ITALICI

Enciclopedia Italiana (1933)

ITALICI

Francesco RIBEZZO
*

. Si designa con questo nome un gruppo di popolazioni che abitarono l'Italia antica, le quali presentano particolari affinità linguistiche che conferiscono loro una posizione a sé nella famiglia indoeuropea. Il gruppo etnico-linguistico degl'Italici presenta due divisioni principali: i Latini (con i Falisci dell'Etruria meridionale) e gli Osco-Umbri, distinti in Oschi e Umbri.

L'elenco completo delle stirpi rientranti in questi gruppi (e di quelle la cui pertinenza all'uno o all'altro è tuttora incerta), e le principali teorie sull'origine e lo stanziamento degl'Italici nella penisola sono esposti sotto italia: Etnografia antica, p. 797 segg.

Lingue italiche.

Il gruppo lazial-ausonico. - Il latino è in realtà non la lingua di tutto il Lazio preromano, ma il dialetto di Roma, esteso col predominio politico a tutto il Lazio ed elevato a dignità letteraria. Quel dialetto non differiva sostanzialmente dal linguaggio parlato originariamente da un gruppo di paesi situati a sud del basso Tevere, tra i Monti Albani e il mare, regione storicamente indicata col nome di Latium Vetus e quella dalla tradizione romana prossimamente sentita come nomen Latinum. A sud essa non raggiungeva le Paludi Pontine, mentre p. es., per la geografia di Esiodo (Theog., 1013 segg.), poiché nella leggenda Latino è figlio di Ulisse e di Circe, è un presupposto sicuro che Circei si trovasse nel Lazio. Un'infiltrazione di Volsci dialettologicamente Sabelli, discesi lungo il Tevere e l'alto corso dell'Aniene dal confine meridionale dell'Umbria, dovette interrompere al principio del sec. VI a. C. la continuità dialettale tra Lazio settentrionale e Lazio meridionale e tra questo stesso paese e il paese degli Aurunci. Di qui fino allo stretto di Sicilia geografi e logografi greci dei secoli VI-V a. C. e dietro di essi gli annalisti romani, non conoscono se non Ausones (v. ausonî) per quanto geograficamente e politicamente suddivisi in Opici, Morgeti, Oinotrii, Itali, dal Tirreno fino ai mari Ionio e Adriatico. Lo stesso nome di Aurunci è un derivato di Ausones (Auson[i]-ci). Il nome di Siculi, essendo il solo conosciuto dall'Odissea e data l'affinità di base con quello di Sicani, è invece un nome geografico ereditato dal sostrato mediterraneo e quello dei Choni, seguendo le omonimie, appartiene agl'invasori illirici. Secondo la più antica tradizione italiota, depositaria dello stato di fatto esistente all'arrivo dei coloni dorici e raccolta nel secolo V a. C. da Antioco ed Ellanico, fonti degli storici e geografi posteriori, Opico-Enotrii e Iapigi, verosimilmente poco prima del 1000 a. C., avrebbero cacciato gli Ausonî dall'Italia meridionale in Sicilia.

Della lingua degli Ausonî presannitici sappiamo ben poco; tutta la materia di giudizio si riduce: 1. ai relitti toponomastici; 2. alle glosse; 3. a scarsissime iscrizioni.

1. Relitti toponomastici per lessico, forma, o fonetica lazial-ausonica sono nel Lazio meridionale e oltre: p. es. Ulu-brae ("Pomptinae paludes"), con sab. d in l da *udo-dhrai (cfr. lat. uligo, ulva); Fibrenus (fiume, Arpinum), più sicuramente da fibrae ("extremae orae fluminis" Paul.-Fest. 64 Th.), e cioè da *fid-sr-a "fendibile, friabile" con -sr- in laz. -br-; Norba, giudicato da *No()orba (cfr. umbro urfeta "orbitam"). Anche lazial-ausonica è la fisonomia di Nōla (Νῶλα•πόλις Αὐσόνων in Ecateo, Stefano Bizantino e nelle monete greche), da *No()ola, mentre l'osco presenta la sincope in Núvla- da *Nou(e)la. Tale è anche la fonetiea di Alliba- nelle monete presannitiche di Allifae, osco-umbro alfo- "albus", con indoeur. -bh- in laz. -b-, fatto continuato in Alburnus (monte), Alba (Lucania) e si crede in Al(a)bus (fiume, Sicilia); in Stabiae contro osco Stafia-; in t(h)ēbae (Lucanae, Cat.), lat. arc. tēbae "colles" Varr., contro osco tifa- in Tifata (monte), Tifernus (fiume), it. mer. tiffa "grossa zolla". L'ausonico differiva foneticamente dal laziale nella continuazione delle aspirate sonore bh, dh, che il lazial-romano riduceva a f- all'inizio, e a b, d (-b-) nel mezzo di parola, mentre l'ausonico le deaspirava ed eventualmente, forse per reazione dei sostrati, le riduceva a sorde (p, t). Ausonico è il toponimo Rūdiae, gr. ‛Pω-, ripetuto per lo meno tre volte in tutta la lunghezza dell'Apulia antica, da indoeur. *reudho- "rosso" (cfr. osco Rufrae e gall. Roudius), osco-sab. rūfus, mentre Rutuli, connesso dai Romani ora con rutilus, ora con rufulus, mostra il -d(h)- mediano ausonicamente deaspirato e assordito in t. Lo stesso carattere presenta l'appellativo Λευτέρνιοι, esteso a tutta l'area ausonica da Capua (Litrii, Līternum) e dai Campi Flegrei all'Ionio (Λευταρνία Lycophr.) e al Mar Adriatico (Λευτέρνιοι Strab.; Λα(υ)τέρνιοι Scyl.), affine al gr. ἐ-λεύϑερος. Altro carattere dell'ausonico pare la conservazione del dittongo eu nella voce cit. e in Λευκανοί (epon. Λεύκιος "Giove"), contro Λουκανομ nelle monete, con un residuo laziale nel Leutesie da *Leuceti̯e, Ianeus "Ianus" nel Carmen Saliare, prima del prolungamento dell'isogiossa eu: ou d'origine neo-italica o umbro-sabellica. Ausonico era forse anche il passaggio di -tio- in -so-: cfr. Marsus, Marsicus e, con -rs- in -ss-, Massicus (monte) da *Marti̯o-; osco Bansa da Banti̯a, probabilmente anche in Anxa, nome di città, oltre che nella Lucania e nei Frentani, ripetuto nell'Anxa (Callipolis) salentina, da *Ancti̯a o *Anc-sa. Ausonici per il loro lessico sono i toponimi seguenti: Vescia (Βεσκία•πόλις Λὐσόνων Hec.-St. Byz.), affine a vescor, vescus, negli Aurunci; Saturium, Saturum (Satitreianus ager), la Tarentum prelaconica nella tradizione italiota, cfr. lat. satur, Satura (puella, palus); il ripetuto Caelia, Caelium (Καιλινον monete), cfr. lat. caelum, osco kaíla "templum"; Aecae (cfr. Aec(u)-lanum), lat. aequor; Venusia (venus); Norba; Grumum (luc. Grumentum ecc.), lat. grūmus "mucchio di terra, colle"; Ausentum, aoien nelle monete, Ausculum; Lupiae, Lupatia del sostrato preiapigio dell'Apulia; Lavinium (Λαῖνος); Romulea (‛Pωμυλία); Mustiae, lat. mustus "nuovo, giovane"; le varie Pandosia, Pandesia (Bovino), Bandusia (fonte), lat. pandus, pandō, nell'Apulia, Lucania, Bruzio; R(h)ēgium, dalla tradizione stessa connesso con lat. rēges, e presso Reggio anche un fiume Αὔσων. Lo stesso carattere presentano gli etnici: Opici od Opi-sci, epon. ῏Ωπις, non da ora viene connesso con lat. Opis, ops; in Morgetes si vede una variazione apofonetica dell'indoeur. *marg-, ch'è nel celt. Allo-broges, Comroges, brogae "agri" irl. mruig "marca, territorio" got. marka "confini, marca", Οἰνωτρόί, popoli, secondo la tradizione, politicamente uniti sotto lo stesso re (Morgete, Italo, Siculo), per cui nulla di meglio si può proporre di un *oinō-d(h)roi, cfr. gr. ἀ-ϑρόοι, ant. ind. sa-dhrī, e cioè "gli Uniti", *Vētelo-s, *Vētelia (osco Víteliú mon.) nell'estremo Bruzio, che pare la forma originaria del nome Italus, Italia, connesso dagli antichi con vitulus, nome indigeno del vitello, ma che pare piuttosto da collegare con lat. vetus, vetulus, lit. vátušas; Ausones, affine ad aus-ter vento del sud", avrà voluto indicare "gl'Italici del sud". Relitti ausonici sono altresì Δάγκλη nelle monete di Zancle, sic. δάγκλον•δρέπανον, dissimilato da *dalklo-m, lat. falcula, falx (da *d(h)alg(i)-s, lit. dalgis?); "Αδρανος "dio Etneo", -ov, cfr. camp. Aderl(a) "Atella", lat. ater; Centuri-pa (formato come Argyri-pa, *Sala-pa, *Meta-pa), cfr. lat. centuri-a con en da , ant. isl. hundari-, ant. alto-ted. huntari "centuria, cantone"; Αἴτνα da indoeur. *aid(h)e-na, gr. αἴϑω, lat. aedes; Κασμέναι, lat. arc. Casmenae, nome delle Muse e di una località del Latium Vetus; Palici (palude); Longanus fiume (Messana), Longana (Catane), cfr. laz. Longa (Alba), Longula, lat. longus. Schiettamente italico è il nome del duce dei Siculi Δουκέτιος e ausonica è la fisionomia di Morgyna, Morgantia (anche nel Sannio) e più ancora di Maronius (monte) "il monte maggiore dell'isola" ital. Μάρης (archegeta), osco Maras, umbro marones, sic. maru "marō" (iscr. di Centuripae), gall. -mārus, ant. irl. már, mór "grande"; Γέλα dagli antichi connesso con ital. γέλαν•παχνην, lat. gelu.

2. Glosse. Da scrittori italioti della Lucania e del Bruzio si giudica che i glossografi possano aver desunto lemmi come ϕύτορες•γεννήτορες, osco Fuutreí "Genitrici"; πολλαχρόν•καλόν, lat. pulcher da *por-lac-ro-s (lacio); αὐροί•λαγωοί, lat. laurex. Ateneo dai Messapi cita πανός•ἄρτος, lat. pānis da *past-ni-s, e degli stessi, se non è illirico, era βίσβην•σρέπανον ἀμπελοτόμον, da auson. *b(h)i(d)s-u̯a, lat. findo. In un'iscrizione della Iapigia figura un βλαμινι "flamini"; e in una messapica il gen. sing. kalatoras, lat. arc. kalatorem già nel Cippo del Foro Romano. Di particolare importanza, perché alcune provengono dai comici di Siracusa (VI-V sec. a. C.), sono le glosse "nummus", λίτρα "lībra" da indoeur. *(t)lī-d(h), ant. ind. tulê, gr. τάλαντον,-α "peso, bilancia", cfr. lat. lātum da *tlā-tom, tollo da *tì-nō, ὄγκιον (Epicarmo), lat. uncia con sincope già ausonica da *oin(i)-cia; μοῖτον, lat. mutuum da *moituo-m; πάτανα (Sofrone), lat. patina, con a mediano conservato; ῥογός "granaio", lat. rogus "rogo" κάρκαρον "carcer"; κάμπος "campus"; κύβιτον "cubitum"; γέλαν "gelu"; κάτινον "catinum"; λέπορις "lepus"; ἀρβίννη•κρέας: lat. arvīna, ecc.

3. Iscrizioni. Della Campania presannitica abbiamo una serie di iscrizioni in alfabeto etrusco (il dominio etrusco cessa fra il 430 e il 420 a. C.), su vasi di fabbricazione locale, in cui il genitivo in -es, preso dai temi consonantici, si alterna con quello d'influenza, pare, sabellica in -eis, preso dai temi in -i, e sim con sum alla 1ª pers. sing. del verbo essere, p. es.: 1. Kanuties sim "Canuti sum"; 2. Luvcies Cnaiviies sum "Lucii Cnaei sum"; 3. Vipteis Veliteis culχna sim "Vibedi Velitis culicna sum". Diffficilmente il genitivo in -es può essere d'influenza etrusca. Più lunga è l'iscrizione su stamnos di bronzo Vinuχs Veneliis meraciam tetet Venilei Viniciiu "Vinicus Venilius meraciam (anfora da vino puro) dedit Venili Vinicio", probabilmente uno scherzo sui nomi Vini-cus e Vini-cius. Lo stesso genitivo singolare in -es da un tema in -o presenta un'iscrizione ausonica interpunta di Staletti-Squillace (collezione Fazzari), in alfabeto dorico del sec. V a. C., e cioè di uno o due secoli prima dell'invasione lucana OFλσοια Αλτιπμμες εστ[ "Oulsoea Altipimi est-", e forse due epigrafi sicule di Adrano. Del sec. V a. C., date le peculiarità alfabetiche, pare anche l'iscrizione di Castelluccio sul Laos Τουτικεμαι μοτερεμ "Tuticimae ποτήριον" e del secolo stesso quella ininterpunta dell'obba di Centuripe, di cui, dividendo, si mettono qui in vista le parole più sicuramente identificabili: Nunus Tenti Mh. maru stainam hemitom esti durom, nanepos durom, hemitom esti velhom nedemponitantom eredes oinobatome[ (si ravvisano per lo meno maru, esti, velhom, durom (δῶρον), hemitom, (h)eredes, il gen. sing. in -i Tenti, l'ō chiuso in ū, carattere comune al dat. sing. in -ō Viniciiu di Capua e al Veipuna delle monete di Vibōna del secolo IV a. C., certo la forma indigena e arcaica del nome della città. Si noti finalmente l'equazione tra il Σεγεστασίων greco e il Σεγεσταζιβ indigeno nelle leggende delle monete arcaiche di Segesta: si tratta forse di dativi plurali in -b(o), -b(i), più il verbo dor. ἠμί con ει rappresentante la pronunzia chiusa di η (ē). Così si ha Ιρυ-, Ερυ-καζιβ ειμι nelle monete di Erice: si rammenti che per Ellanico, Elimi e Solimi erano Ausonî cacciati in Sicilia dagli Enotrî.

Confini fra lazial-ausonico e umbro-sabellico. - Anche a giudicarne dalla sola tradizione, la varietà latina al principio della storia di Roma si arrestava alla riva sinistra del Tevere e poi, con l'allargarsi dell'agro urbano, al prolungamento di questa linea in quella segnata dal basso corso dell'Aniene fino all'agro di Tibur e di Praeneste. Ma che qui una volta dalla varietà latina si passasse di botto alla varietà sabina, lo dicono in parte i residui che di questa restano nel dialetto urbano, in parte le iscrizioni.

Nel campo del vocalismo questa è la linea in cui a laz. ē corrisponde sab. ī; a laz. ō sab. ū (cfr. Sīmūnis accanto a Sēmōnes nel Carmen Arvale, facitud per facitōd in Corp. Inscr. Lat., 1ª 361 (Roma) e rōbus: rūfus, tōfus: tūfus, ecc.), e i dittonghi ai, ei, oi, au, ou si chiudono in una vocale unica e, o. Nel campo del consonantismo a laz. qu-, (g)u- (hirquos, -cus, equus, -que) corrisponde p, b (hirpus, fal. Hirpi, pren. Epoleios, fal. -pe, e bos, indoeur.-ital. *gu̯ōus), a laz. -O-, -d- (-b-), da indoeur. -bh-, -dh- mediani, un costante -f- (tēbae: Tifata; aedes, aedilis: pren. fal. Aefula, efiles; rūfus, ruber: gr. ἐ-ρυϑρός). Qui stesso a laz. d corrisponde quasi normalmente sab. l (dacruma: lacruma; odor: oleo. Nel campo della grammatica all'-ō, desinenza del dativo singolare dei temi in -o nel lazial-ausonico, corrisponde nel prenestino la forma breve -oi dell'originario dittongo lungo -ōi, come nell'osco-umbro, p. es. nel Numasioi della Fibula di Preneste, con l'-a- intatta in sillaba mediana. Come nell'osco-umbro, sono più svolti che nel latino i perfetti raddoppiati del tipo pren. fe-faked; fal. fi-fiked (fingo), e a Preneste ancora nel sec. IV a. C. sopravvive l'infinito osco-umbro in -om ed il pronome dimostrativo eino-.

Un confine linguistico così netto, dove uno si oppone ad altro fascio di isoglosse, per la penisola, indica: 1. una soluzione di continuità tra l'una e l'altra area dialettale, per cui il lazial-ausonico e l'umbro-sabellico sono da riferire a due ondate etniche differenti e cronologicamente diverse; 2. un arretramento della più antica popolazione ausonica innanzi alla più recente ondata umbro-sabellica oltre una linea che, stando alla tradizione, congiungeva il basso corso del Tevere col lago di Fucino.

Qualche traccia dell'originaria presenza di Ausonî nel cuore dell'Umbria sopravvive nell'etrusco. L'aggettivo etr. laut-n, al quale una bilingue assicura il significato di libertus, ha a base il nome indoeuropeo leudho- "nazionale, libero" nella stessa forma leut- in cui si presenta nell'ausonico Λευτέρνιοι col noto passaggio di auson. eu da ou in etr. au, da u (W. Schulze, Lat. Eigennamen, p. 575 seg.), e non nella forma loufo- (fal. loferta "liberta", peligno loufir "liber"), in cui lo presenta concordemente trasformato l'umbro-sabellico. Ausonico, più che sabino, pare anche etr. usil "sole" da auselo-, per quanto la gente degli Aurelii "a sole dicta" da *auselii, sia detta a Sabinis oriunda, mentre la parola sabina per indicare il sole, secondo Varrone, era sol. A favore di ciò parla anche l'affinità con Ausones "Italici del sud, del paese del sole", cfr. Ausculum ecc., mentre nessuna traccia del nome esiste nell'osco-umbro. Della precedenza di Etruschi agl'Italici in Umbria, si hanno tracce toponomastiche come Aesis fiume (etr. αἰσός "dio"), Arna (cfr. Arnus fiume), Tuder, umbro tuder "finem" (etr. tular "fines"). Altro indice sicuro, per un paese tutto ed esclusivamente chiuso nel suo culto, come appare l'Umbria dalle Tavole Iguvine, è il nome Tinia che reca nel cuore della regione un influente del Clitumnus, e Tinia è il nome di Giove nell'etrusco.

Il gruppo umbro-sabellico. - Al principio della tradizione romana troviamo Umbri e Sabelli stabilmente fissati nelle loro sedi: gli Umbri a cominciare da una linea che coincide in parte col 44° grado di latitudine, incuneandosi poi fra il Tevere e il confine occidentale del Piceno fino al corso del Nar (Nera), oltrepassandolo alquanto solo nel tratto adiacente al Tevere, elemento geografico non privo di significato storico e dialettale. Il Nar costituiva anche il confine settentrionale dei Sabelli, zona mediana, d'ambo i lati originariamente quasi equidistante dal mare, e che rappresentava geograficamente un prolungamento della precedente fino al bacino del lago di Fucino, sul quale Varrone colloca Marruvium, l'ultima città dell'antica Sabina. In età storica, benché tutto il paese venga attribuito ai Sabini, tuttavia la Sabina attigua al Lazio ha per capitale Cures, sulla sinistra del Tevere, poco distante dal confine settentrionale del Lazio, e la regione, a giudicarne dalla tradizione, si doveva estendere a sud a tutto l'angolo Tevere-Aniene, ed oltre di questo fiume fino a Praeneste, e ad est, oltre Tevere, fino a Veii e Falerii, prima che queste due città, tra i secoli VII-IV a. C., divenissero etrusche. Nelle iscrizioni di Praeneste e Falerii troviamo conservate tracce della fase più arcaica e più genuina dell'antico sabino. Nel resto della regione, e in tempo che coincide o sta in rapporto con la decadenza della dominazione etrusca sull'Italia centrale e sulla Campania (525-506 a. C.), gravi rivolgimenti interni, secondo la tradizione, portano Sabini del nord-ovest nel corridoio naturale formato dalle valli del Tolenus e del Himella, occupandone le antiche città e sboccando, attraverso le valli del Liri e del Volturno, nella Campania e nel Sannio. I nomi di Ausente, Osento, che recano affluenti o fiumi collaterali del Liri, del Sangro (Sagrus, forse da sacro- 〈 sagro-, cfr. bruz. Σάγρας) e dell'Ofanto, pare che dicano dove era sentito il confine tra Sabelli ed Ausoni nelle successive tappe di arretramento. In queste regioni, dove era irradiata la civiltà di Cuma e degli Etruschi di Campania, il sabellico venne letterariamente disciplinato e fissato in un alfabeto nazionale e dalla regione, antico paese di Osci, chiamato (come i Sabini o Safini sabellici) osco. Questa è la principale ragione per cui l'osco rappresenta una fase assai più arcaica dell'umbro-sabellico che conosciamo da monumenti epigrafici dei secoli II-I a. C., mentre l'umbro, nella sua secolare autonomia politico-geografica, e il sabino, frazionato, in terreno montuoso, nei dialetti degli Equi, Ernici, Volsci, Marsi, Vestini, Marrucini, Peligni, Frentani, nel loro particolarismo politico e senza una letteratura propria, si presentano alla scrittura in una fase foneticamente assai più evoluta, fino a rendere talora irriconoscibili voci e forme comuni con l'osco.

Rapporti fra i due gruppi italici. - Che però lazial-ausonico ed osco-umbro formassero già nella sede extrapeninsulare un gruppo di dialetti indoeuropei legati da maggiore affinità, anche se non in immediata continuità di area dialettale, come attesta l'interruzione di un fascio d'isoglosse, è attestato prima di tutto dalla loro generica appartenenza al gruppo occidentale delle lingue indoeuropee. I gruppi italico, celtico, germanico, greco sono separati dai gruppi slavo-baltico, traco-illirico, e indo-iranico dalle grandi isoglosse k, g contro ś, ž; q, g contro k, g; isoglosse le quali, escludendosi nettamente a vicenda, indicano una divisione dialettale non meno netta nella sede originaria. Col celtico, dal quale nella migrazione l'italico si divise penetrando sotto, invece che sopra la cerchia delle Alpi, ha in comune, come del resto il veneto e il greco, la conservazione della terna vocalica a e o, fondamentale del vocalismo indoeuropeo, staccandosi dal germanico che muta l'õ in a. A parte mutamenti fonetici, innovazioni morfologiche, peculiarità lessicali e semantiche, spiegabili in parte con la segmentazione dialettale della stessa area originaria, in parte col contatto più immediato o più lungo dell'umbro-sabellico con aree collaterali e cerchie culturali diverse fuori della penisola, la continuità e contiguità originaria dei due dialetti viene dimostrata dall'unità fondamentale del sistema fonetico e morfologico, dallo schema comune delle 4 coniugazioni, dalla comunità di alcune innovazioni, dalla ripartizione stessa del vocabolario indoeuropeo, ciò che indica anche unità di vita, di costume e di cultura.

Le caratteristiche maggiormente probanti dell'unità italica sono quelle che indicano unità di sviluppi fonetici, e unità di conservazione o d'innovazione nel sistema flessionale. Note ed elementi comuni di fonetica tra lazial-ausonico ed osco-umbro sono: a) lo sviluppo di í í indoeuropei in en em (osco deketasiúí "meddix della decuria" da *dekítasio-s, umbro desen-duf "duodecim"; osco Entraí "Intrae deae", cfr. lat. inter, interus, anche se per la eventuale riduzione di en em ad en, em l'osco-umbro e il celtico talvolta rispondano con an- am-); b) di ì ó indoeuropei in ol or (osco fortis "potius, fortius"; umbro couortus "reversus sit"; pepurkurent "poposcerint", indoeur. *póæ; c) delle vocali ridotte e, o ad a (lat. pateo, osco patensíns "panderent", gr. πετάννυμι; osco kahad "capiati incipiat", lat. in-coho ecc.), nota comune al celtico (irl. gataim "asporto", lat. pre-hendo; m. irl. maighne "grande", gr. μέγας; gall. ver-tragus "veltro", gr. τρέχω); d) di e in o innanzi ad m (osco-umbro pompe- "5" da indoeur. *penqe; cfr. irl. coic da *konke, contro brit. pimp, osco humuns "homines", umbro homonus "hominibus", lat. arc. hemonem, nēmo *ne-hemo); c) di eu in ou (osco-umbro touto, toto da teutā "civitas", Λευκανοί, Λεύκιος: Λουκανομ, per quanto qui si tratti di tendenza comune col celtico Leuretios: Lou-, e benché l'isoglossa paia compiutasi su terreno italico); f) dell'analoga caduta di tra vocali (osco trís, lat. trēs da *trei̯es, umbro stahu "sto" da *stai̯ō, osco deivaid "iuret" da *deiuai̯ēd, umbro ahesnes da *ai̯esno-); g) la riduzione di di̯, gi̯ a i̯i̯ (lat. pēior *pei̯i̯s da pedi̯ōs, meiō da *meigi "mingo" osco Maiiúí "Magio", lat. maior da *magi̯ōs; fal. foied "hodie", ecc.); h) l'evasione di tt a ss (lat. fassus, sessus, ant. ind. sattás; osco-umbro nessimo- "proximus" da *nedh-temo-; osco messimass "medioximas" da *medh-temo-, cfr. lat. pessum, pessimus da *ped-temo-); i) di zd(h) a d (lat. nīdus da *ni-s(e)do-s ecc.; lat. sab. mālus "albero della nave" da *mādo- già *mazdo-, ant. alto-ted. mast; umbro ander-sistu "*intersidito" da *sizd(e)tōd), sviluppo comune col celtico.

Dei fatti d'ordine flessionale il più significante è l'inquadramento, comune al latino e all'osco-umbro, della coniugazione primaria tematica in -e/-o e di quelle denominative e causative in -āi̯ō, -ēi̯ō, -ii̯ō in quattro coniugazioni distinte, caratterizzate principalmente: a) dai corrispondenti congiuntivi in -ám, -ai̯ēm, -ei̯ám, -ii̯ám; b) dalle forme suppletive di una coniugazione perifrastica in -bh()ō per le tre ultime; c) dal gerundivo in -ndo-. Subito dopo viene la creazione di una coniugazione passivodeponente in -or, -tur (osco-umbro -ter, -tor), applicando alle desinenze personali un -r formatore di passivi impersonali di 3ª pers. sing. già nell'indoeuropeo, costruzione comune col celtico. Non prive di significato sono infine le innovazioni comuni nel sistema della declinazione e cioè a) la sostituzione della desinenza pronominale -asōm all'-ōm del gen. pl. dei temi in -ā; b) la creazione di un ablativo sing. in -ād per i femminili in -ā, in. corrispondenza dell'abl. sing. in -ōd dei temi in -o.

Accanto a queste eoncordanze si notano divergenze talora profonde e tuttavia prodotte più che delle condizioni originarie, delle vicende storiche successive, e in ogni modo tali che non escono dall'ordine delle possibilità dialettali della stessa lingua. Esse si possono classificare:1. in perdite di elementi flessionali d'origine indoeuropea, come a) del perfetto (latino) in - ed -ī (da -ai) nell'osco-umbro; b) della forma di dat. sing. in -ō per l'osco-umbro e in -oi per il lazial-ausonico nei temi in -o; c) del genitivo in -ī di detti temi nell'osco-umbro, benché un cimelio ben antico possa rappresentare il corrispondente gen. sing. in -io del prenestino e del falisco; d) di forme come il dat. sing. umbro pusme "cui", esmei "huic" dei pronomi, corrispondenti ai dat. sing. ásmāi e kásmāi dell'ant. indiano; e) della forma dell'infinito in -se nell'osco-umbro e in -om nel latino; 2. in ulteriori sviluppi fonetici come il labialismo delle gutturali labiovelari di tutto il gruppo osco-umbro, certamente completo già fuori della penisola, e la palatizzazione di k in ç innanzi ad e ed i nel solo umbro e forse nel sabellico settentrionale (volsco); 3. in innovazioni come il perfetto in -u̯ī del latino, quelli in -f e -tt dell'osco-sabellico e in -l- e -nki̯- dell'umbro, e l'imperativo passivo comune dell'uno e dell'altro in -(d)-r, al posto di quello latino in -minō(d) in esempî del tipo precaminō.

Dell'originaria unità dialettale dell'umbro e del sabellico nei rispetti del latino indici sicuri sono: a) la labializzazione delle labiovelari (lat. quis, osco-umbro pis; osco biius "vivi", ecc.); b) la sincope assai più accentuata di sillaba mediana e finale (osco akkatus "*adu̯(o)cati,; prúffed "posuit" *prō-f(e)fed, gall. δεδε "posuit"; umbro fiktu "figito"; osco húrz "hortus", mins "minus", umbro avis *avif(o)s "avibus" ecc.); c) -nd- assimilato in -nn- (fenomeno dialettale e isolato in Plauto); d) sn conservato come nel latino arcaico (umbro śesna "cenam", osco kersnú "cena") e generalmente conservato anche rs anteconsonantico; e) conservazione della vocale atona mediana (umbro antakres "integris" cfr. auson. πάτανα, πολλαχρόν); f) bh e dh divenuti incondizionatamente f, mentre il latino presenta questa soluzione solo all'inizio di parola; g) -ā finale in -ō (osco víú "via", umbro mutu "multa" ecc.); h) attenuamento di k, p innanzi a t (umbro rehte, screhto; osco ehtrad "extra", osco pont- "quinto" da *ponqt-, ma scriftas "scriptae"); i) ks, ps anteconsonantici assimilati in ss, s; l) -ns finale in -f (osco úíttiuf da *oitiōns "usiones"; umbro acc. pl. eaf, marr. iaf- "eas").

Rapporti fra italico e celtico. - Si parla anche, ma oggi con molta critica, di un'unità italo-celtica e particolarmente celto-umbrosabellica. -Tra le affinità fonetiche sono: a) l'analogo sviluppo delle sonanti í, í (indoeur. *æítóm "100", laz.-auson. e umbro-sabell. centum, centuri-, irl. cét da *kent-, cimr. ecc. cant; indoeur. *deæí, lat. decem, umbro desenduf; irl. deichn- da *dek(e)n-; indoeur. *íti-, lat. mens, irl. airmitiu "honor" da (n)tiō; b) l'evasione analoga delle vocali ridotte e, o ad a solo nel celtico e nell'italico; c) aspetti apofonetici come lat. grānum, irl. grán; lat. plānus, gall. Medio-(p)lānum; lat. grēx, irl. graig, gen. sing. grego, cimr. gre; d) lo sviluppo analogo di eu in ou (gall. Leucetios: Loucetios "Marte"; gall. Teuto-, Teutates, irl. túath *tōtā, osco-umbro touto, toto "civitas", got. þiuda "popolo"; gall. Roudus, Anderoudus, ant. irl. ruad "rosso", gall. *neu̯io- in nou̯io- come l'ital. *neu̯o- in nou̯o-, irl. núe da nou̯i̯o- ant. bret. nouuid, gallico Ne- 〈 Noviodunum; e) l'evoluzione concorde di -tt-, -d(h)-t-, -zdh- (irl. fiuss "conoscenza, sapere", indoeur. *u̯id-tus; mess "giudizio" *med-tus; compar. nessam, cimr. nessaf "proximus", osco nessimas "proximae" da *nedh-temo-, umbro nesimei "proxime",; frosetom da *fraud(e)tom, lat. frausus (Plauto); n. irl. maide "bastone" da *mazdi̯os, ant. alto-ted. mast "asta, albero"; irl. nett "nido", corn. neid, ant. altoted. nett, ecc.; medio irl. truid, medio alto-ted. drostel, serb. drozd "turdus"; irl. setim "soffio, suono", ant. ind. kṣveḍati, ant. sl. svistati "sibilare", indoeur. *su̯eizd(h)-.

Tra le affinità d'ordine morfologico sono: a) il gen. sing. in -ī dei temi in -o (gall. Segomari, Ateknati, Tmtikni, ogam. maq(q)i "del figlio") e dei temi in -io (ogam. avi "del nipote (del nonno)"; celi "del compagno"), forma che essendo anche del latino, del veneto, dell'illiro-messapico, e cioè di un gruppo geograficamente continuo, sarà stata anche quella originaria del gen. sing. di questi temi nell'osco-umbro, mentre le forme in -io del pren.-falisco e del lemno-tracio, e quella in -οιο del greco inducono a credere che -io (tema di un aggettivo del possesso) fosse la forma originaria di questo gruppo nell'indoeur., cfr. irl. voc. sing. celi da *celie, du(i)ni da *dunie "o uomo" (con -ie in -i come nel latino); b) il dat.-abl. plur. in -bo(s); -bi(s) con la concorde utilizzazione a questa funzione di una forma di strumentale indoeur. (irl. su(i)lib "solibus, oculis"; túath(a)ib "ai popoli", cfr. lat. deabus, con estensione di -bhi o -bho ai temi in -ā e in -o: umbro-sab. erus, aisos da *aisof(o)s "diis"); c) benché -ñi̯e-, -ii̯e- si trovino fusi in -ī nell'ant. irl., l'analoga sistemazione in corrispondenti coniugazioni in -ā, -ē, -ī dei denominativi e causativi (irl. fofera da *vo-ver-ā-t "egli opera"; ad-su(i)di da *ad-sod-ī-t "tien fermo", in cui è confluito tanto il tipo sedeō quanto il tipo sōpiō). Pur tra i turbamenti, profondi nell'irico, dello stato protoceltico, il sistema è riconoscibile da coincidenze d'ordine particolare nella formazione dei tempi e dei modi e cioè: 1. un congiuntivo in -ā (cfr. irl. bera "ferat" da *bher-ā-t) indipendente dal tema del presente: irl. bíä da *bhei-ā-t "batta" contro ben(a)id "batte" da *bhi-nə-ti, lat. arc. perfines "perfringas"; gab(a)id "prenda" da *ghabh-ā-ti contro ga(i)bid "prende" da *ghabh-i-ti. Ora questo è il caso nel latino e nell'osco-umbro per i congiuntivi tulat rispetto a tollo da *tol-; tagat, umbro-sabell. ta[h]a(t) accanto a tango; umbro neiř-habas "ne habeant" contro un pres. *hafiō o *habiō; cfr. lat. arc. ad-venat, per-venant; 2. la formazione del futuro in -bh()ō solo, poi prevalentemente nell'irico, da verbi in -āi̯ō, (-ēi̯ō), -ii̯ō onde irl. carub *car-ā- "amerò", carfid "amerà" (caraim "amo"); do.rimiub "io enumererò" da *rīm-ī-, come lat. arc. venībō, lasciando alla coniugazione primaria l'antico futuro in -so, come fanno l'irico e l'osco-umbro (ferest) e come in origine faceva il latino (facsō, vīsō). Codesto futuro è parte di un'antica coniugazione perifrastica con a) un presente futurale in -bh()ō; b) un irreale in -bh()-a-m (cfr. irl. "fui"; lat, fuam "fossi"; a. slav. "sarebbero"), con valore d'imperfetto nell'italico (osco fufans "erant"), eventualmente di futuro nell'irlandese; c) un passato in -bh(u)om (-fom, -fes, -fed nell'osco), mentre della presenza del futuro in -bh()ō di 1ª e 2ª coniug. nel sabino fa fede fal. pipafo "bibam", carefo "carēbo". È da aggiungere: 3. la formazione concorde di un deponente (-passivo) in -r da determinate persone dell'attivo (non dalla 2ª pers. plur.!): irl. sechur "sequor", sechitir "sequitur" (osco-umbro -ter e -tur), accanto alla non meno concorde conservazione su questo estremo margine occidentale (e quindi sempre in un rapporto geografico) della forma di passivo impersonale in -r (irl. berar, umbro ferar "feratur") nota all'indoeuropeo unitario, ma eventualmente perduta, come altrove, così anche nel latino e nel britannico. Si notino finalmente gli astratti in -tiōn: -tīn- del tipo lat. mentio, ant. irl. -mitiu da *mēntiō.

Si dia il valore cronologico che si vuole al fenomeno della labializzazione delle lahiovelari nel celtico e nell'osco-umbro, non si può però negare che storicamente era già del gallico (petor-ritum, Epo-redia, Bormiae (aquae); brato-, -pe "que", ecc.) e che continuità geografica e antichità escludono ugualmente che si tratti di processo indipendente, onde la mancata labializzazione di q nel goidelico e di q e g nel latino si spiega, oltre che con l'età relativamente recente del fenomeno (la separazione degli Ausonî vien calcolata al 2000 a. C.), anche con la diversa lunghezza delle isoglosse nell'area celto-umbrosabelliea. La maggiore contiguità dell'area gallo-britannica con l'osco-umbra nella sede extrapeninsulare verrebbe confermata finalmente dall'analoga ripartizione delle due desinenze di dat. sing. in -ō e in -oi dei temi in -o: gallo-lig. -ui in Latumarui, Tekialui, contro irl. fiur da virō, e di dat. plur. in -bo (gall. ματρεβο) e in bi (-ib da -bi nell'irlandese).

Anche per le concordanze lessicali non sempre sono state scelte le più significative. Oltre al fatto che in alcuni esempî si tratta di relitti indoeuropei proprî di tutto o parte del gruppo occidentale, bisogna tener conto anche della sfera geografica e culturale diversa in cui italico e celtico hanno conservato o innovato, critica necessaria per chi afferma e per chi nega la speciale affinità, o un'unità italo-celtica. Oltre agli esempî gall. νέμητον: lat. nemus; irl. cretim: lat. credo; irl. bir: lat. veru, umbro berus; irl. imrim: lat. imber; gall. arduo-: lat. arduus; irl. graig: lat. grex; irl. róe (*rou̯esia): lat. rura (*rou̯esa); gall. -ratum, irl. ráith: lat. prātum; irl. luhtaire: lat. luctari; irl. caech: lat. caecus; m. irl. bras: lat. grossus; irl. berbaim: lat. ferveo; irl. canim: ital. cano; irl. at-bail: lat. arc. vallessit; irl. faith: lat. vates; irl. cúl: lat. cūlus; irl. -all: lat. ollus; irl. abann: lat. amnis; irl. túath: osco-umbro to(u)to; gall. treb: ital. trííb-, umbro treb "edificare, abitare"; cimr. cūch: lat. crispus; irl. nert(h): osco-umbro nēr "vir"; irl. cuil: lat. culex, ecc., speciale importanza, spesso anche per la particolare formazione, hanno gli esempî: irl. sír "che dura a lungo": lat. sē-rus "che tarda il più a lungo possibile"; irl., cimr. ecc. car(a) "amico": lat. cārus; irl. maith, cimr. mad, bret. mat "buono", gall. Μάτοας "Danubio, propizio": lat. --, -nus "buono"; irl. móith "tenero, soffice": lat. mītis "maturo, mite"; m. irl. maini "dona": lat. mūnia da *moinia "prestazioni graziose o dovute"; irl. cur "giavellotto": sab. curis; irl. imbed "gran numero": lat. omnis da *ombh-nis; irl. accobor "desiderio" (*ad-kuprom): sab. cuprum "bonum"; bret.-cimr. ecc. hoedl "durata della vita" (cfr. gall. Deae Setlo-ceniae): lat. saeculum da *səi-tlom; cimr. holl "tutto, intero": ital. e ant. lat. sollus "totus et solidus"; irl. saile, cimr. haliw: lat. salīva; irl. lócharn, lua- "lanterna": lat. lucerna; termini politico-religiosi: gall. rix, irl. : lat. rēx; Leucetios "Marte": ital. Loucetius, -sius "Marte o Giove", le preposizioni ad, : ir. ; la cong. com; l'avverbio mox: irl. mos "subito". La lista potrebbe ancora crescere.

L'ipotesi di un'unità greco-italica, è ormai abbandonata.

Bibl.: Per le fonti e le questioni storiche si rimanda alle opere generali e particolari della materia. Per i materiali epigrafici e grammaticali basti citare: R. Planta, Oskisch-umbriske Grammatik, voll. 2, Strasburgo 1892-97; R. S. Conway, Italic Dialects, voll. 2, Cambridge 1897; C. D. Buck, A. Grammar of Oscan and Umbrian, Boston 1904. Per nuovi materiali epigrafici e questioni d'italicistica v. Rivista Indo-greco-italica, II (1918), p. 143 segg.; IV, p. 237 segg.; VII, p. 223 segg.; VIII, p. 83 segg.; X, p. 50 segg.; XII, pp. 51 segg., 86 segg.; XIV, p. 59 segg.; XVI, pp. 27-40. Si annunziano i Prae-Italic Dialects di Conway, Johnson e Whatmough. Del Conway v. anche il cap. XIII, in Cambridge Ancient History, IV: Italy in the Etruscan age. Un opportuno orientamento tra le questioni archeologiche e storico-dialettali fornisce il volume di G. Devoto, Gli antichi Italici, Firenze 1932. Circa la questione intorno a un'unità italo-celtica dopo A. Walde, Über älteste sprachl. Beziehungen zwischen Kelten u. Italikern, Innsbruck 1917, v. A. Meillet, Esquisse d'une histoire de la langue latine, 2ª ed., Parigi 1931, cap. III e Addition, p. 285 segg. (affermativamente); C. Marstrander, Norsk Tidskrift f. Sprogvidenskap, III (1929), p. 241 segg. (negativamente), e circa l'unità lazial-ausonica e osco-umbra, G. Devoto, Silloge linguistica... Ascoli, Torino 1929, p. 200 segg. (negativamente). Quanto a vocabolarî speciali, v. la 3ª edizione del Lateinisches etymologisches Wörterbuch del Walde rimaneggiato da J. B. Hofmann, Heidelberg 1930 segg., ch'è anche un rendiconto critico dell'attività scientifica in fatto di etimologia italica.