Istinti

Dizionario di Medicina (2010)

istinti

Monica Mazzotto

Il termine istinto è usato in contesti e discipline diversi ed eterogenei e la sua definizione non è quindi univoca. Generalmente si definisce istinto un impulso innato ad agire seguendo sequenze comportamentali precise in risposta a stimoli esterni. Le caratteristiche che deve possedere questo comportamento, da un punto di vista biologico, sono la stereotipia, l’attinenza specie-specifica, la sollecitazione tramite precisi stimoli chiave e l’indipendenza da fenomeni di apprendimento. Diversi studiosi hanno cercato di dare definizioni e spiegazioni degli istinti, da Charles Darwin a William McDougall con la sua psicologia ormica. Anche la psicoanalisi, con Sigmund Freud, ha conferito un ruolo fondamentale agli istinti, precisamente all’istinto di vita e a quello di morte, che regolano l’esistenza di ogni individuo. Lo studio dell’istinto trova la sua massima espressione nell’etologia, che compie i primi studi osservando e analizzando proprio i meccanismi innati degli animali. Ed è appunto dal tentativo di classificare ogni comportamento come istintivo o appreso che nasce una lunga diatriba tra gli etologi europei e gli psicologi comportamentisti americani. [➔ apprendimento; attaccamento, neurobiologia dell’; comportamento, sviluppo del; imprinting; processo di sviluppo in psicoanalisi]

Gli i. (dal lat. instinguere, «stimolare, eccitare») si possono considerare impulsi innati ad agire seguendo sequenze comportamentali precise in risposta a stimoli esterni. La definizione di i., sin dalle prime formulazioni, è sempre stata soggetta a critiche e a visioni discordanti. Infatti, anche se le parole istinto e istintivo sono inserite nel lessico comune e spontaneamente comprese, ugualmente sono soggette a diverse interpretazioni e definizioni a seconda del contesto in cui vengono analizzate e utilizzate. L’i. può essere usato come sinonimo di ‘sesto senso’ oppure connota un comportamento stereotipato, o un’attitudine innata degli animali o un impulso profondo dell’essere umano. Attualmente almeno su alcuni aspetti le varie correnti di pensiero biologico sembrano concordare: le caratteristiche principali per definire un comportamento istintivo sono la stereotipia, ossia la precisa e sempre uguale sequenza di un comportamento, l’attinenza specie-specifica, ossia la condivisione di tale comportamento da tutti i membri di almeno uno dei due sessi di una specie, l’evocazione di tale risposta da parte di precise sollecitazioni ambientali e la presenza di tali comportamenti indipendentemente da fenomeni di apprendimento.

Da Darwin a McDougall

Nella stesura della sua celebre opera L’origine delle specie (1859), Charles Darwin dedica un intero capitolo all’istinto. Il naturalista inglese non cercò di dare una definizione esatta di cosa fossero gli i., sapendo che al termine potevano venire attribuiti numerosi significati, ma ne riconobbe la valenza sostenendo che «gli istinti sono tanto importanti quanto la struttura organica ai fini del benessere delle singole specie». Per Darwin gli i. sono fondamentali nel determinare il comportamento sia dell’uomo, sia degli altri animali, e su di essi e sulla loro variabilità opera la selezione naturale, esattamente come sugli altri caratteri innati. Ma è solo nei primi anni del Novecento, grazie agli studi di psicologia di William McDougall e di Wilfred Trotter, che il termine istinto inizia ad assumere sfumature e connotazioni diverse da quelle biologiche. Secondo Trotter, neurochirurgo inglese che studiò la psicologia della folla, l’uomo, come gli altri animali, nell’agire è guidato dai propri i., tra cui il principale è quello gregario che lo spinge verso la vita sociale, accanto ai suoi simili. A differenza di Trotter, che aveva una visione rigorosamente deterministica, gli i., per McDougall, sono disposizioni innate che spingono l’organismo a prestare particolare attenzione a determinati stimoli ambientali i quali, tramite l’attivazione delle emozioni, producono azioni e comportamenti intelligenti e intenzionali. In questo caso non si assiste a un determinismo ‘cieco’, ma l’i. può venire diretto verso diversi comportamenti, tra i quali quello gregario è solo uno dei tanti. La psicologia ormica (dal termine greco ὁρμάο, «spingere») di McDougall sostiene che i veri propulsori di ogni comportamento umano siano gli i. e che ogni stato emozionale sia supportato da un i. ben preciso; alla paura sottintende l’i. alla fuga, alla rabbia quello aggressivo e così via, fino a creare una vera e propria mappa degli istinti. Alcuni di questi i., come quelli gregario, di riproduzione, combattivo e parentale, appartengono alla sfera sociale e sono le radici motivazionali dei comportamenti aggregativi dell’uomo. Seguendo questo pensiero si arrivò a dare una definizione e una spiegazione istintuale a ogni comportamento umano, perdendo così di vista la vera motivazione originaria, e arrivando dopo pochi anni, nel 1920, a contare ben 14.000 istinti. In disaccordo con questa visione, diversi psicologi comportamentisti negavano l’esistenza degli i., sostenendo che non vi fossero prove scientifiche su cui basare le teorie di McDougall e che, al contrario, a parte i riflessi, tutti gli altri comportamenti fossero modulati dall’esperienza.

Gli istinti secondo Freud

La teoria degli i. rappresenta uno degli aspetti più interessanti e presenti nelle opere di Sigmund Freud. Durante la sua vita, il padre della psicanalisi mutò il suo pensiero sull’i. fino a una formulazione definitiva proposta nel 1922. Freud distingue tra il termine Trieb, che precisamente significa «pulsione», e Instinkt, «istinto»; il primo lo definisce un fenomeno psichico, geneticamente determinato, anche se suscettibile di influenze dovute all’esperienza personale, fenomeno che, creando uno stato di eccitazione, porta all’attività. Con il termine Instinkt invece si riferisce a un comportamento animale, stereotipato, tipico della specie, dettato dall’ereditarietà. Sulla traduzione di questi termini vi sono state spesso confusione e sovrapposizione, ma dato l’utilizzo corrente della parola nella lingua italiana, in questo contesto, pur riconoscendo la differenza posta da Freud, si utilizza unicamente il termine istinto. Nella sua formulazione definitiva, Freud descrive la presenza di due ben separati i., che regolano la vita e i comportamenti dell’uomo: l’i. di vita (o Eros) e l’i. di morte (o Thanatos). Il primo racchiude in sé la tendenza a creare, all’autoconservazione, al piacere e alla riproduzione, e viene espresso attraverso la libido, o energia sessuale, rivolta o verso l’esterno (libido oggettuale) e intesa come autoconservazione della specie, o diretta verso sé stesso (libido narcisistica) e diretta alla conservazione dell’individuo. Allo stesso modo l’i. di morte rappresenta la forza innata di distruggere, di morire, di vivere situazioni di dolore, legato questa volta a una energia negativa e distruttiva rivolta su sé stessi o sugli altri. Con il saggio Il disagio della civiltà (1929) Freud pone il problema dell’infelicità umana scaturita dalla civiltà che costringe l’uomo a inibire gli i. e a rinunciare a soddisfare parte delle sue pulsioni. Nella società moderna l’uomo si trova oppresso tra due forze: una, interna, nata sotto la forza degli i. e l’altra, esterna, che lo costringe a seguire regole morali e sociali. Questo stato di infelicità, tramite il processo di sublimazione, che devia le energie degli i. verso oggetti e comportamenti socialmente e moralmente accettabili, può trovare una tregua, ma non una soluzione. Successivamente la teoria degli i. di Freud è stata definita da alcuni autori come riduttiva e sono stati introdotti altri i. quali l’autoaffermazione e la volontà di potenza, proposti da Alfred Adler e dalla sua scuola.

L’approccio etologico

Il concetto di i. trova la sua massima espressione nello studio del comportamento animale, l’etologia, scienza nata nel 20° secolo. Già a fine Ottocento il biologo americano Charles O. Whitman, studiando i piccioni, e il biologo tedesco Oskar Heinroth, studiando le anatre, scoprirono alcune risposte stereotipate che sono specie-specifiche e che possono essere utilizzate come criteri di classificazione tassonomica. Queste risposte stereotipate vennero chiamate da Heinroth «atti pulsionali specifici», mentre Whitman le definì istinti. Ma è solo con Konrad Lorenz e Nikolas Tinbergen, padri dell’etologia, che l’i. viene studiato in maniera analitica e che nuove teorie al riguardo vengono formulate. Celebri gli esperimenti sul gabbiano argentato, i cui giovani appena nati sembrano possedere già la tecnica per ottenere il cibo dai genitori. In questa specie, infatti, i piccoli beccano una macchia rossa presente sul becco del genitore che, in risposta, rigurgita il cibo. O ancora, gli studi sul modello comportamentale utilizzato dall’oca selvatica nel recuperare un uovo rotolato fuori dal nido, comportamento già presente nella femmina di oca alla sua prima covata. Quest’uccello, nel caso in cui veda un uovo al di fuori del nido, per recuperarlo allunga il collo, pone l’uovo nella parte inferiore del becco e, con movimenti alternati, lo tira verso di sé nel nido.

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Lorenz notò che, se l’uovo veniva tolto dallo sperimentatore durante questa azione di recupero, l’oca non interrompeva il movimento, ma lo completava come se l’uovo fosse ancora sotto il suo becco. I comportamenti innati  sono stati denominati in diverso modo (movimenti endogeni, schemi di azione rigida, attività istintive) e sono state stabilite le caratteristiche che dovevano possedere queste azioni: la stereotipia, la presenza in ogni esemplare di almeno un sesso della specie, l’essere innate – nel senso di essere determinate geneticamente –, il fatto che devono essere apprese ed essere scatenate da precisi stimoli chiave. Ne Lo studio dell’istinto (1951) Tinbergen, grazie ai suoi studi sullo spinarello, piccolo pesce di acqua dolce, definisce l’i. come un meccanismo nervoso, organizzato gerarchicamente, comprensivo di diversi moduli comportamentali che si manifestano in successione. Secondo l’etologo olandese, gli i. possiedono un ordine gerarchico che rispecchia l’organizzazione funzionale del sistema nervoso, e possono venir stimolati solo se legati a una certa sequenzialità. In questo modo, l’energia responsabile di un i., come per es. quello riproduttivo, servirà per predisporre un numero di attività subordinate, come la costruzione del nido, il corteggiamento o la cura parentale.

Istinto contro apprendimento

Nel 20° sec., la visione etologica degli i. è stata contrapposta a quella dei comportamenti appresi e ha portato a una lunga e aspra diatriba tra due diverse scuole di pensiero: quella dell’etologia europea e quella comportamentista (➔ behaviorismo) degli psicologi sperimentali americani. Le visioni delle due scuole risultavano opposte e così i metodi di studio: gli etologi, trascurando i problemi relativi all’apprendimento, preferivano osservare gli animali nel loro ambiente naturale, concentrandosi sugli schemi di comportamento adattativo, sulle sue origini e sulla sua evoluzione, sullo studio degli stimoli che suscitano il comportamento istintivo e le motivazioni che lo determinano. All’opposto, gli psicologi sperimentali, che come caposcuola avevano John B. Watson, si concentravano principalmente sui fenomeni legati all’apprendimento e sulle modificazioni del comportamento, studiando i loro soggetti quasi esclusivamente in laboratorio e non in natura. Dopo decenni di contrapposizioni, attualmente i termini istinto e apprendimento hanno perso le loro connotazioni estreme e la maggior parte degli studiosi sostiene l’inadeguatezza di una rigorosa classificazione dei comportamenti in istintivi e acquisiti. Studi successivi hanno infatti mostrato che comportamenti ritenuti una volta totalmente istintivi, come la beccata del piccolo gabbiano sul becco del genitore, subiscono modificazioni e miglioramenti con l’esperienza; al contempo anche comportamenti appresi possiedono una base genetica di predisposizione all’apprendimento. Infatti, già Lorenz con lo studio dell’imprinting (➔) aveva posto le basi per una relazione tra i. e apprendimento. L’imprinting, particolare fenomeno attraverso il quale gli animali giovani si legano a un determinato individuo nelle loro prime ore di vita, è una forma di apprendimento, ma allo stesso tempo presenta una forte natura ‘preprogrammata’ tipica degli i.; in poche parole il sistema nervoso risulta essere predisposto all’apprendimento, in un preciso e definito intervallo di tempo. Inoltre, diversi comportamenti che sono ritenuti istintivi necessitano di una maturazione. Per William James, psicologo americano, i goffi tentativi di camminare dei bambini rappresentano il risultato di una immaturità fisica legata all’i. di camminare, che è appunto innato come lo è il volo per gli uccelli. Attualmente la maggioranza degli autori ritiene possibile mantenere la terminologia di i. e comportamenti appresi, a patto che si comprenda che l’i. non è unicamente genetico, e il comportamento appreso non è solo influenzato dall’ambiente. Secondo il biologo Richard Dawkins non è possibile altresì stabilire la ‘quantità’ di genetica posseduta da un istinto. Dawkins sostiene che è sbagliato credere che l’i. sia più genetico di un comportamento appreso, esattamente come è sbagliato dichiarare che una torta sia fatta per il 40% da farina, uova, burro e zucchero e per il 60% dalla ricetta. Infatti l’informazione genetica, ossia la ricetta, e le molecole che concorrono a fare ‘materialmente’ un corpo sono entità non commensurabili. Le due caratteristiche si integrano nello sviluppo del sistema nervoso che consente al suo possessore di mostrare successivamente alcune azioni istintive e altre basate sull’apprendimento.

Aspetti dell’istinto nell’etologia contemporanea

Il comportamento istintivo possiede principalmente due caratteristiche che apparentemente possono sembrare esclusive: in primis è formato da movimenti stereotipati e rigidi (FAP, Fixed Action Patterns, schemi di azione rigida) che sono uguali per gli individui di una specie, per es. tutti i maschi di gallo corteggiano allo stesso modo e tutte le vespe di una stessa specie costruiscono il nido allo stesso modo. In secondo luogo, questi schemi rigidi possono venir attivati rapidamente da uno stimolo estremamente semplice chiamato segnale stimolo (sign stimulus) o evocatore (releaser). Il pettirosso maschio, quando si trova nel suo territorio, risponde in maniera aggressiva nei confronti di un semplice ciuffo rosso piuttosto che di un altro pettirosso a cui manchi tale stimolo chiave sul petto. Tutti gli animali con un livello di organizzazione più complesso degli anellidi possiedono sia comportamenti appresi sia comportamenti istintivi, a seconda dei vantaggi che tali aspetti conferiscono all’animale. Un esempio classico è rappresentato dal canto degli uccelli, le cui caratteristiche sono sia istintive sia apprese a seconda del contesto. Il canto di corteggiamento del maschio, per essere completo, necessita che l’animale ascolti sia il proprio canto sia quello di altri individui. Al contrario, per quanto riguarda i richiami di allarme, questi vengono emessi e identificati senza bisogno di alcun apprendimento o esperienza. Generalmente gli i., rappresentando una risposta utile ed efficace pronta sin dalla prima manifestazione, sono presenti quando un ritardo sull’apprendimento potrebbe essere fatale o quando la fedeltà dello stimolo chiave è assicurata. Non è un caso che gli i. siano tipici dei cuccioli soprattutto nelle risposte antipredatorie o di autoconservazione, come nel caso della paura del vuoto. Gli i. rivestono un ruolo fondamentale anche negli animali che possiedono una vita breve e ai quali i genitori non prestano alcuna cura parentale, come, per es., nella maggior parte degli artropodi. In tal caso gli individui non avrebbero né la possibilità, né il tempo di apprendere da un modello. La prevalenza dei comportamenti istintivi, rispetto a quelli appresi, è anche legata al risparmio energetico. Infatti l’apprendimento ha costi elevati e costruire e mantenere un sistema nervoso in grado di elaborare un’informazione e farla diventare esperienza rappresenta uno di questi costi. Nei canarini maschi la sede cerebrale legata al canto, il nucleus hyperstriatum ventralis, è molto più sviluppata rispetto alla stessa area delle femmine, che non cantano. Nell’uomo, in cui la capacità di apprendere è straordinaria e fondamentale, il cervello rappresenta il 2% del peso corporeo ma richiede il 15% della attività cardiaca e il 20% del metabolismo generale. Per diversi autori, nonostante la forte valenza dell’apprendimento (➔), nell’uomo esistono numerosi comportamenti di chiara origine istintiva, quali l’i. materno, riprodut­tivo, sociale e persino il linguaggio (➔). Infatti, per il linguista americano Noam Chomsky, anche se i bambini imparano a parlare ascoltando il linguaggio attorno a loro, riescono a fare ciò grazie a una conoscenza istintiva di una «grammatica universale». Questa teoria è stata ripresa più recentemente anche da Steven Pinker, psicologo canadese, il quale sostiene l’esistenza di un i. ereditario del linguaggio, comune a tutti gli uomini, che, come qualsiasi altra caratteristica fisica, viene tramandato geneticamente. Monica Mazzotto

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