ITINERARÎ

Enciclopedia Italiana (1933)

ITINERARÎ (dal lat. iter, itineris "strada")

Wilhelm KUBITSCHEK
Carlo CECCHELLI

Antichità classica. - Sono scritti, di carattere eminentemente pratico, che si riferiscono a strade sorte per ragioni commerciali o culturali tra comunità più o meno distanti fra loro. Tali comunicazioni viarie là dove corrispondono ai bisogni del traffico, risalgono già a epoca preistorica, e sono poi state spesso costruite a regola d'arte, e provviste di ponti, argini e tagliate in epoca più tarda, forse già sotto l'Impero Persiano, e certo poi sotto i Romani.

Le stazioni di tappa (σταϑμοί, καταλύσεις, mansiones, mutationes), necessarie a date distanze, risalgono anch'esse ai bisogni dei viaggiatori e si evolvono quindi in stazioni postali e di guardia: col tempo esse vengono adattate sì da essere abitabili, e per loro mezzo si assicura l'approvvigionamento dei viaggiatori. Liste di tali stazioni dovettero verosimilmente sorgere prima ancora delle carte stradali: esse dovettero essere indispensabili per le guardie e i messaggeri sulle vie regie dell'Impero Persiano: con fenomeno analogo ai peripli, che toccavano le stazioni costiere. Tali cataloghi di stazioni, a quell'epoca antica d'insufficienza di mezzi tecnici per il disegno e la riproduzione di carte geografiche, dovettero solo estremamente di rado essere integrati con le figure dei relativi territorî, terrestri e marini. Come 100 o 50 anni fa, e talora ancor oggi, prima d'intraprendere un viaggio si appresta una lista delle soste e delle loro distanze, così in epoca romana si sono composte delle guide viarie ufficiali (o almeno su materiale ufficiale), dapprima forse per provincie, come anche per strade singole. Non è improbabile che il milliario aureo in Roma sotto il tempio di Saturno, là dove finivano tutte le vie principali d'Italia, abbia contenuto appunto i cataloghi delle stazioni di tali vie. Questo milliario fu posto da Augusto, a ricordo della cura viarum da lui assunta nel 20 a. C., e certo anche per gratitudine del riconoscimento generale della sua opera quod viae munitae sunt. Né tale pubblicazione si sarebbe potuta trascurare; Vegezio (III, 6) ci attesta esplicitamente l'esistenza di cataloghi di stazioni: egli esige, a uso del generale che abbia un comando, descrizioni quanto più complete sia possibile delle strade e vie, non solo con l'indicazione delle distanze milliarie, ma con note sulla praticabilità delle strade, e sicure esposizioni di scorciatoie, passi, ecc. Egli sa che generali coscienziosi portavano con sé tali cataloghi viarî di provincie, in cui avevano da operare, non tantum adnotata sed etiam picta, sì da non disporre di sole idee generali su tali territorî, ma da potersi scegliere le strade anche a mezzo di grafici. Abbiamo anche prove del fatto, già per sé naturale, che semplici privati erano talora indotti a procurarsi più o meno estesi cataloghi di stazioni; tale è il caso di un pellegrino in Terrasanta del 333 d. C., e quello attestatoci dalle coppe argentee di Vicarello, rinvenute nel 1852, quali doni votivi di diversi frequentatori, in diversa epoca, di quei bagni sulfurei.

Anche il commerciante e il proprietario di varî fondi dispersi avrà certo avuto bisogno di tali elenchi, senza limitarsi a notizie di amici e vicini. Ma tali appunti dovettero soprattutto essere necessarî a studiosi di geografia; Tolomeo, nel sec. II d. C., li ha utilizzati, e noi, dalle ampie liste di località nella sua Geografia, possiamo vedere quali larghe basi avessero tali lavori preparatorî e quante generazioni dovettero collaborarvi, perché essi potessero essere applicati all'esposizione cartografica.

Gl'itinerarî si connettono con l'organizzazione stradale e postale, che è qui necessario richiamare nelle linee essenziali del suo sviluppo storico nell'antichità. Un chiaro punto iniziale è dato dall'organizzazione stradale persiana; Erodoto descrive la strada tra Sardi e Susa, la βασιλικὴ ὁδός, lunga 450 parasanghe, e con 111 stazioni, scorrente attraverso un territorio abitato e sicuro, custodita con torri di guardia. Egli ci riferisce ammirato della sua utilizzazione per scopi postali: di cavalli e uomini pronti a ogni stazione sì da inoltrare le lettere e le notizie senza il minimo ritardo. Nello stesso secolo, Senofonte nella Ciropedia completa su propria diretta visione queste osservazioni, mostrandoci l'estensione di questa istituzione in corrispondenza della vastità dell'impero. L'esistenza di milliarî, naturalmente numerati, lungo queste strade persiane, è stata indotta dal nome stesso della misura viaria παρασάγγης, neopers. farsang, in cui è chiaramente riscontrabile la parola iranica per "pietra" (sang). Si ragguaglia la parasanga a 5,555 km., ma anche solo a 4,70. In tempi più antichi dovette però essere stata più una misura di tempo che di lunghezza.

Gli stati greci e italici non hanno avuto istituzioni postali in senso moderno. Che l'organizzazione stradale dell'Impero Romano fosse modellata su quella persiana, pareva poco credibile sino a che non fu scoperto anni addietro un frammento di un libro di posta dell'epoca di Tolomeo Filadelfo (255 a. C.). Questo registro, su cui nell'ufficio postale di Hibeh (forse null'altro che il greco ἱππών, che in Senofonte designa la stazione di posta) erano stati quotidianamente registrati i dispacci provenienti dal re e dal ministro delle Finanze, o a uno di essi indirizzati, diede modo al Preisigke di provare acutamente come l'istituzione della posta, sviluppata e mantenuta dai persiani ovunque la necessità politica lo richiedesse, dovette essere stata ereditata in Egitto dai Tolomei: e certo da questi precedenti si sviluppa l'organizzazione postale romana, per quanto ci manchi o sembri mancarci la documentazione di tutte le fasi intermedie. Per epoca più tarda della storia dell'istituzione abbiamo infine le notizie dateci da Procopio negli Inedita che, pur sembrando per molti rispetti semplici dotte reminiscenze della Ciropedia senofontea, rappresentano una notevole testimonianza per l'epoca di Giustiniano, e gli ultimi tentativi di riorganizzazione dei territorî occidentali dell'Impero.

Al di fuori dell'orbita occidentale, se non si può parlare qui di simili istituzioni americane, non ancora sufficientemente documentate, e del resto prive d'influssi per il mondo classico, non si può omettere un cenno sulla Cina, dove gli studî del Hirth (China and the Roman Orient) e del Hermann, utilizzando documenti dell'epoca di due dinastie Han (206 a. C.-24 d. C. e 25-220 d. C.) hanno messo in luce l'esistenza di due grandi strade che, traversando la grande muraglia, apportavano spezie e sete all'Occidente. Le distanze di queste strade erano calcolate in li e le strade stesse erano amministrate in modo analogo a quelle persiane e romane. Estratti di tali itinerarî cinesi giunsero in Occidente, portativi da agenti del commerciante di seta Maes Tiziano, e il geografo Marino di Tiro ne tentò l'utilizzazione scientifica; gli scritti di questo furono a loro volta adoperati da Tolomeo. Si deve all'originario errore di sopravvalutazione del li, che né Marino né Tolomeo seppero correggere, se l'immagine della Cina nelle carte fu allungata, destando poi quell'idea di raggiungere per la via più corta i paesi delle spezie, India e Cina, che nel sec. XV condusse alla scoperta dell'America (del pari errori di valutazione delle distanze, dovuti a fonti itinerarie orientali, dovettero influire sul calcolo assai basso, che dà Cosma Indicopleuste, della larghezza della terra, da lui ragguagliata in 393 μοναί [mansiones], corrispondenti ciascuna a circa 30 miglia romane).

Col dominio romano, e con l'organizzazione delle strade in epoca imperiale fu aperta alla scienza e al traffico la conoscenza dell'Occidente: già sin dall'epoca dei Gracchi, il traffico sulle viae publicae populi romani si svolgeva libero da ogni imposta e pedaggio: e col compiersi definitivo dell'unità politica d'Italia, i Romani poterono dare pieno sviluppo a quella rete viaria che, insieme con gli acquedotti e le cloache, era ammirata da Strabone come opera specificamente romana. Non ci possiamo qui soffermare sulle caratteristiche meravigliose di solidità, efficienza e arditezza tecnica ed artistica delle strade romane: ricordiamo solo che quanto più estesa e fitta è una rete stradale, tanto più stringente è il bisogno di un elenco delle stazioni, cioè d'un itinerario.

Prima di passare in rassegna i varî itinerarî conservatici, occorre tener presenti anzitutto le necessità del traffico che nell'antichità dovettero essere assai vive e stimolanti, sia per motivi economici, sia per motivi sociali, politici, militari (si pensi all'immensa forza d'attrazione che esercitò Roma come sede dell'imperatore e centro dell'Impero); in secondo luogo il senso universale, benefico di sicurezza che la pax romana diffuse nel mondo, e l'impulso derivatone anche nei singoli al viaggio e al traffico. Eloquente indice di questo sviluppo è il fatto che la mansio, o stazione di tappa delle vie romane, assurse a vera e propria misura di lunghezza, come risulta da tutta una serie di testimonianze epigrafiche.

L'Itinerarium Antonini è l'unico itinerario conservatoci sotto forma di libro. Esso ci appare in curiosa e non troppo chiara connessione con altre opere geografiche nelle istruzioni di Cassiodoro ai monaci per lo studio della sacra scrittura, là dove per formarsi una cultura geografica e topografica adeguata, egli raccomanda loro lo studio di un libellus di Iulius Orator, delle opere (perdute) di Marcellino, e infine di Tolomeo stesso. Lo Iulius Orator cui Cassiodoro allude sembra sia da identificare con lo Iulius Honorius autore di una "Descrizione della terra", che in un ms. di Vienna ci compare sotto il titolo di Cosmografia, insieme con l'Itinerarium provinciarum Anto(ni)ni Augusti, cioè al nostro Itinerario Antoniniano; questo e l'opera di Iulius Orator (o Honorius) dovettero dunque ab antiquo essere uniti assieme in un unico volume, e in tale unione dové averle innanzi già Cassiodoro. Dell'importante Itinerario Antoniniano diamo qui come saggio il sommario delle linee di Africa; I, pp. 2-22 (edizione Wesseling, del 1735, la cui paginazione è bene mantenere): da Tingi in Mauretania (Tangeri) a Cartagine lungo la costa 1839 miglia (circa 2720 km.), così suddivise: dalla stazione militare (exploratio) Mercurius a Tingi, 174, Rusadder (Melilla) 313, Cesarea di Mauretania (Cherchel) 493, Saldae (Bougie) 218, Rusicade (Philippeville) 318, Hippo regius (Bona), Cartagine 113 miglia. Queste cifre sono quelle del miglior ms., l'Escurialense del sec. VII, ma non sono confermate dal restante materiale manoscritto, e sono suscettibili di rettifiche e integrazioni col progredire dell'indagine archeologica e topografica sui luoghi. Tra le linee secondarie che si riattaccano a questa principale è da notare una linea interna di circa 749 miglia che collega Cartagine a Cesarea di Mauretania attraverso Cirta (Costantina) e Sitifis (Setif), e il collegamento di Tacape (Gabes) a Leptis Magna (338 m., lungo la costa) con una linea interna che passa per Turris Tamalleni, di 605 miglia. Seguono, su questo modello, le strade di Sardegna, Corsica, Sicilia, Italia, e delle provincie dell'impero, sino alla Britannia.

L'Itinerarium Maritimum, strettamente connesso con l'Antoniniano, contiene solo due fogli con rotte di navigazione: 1. Da Corinto per la Sicilia a Cartagine; 2. dal porto di Roma, il Portus Augusti, ad Arles; inoltre una quantità di nomi di città e di isole messi insieme assai stranamente, senza che si possa precisare quanto ciò dipenda da mutilazioni subite dal testo o da incontrollabili rimaneggiamenti di un lettore poco intelligente, sulla base di una carta generale o parziale.

Sembra inammissibile che un determinato principio ordinatore abbia potuto guidare la redazione dell'Itinerario Antoniniano; il che porta ad escludere che esso possa risalire a organi ufficiali amministrativi e tecnici, e ci obbliga a pensare a una compilazione del tutto privata: un privato, in altre parole, dovette redigere questo itinerario per via di excerpta non già dalle carte ufficiali e certo a tutti accessibili, ma da altre fonti, forse da una fonte unica, da una carta stradale, per es., del genere della cosiddetta Tabula Peutingeriana (v. appresso). Questa meschina compilazione dovette sopravvivere a tutte le altre raccolte del genere, ed essere sempre più frequentemente copiata nella triste epoca della decadenza e stasi scientifica, alla morte della cultura antica.

L'Anto(ni)nus Augustus, il cui nome ricorre nel titolo dell'itinerario, ci dà un indizio sull'epoca di composizione di quella carta che consideriamo quasi sua fonte. L'Anto(ni)nus, pur senza darci nessuna sicurezza, si può riferire soprattutto a Caracalla; il che è corroborato dal fatto che non si riscontra nell'Itin. Antonin. alcun cenno di costruzioni o modifiche di strade posteriori a quell'epoca; tale, per es., l'imponente strada di Diocleziano (293-305) nella regione di Palmira e Damasco, di cui nell'itinerario manca ogni menzione.

Altri itinerarî, oltre a quello Antoniniano, vanno giudicati con maggior cautela: così per le quattro coppe argentee di Vicarello (in cui s'identifica l'antica stazione termale delle Acque Apollinari), le quali hanno tutte la soprascritta itinerarium a Gades Romam, recano inciso l'itinerario in più colonne, e sotto sum(ma) m(ilia) p(assum) 1840; provengono forse tutte dalla stessa fabbrica, ma i testi non sono identici, e, pur dando probabilmente la stessa strada, offrono varianti che non provengono da un'unica fonte. Coloro che consacrarono queste coppe devono essere venuti a scopo curativo da Gades, non tutti nella stessa epoca; essi non avrebbero certo potuto trovare se non a frammenti la loro via nell'Itinerario Antoniniano; donde l'apprestamento di uno speciale itinerario Gades-Roma, che del resto fu oggetto di ancora un'altra trattazione del sec. IV o V d. C., e fu perfino ritrattato in Cosma all'epoca di Giustiniano.

Come potessero sorgere raccolte di itinerarî, ci è mostrato da quattro tavolette di argilla di una collezione spagnola, in cui sono segnate nella solita forma cinque strade della Spagna nord-occidentale, però provviste di un rigo finale, col nome di un C. Lep(idius) M(aximus?) (duo)vir. Dal punto di vista formale, notiamo stabilizzato in epoca imperiale un dato tipo: le due stazioni terminali, in una riga come titolo, le stazioni intermedie l'una dopo l'altra, i numeri delle distanze (con o senza indicazione della misura) portati tutti a destra. Nessun itinerario monumentale sinora noto mostra qualche affinità con l'Itinerario Antoniniano.

Itinerarî commemorativi, utilizzabili all'occorrenza anche praticamente per ripetere lo stesso viaggio, sono: a) l'Itinerario Burdigalense o Gerosolimitano (per cui v. sotto: Itinerarî cristiani); b) un frammento dalla vigna Codini in Roma, senza titolo, con le stazioni toccate dall'imperatore Adriano in un suo viaggio nel 117; c) una tavola di Forum Popilii (Polla) sulla strada da Capua a Reggio, come parte del rapporto sull'attività del fondatore di questa strada, Popilio Lenate, del 132 a. C.

Infine itinerarî furono adoperati anche per i viaggi ufficiali degl'imperatori, o per spedizioni militari; ad esempio l'Itinerarium Alexandri, dedicato a Costanzo II per la guerra progettata o già iniziata contro i Persiani. Ivi s'intendevano descrivere le fortunate spedizioni già fatte contro il medesimo nemico da Alessandro Magno (e questa parte sola si è conservata) e da Traiano: siamo quindi ben lontani dall'uso originario di un itinerario, quale Vegezio lo concepiva da parte di un coscienzioso generale.

Itineraria picta. - Sorti per esigenze militari, gl'itineraria picta o grafici servono assai meglio di quelli scritti per una piena rappresentazione non solo delle distanze, ma anche della qualità delle strade, dei passi e diramazioni, monti e fiumi. Ciò che attualmente possediamo in questo campo è: 1. la cosiddetta Tabula Peutingeriana; 2. il frammento dell'intelaiatura di uno scudo, trovato nel 1923 con altri oggetti nella sabbia della fortezza di Dura Europo sull'Eufrate.

La Tavola Peutingeriana è un rotolo di pergamena del sec. XII o XIII, rappresentante le vie dell'orbis terrarum, mutilo nella parte occidentale. Acquistato dall'umanista C. Celtes (morto nel 1508) per il senatore C. Peutinger (donde il nome), appartenne fra gli altri al principe Eugenio di Savoia, e si trova ora nella biblioteca di Vienna, ove è stata ridivisa, secondo l'originario ordinamento, in 11 fogli (di cui il primo in questo nostro esemplare è mancante). La compilazione della carta pare risalga al sec. III d. C., probabilmente in epoca anteriore alla costruzione della strada di Diocleziano e delle fortificazioni sull'Eufrate. Notevole l'assenza di ogni proporzione; il mare è sacrificato rispetto alla terraferma, tutti i meridiani sono scorciati dell'80%. L'essenziale della Tavola è la raffigurazione delle strade e delle distanze, in miglia (1,4785 km.) o in leghe (1½ miglio = 2,22 km.), o, per l'Oriente, in parasanghe. Le strade sono segnate in rosso; degli uncini indicano le stazioni; qualche volta anche elementi monumentali delle città sono ritratti con simboli grafici. L'importanza della Tavola è di prim'ordine per la nostra conoscenza della geografia e topografia antica. Del tipo della Peutingeriana, che anzi integra, è una cosmografia, compilata da un anonimo Ravennate verso il 700 d. C., utilizzando la stessa fonte della Peutingeriana ma su un esemplare completo anche nelle parti occidentali. Ciò che però ci si è conservato di quest'opera è la parte espositiva, non la carta stessa, che è stata dai moderni congetturalmente ricostruita.

Il rapporto fra loro dei principali itinerarî scritti e dipinti di cui sinora abbiamo parlato, può raffigurarsi così:

Il secondo documento pervenutoci di itinerarium pictum, il frammento di targa cioè di Dura Europo, appartenuta forse a un soldato o ufficiale della legio XX Palmyrena, contiene stazioni delle coste del Mar Nero, contratti di noleggio. I nomi, mutili e guasti, si leggono sul margine. È incerto se si tratti di un portolano o di un diario relativo a una campagna svoltasi su quel mare.

Edizioni degl'itinerarî hanno pubblicato P. Wesseling (Amsterdam 1735), M. Parthey e G. Pinder (Berlino 1848 con una carta degl'itinerarî) e specialmente O. Cuntz, Itineraria Romana (Berlino 1929, I, egualmente con carta degl'itinerarî romani); tutti quanti hanno conservato la paginazione di Wesseling. Edizioni e commentarî della tavola Peutingeriana dopo Scheyb (1753, sola introduzione, indice e le tavole 2-12. incise da Kleiner) e la loro riedizione per Mannert (1824); Katanchich (1824); Fortia d'Urbain (1845); Desjardins (1869-1874), rimasto incompleto, tavole in colori originali; K. Miller, Weltkarte des Castorius, Ravensburg 1888, negli stessi colori dell'originale con note a fine di pagina, specie sulle posizioni corrispondenti moderne; in edizione minore, maneggevole, completata con fogli sinottici in nero, 1916, e rielaborata in Itineraria Romana (v. Bibl.). Riproduzioni fotografiche di Angerer e Göschl, Vienna 1888. Una ricostruzione della perduta prima tavola, in K. Miller, Die ältesten Weltkarten, VI, Stoccarda 1898, tav. 5. Edizione della cosmografia del Ravennate, di M. Pinder e G. Parthey (Berlino 1860) con ricostruzione della carta perduta per cura di R. Kiepert; una ricostruzione migliore, in K. Miller, Die ältesten Weltkarten, VI, tav. 1.

Per il frammento di targa di Dura Europo: F. Cumont, in Syria, VI (1925), 1 segg. con una riproduzione a colori dell'originale.

Bibl.: H. Stephan, Das Verkehrsleben im Altertum, in Raumer, Histor. Taschenbuch, s. 4ª, IX, 1868. Su di lui si basano L. Friedländer (e G. Wissowa), Darstellungen aus der Sittengeschichte Roms, Lipsia 1919, 1 segg., e H. Nissen, Italische Landeskunde, Berlino 1883-1902. Importante la vecchia opera di N. Bergier, Histoire des grands chemins de l'Empire Romain, Bruxelles 1736, come pure M. P. Charlesworth, Trade-routes and commerce of the Roman empire, Cambridge 1926. Per l'epoca tolemaica: U. Wilcken, Grundzüge der Papyruskunde, I, Lipsia 1912, pp. 356 segg., 372 segg.; G. Humbert, Cursus publicus, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, I, Parigi 1887, pp. 1654-1672; E. Hudemann, Geschichte des römischen Postwesens während der Kaiserzeit, Berlino 1878. Per l'Oriente: F. Hirth, China and the Roman Orient researched into their ancient and mediaeval relations as represented in old Chinese records, Lipsia 1885; A. Hermann, Die alten Seidenstrassen zwischen China und Syrien, in Sieglin, Quellen und Forschungen zur alten Geschichte und Geographie, XXI (1911); id., Seidenstrassen von China nach dem röm. Reich, in Mitteilungen der Wiener Geogr. Gesellschaft, LVIII, 1915; id., Loulan, Lipsia 1931, e la importante recensione del Krause, in Göttinger Gel. Anzeigen, 1932, 359-363; id., e Sven Hedin, Southern Tibet, VIII, Stoccolma 1922.

Sommario e quadro sinottico degl'Itinerarî, W. Kubitscheck, in Pauly-Wissowa, Real-Encykl., IX, coll. 2308-2366; X (1919), 2022-2149, s. v. Karten; XIV (1928); 1231-1251, s. v. Mansio, con letteratura precedente; K. Miller, Itineraria Romana, römische Reisewege an der Hand der Tab. Peut. dargestellt, Stoccarda 1916; ampio lavoro, riccamente illustrato, su cui v. Kubitschek in Göttinger Gelehrte Anzeigen, 1917, pp. 1-117 e in Zeitschrift für österreichische Gymnasien, 1918, p. 740 segg. - Sulla Tavola Peutingeriana, D. v. Grün, Die Peutingersche Tafel, in Mitteil. d. Geograph.-Gesellschaft, XLVII (1874); H. Gross, Zur Entstehungsgesch. d. Tabula Peutingeriana, Berlino 1913; W. Kubitaschek, Itinerarstudien, in Denkschriften d. Wiener Akad. der Wissensch., LXI, 3, 1917.

Per il frammento di Dura Europo, W. Kubitaschek, in Deut. Literatur-Zeit., LXVII (1926), 215 segg.; R. Uhden, in Hermes, LXVII (1932), 117 segg.

Itinerarî cristiani.

I primi tre secoli della Chiesa non ci hanno lasciato alcun itinerario; eppure può credersi che se ne compilassero, vista la facilità con cui s'affrontavano lunghi viaggi, passando da una comunità all'altra per verificare il mantenimento della traditio apostolica e più tardi per venerare i "trofei dei martiri. Si rammentino l'Egesippo (v.) di cui parla la Storia Ecclesiastica di Eusebio e l'Abercio (v.) che narra i suoi viaggi nella nota epigrafe del Museo Lateranense. Sorprende che non siano rimasti itinerarî dei luoghi santi di Palestina, quando si sa che vi peregrinarono nel sec. II S. Giustino e Melitone di Sardi, nel III Clemente d'Alessandria, Giulio Africano e molti altri. Come pure non sono pervenute da questo periodo le guide a uso dei pellegrini, a meno che non si voglia ammettere un prototipo del preciso schema topografico su cui si basano l'Itinerarium Antonini e l'Itinerarium Burdigalense o Hierosolymitanum, i quali contemplano un passaggio da Milano (o da Bordeaux) fino a Gerusalemme, seguendo la medesima strada e indicando le stesse tappe.

L'Itinerario Gerosolimitano, scritto da un pellegrino d'Aquitania nel 333, fa l'impressione d'essere composto di un giornale di viaggio inquadrato nella successione topografica di un itinerario. Ed è quest'ultima che può utilmente raffrontarsi con l'Itinerarium Antonini. La serie di notazioni schematiche dell'una e dell'altra lista rientra perfettamente nel tipo degl'itinerarî classici del tempo più antico (v. sopra). Invece le brevi illustrazioni dei luoghi santi costituiscono il primo saggio di un vero itinerario cristiano. Il carattere personale delle note si rivela anche da qualche grossolano errore, come quando il pellegrino scambia l'Ascensione con la Trasfigurazione parlando del "monticello su cui salì il Signore per pregare con Pietro e Giovanni e dove ricevette la visita di Mosè ed Elia".

Sul finire del sec. IV una pellegrina occidentale di alto lignaggio e che forse rivestiva un carattere sacro, migrò nella penisola arabica, ai piedi del monte Sinai, nella terra di Gessen, al monte Nebo, poi al di là del Giordano. Il testo qui s'interrompe per una lacuna. Dopodiché vediamo che la pellegrina si trova in Gerusalemme, indi va nella Samaria poi di nuovo al di là del Giordano in ricordo del beato Giobbe, poi ad Antiochia, e di qui a Edessa per visitarvi le tombe dell'apostolo Tommaso e di re Abgaro, a Ḥarrān per cercarvi le tracce del patriarca Abramo; da ultimo, ritornata indietro, perché di là cominciava il Regno Persiano (modo ibi accessus Romanorum non est), punta su Costantinopoli, dove redige, in un vivo latino infiorato di modi "volgari", la particolareggiata notizia del suo viaggio e vi aggiunge preziose indicazioni sulla liturgia di Gerusalemme. Il primo editore di questo testo fondamentale, il Gamurrini, credette che la pellegrina fosse la sorella di Rufino d'Aquitania, venerata nella chiesa col nome di S. Silvia; e intitolò, in conseguenza, il testo: Peregrinatio Silviae. Ma una scoperta di don Ferotin permise una migliore identificazione. Egli portò l'attenzione su una lettera che un solitario della Galizia, certo Valerio, indirizzò nel sec. VII ai monaci di Vierzo (ad fratres Bergidenses) esaltando i meriti della beatissima sanctimonialis Egeria, la quale, superando ogni ostacolo, irrevocabili audacia aveva visitato i luoghi santi lasciandone una suggestiva descrizione (per singula describens cunctarum venustissimam laudem). Le notizie che la lettera contiene intorno a quest'opera sono bastevoli a dedurre con tutta sicurezza che il solitario di Vierzo parlava proprio del nostro itinerario. Esso deve dunque intitolarsi da Egeria o Eteria (la forma Aetheria compare molte volte negli scritti del secolo VI e VII in Francia e Spagna), o fors'anche Eucheria secondo una buona proposta di don Wilmart.

Nel sec. V continuano le note su viaggi in Terrasanta. Vi è il De situ Hierosolimitanae urbis vel ipsius Judeae, redatto in forma di lettera che sarebbe stata inviata ad Faustum presbyterum dal vescovo Eucherio di Lione. Ma è dubbio che si debba porre fra le opere di questo vescovo. Lo scritto non ha propriamente il carattere di un itinerario. Lo stesso si dica d'altre descrizioni rimasteci frammentarie o abbreviate, fra cui il Breviarius de Hierosolyma e un testo armeno. Invece contiene indicazioni itinerarie il De situ Terrae Sanctae, redatto verso il 530 da un pellegrino che, in un manoscritto, è chiamato Teodosio.

Intorno al 580 fu redatto l'itinerario che va falsamente sotto il nome di Antonino martire. Esso fu compilato da un anonimo che partì da Piacenza assumendo a suo protettore il patrono della città (Praecedente beato Antonino martyre, ex eo quod a civitate Placentina egressus sum; a proposito di S. Antonino, v. Lanzoni, Diocesi d'Italia, 2ª ed., II, Faenza 1927, p. 814). Verso il 670 il clerico franco Arculfo dettò all'abate di Iona Adamnano una descrizione De locis sanctis; è un descrittore minuzioso, e ci offre importanti ragguagli. Agl'inizî del sec. VIII, Beda (v.) compilò un trattatello, De locis sanctis, che si vale delle precedenti illustrazioni, ma abbandonando ogni forma d'itinerario. Al di là del Mille il viaggio verso Gerusalemme è narrato da un ebreo: Beniamino da Tudela, che partì poco dopo la metà del sec. XII dal suo luogo d'origine nella Navarra, passò in Francia, Italia, Grecia, Costantinopoli, Siria, Gerusalemme, Damasco, Mesopotamia, ed oltre (cfr. P. Borchardt, Benjamin aus Tudela, in Encycl. Iudaica). Poi vi saranno le relazioni dei viaggi in Terrasanta fatti da Italiani, Francesi, Tedeschi. E questo tipo di letteratura diventerà sempre più frequente.

Il pellegrinaggio a Roma ad limina apostolorum, e per venerare le sacre spoglie dei martiri, non ha dato occasione nel tempo più antico, per quanto si sappia, a speciali itinerarî. Del resto, la strada verso Terrasanta dei pellegrini occidentali passava per Roma, e quindi l'Itinerarium Antonini e il Burdigalense sono anche testimonianze del viaggio a Roma. Non hanno invece carattere d'itinerario il Curiosum e il De Regionibus del sec. IV, che paiono piuttosto elenchi monumentali (cioè degli edifici di Roma distinti nelle XIV regioni augustee) messi insieme per uso amministrativo, come farebbe sospettare un testo del De Regionibus unito alla Notitia dignitatum utriusque imperii. Testimonianza di un viaggio a Roma ai tempi di Gregorio Magno è la Notula de olea sanctorum qui Romae in corpore requiescunt, redatta da un incaricato della regina Teodolinda, il prete Giovanni, in base alle scritte sui cartellini (pittacia) legati al collo di fiale vitree (ora nel tesoro della basilica di Monza), in cui stava l'olio preso dalle lampade che ardevano davanti alle tombe dei martiri. Seguono autentici itinerarî, ristretti però soprattutto al pellegrinaggio interno romano dall'uno all'altro santuario cemeteriale o basilica intramuranea.

In alcuni codici dell'età carolingica conservati a Salisburgo (uno oggi è a Vienna) e a Würzburg, troviamo un diffuso itinerario per le catacombe, una epitome aggiornata del medesimo (in testo puro e in altro interpolato), una nota di basiliche intramuranee (libro De locis sanctis martyrum qui sunt foris civitatis Romae; Epitome del medesimo; nota: Istae ecclesiae intus Romae habentur). Tutti questi documenti furono dal De Rossi attribuiti al sec. VII. Anche del sec. VII sarebbe, a suo giudizio, l'itinerario inserito nel sec. XII nei Gesta regum Anglorum di Guglielmo di Malmesbury (Notitia portarum, viarum, ecclesiarum circa urbem Romam); ma è forse una rimanipolazione originale dello storico su elementi anteriori. Il Sickel ha dimostrato che l'itinerario Salisburgense (ora Viennese 795) fu scritto nel 799 da un ignoto che accompagnava nel viaggio a Roma il vescovo Arnone di Salisburgo; ciò, se sposta l'età cui l'attribuiva il De Rossi, avvalora la sua importanza come opera di un testimone di veduta. Questi itinerarî contengono talvolta così minuti ragguagli che è difficile siano stati raccolti di seconda mano, in luogo diverso da Roma.

Un itinerario, forse della seconda metà del sec. VIII, è in un codice di Einsiedeln, ed è di molta importanza per la topografia di Roma classica e cristiana. Edito prima dal Mabillon, fu poi ripubblicato con dottissimi commentarî dal Lanciani e dal Hülsen. Sembra copia delle leggende di una pianta di Roma del sec. VIII su cui erano tracciati gl'itinerarî dei pellegrini da un sito all'altro di Roma, segnalando i monumenti sacri e profani che si vedevano in dextera e in sinistra senza una costante determinazione del poco o molto spazio che li separava dal margine della strada. Undici sono i percorsi, e quasi sempre si dipartono da una delle porte del recinto aurelianeo; eccezionalmente s'indicano monumenti al di là delle mura. Dalla serie degli appellativi è facile accorgersi che la Roma del sec. VIII conservava ancora il nome delle antiche strade e degli antichi edifici. Poiché nel codice di Einsiedeln si trova pure una silloge d'iscrizioni classiche profane e cristiane (pubblicata dal De Rossi nelle Inscriptiones christianae U. R., II, p. 1 e dagli editori del Corpus inscriptionum Latinarum, VI, 1°) può credersi che l'autore dell'itinerario non sia diverso da quello della silloge e ritenere perciò che, pur traendo le sue precisazioni topografiche da una carta, non per questo non avesse visitato le località che indicava. Peraltro il testo del codice di Einsiedeln presenta delle lacune e oscurità e non sembra quindi originario. Il Hülsen ha concluso che deve trattarsi di un'epitome, in molti luoghi troncata e confusa, di un itinerario molto più ricco di notizie, il quale era annesso a una pianta della città.

Oltrepassato il Mille, non si avranno più itinerarî, ma illustrazioni di monumenti, infarcite di notizie fantasiose, che non possono neanche apparire come vere guide. Sono i Mirabilia. Lo schema itinerario si vede meglio in taluni Ordines della Chiesa romana (come quello, di Benedetto canonico, del sec. XII) ove è descritta la via della processione papale in determinate occasioni.

Il testo degl'itinerarî gerosolimitani citati è in P. Geyer, Itinera hierosolymitana saeculi IV-VIII (vol. 28 del Corpus scriptorum ecclesiast. latin. di Vienna), Vienna 1898.

Vi sono anche degl'itinerarî figurati di carattere cristiano. Un mosaico palestinese, a Mādabā, reca l'imagine di Gerusalemme e di altri luoghi santi che sono nominati da scritte in greco. L'opera è del secolo V-VI. Ma non può veramente arguirsi che abbia avuto lo scopo di dare indicazioni itinerarie. Probabilmente servì a illustrare una visione biblica, p. es. quella di Mosè sul monte da cui gli apparve la terra promessa. Nella carta panoramica è data prevalente importanza alla figurazione di Gerusalemme. Le altre rappresentazioni sono più sommarie e inesatte. Le didascalie dipendono dall'Onomasticon di Eusebio.

Bibl.: A. Baumstark, Abendländische Palästinapilger des ersten Jahrtausends und ihre Berichte, Colonia 1906. V. poi la voce Itinéraires di H. Leclercq nel Dictionnaire d'archéologie chrétienne et de liturgie del Cabrol; nello stesso Diction. v. la voce: Etheria scritta da M. Ferotin ed H. Leclercq, e poi: Mc Clure e Feltoe, The pilgrimage of Etheria, New York 1919. Per la questione della data di questo itinerario v. A. Bludau, Die Pilgerreise der Aetheria, in Studien zur Geschichte und Kultur des Altertums, XV, fasc. 1-2, Paderborn 1927, e E. Weigand, in Byzantinische Zeitschrift, XXVIII (1928), pp. 401-404. Per le citazioni testamentarie v. J. Ziegler, Die Peregrinatio Aetheriae und die Hl. Schrift, in Biblica, XII (1931), fasc. 2°. Per la notula degli olea, v.: O. Marucchi, in Nuovo bullettino di archeologia cristiana, 1903, p. 344 segg. Per gl'itinerarî salisburgensi e simili v. G. B. De Rossi, Roma sotterranea, I, p. 143 segg.; per le osservazioni di T. v. Sickel v. gli Alcuinstudien in Sitzungsberichte der Wiener Akademie der Wissenschaften, LXXIX, 1875, p. 461 segg. - Per una tesi circa l'origine di questi itinerarî cemeteriali v.: G. Schneider-Graziosi, in Nuovo bullettino di archeologia cristiana, XV (1909), p. 79 segg. - Sull'itinerario di Einsideln, v.: R. Lanciani, L'itinerario di Einsideln e l'ordine di Benedetto canonico (nei Monumenti antichi, pubblicati per cura della R. Accademia dei Lincei, I, 1891, coll. 437-552); e Chr. Hülsen, La pianta di Roma dell'Anonimo Einsiedlense, in Atti della Pontificia accad. romana di archeologia, s. 2ª, IX, Roma 1907. Altra edizione dell'Einsiedlense e di altri documenti topografici romani in C. L. Urlichs, Codex Urbis Romae topographicus, Würzburg 1871 (qualche testo anche in Jordan, Topogr. d. Stadt Rom, I).

Sulla carta di Mādabā, il lavoro più completo è quello di A. Jacoby: Das geographische Mosaik von Mâdabâ, ecc., in Studien über christliche Denkmäler, del Ficker, n. s., III, Lipsia 1905; v. pure l'articolo Madaba di H. Leclercq nel citato Dictionn. d'archéol. chrétienne.