GATTILUSIO, Jacopo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GATTILUSIO, Jacopo (Francesco II, come signore di Lesbo)

Enrico Basso

Figlio di Francesco (I) e Maria Paleologa, figlia dell'imperatore Andronico III e sorella di Giovanni V, nacque a Mitilene probabilmente intorno al 1370 e fu l'unico a sopravvivere al disastroso crollo del palazzo di Mitilene, provocato dal terremoto dell'agosto 1384, nel quale morirono suo padre e i fratelli Andronico e Domenico. Trovato ancora in vita in un giardino dove era stato proiettato dal sisma, il G. venne immediatamente riconosciuto dai maggiorenti dell'isola come legittimo signore di Lesbo anche se, a causa della minore età, la reggenza venne affidata a suo zio, Niccolò I signore di Enos. Il governo congiunto di zio e nipote durò per circa tre anni, fino a quando non intervenne una rottura probabilmente dovuta alla divergenza di opinioni determinatasi fra il prudente Niccolò e il più impetuoso G. sull'atteggiamento da assumere nei confronti del principe Manuele Paleologo (il futuro imperatore Manuele II), cugino del G., il quale si era rifugiato in Lesbo dopo il fallimento dell'offensiva da lui lanciata dalla sua base di Tessalonica contro i possedimenti turchi nei Balcani, in violazione dei trattati esistenti. Mentre Niccolò rientrava nella sua signoria, il G. diede inizio al proprio governo personale, marcando questo passaggio con l'assunzione ufficiale del nome "dinastico" di Francesco II.

Uno dei primi atti del suo governo personale, che conferma la netta impronta antiturca della sua politica in questo periodo, fu l'adesione alla lega offensiva e difensiva stretta nel 1388 fra i cavalieri di Rodi, Giacomo di Lusignano re di Cipro, la Maona di Chio e i Genovesi di Pera contro il sultano Murad I e i pirati islamici che agivano ai suoi ordini; questo atteggiamento rese il G. assai popolare fra i coloni genovesi del Levante, come attestano i solenni festeggiamenti organizzati in occasione della sua visita a Pera nel 1392. Quattro anni dopo, tuttavia, nell'estate 1396, gli stessi abitanti di Pera, assediati dalle truppe di Bāyāzid I, rimproverarono al signore di Mitilene, la cui galea era ancorata nel Corno d'Oro, di non fare nulla per aiutarli; il G. replicò loro offrendo il suo appoggio a un progetto di sortita; la sua nave comunque contribuì in seguito a proteggere le navi che portarono rifornimenti a Costantinopoli mettendo la città in grado di resistere all'assedio.

L'intervento del G. si rivelò importantissimo per i cristiani anche alcuni mesi dopo, quando la sua ricchezza e i buoni contatti che, presumibilmente per il tramite dei suoi congiunti bizantini, aveva nel campo turco, gli consentirono di intervenire in favore di molti dei prigionieri caduti nelle mani dei Turchi dopo la disastrosa sconfitta dell'armata cristiana, guidata da Sigismondo d'Ungheria, a Nicopoli (1396). In tale occasione il G., oltre ad agire da intermediario fra il sultano e gli ambasciatori francesi e borgognoni inviati a trattare il riscatto, intervenne personalmente in aiuto di numerosi prigionieri, come suo cugino Enguerrand VII de Coucy, fornendo al maresciallo Jean Le Meingre, signore di Boucicaut, incaricato dai Turchi di raccogliere il riscatto, ingenti cifre di denaro per la loro liberazione. Dopo aver anticipato al Boucicaut 30.000 ducati in contanti, il G. si impegnò infatti a pagare 110.000 dei 200.000 ducati richiesti complessivamente dal sultano, e inoltre ne prestò altri 2.500 personalmente a Giovanni, conte di Nevers e futuro duca di Borgogna, il quale appena liberato, insieme a numerosi altri cavalieri francesi, fu ospite per varie settimane della sua corte a Lesbo, dove venne ricevuto con tutti gli onori, prima di proseguire verso Rodi sulla via del ritorno. In tale occasione, i rappresentanti francesi poterono anche siglare con Giovanni Paleologo despota di Selimbria e genero del G., la cessione al re Carlo VI dei diritti che questi poteva rivendicare sul trono imperiale in cambio di un castello in Francia e di una pensione annua di 25.000 ducati.

Gli stretti rapporti stabiliti in occasione delle trattative per il riscatto dei prigionieri furono probabilmente all'origine della decisione del Boucicaut, nuovamente inviato in Oriente da Carlo VI nel 1399, di fare tappa a Lesbo nel suo viaggio verso Costantinopoli per richiedere l'assistenza del G.; quest'ultimo però, dopo aver constatato, probabilmente con gli avvenimenti della battaglia di Nicopoli, i rischi di una politica apertamente anti-turca, aveva mutato il proprio atteggiamento nei confronti del sultano; pertanto, pur accettando di accompagnare il maresciallo, lo avvertì anche francamente di aver dovuto, in base ai trattati che aveva sottoscritto nel frattempo, avvertire i Turchi del suo arrivo. La sua attività a Costantinopoli a fianco del Boucicaut valse comunque a riappacificare l'imperatore Manuele II con Giovanni despota di Selimbria il quale, associato al trono col nome di Giovanni VII, fu nominato reggente dell'Impero, mentre Manuele intraprendeva, su suggerimento del Boucicaut, un viaggio in Occidente per cercare aiuti contro i Turchi.

In quello stesso anno, il G. ottenne in appalto dalla Maona di Chio le rendite di Focea Vecchia, sulla costa dell'Asia Minore, e delle sue ricche miniere di allume: il che se gli consentì di incrementare le sue entrate, lo costrinse anche a intervenire nella difesa della località dalle incursioni dei Tatari, rese più frequenti in seguito alla disfatta subita nel 1402 dall'esercito del sultano Bāyāzid I a opera di Tamerlano nella battaglia di Angora. Dopo tale battaglia, tra l'altro, giunse a Lesbo insieme ad altri reduci anche il despota di Serbia, Stefano Lazarević, che in quell'occasione prese in moglie Elena, figlia minore del Gattilusio.

Il ritorno in Oriente di Manuele II, nel 1403, scatenò però una nuova crisi, in quanto l'imperatore, accusando Giovanni VII di aver tramato per continuare a governare Costantinopoli come vassallo del sultano, si rifiutò di cedere al co-imperatore, come promesso nel 1399, la città di Tessalonica, esiliandolo nell'isola di Lemno. Giovanni VII, fuggito a Lesbo, richiese quindi l'aiuto del G. per occupare Tessalonica; questi organizzò una squadra di cinque galee per aiutare il genero, ma, avendo richiesto l'intervento della flotta franco-genovese giunta in Oriente al comando di Boucicaut per una spedizione contro re Giano di Cipro, ricevette dal maresciallo l'ordine di inviare le sue navi a Cipro anziché a Tessalonica. Manuele II finì per raggiungere comunque un accordo con Giovanni VII nello stesso 1403, risolvendo pacificamente una situazione estremamente imbarazzante per il G., che poté così dedicarsi all'amministrazione dei suoi interessi commerciali, estesi da Pera fino a Creta e alla stessa Genova, dove manteneva peraltro il giuspatronato della chiesa di famiglia di S. Giacomo di Sestri Ponente. Proprio in quel momento, però, il destino colpì il G. che, ancor relativamente giovane, morì in circostanze curiosamente simili a quelle di suo padre: secondo le fonti contemporanee, infatti, l'accalcarsi dei membri del suo seguito, accorsi per soccorrerlo dopo la puntura di uno scorpione, provocò il crollo del pavimento della stanza nella quale si trovava, all'interno di una torre, portando alla morte sia il G., sia molti suoi cortigiani. A succedergli venne chiamato il maggiore dei tre figli maschi sopravvissutigli, Jacopo, mentre ancora una volta la reggenza della signoria di Lesbo veniva affidata a suo zio Niccolò I signore di Enos.

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