Istigazione a delinquere e disobbedienza alle leggi

Diritto on line (2012)

Catia Cantagalli

Abstract

Vengono esaminati i delitti incriminati dagli articoli 414 e 415 c.p., con particolare riferimento agli aspetti, correlati, del bene giuridico tutelato e degli elementi costitutivi del fatto tipico. In difetto di un intervento del legislatore che ridescriva i tipi legali in modo da assicurarne la piena compatibilità con i principi di materialità e di offensività, si è tentato di sopperire ai riscontrati limiti della formulazione normativa con una interpretazione del concetto di istigazione che consente la ricostruzione degli illeciti in termini di reati di pericolo concreto. Con riferimento al delitto di istigazione all’odio fra le classi sociali, incriminato dall’art. 415, seconda parte, c.p., la ridescrizione della fattispecie è stata, di fatto, tratteggiata da una sentenza manipolativa della Corte Costituzionale del 1974, che ha inserito tra gli elementi costitutivi un evento di pericolo non previsto nel tipo legale.

1. Il bene giuridico tutelato dal delitto di istigazione a delinquere

Il delitto di istigazione a delinquere è collocato in apertura del titolo V del libro II, che raccoglie i delitti contro l’ordine pubblico. La nozione di ordine pubblico non è pacifica, potendo lo stesso essere inteso in senso ideale o normativo, come insieme dei principi e delle disposizioni giuridiche fondamentali che garantiscono il mantenimento dello Stato, delle sue istituzioni e delle condizioni essenziali della vita sociale, politica ed economica, oppure in senso materiale od empirico, come conservazione delle condizioni della pacifica e sicura convivenza; l’ordine pubblico materiale può essere interpretato in una accezione soggettiva, quale turbamento del sentimento collettivo di sicurezza, o in una connotazione oggettiva, quale mancanza del pericolo della commissione di reati. Sussiste ampia convergenza sull’incompatibilità costituzionale, rispetto all’art. 21 Cost., di reati posti a tutela dell’ordine pubblico in senso ideale, in quanto l’incriminazione reprimerebbe manifestazioni ideologiche di mera critica e di dissenso, mentre è diffusa la tesi che individua il bene giuridico tutelato dall’art. 414 c.p. nell’ordine pubblico materiale, in diverse accezioni (in tema, sui diversi aspetti: De Vero, G., Istigazione a delinquere e a disobbedire alle leggi, in Dig. pen., VII, Torino, 1993, 293 ss.; Schiaffo, F., Istigazione e ordine pubblico, Napoli, 2004, 260 ss.). Le difficoltà di individuare il bene giuridico tutelato sorgono dalla circostanza che la condotta istigatoria, sulla quale è imperniata la descrizione normativa del fatto tipico, implica la manifestazione di una attività di pensiero, sebbene non si esaurisca nella stessa: l’incriminazione di cui all’art. 414 c.p., pertanto, pone, analogamente a quanto avviene per tutti i reati di opinione, la questione del possibile contrasto con l’art. 21 Cost., che è stato risolto a volte negando all’istigazione in senso lato la natura di una manifestazione di pensiero ed assimilandola ad un’azione, a volte ricostruendo l’ordine pubblico come limite implicito alla libertà di manifestazione del pensiero costituzionalmente tutelata (Barile, P., Libertà di manifestazione del pensiero, Milano, 1975, 16 ss.; Fois, S., Principi costituzionali e libera manifestazione del pensiero, Milano, 1957, 167 ss.; Zuccalà, G., Personalità dello Stato, ordine pubblico e tutela della libertà di pensiero, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1966, 1154 ss.). La difficoltà di rinvenire un fondamento costituzionale dell’ordine pubblico quale bene giuridico oggetto di tutela penale, da una parte, e la necessità di individuare i profili di compatibilità dell’incriminazione prevista dall’art. 414 c.p. con il sistema di valori delineato dalla vigente Costituzione, dall’altro, hanno indotto a ricostruire l’oggettività giuridica della norma in esame in termini di un più sicuro radicamento negli interessi protetti nella Carta fondamentale. Secondo alcuni, il fondamento dell’incriminazione di cui all’art. 414 c.p. è nell’esigenza di tutela dell’obbligo di osservanza delle leggi previsto dall’art. 54 Cost., la cui protezione giustifica, all’esito di un bilanciamento di interessi di pari rango, la compressione della libertà di manifestazione del pensiero sancita dall’art. 21 Cost. (in tema: Alesiani, L., I reati di opinione. Una rilettura in chiave costituzionale, Milano, 2006, 153 ss.). Secondo altri, il delitto di istigazione a delinquere appresta una forma anticipata di tutela del bene protetto dalla norma incriminatrice del reato istigato (Piffer, G., In tema di istigazione a delinquere, in Jus, 1977, 442).

2. L’istigazione a delinquere

2.1 La condotta tipica

L’art. 414 c.p. è una norma penale mista che prevede diverse ipotesi delittuose: la pubblica istigazione a commettere delitti, la pubblica istigazione a commettere contravvenzioni e la pubblica apologia di uno o più delitti. Con riferimento alle fattispecie istigatorie in senso stretto, è preferibile ricostruirle come fattispecie autonome, anziché circostanziate, stante la diversità dell’oggetto della condotta e del trattamento sanzionatorio (Contieri, E., I delitti contro l’ordine pubblico, Milano, 1961, 8).

L’istigazione è un’attività di sollecitazione, di incitamento, di persuasione, di stimolo, idonea a far sorgere nei destinatari una risoluzione criminosa prima inesistente, oppure a rafforzarne una preesistente; l’apologia consiste nell’esaltazione o anche nell’approvazione convinta di un fatto costituente delitto o del suo autore, capace di suggestionare altri, generando spinte all’emulazione oppure rimuovendo eventuali inibizioni (in tema, per tutti: La Cute, G., Apologia e istigazione, in Enc. giur. Treccani, 2007, 1; Dolce, R., Istigazione a delinquere, in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 996; Zagrebelsky, V., I delitti contro l’ordine pubblico, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale. Codice penale, parte speciale, diretta da F. Bricola e V. Zagrebelsky, IV, II ed., Torino, 1996, 537). Tali definizioni concettuali corrispondono a quelle elaborate dalla dottrina come maggiormente adeguate ad esprimerne il contenuto offensivo, a fronte di un dato normativo non adeguatamente selettivo. Le nozioni di istigazione e di apologia si prestano, dal punto di vista semantico, a ricomprendere anche attività che si esauriscono in una manifestazione di pensiero, a prescindere dalla idoneità della condotta a produrre la commissione di reati, e così sono state intese, in passato, dalla giurisprudenza, soprattutto con riferimento alla apologia (Cass. pen., S.U., 18.11.1958, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1960, 183). La via percorsa per reinterpretare in chiave di offensività la fattispecie di cui all’art. 414 c.p. è stata quella di assurgere, ad indispensabile requisito della condotta penalmente rilevante, l’idoneità della istigazione e dell’apologia a determinare la commissione del reato istigato, cosicché possa ritenersi quantomeno messo in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma, comunque individuato. Le fattispecie previste dall’art. 414 c.p. sono state così ridefinite, nel rispetto della struttura della norma descrittiva di reati di mera condotta, da illeciti di pericolo presunto ad illeciti di pericolo concreto, intendendo l’idoneità quale requisito intrinseco della condotta (in tema: Alesiani, L., I reati di opinione. Una rilettura in chiave costituzionale, cit., 194).

La Corte Costituzionale, con una sentenza interpretativa di rigetto del 1970, nel respingere la questione di legittimità costituzionale dell’art. 414, co. 3, c.p. sollevata con riferimento all’art. 21 Cost., ha affermato che «l’apologia punibile ai sensi dell’art. 414, ultimo comma, del codice penale non è, dunque, la manifestazione di pensiero pura e semplice, ma quella che per le sue modalità integri comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti» (C. cost., 4.5.1970, n. 65, in Giur. cost., 1970, 955). La pronuncia della Corte Costituzionale, criticata per aver creato un inutile doppione dell’istigazione, ha suggellato l’interpretazione dell’apologia come istigazione indiretta e della relativa fattispecie come reato a pericolo concreto (per i vari profili: De Vero, G., Istigazione a delinquere e a disobbedire alle leggi, cit., 299; Fiore, C., Libera manifestazione del pensiero e apologia di reato, in Arch. pen., 1971, 18 ss.; Napoleoni, V., Horror vacui e false interpretazioni in tema di apologia di delitto, in Cass. pen., 1981, 772 ss.; Trucco, C., Brevi note sui più recenti atteggiamenti giurisprudenziali in tema di apologia di reato, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1982, 739 ss.). In giurisprudenza, può dirsi oggi sostanzialmente affermato l’orientamento che intende le disposizioni di cui all’art. 414 c.p. come reati di pericolo concreto, nonostante l’occasionale recupero, in chiave di esigenze repressive, della struttura di reato a pericolo presunto (tale tendenza è riaffiorata soprattutto negli anni Ottanta, tra le tante: Cass. pen., 10.3.1981, in Foro it., 1981, II, 508).

La valutazione del pericolo concreto va svolta valutando l’idoneità della condotta a provocare la commissione dei reati istigati, sulla base di un giudizio prognostico, ex ante ed in concreto (in tema: Schiaffo, F., Istigazione e ordine pubblico, cit., 216 ss.), sulla base di tutte le condizioni della situazione in cui la condotta interviene, in modo da ancorare la valutazione dell’offensività ad elementi oggettivi. A tal fine, assumono rilievo il contesto, la sensibilità dei destinatari alla sollecitazione ricevuta, la capacità critica del cittadino medio (Cass. pen., 5.6.2001, n. 26907, in Riv. pen., 2001, 820); è stata ritenuta rilevante, nella valutazione, la vicinanza temporale tra la condotta e il reato che ne è oggetto (Fiore, C, Libertà di manifestazione del pensiero e reati di istigazione, in Giur. mer., 1974, II, 8; contra: Contieri, E., I delitti contro l’ordine pubblico, cit., 14; per una posizione intermedia: Piffer, G., In tema di istigazione a delinquere, in Jus, 1977, 444).

2.2 L’oggetto della condotta

L’istigazione ha ad oggetto delitti o contravvenzioni, l’apologia solo delitti. Nell’opinione dominante, è sufficiente l’enunciazione degli elementi essenziali che integrano la fattispecie astratta del reato, mentre non è necessaria l’evocazione del suo nomen iuris (in tema: Contieri, E., I delitti contro l’ordine pubblico, cit., 20; Dolce, R., Istigazione a delinquere, cit., 997). È condivisibile la tesi di quanti negano la sufficienza, oltre che la necessità, dell’enunciazione del nomen iuris, attesa la difficoltà si concepire, prima ancora che di accertare, la pericolosità della condotta istigatoria od apologetica in difetto di rappresentazione degli elementi essenziali del fatto evocato (Schiaffo, F., Istigazione e ordine pubblico, cit., 233; ritiene necessaria l’indicazione di un minimo di modalità concrete: De Vero, G., Istigazione a delinquere e a disobbedire alle leggi, cit., 297).

2.3 La pubblicità della condotta

Sia l’istigazione che l’apologia rilevano in quanto realizzate pubblicamente. Il contenuto di tale nozione, che designa una modalità vincolata di esecuzione della condotta, è mutuata dalla definizione prevista nell’art. 266, co. 4, c.p.; il requisito della presenza di «più persone» di cui all’art. 266, co. 4, n. 2), c.p. è integrato, nell’opinione dominante, dalla presenza anche di due sole persone (Contieri, E., I delitti contro l’ordine pubblico, cit., 19; contra, sulla necessità di ameno tre persone: Alesiani, L., I reati di opinione. Una rilettura in chiave costituzionale, cit., 254).

È preferibile intendere la pubblicità della condotta, da alcuni qualificata come condizione oggettiva di punibilità (Cavalieri, B., La posizione logico-sistematica dell’istigazione nel codice penale, in Arch. pen., 1953, 330), come elemento costitutivo del fatto tipico (Contieri, E., I delitti contro l’ordine pubblico, cit., 17; De Vero, G., Istigazione a delinquere e a disobbedire alle leggi, cit., 297; Schiaffo, F., Istigazione e ordine pubblico, cit., 243; Zagrebelsky, V., I delitti contro l’ordine pubblico, cit., 546), in quanto modalità della condotta che connota e qualifica l’offensività del fatto.

Il requisito della pubblicità della condotta non risolve in modo univoco il diverso problema dell’individuazione del novero dei destinatari della condotta istigatoria. Nella tesi dominante, l’istigazione o l’apologia possono essere dirette anche ad uno o più destinatari determinati, e quindi in certam personam (Contieri, E., I delitti contro l’ordine pubblico, cit., 19), interpretazione che viene avvalorata dal rilievo che il codice Rocco ha soppresso l’indicazione del pubblico come destinatario della comunicazione (contra, ritiene persistente la necessità di una pluralità indeterminata di destinatari: De Vero, G., Istigazione a delinquere e a disobbedire alle leggi, cit., 296).

3. Il rapporto con la disposizione di cui all’art. 115 c.p.

La disposizione prevista dall’art. 414 c.p. (come anche dall’art. 415 c.p.) è tradizionalmente ricostruita dalla dottrina maggioritaria come un’eccezione, giustificata in funzione dell’esigenza di tutela anticipata del bene, alla regola generale della irrilevanza penale dell’istigazione non accolta o comunque accolta ma non seguita dalla commissione del reato istigato, regola prevista, nella parte generale del codice, dall’art. 115 c.p. (Cavalieri, B., La posizione logico-sistematica dell’istigazione nel codice penale, cit., 330; Contieri, E., I delitti contro l’ordine pubblico, cit., 12; Dolce, R., Istigazione a delinquere, cit., 995).

Tale ricostruzione, che presuppone l’unitarietà concettuale della nozione di istigazione presente nelle varie disposizioni codicistiche (contra: Violante, L., Istigazione (nozioni generali), in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 986), è stata condivisibilmente contestata sul rilievo che ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 414 c.p. non è significativa la non commissione del reato istigato, che può, pertanto, anche essere realizzato (sottolinea l’esistenza di una «clausola di indifferenza rispetto agli esiti della manifestazione istigativa»: De Vero, G., Istigazione a delinquere e a disobbedire alle leggi, cit., 293; evidenzia le differenze strutturali tra l’istigazione, quale forma di partecipazione morale alla realizzazione plurisoggettiva della fattispecie accertata ex post, e l’istigazione di cui all’art. 414 c.p., accertata ex ante, nonché gli elementi che connotano in modo esclusivo la tipicità di questa seconda norma, quali elementi preclusivi della riconducibilità dell’istigazione a delinquere ad eccezione dei principi di disciplina del concorso di persone nel reato: Schiaffo, F., Istigazione e ordine pubblico, cit., 241).

4. Il dolo

L’imputazione soggettiva è a titolo di dolo generico, cosicché devono sussistere la coscienza e la volontà dell’agente di istigare pubblicamente fatti previsti come delitti o contravvenzioni, oppure di fare pubblicamente apologia di fatti previsti come delitti, con la consapevolezza e la volontà degli effetti di tale condotta.

Nella struttura della fattispecie, è stato sottolineato il rilievo dell’intento dell’agente di provocare la commissione del reato oggetto di apologia o di istigazione: tale proiezione teleologica della condotta non esprime un dolo specifico, ma concorre alla descrizione della fattispecie oggettiva e ne connota la tipicità, seppure con sfumature di natura soggettiva (per la qualificazione del dolo della fattispecie come intenzionale: Ardizzone, S., Commento agli artt. 414 e 415 c.p., in Commentario al codice penale, diretto da P. Marini, M. la Monica, L. Mazza, t. III, Torino, 2002, 2010; La Cute, G., Apologia e istigazione, cit., 5).

5. Consumazione, tentativo e circostanze

La necessità di rileggere la tipicità del fatto in armonia con il principio di offensività induce ad individuare il momento consumativo del delitto di cui all’art. 414 c.p. nella percezione, e non nella mera possibilità di percezione, del messaggio da parte del soggetto istigato (Contieri, E., I delitti contro l’ordine pubblico, cit., 9).

Non vi sono ostacoli di natura strutturale alla configurazione del tentativo. È tuttavia preferibile la soluzione negativa, in relazione alla natura giuridica di reato di pericolo riconosciuta all’illecito: punire il tentativo di istigazione a delinquere significherebbe anticipare ulteriormente la soglia della punibilità al pericolo di un pericolo, soluzione di dubbia compatibilità con il principio di offensività (per la particolare ricostruzione dell’istigazione pubblica come un tentativo: Palmieri, R., Osservazioni in tema di istigazione a delinquere, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1968, 1030).

L’art. 15, co. 1 bis, d.l. 27.7.2005, n. 144, convertito con modificazioni in l. 31.7.2005, n. 155, ha introdotto un’aggravante speciale ad effetto speciale, produttiva di un aumento di pena della metà, qualora l’istigazione pubblica riguardi delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità. La previsione esordisce con una clausola di riserva che risolve con l’applicazione della sola disposizione di cui all’art. 302 c.p. il concorso apparente di norme tra tale previsione e quella di cui all’art. 414 c.p., in tutti i casi in cui l’agente istighi uno o più soggetti determinati a commettere uno dei delitti non colposi previsti dal primo e dal secondo capo del titolo primo del libro secondo del codice penale, puniti con l’ergastolo o con la reclusione (Valsecchi, A., Brevi osservazioni di diritto penale sostanziale (al d.l. 27/7/05 n. 144 convertito con modificazioni dalla l. 31/7/05 n. 155), in Dir. pen. e processo, 2005, 1230).

6. Concorso di reati

Per l’ipotesi in cui il reato istigato sia stato commesso, si pone l’interrogativo circa la sussistenza del concorso formale di reati tra il delitto di cui all’art. 414 c.p. ed il reato istigato, imputato a titolo di concorso ex art. 110 c.p.. La questione si pone esclusivamente nel caso di accertamento di un nesso di causalità psichica tra la condotta dell’agente e la realizzazione del reato da parte dell’istigato, in conformità ai principi generali che disciplinano la partecipazione morale.

Parte della dottrina ha ritenuto, in tale ipotesi, la sussistenza del concorso di reati, sul rilievo che la diversità del bene giuridico tutelato dalle fattispecie precluderebbe l’inquadramento nell’ambito del conflitto apparente di norme e l’applicazione del rapporto di specialità (Cavalieri, B., La posizione logico-sistematica dell’istigazione nel codice penale, cit., 333, il quale, nel rappresentare tale soluzione come l’unica possibile in forza dei dati normativi, ne rileva i limiti; Contieri, E., I delitti contro l’ordine pubblico, cit., 25; Dolce, R., Istigazione a delinquere, cit., 999). A diversa soluzione può addivenirsi qualora si riconoscano, il che è sempre più frequente anche in giurisprudenza, criteri dirimenti del conflitto apparente di norme operanti sulla base di apprezzamenti di valore, come il principio di assorbimento, in virtù del quale il fatto realizzato è sanzionato dalla norma che ne esaurisce interamente il disvalore. Nel caso in cui all’istigazione segua la commissione del reato istigato, e l’istigatore debba rispondere anche di quest’ultimo quale concorrente morale, potrà trovare applicazione esclusivamente la norma che sanziona il reato più grave. Analogamente, qualora si ravvisi nell’art. 414 c.p. una tutela anticipata dello stesso bene protetto dalla norma incriminatrice del reato istigato, può farsi ricorso al principio di sussidiarietà, con conseguente applicazione della sola norma che sanziona il più avanzato stato di offesa al bene.

La configurabilità di un eventuale concorso tra istigazione di delitti e istigazione di contravvenzioni è normativamente esclusa dall’art. 414, co. 2, c.p. che prevede l’assorbimento di questa seconda nella prima.

7. L’istigazione a disobbedire alle leggi

Gli elementi costitutivi del fatto tipizzato dall’art. 415 c.p. sono sovrapponibili a quelli già esaminati in ordine all’art. 414 c.p., quanto alla condotta ed alla sua modalità: per la nozione di istigazione e di pubblicità, si rinvia, pertanto, a quanto detto nel § 3. Diverso è l’oggetto dell’istigazione, descritto come disobbedienza delle leggi di ordine pubblico, ovvero come odio fra le classi.

La genericità della locuzione «leggi di ordine pubblico» ha ispirato dubbi di compatibilità della fattispecie con i principi di tassatività e di determinatezza, composti attraverso un’interpretazione ampiamente condivisa della nozione, ritenuta comprensiva di tutte le norme giuridiche imperative, siano esse leggi in senso formale o materiale, leggi statali o regionali, norme di carattere primario o secondario, purché inderogabili dai privati. La legge penale può essere oggetto dell’istigazione alla disobbedienza solo in quanto i reati non siano determinati o determinabili in modo specifico, trovando altrimenti applicazione l’art. 414 c.p. (Zagrebelsky, V., I delitti contro l’ordine pubblico, cit., 542). Onde evitare possibili conflitti con il principio di riserva di legge, parte della dottrina ha ulteriormente circoscritto la nozione alle leggi formali, ai decreti legge ed ai decreti legislativi, nonché alle leggi regionali (Violante, L., Istigazione a disobbedire alle leggi, in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 1004; Zagrebelsky, V., I delitti contro l’ordine pubblico, cit., 544), oppure alle sole leggi formali (Schiaffo, F., Istigazione e ordine pubblico, cit., 236).

L’ordine pubblico che connota la natura delle leggi la cui disobbedienza viene istigata è stato inteso dalla dottrina più risalente in senso formale, comprensivo di tutte le norme giuridiche espressive dei principi fondamentali su cui si edifica lo Stato (nello stesso senso si è orientata, per decenni, anche la giurisprudenza). La dottrina maggioritaria ha, nel tempo, abbracciato una tesi restrittiva, che limita il contenuto delle leggi di ordine pubblico a quelle di sicurezza pubblica, vale a dire alle leggi di polizia: anche la giurisprudenza, dopo un revirement avviato con una sentenza del 1989 (Cass. pen., sez. I, 16.10.1989, in Cass. pen., 1990, 611), si è consolidata in questo indirizzo. Una tale opzione ermeneutica orienta all’individuazione del profilo di offensività dell’incriminazione prevista dall’art. 415 c.p. nella messa in pericolo dell’ordine pubblico in senso materiale.

L’istigazione all’odio fra le classi sociali (inteso come sentimento di ostilità verso gruppi della comunità, organizzati e individuati sulla base di comuni interessi economici) mira, per come formulata dal legislatore, alla conservazione degli equilibri e dei rapporti affermatisi tra le diverse classi sociali contrapposte ed è quindi preordinata alla tutela di un ordine pubblico ideale connotato in termini politici, con conseguenti dubbi sulla legittimità costituzionale della norma (De Vero, G., Istigazione, libertà di espressione e tutela dell’ordine pubblico, in Arch. pen., 1976, 13; per il diffuso rilievo di incostituzionalità della norma, per tutti: Violante, L., Istigazione a disobbedire alle leggi, cit., 1007).

Il bene giuridico della fattispecie deve ritenersi “rimodulato” nella direzione dell’ordine pubblico materiale da una sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 21 Cost., dell’art. 415 c.p., nella parte in cui non specifica che l’istigazione all’odio tra le classi deve essere attuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità (C. cost., 23.4.1974, n. 108, in Giur. cost., 1974, 773). La Corte Costituzionale, attraverso una sentenza manipolativa additiva, ha introdotto nella struttura della fattispecie un elemento costitutivo diverso da quelli normativamente descritti (Zagrebelsky, V., I delitti contro l’ordine pubblico, cit., 539), ed in particolare un evento di pericolo, nella forma del pericolo per la pubblica tranquillità, che, presente nella fattispecie di cui all’art. 267 del codice Zanardelli, era stato soppresso nel codice Rocco (in senso critico sull’intervento della Corte Costituzionale, sotto vari profili: Bognetti, G., Il pericolo nell’istigazione all’odio di classe e nei reati contro l’ordine pubblico, in Giur cost., 1974, 1437; Pedrazzi, C., Sentenze «manipolative» in materia penale?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1974, 444 ss.; Pedrazzi, C., Inefficaci le sentenze manipolative in materia penale?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1975, 646 ss.).

Un ulteriore profilo di conflitto della norma con i principi di tassatività e determinatezza discende dalla genericità del concetto di odio tra le classi, che si sostanzia di contenuti con un’attività interpretativa che necessariamente riflette gli orientamenti ideologici del soggetto che la conduce.

Fonti normative

Artt. 414-415 c.p.

Bibliografia essenziale

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Dolcini, II, II ed., Milano, 2006, 3027 ss.; Barile, P., Libertà di manifestazione del pensiero, Milano, 1975; Bognetti, G., Apologia di delitto e principi costituzionali di libertà d’espressione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1960, 183 ss.; Bognetti, G., Apologia di delitto punibile ai sensi della Costituzione e interpretazione della norma dell’art. 414 c.p., ultimo comma, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1971, 18 ss.; Bognetti, G., Il «pericolo» nell’istigazione all’odio di classe e nei reati contro l’ordine pubblico, in Giur. cost., 1974, 1433 ss.; Cadoppi, A., L’istigazione all’obiezione fiscale alle spese militari fra interpretazioni tradizionali ed evolutive dell’art. 415 c.p., in Giur. mer., 1986, 127 ss.; Cavalieri, B., La posizione logico-sistematica dell’istigazione nel codice penale, in Arch. pen., 1953, 300 ss.; Cerqua, L.D., Istigazione a disobbedire alle leggi di ordine pubblico ed obiezione fiscale alle spese militari, in Giur. mer., 1985, 172 ss.; Cerri, A., Libertà di manifestazione del pensiero, propaganda, istigazione ad agire, in Giur. cost., 1969, 1178 ss.; Chiola, C., Manifestazione del pensiero (libertà di), in Enc. giur. 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