IVREA

Enciclopedia Italiana (1933)

IVREA (lat. Eporedia; A. T., 24-25-26)

Piero LANDINI
Gino BORGHEZIO
Giovanni CORSO
Silvio PIVANO
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Importante centro del Piemonte (prov. d'Aosta), situato su entrambe le sponde della Dora Baltea, sull'estrema propaggine di SO. della formazione dioritica, che dalla città prende nome, incisa dalle acque del fiume. L'andamento collinare del suolo si rispecchia bene nell'adattamento topografico dell'abitato; la stazione è a m. 237; la Cattedrale a m. 267. La Serra, la più grande morena alpina, con la sua cresta diritta, affilata, regolarissima, lunga ben 25 km., la cerchia delle Alpi, le morene frontali dell'anfiteatro omonimo, chiudono l'orizzonte della città, che si è maggiormente sviluppata sulla sponda sinistra della Dora, sorpassata da tre ponti. Poco a valle di quello ferroviario, attraverso il letto del fiume, è stata costruita una chiusa, lunga 400 metri, per alimentare il Naviglio d'Ivrea (costruito nel 1468 per ordine della principessa Iolanda di Savoia, esso termina nella Sesia presso Vercelli; è lungo 72 km., e ha una portata di 25 mc. al secondo). Data la sua posizione, allo sbocco dell'importante Valle di Aosta, Ivrea è notevole nodo di comunicazioni: è situata sulla ferrovia Chivasso-Aosta (la ferrovia giunse a Ivrea nel 1858), che passa sopra la Dora mediante un ponte di ferro, costruito nel 1885, e imbocca subito dopo una galleria lunga m. 1129, scavata nella massa dioritica, sulla quale è sorta gran parte della città. Da Ivrea parte pure la tramvia a vapore per Santhià (km. 30), e s'irraggiano numerose strade di grande comunicazione per Aosta (km. 69,4), per Chivasso (km. 32,1), per Torino (km. 56,3), per Biella (km. 29), per Vercelli (km. 49). Linee regolari automobilistiche collegano Ivrea con i centri vicini; una filovia porta a Castellamonte e a Cuorgnè.

Ivrea è anche un grande centro industriale: il suo comune nel 1927 aveva 422 esercizî con 6700 addetti; prevalgono le industrie tessili (cotonifici e stabilimenti della Soie de Châtillon) e le industrie meccaniche (fabbriche Olivetti di macchine da scrivere). Di notevole interesse folkloristico sono le feste di Carnevale. La città ha dintorni molto suggestivi soprattutto nella zona dioritica, ricca di laghi, boscosa, con bei vigneti, costellata di case e di ville.

Il comune ha una superficie di 30,08 kmq. (colture prevalenti: cereali, ortaggi, viti, alberi da frutta) e una popolazione presente salita da 10.413 ab. nel 1881, a 11.770 nel 1921 (di cui solo 5614 nel centro capoluogo) e a 15.402 nel 1931.

Monumenti. - Il duomo, costruito (secondo la tradizione sulle fondamenta del tempio di Apollo) probabilmente dal vescovo Warmondo (969-1002) - a questo periodo appartengono la cripta, la cupola, e due campanili absidali, resti del chiostro - fu rimaneggiato nella seconda meta del secolo XVIII. La facciata (1854) è in stile neoclassico. Vi si conservano, tra altro, pitture di Defendente Ferrari (Adorazione del Bambino e Natività con S. Chiara e monache) e un cofanetto d'avorio bizantino, del secolo IX o X, con bronzi musulmani. Tra le altre costruzioni religiose e civili sono degne di menzione la chiesa di S. Nicola da Tolentino (1605), che ha un bel coro ligneo intagliato e una tavola (Madonna con Santi) di Defendente Ferrari; il campanile (1041) della distrutta chiesa di S. Stefano, la chiesa di S. Bernardino con un vasto ciclo di affreschi di Martino Spanzotti, la Casa della Credenza (secolo XIV). Nel seminario, edificato su disegno di F. Juvara, sono avanzi di mosaico dell'antico pavimento del duomo (secoli X-XI). Il castello, detto delle quattro torri, costruito dal Conte Verde (1358), ha pianta quadrata e torri cilindriche agli angoli. Nel palazzo vescovile, raccolta lapidaria; in quello comunale, collezione di oggetti dell'Estremo Oriente, di armi, ecc.

Imponenti resti della strada militare per la vallata della Dora, i ruderi del teatro (sec. II a. C.) e dell'acquedotto, nonché le basi del ponte sulla Dora e parecchie iscrizioni, testimoniano il dominio romano.

Biblioteche e archivî. - La Biblioteca Capitolare d'Ivrea è, con quella di Novara e di Vercelli, fra le più notevoli collezioni di codici appartenute a capitoli del Piemonte. Il capitolare di Lotario dell'825, costituendo la scuola pubblica e di stato in Italia, la sottraeva ovunque ai vescovi, eccetto che in Ivrea. Non sappiamo se i frammenti di un ricettario di medicina del sec. VII abbiano appartenuto originariamente alla chiesa d'Ivrea o vi siano pervenuti da un altro fondo librario. Ma dev'essere stato scritto in Ivrea verso la fine del sec. VII per il vescovo Desiderio (che nel 690 sottoscrisse alla lettera sinodica del pontefice Agatone) il bel codice in scrittura merovingia portante l'annotazione augurale: Desiderius papa vivat in Deo. Nel sec. IX un Agifredo componeva versi in lode del vescovo Azzone, chiaro documento della cultura locale. Il periodo aureo della Biblioteca Capitolare fu quello del vescovo Warmondo, il battagliero antagonista di Arduino. A lui dobbiamo una preziosa raccolta di codici liturgici miniati, preziosissimo fra i quali un messale con più di 80 miniature. I codici warmondiani (tra i quali un orazionario, una Praeparatio ad missam, un benedizionario contenente la scomunica contro Arduino e i suoi fautori, un salterio) attestano chiaramente l'esistenza di uno scrittorio locale. L'importanza politica che la sede vescovile d'Ivrea ssunse durante i secoli XI-XIII favorì le sorti dello studio eporediese, e di conseguenza l'accrescimento della biblioteca. Ogerio, vescovo dal 1075 al 1094, fu poeta.

Fin dall'origine biblioteca e archivio erano indivisi; ad essi, dopo l'invenzione della stampa, si unì una bella raccolta d'incunabuli. La collezione manoscritta è giunta fino a noi dal sec. XV quasi integrale. L'Archivio Capitolare, riordinato da Agostino Torelli (1783-1785), ha due copiose serie di documenti: i protocolli dei notai (1258-1729) e i registri dell'amministrazione dei mazzieri, oltre a varie centinaia di pergamene sparse. Anche l'Archivio vescovile è ricco di protocolli dei notai della curia (dal 1239) e di "consegnamenti".

Storia. - L'antica Eporedia fu colonia romana della Gallia Transpadana nella XI regione augustea, fondata nel territorio dei Salassi, sulla via che da Vercelli per la valle della Dora Baltea metteva in comunicazione coi paesi transalpini. Il nome, derivato dal dialetto gallico, fu interpretato "stazione di carri equestri" o "mansione di conduttori di carri equestri"; potrebbe forse derivare dal nome personale di un eroe o di altro personaggio del luogo. Dopo lunghe lotte sostenute dai Romani contro i Salassi, i quali, con la deviazione delle acque della Dora per lo sfruttamento delle miniere, danneggiavano nell'irrigazione dei campi i Libici di Vercelli, fu decisa la deduzione della colonia (100 a. C.); ma al suo sviluppo furono sempre pericolose e nocive le incursioni dei Salassi, finché essi furono sterminati da A. Terenzio Varrone Murena e venne fondata Augusta Praetoria (24 a. C.).

Eporedia è ricordata per gli ultimi tempi della repubblica nelle lettere di Cicerone, e nell'età imperiale durante la lotta fra Ottone e Vitellio; ancora nel sec. V aveva una guarnigione di Sarmati. Il Cristianesimo vi fu introdotto abbastanza tardi; la più antica testimonianza è del 356 e il primo vescovo di Eporedia noto è Eulogio che partecipò al concilio di Milano del 451. Eporedia, l'ultima colonia civium Romanorum, fu iscritta nella tribù Pollia. Tra i suoi magistrati troviamo i duoviri, gli edili, i questori; fra i sacerdozî il flamine di Augusto, di Vespasiano, di Traiano, i seviri, i seviri augustali. È ricordato anche il patrono.

Sotto i Longobardi la città fu sede di un ducato, sotto i Franchi di una contea; dall'888 fu il centro della marca d'Ivrea o d'Italia (v. italia, marca di), data da Guido di Spoleto ad Anscario (v. anscarici). Il figlio suo maggiore Amedeo fu conte di Milano e del sacro palazzo (896-900); da lui discendono i conti di Pombia da un lato, donde poi Arduino e la seconda casa d'Ivrea, i conti di Biandrate, Piacenza, Canavese dall'altro. Adalberto I, secondogenito di Anscario, ebbe la marca d'Ivrea, toccata poi successivamente ad Anscario II, a Berengario II, a Guido, a Corrado Conone, ad Arduino.

I contrasti vivissimi sorti tra Arduino (v. arduino, re d'Italia) marchese e il vescovo Warmondo rappresentano il punto culminante nella storia medievale d'Ivrea.

Il potere vescovile si era via via rinsaldato, mentre al marchese non restava che l'autorità militare con il potere giudiziario e le esazioni fatte in suo nome, ma da ufficiali nominati dal vescovo. Le rivendicazioni tentate dal marchese Arduino trovarono fiera opposizione da parte dei vescovi d'Ivrea e di Vercelli, soprattutto dopo l'avvento al vescovato di Vercelli (23 febbraio 998) di Leone. Arduino è scomunicato nel sinodo romano; al vescovo Leone sono concessi i comitati di Vercelli e Ivrea. Ma appena l'imperatore ha oltrepassato le Alpi, Arduino è proclamato re d'Italia (anno 1000). Ottone III ritorna allora rapidamente; seda la rivolta e, il 19 luglio del 1000, concede l'immunità al vescovo Warmondo.

La "marca in Italia" detta d'Ivrea viene data con l'altra "marca in Italia" detta di Torino al marchese Olderico Manfredi. Arduino ripara sui monti, conservando il comitato d'Ivrea ai figli, e attende la riscossa che non tarda, con la seconda incoronazione a Pavia (15 febbraio 1002). In Germania per contro viene proclamato Enrico II di Baviera il Santo, e una lotta alterna di vicende per dodici anni (1002-1004) si svolge tra Enrico e Arduino, finché stanco di lotte questi si ritira nella pace di Fruttuaria e ivi muore nel 1015.

Tra l'uno e l'altro si era destreggiato abilmente Olderico Manfredi conservando l'avita marca torinese e impossessandosì d'Ivrea, nella quale entra vittorioso, costringendo i cittadini a giurare fedeltà a lui come marchese, e ai figli di Arduino (Ottone, Arduino II, Guiberto) come a conti (1016).

La potenza della casa marchionale arduinica si consolidava ancora più con Adelaide di Torino. Nel comitato d'Ivrea ad Arduino II erano successi i figli Arduino III (già morto nel 1089) e Amedeo (già morto nel 1094), e forse altri. Ma intanto la potenza vescovile si era rafforzata a danno dei marchesi e dei conti e veniva a sua volta a trovarsi in conflitto con le nuove forze del comune.

Durante la signoria vescovile su Ivrea, rappresentavano i conti e reggevano la città i visconti d'Ivrea, usurpando le funzioni comitali e sovrane. Dai visconti d'Ivrea provengono le famiglie dei signori di Barone, Corio e Camagna, di Settimo Vittone, di Castrussone, d'Arondello, di Valperga, di Vische, e le quattro famiglie costituenti poi il comune: del Mercato, della Torre, Soleri e Taglianti. Il primo affermarsi del comune è caratterizzato dalle lotte sostenute nei secoli XII e XIII contro Vercelli, per il dominio del territorio intermedio, e dalle contese con il potere vescovile, la cui supremazia in politica, sebbene d'intoppo allo sviluppo del comune, veniva tuttavia riconosciuta quale aiuto contro le ristorazioni comitali. Nel 1213 i conti del Canavese (v.), giurano la cittadinanza d'Ivrea; e simili giuramenti di altri feudatarî minori sviluppano e consolidano il "comune d'Ivrea e del Canavese", fo mato dalla collettività dei conti e castellani del vescovato eporediese. Ma il regime vescovile e comunale sta per cadere rapidamente. Federico II aveva bensì nel 1219 confermato in signoria il vescovo Oberto, ma l'imperatore, inoltrandosi nel 1238 nelle regioni subalpine e occupando Ivrea, ne prendeva direttamente il governo per mezzo di vicarî imperiali. Il 15 febbraio già troviamo un suo "capitano" in Ivrea nella persona di Rinaldo Vasco di Altessano. La signoria d'Ivrea, nominalmente confermata dall'imperatore a Guido di Biandrate (20 maggio 1238), è effettivamente nelle mani degli ufficiali federiciani. Alla sua morte, dopo un breve periodo di libero reggimento, Ivrea cade in potere della signoria monferrina. Il 19 giugno 1266 s'impossessa d'Ivrea Guglielmo VII di Monferrato. Ma Guglielmo, avendo imprigionato il vescovo eletto Federico di Front, è da Clemente IV costretto a liberarlo e restituire la città al vescovo e al comune; questi alla loro volta sono forzati a sottomettersi (12 giugno 1271) a Carlo d'Angiò, re di Napoli, signore già di Cuneo, Mondovì, Savigliano, Torino, Chieri, ecc. Ribellatasi a Carlo d'Angiò, restaurato per qualche anno il regime vescovile e comunale, la città si ridava in mano a Guglielmo di Monferrato "capitano d'Ivrea", il 17 luglio 1278. Si alternano da questo periodo in Ivrea, fino alla dedizione a Casa Savoia, varî e mutevoli reggimenti. Dopo la tragica fine del "gran marchese" Ivrea rimase fedele al figlio, Giovanni I di Monferrato; alla sua morte, Ivrea si resse a comune sotto la protezione dei Torriani di Milano; ma alla calata di Enrico VII gli eporediesi furono i primi a giurargli fedeltà. Alla sua morte, nonostante che l'imperatore avesse conferito il vicariato d'Ivrea e del Canavese al Monferrino, la città si diede ad Amedeo V conte di Savoia e a Filippo principe di Acaia (15 novembre 1313).

Ivrea sabauda fu occupata nel 1347 dal marchese Giovanni II Paleologo; il dominio ne fu condiviso tra il marchese monferrino e Amedeo VI (1349). Ma Giacomo, principe d'Acaia, il 1 settembre 1356 (i rientrava per tradimento in Ivrea, donde per tradimento era stato escluso nove anni prima. Poco dopo però Ivrea tornava tutta sotto il vessillo del Conte Verde, al quale Giacomo d'Acaia e il Paleologo cedevano completamente i loro diritti (24 dicembre 1356). Il movimento popolare del tuchinaggio nella seconda metà del sec. XIV, e le imprese di Facino Cane devastarono il Canavese e Ivrea. Dopo il periodo della dominazione spagnola e francese (1536-1559) la città tornò a Casa Savoia. Nel 1641, fra il 12 aprile e il 18 maggio fu assediata dai Francesi comandati dal conte Enrico d'Harcourt, difesa da don Silvio Emanuele di Savoia, liberata dal principe Francesco Tomaso di Savoia. Il 18 settembre 1704 durante la guerra tra Francia e Piemonte, fu presa dal duca di Vendôme, ma tornò per il trattato di Utrecht al duca di Savoia Vittorio Amedeo II l'11 aprile 1713. Nel 1796 fu invasa dai Francesi, poi dagli Austriaci. Napoleone, superata la stretta del forte di Bard (v.), muovendo alla volta di Marengo, fu accolto a Ivrea il 26 maggio 1800 e vi restò fino al 29. Nel 1814 Ivrea tornò definitivamente al re di Sardegna.

La marca d'Ivrea. - Comunemente il nome d'Ivrea serve anche, a designare la primitiva marca d'Italia, che in Ivrea aveva il suo centro (v. italia, marca di); e marchesi d' Ivrea vengono chiamati gli Anscarici che la ressero (v. anscarici e berengario ii). Berengario II procedette a un riordinamento, per cui l'esatta estensione delle quattro marche è controversa e controverso è del pari l'anno preciso della loro creazione (se già il 950, o il 951, o il 952). Ma il fatto è indubitabile, specialmente dopo gli studî di C. Desimoni e F. Gabotto. Alla marca d'Ivrea, così ridotta, Berengario prepose il suo secondogenito Guido, mentre il primogenito Adalberto gli fu compagno nel regno. Sennonché non tardarono a sopravvenire le lotte tra Berengario e Ottone I, composte da prima (nel 954) riprese violentemente di poi; sinché Berengario II (v.) non fu preso e mandato in Germania. Dei suoi figli, Guido, marchese d'Ivrea, fu ucciso in battaglia; Adalberto andò profugo nell'Italia meridionale e poi a Costantinopoli. Rimase il terzogenito, Corrado Conone, che verso il 970 vediamo riconciliato con Ottone e restituito alla marca d'Ivrea. Di essa lo troviamo ancora in possesso 989. Dopo la sua morte, senza figli, la marca passò al cugino Arduino (v.), conte di Pombia e poi re d'Italia. Morto anche Arduino, la marca non venne data ai figli di lui, che nei documenti non compaiono se non come conti; ma a Olderico Manfredi, marchese di Torino, il quale in tal modo poté riunire le due marche di Torino e d'Ivrea. Da Olderico, le due marche passarono alla figlia Adelaide, la grande contessa (v. arduinici), e per essa a Ermanno di Svevia, suo primo marito, e a Oddone di Savoia, secondo marito di lei; poi a Pietro e Amedeo II, figli di Oddone, e a Federico di Montbelliard, marito di Agnese, figlia di Pietro. Morto anche Federico di Montbelliard, la marca fu invasa e pretesa da Corrado, figlio dell'ímperatore Enrico IV, il quale vantava anch'egli diritti sull'eredità di Adelaide, come figlio di Berta, figlia di lei. Corrado, alla fine, prevalse. La marca venne così ricongiunta all'impero, e tenuta da vicarî imperiali (a partire dal 1096). Il nuovo ordinamento ebbe tuttavia breve durata. Nel sec. XII difatti, a poco a poco e per cause ben note (Desimoni), la marca si sfasciò e si scisse in marchesati. In tutto questo secolo e poi nel successivo, le terre, già di sua appartenenza, furono contese fra l'impero, i conti di Savoia e i marchesi del Monferrato, oltreché da signori minori; sinché all'inizio del sec. XÍV i conti di Savoia prevalsero e il 15 novembre 1313 Amedeo V ricevette Ivrea nella sua fedeltà.

Bibl.: Sull'antica Eporedia, v.: C. Gazzera, Del ponderario e delle antiche lapidi eporediesi, in Mem. Accad. di Torino, s. 2ª, XIV (1854); Corp. Inscr. Lat., V, ii, pp. 750 segg. e 1088; C. Nigra, Il nome d'Ivrea, in Eporediensia (Biblioteca della Società storica subalpina, IV, Pinerolo 1900); G. De Jordanis, Le iscrizioni romane e cristiane d'Ivrea con uno studio su Ivrea romana (ivi); G. Borghezio e G. Pinoli, L'acquedotto romano di Ivrea, in Bollettino della Società piemontese di archeologia e belle arti, III, Torino 1919; G. Corradi, Eporedia, nel Diz. epigr. di ant. romane di E. De Ruggero, II, p. 2136 segg.; Inscriptiones Italiae Academiae Italicae consociatae ediderunt, XI, fasc. ii, Eporedia, a cura di G. Corradi, Roma 1931.

Sulla città nel Medioevo e nell'epoca moderna, v.: A. Manno, Ivrea, in Bibliografia storica degli stati della monarchia di Savoia, VIII, Torino 1907; F. Carandini, Vecchia Ivrea, Ivrea 1927; G. Saroglia, Memorie storiche della chiesa d'Ivrea con cenni biografici, Ivrea 1881; id., Eporedia sacra. Serie cronologica dei parroci, santi titolari e patroni, Ivrea 1887; G. Boggio, La parrocchia della cattedrale d'Ivrea e le tre parrocchie preesistenti, Ivrea 1920; id., Il duomo di Ivrea, Ivrea 1926; F. Gabotto, Un millennio di storia eporediese (356-1357), in Eporediensia (Biblioteca della Società storica subalpina, IV, Pinerolo 1900); id., Estratti dei "conti" dell'Archivio Camerale di Torino relativi a Ivrea (ivi); St. Cordero di Pamparato, Il tuchinaggio e le imprese di Facino Cane nel Canavese (ivi); E. Durando, Vita cittadina e privata nel medioevo in Ivrea, desunta dai suoi statuti, in Studi eporediesi (Biblioteca cit., VII, Pinerolo 1900); A. Tallone, Ivrea e il Piemonte al tempo della prima dominazione francese: 1536-1559 (ivi); C. Patrucco, Ivrea da Carlo Emanuele I a Carlo Emanuele III (ivi); G. Colombo, Documenti dell'Archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea (Biblioteca cit., VIII, Pinerolo 1901); F. Savio e G. Barelli, Le carte dell'abazia di S. Stefano d'Ivrea fino al 1230, con una scelta delle più notevoli dal 1231 al 1313 (Biblioteca cit., IX, Pinerolo 1902); G. Assandria, Il "Libro rosso" del comune d'Ivrea (Biblioteca cit., LXXIV, Pinerolo 1914); G. Borghezio e G. Pinoli, Cartario della Confraria del Santo Spirito d'Ivrea (Biblioteca cit., LXXXI, Torino 1929); R. Appia, I. (Le cento città d'Italia illustr., n. 123), Milano s. a.

Sulla Marca d'Ivrea, v. inoltre: J. Ficker, Forsch. zur Reichs- u. Rechtsgeschicte Italiens, Innsbruck, 1868, p. 261; C. Desimoni, Sulle marche d'Italia e sulla loro diramazione in marchesati, in Atti della Soc. ligure di st. patria, Genova 1896, p. 140 segg.; B. Baudi di Vesme, Il re Arduino e la riscossa italica contro Ottone III ed Arrigo II, in Biblioteca della Società storica subalpina, VII, Pinerolo 1900; A. Hofmeister, Markgrafschaften im Ital. Königreich, nelle Mitt. d. Inst. f. österr. Geschichtsf., VII, Suppl. 1906, pp. 247 segg., 259-61; S. Pivano, Stato e Chiesa da Berengario I ad Arduino, Torino 1908, pp. 119-20, 130-34, 159-60, 268 segg.

Sulla Biblioteca Capitolare, v., oltre il catalogo di L. Bethmann (in Archiv d. Gesellschaft f. ält. deutsche Geschichtskunde del Pertz, IX, 1847), A. Peyron, Notizia dell'archivio del rev.mo Capitolo d'Ivrea, Torino 1843; A. Professione, Ivrea, Biblioteca Capitolare, in Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, IV, Forlì 1894; C. Contessa, Un inventario del secolo XV ed alcune spigolature per la storia della Biblioteca Capitolare d'Ivrea, in Atti R. Accademia d. scienze di Torino, XLIV (1909), e Per nozze Segre-Zamorani, Torino 1909; G. Borghezio, Inventari e notizie della Biblioteca Capitolare d'Ivrea nel secolo XV, in Miscellanea Fr. Ehrle, Roma 1924; id., Un prezioso codice musicale ignorato della Biblioteca Capitolare d'Ivrea, in Bollettino storico bibliografico subalpino, XXIV, Torino 1921; A. Poncelet, Catalogus codicum hagiographicorum latinorum bibliothecae Capituli ecclesiae cathedralis Eporediensis, in Analecta Bollandiana, XLI, Bruxelles 1923; E. Durando, Le carte dell'Archivio Capitolare d'Ivrea fino al 1230, con una scelta delle più notevoli dal 1231 al 1313 (Biblioteca della Società storica subalpina, IX, Pinerolo 1902); G. Borghezio, I necrologi del Capitolo d'Ivrea (Biblioteca cit., LXXXI, Torino 1925); F. Gabotto, Le carte dell'Archivio Vescovile d'Ivrea fino al 1313 (Biblioteca cit., V-VI, Pinerolo 1900); G. Ladner in Jahrb. d. Kunsth. Samml. in Wien, n. s., V (1931), pp. 130-151 (sulle miniature del messale di Warmondo).