VITALIANI, Italia

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VITALIANI, Italia

Anna Laura Mariani

– Nacque a Torino il 20 agosto 1866 da Vitaliano e da Elisa Duse, entrambi attori e figli d’arte. Elisa discendeva da una celebre famiglia teatrale inaugurata da Luigi Duse (1792-1854) e proseguita dai quattro figli, tra cui suo padre Giorgio e Alessandro Vincenzo padre di Eleonora; e con un Duse Italia contrasse matrimonio: Carlo (1866-1937), attore versatile e accurato in lingua e in veneto.

Scritturata nel 1876 nella compagnia di Luciano Cuniberti insieme al padre per le parti di bambina, entrò tredicenne nella compagnia di Anna Pedretti e Francesco Artale con il ruolo di amorosa. Erano compagnie secondarie ma di buon livello e Artale, capocomico stimato da Luigi Bellotti Bon, dovette aprirle le porte della compagnia di quest’ultimo e di Giambattista Marini diretta dallo zio, Cesare Vitaliani (v. la voce in questo Dizionario). Italia vi entrò nel 1880 e ne uscì nel 1883, l’anno in cui Bellotti Bon, dopo essersi imposto per il suo impegno riformatore, non potendo onorare i debiti contratti, si suicidò. Lavorò poi nella Compagnia nazionale, di cui era primadonna Virginia Marini, come vice di Pierina Ajudi Giagnoni (1883-84); e nel triennio 1885-88 nella compagnia di Francesco Pasta, con lo stesso ruolo al fianco di Annetta Campi. Sia Giagnoni sia Campi furono prime attrici giovani tra le più apprezzate. Tra queste due esperienze si collocò, negli anni 1884-85, la scrittura come prima attrice giovane nella compagnia Città di Torino di Cesare Rossi, dove era primadonna Eleonora Duse, già impostasi come attrice moderna e in procinto di creare una compagnia propria.

Nel 1888 Italia divenne prima attrice nella compagnia di Giambattista Marini, a vicenda con l’affermata Virginia Marini, già prossima al ruolo di attrice madre; nel 1892, a 26 anni, dette vita a una compagnia di cui era prima attrice assoluta e capocomica, a conclusione di un percorso apparentemente lineare, in cui di fase in fase aveva conquistato i crediti necessari per il passaggio successivo. Attrice più drammatica che comica, sorretta da un solido mestiere e portata a donarsi totalmente sulla scena se motivata, non particolarmente dotata né fisicamente né vocalmente ma di temperamento forte e originale, con un repertorio ampio e composito, fu una primadonna e una capocomica di valore ma non riuscì a imporsi come avrebbe voluto, sicché puntò sempre più sulle tournées all’estero, come quelle in Russia, America Latina e Spagna, finché nel 1908 tornò stabilmente in Italia.

La sua carriera proseguì in modo discontinuo. Nel 1909-10 rifece compagnia con il marito, Carlo Duse, che due anni prima aveva interrotto la loro collaborazione decennale per diventare a sua volta capocomico. Nel 1909 fu protagonista del suo primo film, Fedra dal dramma di Umberto Bozzini, che aveva appena messo in scena al teatro Valle di Roma, e nel 1917 di un dramma di Santiago Rusiñol, La madre, mentre in Il ponte dei sospiri (1921) e Gli ultimi giorni di Pompei (1926) ricoprì ruoli minori. La madre di e con Giuseppe Sterni fu la sua migliore interpretazione cinematografica: raccontava la storia di una povera donna che si sacrificava per assecondare la vocazione pittorica del figlio, lo metteva in guardia da una modella avida, veniva cacciata, moriva. Ma il quadro che la raffigurava piangente determinava il trionfo dell’artista.

Nel 1919 l’attrice si dette all’insegnamento: sostituì Luigi Rasi, appena scomparso, come docente di recitazione presso la Scuola drammatica di Firenze; poi, succedette a Virginia Marini alla direzione dell’Accademia di S. Cecilia a Roma (1924-26); infine, nel 1931, aprì una scuola di declamazione e recitazione a Milano. Furono anni difficili, funestati da malattie e povertà, in cui per soccorrerla si costituì un Comitato onoranze a Italia Vitaliani. Divenne ‘un caso’: le scuole di recitazione rischiavano di diventare «ospizi di carità per vecchi attori» che erano ignari del teatro moderno ed erano segnati dal «guittismo», scrisse Silvio d’Amico, che pure riconosceva la sua importanza nel teatro dell’«ultimo ventennio dell’Ottocento» (G. Lopez, Marco Praga e Silvio d’Amico. Lettere e documenti (1919-1929), a cura di P.D. Giovanelli, Roma 1990, pp. 186 s.). Una delle sue ultime esibizioni avvenne nel 1933, nel ruolo della madre in La leggenda di ognuno di Hugo von Hofmannsthal con Alessandro Moissi.

Morì a Milano il 7 dicembre 1938.

Luigi Rasi ridusse la parabola artistica di Italia Vitaliani a una manciata di anni, attorno all’assunzione del capocomicato: una grande promessa, che non si realizzò pienamente, e un’artista sfortunata, premiata più dal pubblico straniero che da quello italiano; e che si scontrò con due gravi problemi. Il primo riguardava il contesto, i difficili anni Ottanta-Novanta in cui Eleonora Duse con la sua recitazione e la sua figura mutò il panorama teatrale, facendo sembrare precocemente vecchio tutto l’esistente e costituendo al tempo stesso un modello alto e pericoloso da imitare. Si aggiunga per Italia un dato personale, legato al peso di quella zia, maggiore di soli otto anni, alla quale continuavano a paragonarla. Le due artiste erano avvicinate da alcuni tratti fisici – minute entrambe e non propriamente belle –, da comunanze di repertorio inevitabili, da un’attenzione alle sensibilità femminili emergenti in un’epoca di trasformazioni sociali e dall’amore per la cultura. «Io studio in ferrovia – disse Italia –. Nella mia esistenza affannosa e turbinosa, le ore che io passo in treno sono le mie migliori» (Tartufari, [1902], p. 14).

Il secondo problema era legato alla persona stessa dell’attrice. Gemma Ferruggia ne inizia così il ritratto: «L’arte drammatica italiana non conosce anima feminile [sic] più schiva e chiusa di questa [...]. Italia Vitaliani è sola, e non si sa quale solitudine sia la sua, se vi si agiti o vi si adagi, con predominio di tristezza o di sdegno. [...] È un enigma per i compagni, per il pubblico», sorpreso dal contrasto «della sua fragilità esteriore e del violento ingegno» (Ferruggia, 1909, p. 18), una solitudine simile a ostilità accettabile forse in una scrittrice, ma non in un’attrice. Gli esiti potevano essere opposti: «L’artista, in una sua strana fierezza, non si cura di stabilire una corrente di simpatia tra la sua arte ed il pubblico da cui si tiene divisa» (Stanis Manca, in Antona-Traversi, 1929, p. 107) o era così coinvolgente da suscitare commozione profonda nel pubblico popolare, in particolare femminile, come testimoniano Amelia Rosselli, Luigi Grandi e lei stessa (in Antona-Traversi, 1929, pp. 109, 119, 155).

Altre attitudini interpretative risultavano segnate dalla sua personalità: da un lato il permanere di fremiti romantici da attrice giovane nella maturità e, dall’altro, la capacità di penetrare figure enigmatiche di donne del suo tempo, fino a raggiungere un registro tragico divenuto insolito. «Un’attrice di non comune valore, ma stranamente disuguale», capace di accostare a una grande semplicità e naturalezza accenti insignificanti o accademici, scrisse Ettore Albini, che la reputò la migliore interprete della Hedda Gabler ibseniana: «Le fugacissime sensazioni di tedio, di orgoglio, di odio e di ribellione che si avvincendano» nel personaggio ebbero in lei «una rispondenza limpida, intensa, meravigliosa. Mai un momento d’abbandono o d’incertezza; muta o parlante, essa fu sempre vigile e desta a cogliere ed a tradurre colla voce o col gesto, ogni sfumatura di sentimento con un intuito singolarissimo» (E. Albini, Cronache teatrali 1891-1925, a cura di G. Bartolucci, Genova 1972, pp. 49 e 97).

Nel suo repertorio spiccava questa interpretazione insieme a quella di Magda in Casa paterna di Hermann Sudermann, Maria Stuarda nella tragedia omonima di Friedrich Schiller, Margherita Gauthier nella Signora dalle camelie di Alexandre Dumas, ma fu anche una briosa interprete goldoniana e un’attrice attenta agli autori italiani contemporanei a cominciare da Roberto Bracco, che ne lodò l’approccio attento al testo e le capacità di direzione artistica. Studio, intelligenza e ricerca (o meglio bisogno) di tratti empatici con il personaggio caratterizzarono l’approccio dell’attrice negli esiti maggiori, che si concentravano in momenti di alta tensione e in dettagli sorprendenti. Occorreva abituarsi alla voce, nasale, simile a quella delle cantanti arabe e tendente alla monotonia, ma capace di scaldarsi e divenire nobilmente armoniosa con uno scatto, per un moto d’amore o di collera, fino a farsi «bellissima nel grido» (Ferruggia, 1909, p. 18). Negli scatti della passione «balzava fuori impetuosa, e l’esile personcina doventava [sic] figura gigantesca, la sua voce nasalmente aspra dava suoni metallici di una varietà meravigliosa», facendo risaltare il suo anticonvenzionalismo (Rasi, 1905, p. 692), fino ad assumere «quei caratteristici toni di schietta, spoglia, imperiosa umanità, per così dire plebea» (Antona-Traversi, 1929, p. 90). Poteva trattarsi della «freddezza rozza di uno sguardo» per mostrare «la grandiosità stupenda della Passione» o dell’«intrecciar titanico delle dita» per far vedere «la straziante immensità del Dolore» (J. Madureira, in Antona-Traversi, 1929, p. 144) all’interno di costruzioni articolate. Così la sua Maria Stuarda, dopo l’esordio in tono minore, nella scena del parco appariva «ringiovanita e radiosa», pronta a gettarsi ai piedi di Elisabetta, per poi arretrare con un gesto imprevisto, folgorata dallo sguardo ostile di lei, e di nuovo essere bendisposta e di nuovo ferita dalle parole violente della rivale fino a trasformarsi in uno statuario «Farinata dantesco» (Tartufari, [1902], pp. 18-21).

Fonti e Bibl.: Album I. V., Roma 1900; C. Tartufari, I. V.: aneddoti interessanti, Palermo [1902]; J. Madureira, I. V. – Carlo Duse. Notas artisticas e biographicas, Lisboa 1905; G. Ferruggia, L’attrice del silenzio. I. V., in La Donna, V (1909), 113, pp. 18 s.; C. Antona-Traversi, Le grandi attrici del tempo andato, II, Torino 1929, pp. 81-158; L.M. Personè, Il teatro italiano della «Belle Époque». Saggi e studi, Firenze 1972, pp. 363 s. Si vedano inoltre i seguenti dizionari biografici s.v.: L. Rasi, I comici italiani. Biografia, bibliografia, iconografia, Firenze 1905; N. Leonelli, Attori tragici, attori comici, I-II, Milano 1940-1944; G. Pastina, in Enciclopedia dello spettacolo, IX, Roma 1975; M. Procino, in Enciclopedia delle donne, www.enciclopediadelledonne.it (10 luglio 2020); G. Monti, in Archivio multimediale attori italiani, http://amati.fupress.net (11 luglio 2020).

TAG

Accademia di s. cecilia

Hugo von hofmannsthal

Signora dalle camelie

Friedrich schiller

Luigi bellotti bon