forza, oltre che sul nucleare, sulle energie alternative (soprattutto solare). I sostenuti ritmi di crescita hanno consentito di far scendere nel 2008 il tasso di disoccupazione al 6,1%. Per quel che concerne la divisione settoriale del lavoro, la quota dell’agricoltura si è ormai ridotta al 2% del totale degli occupati e quella dell’industria al 16%, mentre oltre l’82% è addetto al terziario.

Nonostante il calo degli addetti e la ridotta quantità di superficie utile (grazie a poderose opere idrauliche la superficie agricola utilizzata è oggi di circa 200.000 ha), la produzione agricola è in costante aumento, riesce a coprire il fabbisogno interno (eccezion fatta per il grano) e alimenta importanti flussi di esportazione (cotone, agrumi, uva, ortaggi, legumi). La terra è quasi sempre di proprietà dello Stato e del Fondo nazionale ebraico e viene data in concessione alle organizzazioni cooperativistiche (kibbuz).

L’industria, nonostante la mancanza di risorse naturali ed energetiche (il 90% del fabbisogno energetico è importato), è particolarmente diversificata. Alle tradizionali produzioni siderurgiche (acciaierie di Akko e Ashqelon), chimiche, petrolchimiche (raffinerie di Haifa), meccaniche e tessili, si sono aggiunte imprese operanti nella new economy: telecomunicazioni (Tel Aviv), sistemi di sicurezza (Romat Gan), informatica (Herzlyya e Haifa). Rilevante importanza riveste l’industria del diamante, che vede ormai I. al secondo posto al mondo, dopo il Belgio, nel settore del taglio. Buono, infine, lo sviluppo turistico, sebbene i flussi in ingresso siano soggetti a pesanti oscillazioni legate alla situazione di conflitto con la popolazione palestinese.

L’economia israeliana, per le ridotte dimensioni del mercato interno, la scarsa disponibilità di risorse naturali e di materie prime e la complessa situazione geopolitica è per sua natura fortemente legata al commercio internazionale. Nel 2008, I. ha importato merci e servizi per 62,52 miliardi di dollari (35,3 nel 2005, diamanti esclusi) ed esportato per 54,16 miliardi (26,6 nel 2005, diamanti esclusi). Il principale partner commerciale restano gli USA, anche se in trend positivo sono le relazioni commerciali con l’UE e soprattutto con la Cina. La crescente apertura del mercato, la politica di privatizzazioni, lo sviluppo della new economy hanno determinato un boom degli investimenti diretti esteri in ingresso, che hanno raggiunto nel 2005 i 9,7 miliardi di dollari (+67% rispetto al 2004).

Storia

Origine e nascita dello Stato di Israele

Verso la fine dell’Ottocento, la diffusione del sionismo alimentò varie ondate migratorie ebraiche dall’Europa in Palestina (➔). Dopo la fine del primo conflitto mondiale e lo smembramento dell’Impero ottomano, quando la regione fu affidata in mandato alla Gran Bretagna, lo statuto del mandato recepì gli impegni da questa assunti con la dichiarazione Balfour (1917) in favore della creazione di un ‘focolare nazionale ebraico’ in Palestina. La crescita della presenza ebraica, intensificatasi negli anni 1930 con gli arrivi provenienti soprattutto dall’Europa centrale e orientale, acuì l’opposizione araba antibritannica e antiebraica, che sfociò nel 1936 in una rivolta, protrattasi fino al 1939. Con il Libro Bianco del 1939 la Gran Bretagna formulò un progetto che prevedeva la nascita entro 10 anni di un unico Stato indipendente, che garantisse gli interessi essenziali di entrambe le comunità; limitava inoltre l’immigrazione e gli acquisti di terre da parte ebraica. Durante la Seconda guerra mondiale la situazione restò di fatto congelata.

Dopo il 1945 la crisi riesplose con violenza, connessa anche all’immigrazione clandestina dei superstiti della Shoah e alle azioni dei movimenti paramilitari ebraici. La Gran Bretagna rimise la questione alle Nazioni Unite: nel 1947 l’Assemblea generale approvò un piano di spartizione della Palestina fra uno Stato ebraico, uno arabo e una zona, comprendente Gerusalemme, da sottoporre ad amministrazione fiduciaria dell’ONU. Immediatamente respinta dagli Arabi, la risoluzione 181 stabilì anche la cessazione del mandato britannico entro il 1° agosto 1948. Mentre già dal novembre precedente infuriavano i combattimenti tra le due comunità, il 14 maggio 1948 fu proclamato lo Stato d’I.: il giorno successivo gli eserciti di Egitto, Siria, Transgiordania, Iraq e Libano invasero il territorio del nuovo Stato (per le guerre che coinvolsero I. e i paesi arabi confinanti tra il 1948 e il 1973, ➔ arabo-israeliane, guerre). Il conflitto portò alla conquista da parte di I. – cui era stato assegnato il 56% del territorio del mandato – di una grande fetta di quello spettante ai Palestinesi (compreso il settore occidentale di Gerusalemme); la striscia di Gaza fu occupata dall’Egitto, mentre la Cisgiordania (compreso il settore orientale di Gerusalemme) fu annessa dalla Giordania e il previsto Stato palestinese non vide la luce. Gli oltre 850.000 Arabi già residenti nell’area acquisita da I. furono nella grande maggioranza costretti alla fuga dalle operazioni belliche (circa 750.000 profughi affluirono in Cisgiordania, a Gaza e nei paesi arabi vicini).

I laburisti al governo: 1948-1977

Dopo la creazione (maggio 1948) di un governo provvisorio, presieduto dal leader laburista D. Ben Gurion, nel 1949 fu eletta la prima knesset (Parlamento). Presidente della Repubblica divenne C. Weizmann. La supremazia laburista, confermata dalle prime elezioni parlamentari del 1949, si tradusse nella sua permanenza fino agli anni 1970 alla testa di tutte le coalizioni di governo. Nella carica di primo ministro si succedettero D. Ben Gurion (1948-53; 1955-63), M. Sharett (1953-55), L. Eshkol (1963-69), G. Meir (1969-74) e I. Rabin (1974-77). Nello schieramento di destra, dall’alleanza dell’Herut (Libertà), fondato da M. Begin nel 1948, con l’adesione dei liberali nacque nel 1965 il Gahal (acronimo di Gush Herut-Liberalim) che fondendosi con altri partiti nel 1973 avrebbe dato vita al Likud (Unione), con un allargamento dell’area d’influenza della destra nazionalista.

Nessuno Stato arabo riconobbe I. e la conflittualità con i vicini indusse lo Stato a perseguire una permanente superiorità militare su di essi; lo sforzo necessario per assicurare tale obiettivo, accanto all’assorbimento degli immigrati e allo sviluppo del paese, fu sostenuto grazie agli ingenti aiuti provenienti dall’estero, in particolare dagli Stati Uniti, cui si aggiunsero, dal 1952, le riparazioni per i crimini nazisti pagate fino al 1966 dalla Repubblica Federale di Germania.

La Legge del ritorno, che conferiva la cittadinanza israeliana a tutti gli Ebrei immigrati, e quella sulla proprietà degli assenti, che consentiva l’esproprio dei beni dei profughi palestinesi gettarono le basi per l’edificazione di uno Stato a netta maggioranza ebraica. Il diritto dei profughi arabi al ritorno, riconosciuto dall’ONU (1948), restò quasi del tutto inapplicato. Fino ai primi anni 1970 il flusso migratorio dall’estero si mantenne consistente per il contributo rilevante dell’immigrazione ebraica dai paesi arabi. L’apporto della componente sefardita modificò sensibilmente la composizione della popolazione ebraica israeliana, prevalentemente ashkenazita. Solo nei primi anni 1990 l’immigrazione dall’area ex sovietica (oltre mezzo milione di persone nel 1990-93) avrebbe accresciuto nuovamente l’incidenza degli Ebrei ashkenaziti sul totale della popolazione israeliana.

L’integrazione della minoranza palestinese, in rapida crescita in virtù dei suoi elevati tassi di natalità, fu difficile e le condizioni degli Arabi israeliani restarono nettamente inferiori a quelle della maggioranza ebraica. La permanente tensione nei rapporti con i paesi arabi confinanti (formalmente regolati dagli armistizi conclusi nel 1949) fu alimentata dallo sviluppo di una guerriglia palestinese i cui attacchi, a partire dalle zone di raccolta dei profughi, generarono a più riprese nuove esplosioni di conflitto armato.

Nel 1956, Israele si alleò con Gran Bretagna e Francia nell’attacco all’Egitto, che aveva nazionalizzato il Canale di Suez, con il conseguente divieto di transito ai mercantili israeliani e il blocco degli stretti di Tiran (accesso di I. al Mar Rosso). Il secondo conflitto arabo-israeliano si concluse con una schiacciante vittoria militare israeliana, ma sul piano politico I. ebbe la condanna dell’ONU e della comunità internazionale, compresi gli Stati Uniti. Pertanto nel 1957 I. dovette restituire il Sinai all’Egitto, ottenendo in cambio l’apertura del golfo di Aqaba.

La ‘guerra dei Sei giorni’ (giugno 1967) segnò una cesura nella storia del paese. Il passaggio dell’intera Palestina sotto il controllo di I. inaugurò una fase caratterizzata da un’accresciuta centralità della questione palestinese, dall’estensione dell’amministrazione israeliana a un’ampia popolazione araba (quasi un milione di persone nel 1967) e dai riflessi di tale situazione all’interno dello Stato di Israele. La risoluzione 242 approvata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU (1967), che subordinava al conseguimento della pace la restituzione dei territori occupati e il reciproco riconoscimento della sovranità di tutti gli Stati della regione, cadde di fatto nel vuoto. I. procedette all’annessione del settore orientale di Gerusalemme (sancita nel 1980), mentre negli altri territori, sottoposti ad amministrazione militare, fu avviata un’intensa opera di colonizzazione.

La situazione di stallo fra I. e i paesi confinanti fu interrotta dall’attacco improvviso lanciato da Egitto e Siria il 6 ottobre 1973 contro I. nel giorno della festività ebraica del Kippur. La guerra del Kippur, sebbene vinta, rappresentò un trauma per la società israeliana, infrangendo l’immagine di sicurezza acquisita nel 1967, e si riflesse nel quadro politico: i laburisti scesero per la prima volta sotto il 50% dei deputati nelle elezioni del 1973 a vantaggio della destra nazionalista; nel 1974 G. Meir si dimise. Su tali sviluppi influirono anche il peggioramento della situazione economica e la crescita della componente sefardita, meno legata di quella ashkenazita alla tradizione laburista.

Da Begin a Rabin (1977-1995)

Nel 1977 la guida del governo passò al Likud guidato da M. Begin. Gli accordi di Camp David (1978) tra Begin e il presidente egiziano A. Sadat per avviare un piano di pace in cambio della restituzione del Sinai (completata nel 1982), dissociò l’Egitto dal fronte arabo antisraeliano. La pace separata con l’Egitto fu siglata a Washington l’anno successivo, ma l’annessione del Golan (1981), così come l’intransigenza di Tel Aviv verso la costituzione di uno Stato indipendente palestinese rivendicata dall’OLP confermarono la difficoltà di estendere il processo di pace agli altri interlocutori.

Per eliminare le basi della guerriglia palestinese in Libano, nel 1982 le forze israeliane invasero il paese, giungendo fino a Beirut. Seguì l’occupazione del Libano meridionale fino al 1985, quando le forze israeliane completarono il ritiro mantenendo solo il controllo di una ‘fascia di sicurezza’ a ridosso del confine, ma l’intervento armato fallì nello scopo di annientare le organizzazioni palestinesi né riuscì il tentativo di insediare a Beirut un governo alleato.

Una crescente incertezza politica portò, dopo le dimissioni di Begin (1983), alla formazione di governi di unità nazionale caratterizzati dall’alternanza tra S. Peres e Y. Shamir nella carica di primo ministro. Nel contempo, dalla fine del 1987 il paese dovette affrontare uno stato di rivolta semipermanente nei territori palestinesi occupati (prima intifāḍa), mentre i negoziati fra I., Libano, Siria, Giordania e Palestinesi (non rappresentati ufficialmente dall’OLP per l’opposizione del governo di Y. Shamir) alla conferenza di Madrid (1991) si arenavano sulla questione di Gerusalemme e le divergenze circa il futuro della Cisgiordania e di Gaza.

Nel 1992, dopo 15 anni, il ritorno dei laburisti alla guida del paese con un governo guidato da Y. Rabin favorì la ripresa del dialogo, con l’accantonamento però delle questioni di fondo (destino di Gerusalemme Est e dei profughi palestinesi, problema degli insediamenti israeliani, confini e sicurezza), rinviate alle trattative sullo status finale della Cisgiordania e di Gaza. Nel 1993 gli accordi di Oslo sancirono il riconoscimento reciproco tra I. e OLP e consentirono la firma di una dichiarazione congiunta per lo sviluppo del processo di pace tra i due popoli; nel 1994 fu sottoscritto al Cairo il primo accordo sull’avvio di un’autonomia palestinese nella Striscia di Gaza e a Gerico (costituzione dell’Autorità nazionale palestinese); nello stesso anno fu firmato il trattato di pace con la Giordania. Ma poi l’andamento insoddisfacente dei negoziati favorì la ripresa del malcontento nei territori occupati e la crescita di formazioni di ispirazione islamica, protagoniste di ripetute azioni terroristiche antiisraeliane; al tempo stesso il problema della sicurezza della popolazione palestinese fu messo in risalto dall’oltranzismo dei coloni israeliani. Il 1995 registrò comunque un progresso con il ritiro israeliano dalle principali città della Cisgiordania dopo la firma dell’accordo noto come Oslo II. L’intesa fu condannata dalla destra, che si mobilitò contro il governo Rabin in un clima di tensione generale culminato nell’assassinio del premier (4 novembre) per mano di un estremista ebreo israeliano.

Da Netanyahu a Barak: 1996-2001

Dopo un’ondata di attentati terroristici palestinesi (febbraio-marzo 1996), B. Netanyahu riportò il Likud al governo del paese con un’instabile coalizione di estrema destra. Il mancato procedere degli accordi di pace e le pesanti misure di sicurezza, unitamente all’intensificarsi degli insediamenti israeliani produssero, in un clima politico interno sempre più teso, un susseguirsi di crisi nelle relazioni israelo-palestinesi. Ciononostante, nell’ottobre 1998 gli incontri di Wye Plantation (Maryland) tra B. Clinton, Y. ‛Arafāt e Netanyahu, con il contributo di re Ḥusayn di Giordania, portarono alla firma di un’intesa che stabilì il ritiro di I. dal 13,1% del territorio della Cisgiordania.

In un paese profondamente diviso tra una parte favorevole alla creazione di uno Stato palestinese e l’altra incerta sulla restituzione dei territori occupati e condizionata dai settori religiosi, alle elezioni anticipate del 1999 lo Shas, formazione ultraortodossa di estrema destra, divenne il terzo partito in I., entrando in forze nel nuovo governo (1999) presieduto dal laburista E. Barak. Nel luglio 2000 al vertice di Camp David, fortemente voluto da Barak e Clinton, il premier israeliano presentò ad ‛Arafāt la più avanzata proposta mai offerta per porre termine al conflitto: per la prima volta fu messo in discussione il controllo di I. sulla totalità di Gerusalemme e B. si mostrò disponibile ad ampliare la percentuale di territorio della Cisgiordania da cedere ai Palestinesi, ma il leader palestinese rifiutò, rinchiudendosi sulle questioni di principio. In questo contesto, mentre languiva la campagna di laicizzazione lanciata dal governo, scoppiò (settembre 2000) la cosiddetta seconda intifāḍa, che mise ancora più a repentaglio l’ormai precaria coalizione politica che sosteneva Barak in Parlamento.

La scelta unilaterale di A. Sharon

Le elezioni per il rinnovo del premier del 2001 registrarono la più bassa percentuale di votanti mai avuta in Israele. A. Sharon, leader del Likud dopo le dimissioni di Netanyahu del 1999, formò un ampio governo di unità nazionale, cui aderirono anche i laburisti. Dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 a New York e a Washington il governo impresse una dura linea politica e militare alla sua azione, rispondendo all’ondata di attacchi suicidi lanciata dai Palestinesi contro le città e le colonie israeliane con un blocco alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza, con offensive sulle città e i villaggi palestinesi e intensificando le esecuzioni mirate contro i leader palestinesi. Nel 2002 iniziò la costruzione di una barriera difensiva di sicurezza lungo tutta la Cisgiordania, che avrebbe poi comportato la netta diminuzione del numero degli attentati suicidi in territorio israeliano. La fine del 2002 segnò un punto morto nel processo di pace. La società civile israeliana era costretta a fare quotidianamente i conti con la realtà del terrorismo, che assorbiva ogni istanza del dibattito politico interno. La vittoria schiacciante di Sharon alle elezioni del 2003 pose ai margini il Partito laburista, che non entrò nel nuovo governo di coalizione.

Nell’aprile 2003 la road map, il piano concordato dall’amministrazione Bush con Russia, ONU e Unione Europea che prevedeva una serie di passi graduali di pacificazione fino alla nascita di uno Stato palestinese, fu approvata da entrambe le parti, ma le riserve espresse da I., non convinta dall’adesione palestinese, sembrarono archiviarla come inattuabile. Nel 2004, la decisione di Sharon di ritirare le truppe israeliane da Gaza e di smantellare gli insediamenti ebraici fu anche connessa con il dibattito sviluppatosi nel paese sull’identità ebraica e democratica dello Stato, minacciata dalla pressione demografica araba, da cui la necessità di assicurare a I. una maggioranza ebraica. Nel 2005 l’attuazione del disimpegno da Gaza, con lo smantellamento degli insediamenti nella Striscia (e di 4 nel nord della Cisgiordania), lacerò il paese e fu boicottata dal suo stesso partito; non favorì, inoltre, la ripresa delle trattative con i Palestinesi, che ravvisarono nell’iniziativa la volontà israeliana di agire unilateralmente. Dinanzi alla crescente opposizione nelle file del Likud, Sharon si dimise e rese nota la decisione di costruire una nuova forza politica con l’obiettivo di percorrere le tappe della road map anche senza la collaborazione palestinese.

Frammentazione del quadro politico

Le elezioni anticipate del 2006 furono vinte dal nuovo partito, Kadima («Avanti»), tuttavia non più guidato dal suo fondatore, colpito da un ictus e costretto a uscire dalla vita politica, ma da E. Olmert. I propositi di dialogo con i Palestinesi del governo di coalizione ricevettero un duro colpo dalla vittoria di Hamas nelle elezioni palestinesi. Nei mesi successivi, per la critica situazione di Gaza, si ebbe il ritorno dell’esercito israeliano nella Striscia, sottoposta anche a embargo; al confine con il Libano, l’azione militare di Hezbollah condusse fino a settembre all’invasione del Sud del paese. Olmert, indebolito dalle critiche mossegli per la conduzione della guerra in Libano – costata molto in termini di perdite umane – e coinvolto inoltre in uno scandalo finanziario, nel settembre 2008 perse la guida di Kadima, passata al ministro degli Esteri Tzipi Livni e rassegnò le dimissioni. In uno scenario politico frammentato e inasprito, specchio delle divisioni nella società israeliana, la Livni non riuscì a formare un governo di coalizione, ed elezioni anticipate furono indette per febbraio 2009. Le elezioni ebbero esito incerto (Kadima ebbe 28 seggi, Likud 27) e solo dopo lunghe trattative si giunse a formare un nuovo esecutivo guidato da Netanyahu e nato da un accordo con i laburisti di E. Barak. Anche dopo le elezioni del 2013 la knesset si è divisa in due schieramenti di pari forza, centrodestra e centrosinistra, e Netanyahu è stato chiamato a formare un nuovo governo, dovendo intavolare trattative con partiti che non facevano parte del precedente esecutivo ma che si sono imposti alle elezioni, come il partito di centro Yesh Atid ("C'è un futuro"). Dopo l'elezione nel giugno 2014 del decimo presidente del Paese, R. Rivlin, appartenente al Likud, nel dicembre successivo accese divergenze interne su questioni centrali di politica economica e sull'approvazione di una legge, voluta da Netanyahu, che avrebbe definito I. come «stato-nazione degli ebrei», hanno spinto il premier a sciogliere la coalizione e a indire elezioni anticipate per allargare la base dei consensi; le consultazioni, tenutesi nel marzo 2015, hanno registrato la netta affermazione del Likud, che ha ottenuto 30 dei 120 seggi della knesset, mentre la formazione dei Sionisti uniti, composta dai laburisti e dai centristi di Livni, ne ha guadagnati 24. Il partito del premier uscente ha riportato la vittoria anche alle elezioni per il rinnovo della Knesset svoltesi nell'aprile 2019, conquistando 35 seggi allo stesso modo della formazione politica Blu e Bianco dell’ex capo di Stato maggiore B. Gantz, mentre i laburisti hanno ottenuto solo 6 seggi, il risultato peggiore di sempre. Non essendo Netanyahu riuscito a raggiungere la maggioranza di 61 deputati per formare un nuovo governo entro i termini del mandato esplorativo, nel mese di maggio la Knesset ha votato il proprio autoscioglimento e la convocazione di nuove elezioni, fissate al settembre successivo. Sebbene alle consultazioni il Likud sia stato superato di un seggio (32 contro 33) dal partito Blu e Bianco, constatata l'impossibilità di formare un governo di unità nazionale il presidente Rivlin ha affidato al premier uscente, che può contare su una coalizione più ampia di quella di Gantz, l'incarico di guidare il nuovo esecutivo. Dopo un ulteriore, infruttuoso tentativo del premier uscente di formare il governo, nell'ottobre 2019 Rivlin ha affidato a Gantz l’incarico di trovare una maggioranza alla Knesset, ma il mese successivo, constatata l'impossibilità di raggiungere larghe intese, l'uomo politico ha rinunciato a formare una coalizione di governo e rimesso il mandato; le nuove consultazioni del marzo 2020 hanno visto il Likud tornare primo partito del Paese con 37 seggi, comunque non sufficienti a evitare coalizioni di governo, mentre i centristi del partito Blu e Bianco di Gantz hanno ottenuto 32 seggi. Nello stesso mese di marzo Rivlin ha affidato l'incarico di formare il governo a Gantz, il cui partito nelle consultazioni ha ricevuto l'endorsement di 61 deputati contro i 58 ottenuti da Netanyahu; fallito anche tale tentativo, ad aprile Netanyahu e Gantz si sono accordati per alternarsi alla guida del Paese, il primo rivestendo la carica di premier per i primi 18 mesi, il secondo subentrandogli per la seconda parte della legislatura, ma a dicembre l'ennesima crisi politica ha portato all'indizione di nuove consultazioni. Non avendo neanche le elezioni del marzo 2021 consentito di ottenere una maggioranza di governo, il mese successivo Rivlin ha affidato a Netanyahu l'incarico di formare un nuovo esecutivo, ma l'uomo politico ha rimesso il mandato inducendo il presidente del Paese ad affidarlo a Y. Lapid del partito Yesh Atid. La firma nel maggio 2021 di un accordo di coalizione tra Lapid, il leader della coalizione di destra Yamina N. Bennett e il capo della formazione islamica M. Abbas, ricevuto il voto di fiducia della Knesset, di fatto ha estromesso Netanyahu dalla scena politica; dal mese di giugno e per un biennio la carica di premier è ricoperta da Bennett, con un'alternanza di Lapid per il biennio successivo.

Lo stallo politico e il riaccendersi del conflitto israelo-palestinese

In una perdurante situazione di stallo politico, i violenti scontri scoppiati nel maggio 2021 a seguito dell’allontanamento di alcune famiglie palestinesi da un quartiere di Gerusalemme hanno provocato una recrudescenza del conflitto israelo-palestinese, nel corso della quale i reciproci scontri di artiglieria e i protratti attacchi aerei hanno provocato la morte di circa 200 individui. La tregua tra Hamas e Israele è stata raggiunta alla fine di maggio, quando è stato concordato tra le due parti il cessate il fuoco, reclamando entrambe la vittoria. Nello stesso mese la Knesset ha eletto presidente del Paese con 87 voti il laburista I. Herzog. Nel giugno 2022, in ragione del fallimento della coalizione di governo, il premier Bennett ha rassegnato le dimissioni; le nuove consultazioni tenutesi a novembre hanno registrato la vittoria del blocco di partiti guidato dal Likud di Netanyahu, che ha ottenuto una maggioranza di 65 seggi su 120, seguito dai centristi di Lapid (24 seggi) e dalla formazione Partito sionista religioso (14 seggi), terza forza politica del Paese. Nello stesso mese Netanyahu ha nuovamente assunto la carica di premier, ciò suscitando ampie proteste contro la riforma giudiziaria sostenuta dal nuovo esecutivo; nel luglio 2023 l'approvazione in Parlamento del primo provvedimento, che prevede misure per sottrarre alcuni poteri alla Corte Suprema e affidarli al governo, ha prodotto una ferma reazione dell'opposizione, suscitando violenti scontri di piazza e manifestazioni contro l'esecutivo.

Sul fronte delle relazioni esterne, nell'agosto 2020 è stata raggiunta una storica intesa con lo scopo di stabilire legami diplomatici formali tra gli Emirati Arabi Uniti e il Paese, che ha accettato di sospendere il processo di annessione di parte della Cisgiordania. Il mese successivo I., Emirati Uniti e Bahrain hanno firmato alla Casa Bianca gli Accordi di Abramo per la normalizzazione delle relazioni diplomatiche e la cooperazione commerciale ed economica tra Israele e i due Paesi del Golfo; nella medesima prospettiva di distensione va letta la decisione dell'Arabia Saudita di consentire dal luglio 2022 i voli aerei da e per Israele, aprendo inoltre i suoi cieli a tutte le compagnie che soddisfino i requisiti stabiliti dall'Autorità. Nell'ottobre dello stesso anno il Paese ha raggiunto con la mediazione degli Stati Uniti un'intesa con il Libano per porre fine alla disputa sui confini territoriali nelle acque del Mediterraneo orientale e sulla gestione dei giacimenti di gas naturale di Karish e Qana.

Al tentativo di ostacolare il processo di normalizzazione delle relazioni con i Paesi arabi intrapreso nel 2020 con la firma degli accordi di Abramo va ascritta l'offensiva lanciata senza precedenti nella storia del conflitto nell’ottobre 2023 da Hamas contro diverse città israeliane attraverso incursioni via terra e raid aerei dei miliziani palestinesi dalla Striscia di Gaza – supportati dal Libano con reiterati lanci di razzi di Hezbollah –, cui Israele ha risposto con un assedio totale dell'area della Striscia; dopo la dichiarazione dello stato di guerra, i partiti della maggioranza di governo hanno dato mandato a Netanyahu di formare un governo di emergenza nazionale con esponenti dell'opposizione. La violentissima fase del conflitto apertasi il 27 ottobre con l'inizio della più volte annunciata offensiva di terra delle forze speciali israeliane, ha provocato nella Striscia di Gaza almeno 20.000 morti e una crisi umanitaria senza precedenti, mentre nel Paese i consensi accordati a Netanyahu sono stati parzialmente erosi da accuse quali quelle di aver sottostimato il rischio rappresentato da Hamas, e depotenziato forze armate e intelligence al fine di incrementare la propria leadership. Un decisivo ruolo di mediazione nei negoziati per porre fine al conflitto è stato svolto nel mese di novembre dal Qatar, affiancato dagli Stati Uniti e dall'Egitto, grazie al quale sono stati concordati giorni di tregua dei combattimenti e la liberazione di parte degli ostaggi israeliani in cambio di prigionieri palestinesi. Nel gennaio 2024, mentre l'attacco a Gaza proseguiva ininterrotto, sono state proposte dai mediatori internazionali le opzioni di una 'soluzione a due Stati' e di un possibile riconoscimento, una volta cessato il conflitto, di uno Stato palestinese, cui Netanyahu si è peraltro dichiarato fermamente in disaccordo, ciò provocando una recrudescenza delle protesta interne al Paese contro il suo esecutivo.

Letteratura

Dal 1948 agli anni 1980

La proclamazione dello Stato (1948) segna per convenzione l’inizio di questa letteratura, sebbene il suo stile peculiare e la sua impronta siano reperibili negli scritti di noti autori, quali S. Yizhar, già nel decennio precedente. Si suole suddividere questa produzione in 3 correnti culturali, legate ad altrettanti periodi storici (generazioni).

Generazione della guerra di liberazione

I motivi ispiratori sono la guerra del 1948 e la rappresentazione della vita collettiva nei kibbuz. Forte è l’influsso del realismo letterario sovietico. Il romanzo che caratterizza questa corrente è Hū Hālākh baśādōt («Egli andò nei campi», 1947) di M. Shamir, in cui appare evidente il contrasto tra il giovane e forte ebreo appartenente a un kibbuz e l’immagine dell’ebreo della diaspora. Di questa corrente, che esplicita l’ideale sionista-socialista, fanno parte A. Meged, H. Bartov, B. Tammuz e il citato Yizhar. Quest’ultimo analizza in alcune sue novelle il trauma subito da quegli Ebrei costretti a concretizzare i loro ideali nazionali con la forza delle armi. Tra i poeti di questo indirizzo, figurano A. Gilboa, H. Guri e A. Kovner, la cui poetica ha come tema ricorrente la tragedia dell’olocausto.

Generazione dello Stato

Costituita da un gruppo di giovani che, intorno agli anni 1960, sviluppa nuove tematiche dalle caratteristiche contrastanti, distaccandosi dall’espressione letteraria tesa a esaltare il dato nazionale. Nelle loro opere analizzano l’individuo e la sua solitudine esistenziale, ispirandosi alla produzione letteraria dell’Europa occidentale, A. Camus e F. Kafka soprattutto. Tra gli esponenti di maggior rilievo, Y. Amihai, A. ‛Oz, A. Kahana-Carmon e A.B. Yehoshua. Soprattutto nell’iniziale produzione di quest’ultimo emerge il fattore simbolico e grottesco, libero da riferimenti temporali e spaziali determinati. Un’accentuata ricerca introspettiva caratterizza questa corrente, nella quale si distinguono D. Avidan, D. Pagis, N. Zach e Y. Amihai. In contrasto con la precedente generazione, che si ispirava ai formalisti dell’Europa orientale, questi poeti si riallacciano ai modelli dell’Europa occidentale, in particolare a T.S. Eliot e R.M. Rilke.

Generazione dei giovani

Nei decenni successivi si palesa un’attenzione crescente alla realtà circostante, ma non per esaltarla, bensì per annotare la crescente crisi ideologica che pone drammatici interrogativi. Anche gli scrittori delle precedenti generazioni propongono alla fine degli anni 1970 nuovi romanzi che trattano del presente con un acuto spirito critico. La mutata situazione politica induce a incentrare la narrativa intorno a una precisa tematica, quella concernente gli Arabi che vivono tra gli Ebrei di Israele. Così il romanzo Ha-mĕ’ahēv («L’amante», 1977) di A.B. Yehoshua descrive la guerra del 1973 e pone tra i protagonisti un arabo cittadino di I., e il romanzo Ḥīyūkh ha-gĕdī (1983; trad. it. Il sorriso dell’agnello, 1994) di D. Grossman delinea la situazione dei territori occupati. Per quanto riguarda la lirica, emergono la poetessa Y. Wallach e M. Wieselter. La produzione letteraria denota una rigogliosa vitalità e tende a uscire dallo stretto ambito nazionale per spaziare e ricollegarsi alle correnti culturali dell’Europa occidentale e degli USA.

Dal 20° al 21° secolo

La letteratura israeliana, che ha conosciuto un rinnovato slancio creativo con il romanzo di Y. Shabtai Zikron devarim (1977; trad. it. Inventario, 1994), negli anni 1990 è stata oggetto di una vera e propria scoperta da parte dell’editoria italiana. Degli scrittori più famosi è infatti disponibile l’intera opera tradotta. È questo il caso del citato Yehoshua, che alla sua vasta produzione narrativa, affianca una ricca produzione saggistica. Ha consolidato la sua fama ‛Oz, che in Lada‛at isha (1989; trad. it. Conoscere una donna, 1992) ha affrontato i temi dell’amore e delle relazioni familiari, ulteriormente approfonditi nei romanzi successivi. Anche di Grossman, che ha conosciuto un successo immediato con ‛Ayen ‛erek ahava (1986; trad. it. Vedi alla voce amore, 1988), sono stati tradotti molti romanzi. Innovativo e aperto al dialogo con gli Arabi è Y. Kaniuk che, oltre a numerosi romanzi (Adam ben kelev, 1969, trad. it. Adamo risorto, 1995; Aravī tov, 1984, trad. it. Confessioni di un arabo buono, 1997), ha scritto insieme al palestinese A. Ḥabībī La terre des deux promesses, pubblicato in Francia (1996). Si sono imposti in patria all’attenzione del pubblico alcuni autori delle comunità ebraiche provenienti dal mondo musulmano: S. Michael; S. Ballas; D. Benaya Seri; E. Amir e il poeta E. Biton. All’interno della corrente cosiddetta postmodernista, oltre a Grossman, si collocano fra gli altri: A. Appelfeld (Katerine, 1992; trad. it. Il mio nome è Caterina, 1994); Y. Hoffmann (Kristus shel dagim, 1988; trad. it. Cristo dei pesci, 1993); l’arabo A. Shammas, che scrive in ebraico (‛Arabesqot, 1988; trad. it. Arabeschi, 1990); D. Schutz; S. Liebrecht, autrice del racconto Una stanza sul tetto, pubblicato nella raccolta Tapuḥim min ha-midbar (1986; trad. it. Mele dal deserto, 2001), che esprime l’impossibilità d’incontro tra la realtà israeliana e quella palestinese attraverso le vicende di un muratore arabo e una giovane donna israeliana; I. Levy (n. 1956). Il conflitto arabo-israeliano assume connotati surreali nel romanzo Ha-qaytana shel Kneller («Il luogo di villeggiatura di Kneller», 2001) di E. Keret. La formazione dello Stato di I. è illustrata attraverso 3 generazioni nel romanzo Roman Rusi (1986; trad. it. E il deserto fiorirà, 1990) di M. Shalev, che ha scritto inoltre Esaw (1991; trad. it. Il pane di Sarah, 2000), una saga familiare incentrata attorno a una figura femminile. Tra le scrittrici spiccano, oltre alla citata Liebrecht, H. Bat Shahar, appartenente a una comunità ultrareligiosa; le poetesse A. Hess, originaria dell’Iraq, carica di vibrante sensibilità mistica, e M. Bajarano; Z. Shalev, che ha raggiunto la notorietà con il romanzo Ḥayye ahava (2000; trad. it. Una relazione intima, 2000). Tra le più giovani emergono: Y. Katzir, con il romanzo Le Matisse yesh et ba-shemesh ba-beṭen («Matisse ha il sole nella pancia», 1995); Y. Hedaya, con Sheloshā sippurey ahava («Tre racconti d’amore», 1997), e D. Rabinyan, che ha esordito con Simṭat ha-shqediyya be-Omerijan (1995; trad. it. Spose persiane, 2000), in cui narra la vita di un villaggio dell’Iran, e in particolare del suo universo femminile. Emblematico dell’interesse italiano per la letteratura israeliana è stato il ruolo di ospite d’onore riservato a I. nell’edizione 2008 del Salone del libro di Torino.

Per la letteratura in lingua araba ➔ Palestina.

Arte e architettura

Il movimento artistico in terra d’I. ha i suoi primi impulsi con la fondazione a Gerusalemme dell’Accademia Bezalel (1906) da parte di B. Schatz e con artisti come N. Gutman, R. Rubin, S. Tagger ecc. Ma le personalità più significative per l’apertura verso forme più attuali sono Y. Zaritzky, M. Janco e M. Ardon. Nel 1948 si costituisce a Tel Aviv il gruppo Nuovi orizzonti che alle esperienze europee unisce forme e immagini di ispirazione orientale, accanto a contenuti legati alla nuova storia della nazione (M. Janco, Y. Zaritzky, A.H. Kahana, Y. Wexler, A. Ticho, Y. Streichman, A. Stematsky, L. Nikel, A. Aroch). Nel 1955 il Gruppo dei 10 (con gli stessi Stematsky, Nikel, Aroch) si orienta più decisamente verso l’astrattismo, mentre si formano tendenze surrealiste (S. Bak, I. Bergner); Y. Agam, residente a Parigi, diviene noto per le sue composizioni ottico-cinetiche. Interessante è anche l’attività grafica (T. Beeri, Y. Griffith). È da segnalare l’attività del Gruppo 10 + (fondato a Tel Aviv, 1965) e del gruppo Mashkof di Gerusalemme che segna l’avvento in I. della pop art, degli happening, degli environment.

Nella scultura, superato l’antico divieto religioso di rappresentare la figura umana, si sono distinti artisti di tendenza sia figurativa (R. Lehman, I. Danziger) sia astratta (I. Tumazkin; M. Kadishman, dalle eleganti forme geometriche; D. Karavan, con le sue sculture-architetture; M. Gross, P. Eshet, Y. Shemy). Notevole centro di attività artistica è la città di Safed, che accoglie gli studi dei maggiori artisti; il villaggio degli artisti Ein-Hod (Haifa), fondato nel 1953 da M. Janco, ospita mostre e convegni.

La produzione artistica degli ultimi decenni del 20° sec. offre un panorama variegato, segnato da personali tensioni, da tematiche di critica politica e sociale e di riesame del passato che riflettono la drammatica situazione del paese. I nuovi mezzi espressivi (installazione, fotografia, video, immagine computerizzata), che si affiancano a quelli tradizionali, contribuiscono a decostruire miti e stereotipi di un’identità culturale israeliana, segnalano percorsi di violenza, mostrano tentativi di staccarsi da una realtà locale per esprimere affinità e peculiarità nei confronti di una egemonia culturale globale. Queste caratteristiche emergono dalle esposizioni dei più importanti musei di I. così come dalle opere presentate alle rassegne internazionali o dalle mostre di arte israeliana all’estero, in particolare negli Stati Uniti. I protagonisti spaziano da esponenti della prima avanguardia, come L. Nikel, alle più recenti generazioni. Tra questi ultimi si ricordano: M. Kadishman, autore di monumentali sculture, con opere al limite dell’arte concettuale, installazioni e dipinti; B. Schwartz, che ha sperimentato scultura tradizionale e videoscultura; M. Ulman, con opere di arte ambientale e installazioni; J. Neustein, significativo esponente dell’arte concettuale; A. Geva; M. Mizrachi, che dopo un inizio nell’ambito della performance ha elaborato sculture e installazioni; N. Tevet, Z. Goldstein, con un linguaggio minimalista concettuale; U. Katzenstein, che spazia dalla scultura all’installazione visiva e sonora, alla performance; D. Reeb, che basa i suoi dipinti su fotografie di giornali; T. Geva, che elabora temi dell’immaginario contemporaneo e tradizionale; S. Shirman, M. Heiman, nella fotografia; P. Rantzer, con installazioni; Aya & Gal Middle East, che creano opere interattive, video, siti web; U. Tzaig, che lavora sulla percezione con objets trouvées o con video; M. Cabessa, che crea oli su masonite tracciando i movimenti del proprio corpo; G. Nader, che usa vari media e in particolare la fotografia. Tra gli artisti più giovani si menzionano, nell’ambito della pittura, N. Hod e M. Porat; nell’installazione, videoinstallazione, videoscultura, A. Leibman, A. Ben-Chorin, Y. Amid.

Le opere architettoniche e gli sviluppi urbanistici sono notevoli sia per la quantità delle realizzazioni, in conseguenza anche dell’accrescimento del territorio nazionale e delle immigrazioni, sia per la modernità delle soluzioni adottate, sensibili all’influsso del Bauhaus, di Gropius o di Le Corbusier, e correlate per lo più alla creazione di quartieri programmati (il cosiddetto Shikun): vanno ricordate, in particolar modo, le realizzazioni del quartiere Ramat Eshkol di Gerusalemme, della città di Bersabea, del porto di Ashdod. Oltre agli interventi di O. Niemeyer e L. Kahn, tra gli architetti israeliani più significativi, si ricordano: S. Shaked, E. Sharon, A. Neuman, M. e S. Nadler, R. Karmi, A. Mansfeld, F. Kiesler, D. Eitan, Z. Hecker e, tra gli edifici di più originale impostazione artistica, il Museo Nazionale di Gerusalemme, il museo di Tel Aviv, il nuovo teatro di Gerusalemme, il municipio di Bat Yam, le università di Gerusalemme, Haifa e Tel Aviv. Non va trascurata, inoltre, la stesura del nuovo grandioso piano regolatore per la Gerusalemme del 2020, approvato dal World Committee for Jerusalem.

Echi della tradizione dell’architettura razionale hanno costellato la produzione architettonica tra la fine del 20° sec. e l’inizio del 21°, con interventi di recupero della dimensione locale e attenzioni rivolte allo sviluppo dei principi dell’architettura mediterranea, senza trascurare una decisa proiezione verso le nuove tecnologie. Fra le opere più significative realizzate da architetti israeliani e opere di rilievo commissionate a personalità straniere si segnalano: a Gerusalemme il palazzo della Corte Suprema di A. Karmi-Melamede e R. Karmi (1992), il National Palace (1995) e la International School for Holocaust Studies (2000) di D. Guggenheim e A. Bloch; ad Acri il Tribunale Municipale di J. e A. Rechter, G. Heller, S. Zarfati e Y. Kriscky (1995) e il Wall Gate Hotel & Tower di J. e J. Shiloni (1997); a Tel Aviv la nuova sinagoga cymbalista di M. Botta (1998), il Palmac Museum of History di Z. Hecker (2002). il Museo delle vittime dell’Olocausto a Gerusalemme di M. Safdie (2005).

Musica

La profonda diversità dei luoghi di provenienza che caratterizza la popolazione dell’attuale Stato di I. non ha consentito lo sviluppo di forme di espressione musicale nazionale, se si eccettua un generico recupero di formule musicali di base, che sono rimaste inalterate all’interno delle comunità ebraiche nel corso della diaspora. I compositori contemporanei seguono comunque le varie correnti occidentali del nostro tempo; si ricordano P. Ben-Haim (1897-1984), R. Haubenstock-Ramati (1919-1994), M. Avidom (1908-1995) e altri. Tra le istituzioni vanno menzionati l’Orchestra filarmonica d’I., sicuramente uno dei maggiori complessi artistici del mondo, teatri, cori, conservatori e istituti (fra cui emerge il conservatorio e l’Accademia di musica d’Israele).

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