TORRITI, Jacopo

Enciclopedia dell' Arte Medievale (2000)

TORRITI, Jacopo

A. Tomei

Pittore e mosaicista, attivo ad Assisi e a Roma nella seconda metà del Duecento.Con Pietro Cavallini (v.) e Filippo Rusuti (v.), T. fu uno degli artefici del rinnovamento pittorico della Roma tardoduecentesca, soprattutto per quanto riguarda il mosaico, che egli usò su scala monumentale dispiegando capacità tecniche di altissimo livello.Assoluto è il silenzio delle fonti documentarie coeve sulla vita e le opere di T.: il nome del maestro è infatti noto esclusivamente attraverso le firme che egli appose nei mosaici absidali romani di S. Giovanni in Laterano (1291 ca.) e di S. Maria Maggiore (1295 ca.), ambedue eseguiti su commissione di papa Niccolò IV (1288-1292). Più ricca di dati è invece la letteratura antica, anche se nella maggior parte dei casi le informazioni riportate sono apparse, al vaglio della critica recente, scarsamente attendibili.Uno dei problemi maggiormente discussi nei primi studi su T. fu quello della sua identificazione con lo Jacobus frate di s. Francesco attivo a partire dal 1225 ai mosaici della scarsella del battistero di Firenze, che fece di conseguenza dibattere su una eventuale appartenenza dell'artista all'Ordine francescano. A partire da Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 76) e sino al secolo scorso tale identificazione fu quasi concordemente accettata, salvo poche eccezioni (Mancini, Considerazioni; Crowe, Cavalcaselle, 1864-1866) che riconobbero la diversità stilistica esistente tra i mosaici del battistero fiorentino e le opere romane firmate da Torriti. A questa diversità di stile si deve aggiungere la considerazione del tempo che intercorre tra gli uni, eseguiti nel terzo decennio del Duecento, e gli altri, portati a termine nell'ultimo decennio del secolo. Appare infatti difficilmente sostenibile l'ipotesi di un T. attivo per oltre settanta anni.Un altro problema dibattuto dalla critica fu quello relativo al luogo di nascita del maestro. Il cognome T. fu interpretato da alcuni eruditi toscani (Ugurgieri, 1649; Della Valle, 1782; Lanzi, 1795; De Angelis, 1821) come derivante dalla città di Torrita in Val di Chiana (od. Torrita di Siena). Da questa esegesi ebbe origine una ipervalutazione della figura artistica di T., visto come uno dei capostipiti della scuola pittorica senese e per il quale fu operata una dilatata ricostruzione del catalogo. Oltre ai già ricordati mosaici fiorentini e romani, vennero infatti attribuite a T. opere le più diverse e lontane non solo per stile, ma anche per datazione, tra cui la Madonna Rucellai di Duccio di Buoninsegna (Firenze, Uffizi), la Maestà del Palazzo Pubblico di Siena di Simone Martini, la Madonna di Santa Trinita di Cimabue (Firenze, Uffizi). Il primo studioso a porre il nome di T. in rapporto alla decorazione della basilica superiore di S. Francesco ad Assisi (in particolare alla volta dei Dottori nell'ultima campata a partire dal transetto) fu Cavalcaselle (Crowe, Cavalcaselle, 1864-1866), la cui proposta fu in seguito accolta dalla critica sia pure con attribuzioni diverse.

Torriti ad Assisi

Sulla partecipazione di T. alla grande decorazione affrescata della basilica superiore di Assisi si è sviluppata una letteratura critica particolarmente ampia, volta a delineare, soprattutto con gli strumenti dell'analisi stilistica, per mancanza di dati documentari, la portata dell'intervento torritiano (anche nelle specifiche spettanze di mano) nonché la cronologia relativa a tale intervento. Questo aspetto della questione si inserisce nel più vasto contesto riguardante i tempi dell'intera decorazione della basilica di Assisi, tempi ancora non interamente definiti dalla critica.T. dovette operare nel cantiere assisiate tra l'ottavo e il nono decennio del sec. 13°, come riconosciuto dalla maggior parte degli studiosi; a partire dagli inizi degli anni novanta, infatti, il maestro fu attivo a Roma, impegnato nell'esecuzione dei mosaici absidali di S. Giovanni in Laterano e di S. Maria Maggiore.Per alcuni critici gli inizi dell'attività assisiate di T. sono da ricercarsi nel transetto destro (Hueck, 1969-1970; Boskovits, 1971), dove il maestro eseguì forse negli anni 1270-1275 una grande figura di profeta nella parete di fondo sulla sinistra del finestrone e un mascherone decorativo nell'angolo nordoccidentale della volta. Riguardo alle pitture della navata, la questione attributiva è caratterizzata da oscillazioni di giudizio piuttosto rilevanti; il carattere collettivo di questa decorazione, per la quale sarebbe giustificato l'uso del termine 'cantiere', rende infatti arduo definire con certezza le spettanze dei singoli pittori partecipanti all'impresa, dato che solo talvolta è possibile individuare una o più personalità emergenti. Questo il caso di T., che almeno in un'occasione appare indiscutibilmente riconoscibile. Pressoché unanime è infatti l'attribuzione a T. della volta della seconda campata a partire dal transetto, dove sono raffigurati entro clipei sorretti da angeli il Cristo, la Vergine, S. Giovanni Battista e S. Francesco. Non altrettanto concordi sono i pareri riguardo alle scene dell'Antico e Nuovo Testamento che si svolgono sui due registri superiori delle pareti della navata. La presenza torritiana, sempre comunque limitatamente alle prime due campate e mezza (fino cioè alle Storie di Isacco, nelle quali si manifesta a livello stilistico una precisa demarcazione), è stata infatti variamente dilatata o ristretta a seconda delle ipotesi sul ruolo svolto dalla bottega romana nelle fasi dell'affrescatura della navata.Le Storie della Creazione sulla parete destra sono state più volte riferite a T. in prima persona (tra gli altri, Zimmermann, 1899; Busuioceanu, 1925; Brandi, 1938-1939; Matthiae, 1966; Venturoli, 1969; Volpe, 1969; Boskovits, 1981) e a un suo strettissimo collaboratore, da alcuni identificato con Filippo Rusuti (Nicholson, 1930; Lochoff, 1937; Bologna, 1960; 1962; 1969; Belting, 1977). Interpretazioni analoghe si danno per gli altri affreschi della parete destra (Storie dei Progenitori, Storie di Noè, Storie di Abramo), il cui riferimento generico alla bottega romana è ampiamente accettato. Presenze e influenze torritiane si riscontrano anche nelle prime scene neotestamentarie sulla parete sinistra, dove, per il problema delle spettanze, si ha una situazione simile a quella della parete destra. Alcune parti mostrano caratteri più direttamente riferibili alla mano del maestro, come per es. l'Annunciazione, la Natività, l'Adorazione dei Magi e le Nozze di Cana (Toesca, 1948; Matthiae, 1966; Boskovits, 1981). T. svolse quindi un ruolo di primo piano nella decorazione della navata, facendo parte, con un ruolo di preminenza, dell'équipe di pittori romani che eseguirono le scene vetero e neotestamentarie fino alla metà della terza campata a partire dal transetto.Il linguaggio figurativo torritiano appare in questi affreschi già maturo e pervaso di quel classicismo di fondo che sarebbe stato sviluppato a pieno nel mosaico absidale di S. Maria Maggiore. Caratteristiche in questo senso sono le ampie fasce decorative che, come una sorta di tessuto connettivo, legano fra loro le singole scene. Mensole e cassettoni in prospettiva, girali vegetali, busti di santi e profeti, costituiscono, insieme a mascheroni e con una vera e propria popolazione di genietti e animali fantastici, un repertorio di ascendenza classica che solo in maestri educati in un ambiente romano appare utilizzato con analoga vivezza di rappresentazione e varietà iconografica. Non è possibile stabilire con certezza se l'ideazione, e in parte anche la realizzazione, di tale ricchissima decorazione spetti a T. in prima persona; certo è che essa parla un linguaggio schiettamente classicheggiante che, tra la produzione artistica coeva, è possibile riscontrare solo nelle opere certe di T., i mosaici romani.

La personalità del maestro, soprattutto nella volta clipeata, emerge in modo abbastanza netto dal collettivo dei pittori romani attivi ad Assisi per le sue eleganti e misurate cadenze stilistiche, per il suo vivido e nello stesso tempo sapientemente calibrato cromatismo, per la finezza del modellato (come per es. nella figura di Adamo nella scena della Tentazione). T. è però fortemente influenzato anche dalle novità linguistiche introdotte nel panorama della pittura centroitaliana da Cimabue. La presenza di quest'ultimo nel 1272 a Roma, dove però nessuna sua opera certa è rimasta, ma soprattutto la sua attività nel transetto di Assisi nello stesso periodo in cui T. e gli altri artisti romani cominciavano a porre mano alla decorazione della navata dovettero costituire per costoro un rilevante punto di riferimento: in alcune scene delle prime campate dal transetto si possono riscontrare precisi richiami al linguaggio del pittore fiorentino, che si concretano in certi appesantimenti delle linee di contorno, in certe caratterizzazioni espressive e in un'accentuazione chiaroscurale di netta ascendenza cimabuesca. T. stesso è partecipe di tali novità, che fonde armonicamente con gli elementi della sua cultura di base, che è romana e bizantina; raggiunge così risultati personalissimi di grande eleganza formale ravvivata da un'espressività delle figure affatto cimabuesca, anche se ammorbidita per una minore insistenza sui contrasti chiaroscurali e per un andamento lineare più quieto.

Torriti a S. Giovanni in Laterano

Dal marzo 1883 all'ottobre 1884 furono eseguiti nell'abside di S. Giovanni in Laterano lavori di restauro e di ampliamento che ebbero come conseguenza la completa distruzione del mosaico torritiano, firmato dal maestro e databile al 1291 ca. grazie a un'iscrizione inserita nella decorazione musiva. L'opera fu ricostruita dai mosaicisti ottocenteschi, che mantennero intatta l'iconografia, ma andò del tutto perduta l'originaria dimensione stilistica e cromatica. Il mosaico duecentesco dell'abside lateranense era stato voluto da Niccolò IV, primo papa francescano eletto nel 1288. Già generale dell'Ordine, Niccolò IV fu un committente particolarmente attivo, non solo nei confronti di Roma, ma anche della basilica di S. Francesco ad Assisi (Gardner, 1973).Il mosaico absidale di S. Giovanni in Laterano presenta al centro della composizione una grande croce gemmata alla destra della quale sono raffigurati la Vergine, S. Francesco, e i Ss. Pietro e Paolo; sulla sua sinistra invece S. Giovanni Battista, S. Antonio da Padova, S. Giovanni Evangelista, S. Andrea. La Vergine tiene la mano destra sul capo della piccola figura del donatore, Niccolò IV. La croce si erge sul monte paradisiaco dal quale sgorgano i quattro fiumi; nella zona inferiore della conca absidale è rappresentato un paesaggio fluviale. Alla sommità dell'abside, su uno sfondo di nubi, è un busto del Salvatore tra otto angeli. Nell'emiciclo, tra le finestre, sono nove figure di apostoli; tra il secondo e il terzo santo c'è una piccola figura di frate con compasso e squadra, mentre tra il settimo e l'ottavo appare un secondo frate che impugna martello e scalpello ed è identificato da un'iscrizione come fra' Jacopo da Camerino, "socius magistri operis". La figura con compasso e squadra si trova al di sopra della firma di T. e per questo è stata identificata con l'artefice del mosaico. Alcuni studiosi non sono però d'accordo con tale identificazione a causa della mancanza, nella firma dell'artista, dell'indicazione di appartenenza all'Ordine francescano (De Rossi, 1872-1892; Soldati, 1928).Anche se ormai indecifrabile dal punto di vista stilistico, il mosaico lateranense riveste notevole interesse per l'iconografia. Si è infatti cercato di stabilire i rapporti tra il mosaico duecentesco e l'antica decorazione da questo sostituita. Parte della critica ha affermato che T. poco aggiunse all'antica decorazione (Wilpert, 1916; Hoogewerff, 1952-1954; Buddensieg, 1959), mentre altri propendono verso una più ampia valutazione dell'originalità dell'opera del maestro (de Waal, 1914; Matthiae, 1967). Il busto del Salvatore al sommo della conca absidale appare comunque non omogeneo con la decorazione duecentesca; è stato infatti osservato nel corso dei lavori ottocenteschi che esso non era coerente con il mosaico torritiano, essendo eseguito su una lastra di travertino misurante cm 75-105, fissata al muro con grappe metalliche.Anche dal punto di vista stilistico è evidente la sua estraneità all'arte di T., il quale dovette, per ragioni probabilmente di carattere liturgico e di tradizione devozionale, riutilizzare qui un'antica e venerata immagine del Salvatore.Nella stessa basilica lateranense si attribuisce a T. anche un'altra figura del Salvatore, eseguita sempre a mosaico e posta sul coronamento della facciata settecentesca; l'opera doveva essere in origine collocata sull'antica facciata, rinnovata anch'essa al tempo di Niccolò IV (Matthiae, 1967).

Torriti a S. Maria Maggiore

Immediatamente successivo a quello di S. Giovanni in Laterano è il mosaico absidale di S. Maria Maggiore; anche quest'opera fu promossa dallo stesso pontefice e affidata per l'esecuzione a Torriti. Il maestro vi appose la sua firma e la data 1295, oggi scomparsa ma leggibile ancora nel secolo scorso (Matthiae, 1966; 1967; Gardner, 1973).Come per la basilica lateranense, i lavori intrapresi da Niccolò IV forse sin dall'inizio del suo breve pontificato comportarono l'abbattimento dell'antica abside della basilica liberiana, con il mosaico del sec. 5°, e l'inserzione di un transetto. La nuova abside, costruita ca. m 6 più indietro, divenne il punto focale di un sistema decorativo comprendente anche l'intero transetto, di cui si cominciò l'affrescatura, mai condotta a termine. La struttura architettonica fu elaborata in funzione della decorazione musiva, le cui linee compositive generali dovevano essere già state stabilite. Questa circostanza è avvalorata dalla disposizione delle quattro finestre a sesto acuto che si aprono nella zona inferiore dell'abside, ordinate in modo tale da lasciare ampie superfici libere per le scene tratte dalla Vita della Vergine.Il mosaico torritiano si articola in una complessa struttura divisa in due zone distinte: una superiore, iconica, raffigurante l'Incoronazione della Vergine, e una inferiore, narrativa, dove sono appunto le Storie mariane. Al centro della conca absidale, entro un clipeo a sfondo di cielo stellato, siedono la Vergine e il Cristo su un grande trono gemmato; affiancano il clipeo schiere di angeli adoranti. Intorno all'Incoronazione si sviluppa una decorazione a girali di acanto che recano tra il fogliame numerose figure di animali. Più in basso sono alcune figure di santi e quelle dei donatori: a destra della Vergine, S. Francesco, i Ss. Pietro e Paolo e, inginocchiato, papa Niccolò IV; sulla sinistra del Cristo, S. Antonio da Padova, S. Giovanni Evangelista, S. Giovanni Battista e il cardinale Giacomo Colonna, titolare della basilica, anch'egli inginocchiato. Conclude la zona superiore dell'abside una scena fluviale, popolata da genietti e animali di intonazione classicheggiante.In basso, nell'emiciclo absidale tra le finestre, sono disposte le scene mariane: da sinistra, Annunciazione, Natività, Dormitio Virginis, Adorazione dei Magi, Presentazione al Tempio. La Dormitio è dunque posta al centro; non viene in tal modo rispettata la sequenza narrativa, ma ciò risponde a una precisa scelta iconografica. La scena centrale occupa infatti una superficie quasi doppia rispetto alle altre scene ed è posta in diretta corrispondenza con l'Incoronazione soprastante; la narrazione assume in tal modo un andamento verticale, volto a sottolineare la preminenza e la centralità della vicenda ultraterrena della Vergine. L'unione di questi due temi è assai inconsueta non solo per la tradizione iconografica romana, ma anche per quella bizantina; in ambito orientale è infatti pressoché ignorata la raffigurazione dell'Incoronazione, mentre larga diffusione ha quella della Dormitio. Il mosaico torritiano sembra in effetti riprodurre modelli elaborati nell'area del Gotico francese (Alpatov, 1924), come, per es., le miniature del Salterio di Bianca di Castiglia (Parigi, Ars., 1186), databile intorno al 1230, o le Incoronazioni che decorano i portali di numerose cattedrali tra cui quelle di Notre-Dame a Parigi, Sens e Strasburgo. A ciò si deve aggiungere la particolare importanza che la spiritualità francescana riservava alla figura della Vergine, elemento questo che fu di certo determinante nella scelta programmatica e iconografica operata da papa Niccolò IV (Gardner, 1973).Un punto di confronto diretto per le Storie mariane di S. Maria Maggiore è costituito dall'analoga serie che Pietro Cavallini eseguì a mosaico nella chiesa di S. Maria in Trastevere; la critica non ha però univocamente risolto il problema della priorità cronologica tra le due opere, data la difficoltà di datare i mosaici cavalliniani. Questi infatti vengono variamente riferiti o agli anni intorno al 1291, prima cioè delle scene di S. Maria Maggiore (De Rossi, 1872-1892; Matthiae, 1972; Gardner, 1973; Boskovits, 1983), ovvero verso il 1296-1298 (Gioseffi, 1963; Hetherington, 1979; Poeschke, 1983). Le due opere, qualunque sia la loro cronologia relativa, appaiono comunque diverse per scelte stilistiche e iconografiche, queste ultime dovute, almeno in parte, al fatto che Cavallini dovette inserire le scene in una struttura architettonica preesistente, mentre T. poté utilizzare uno spazio creato ad hoc per la decorazione musiva. Avendo a disposizione in pratica un'intera abside, T. creò una composizione unitaria di grandioso effetto decorativo; rispetto al ciclo cavalliniano la narrazione è meno serrata, la composizione si articola in un andamento centripeto, volto a concretare in immagini un dogma religioso: la vita, la morte, l'assunzione e la glorificazione della Vergine. Il tutto è pervaso dal raffinatissimo gusto per il colore caratteristico di T. e reso ancor più elegante e prezioso da una ritmica lineare, mediata sì attraverso la tradizione classica e bizantina della cultura figurativa romana, ma anche al corrente delle novità linguistiche del Gotico francese che proprio in quegli anni Arnolfo di Cambio (v.) aveva contribuito a far conoscere a Roma (Romanini, 1969; 1983).Altre opere. - A partire dal 1296 ca. T. collaborò con Arnolfo di Cambio al monumento funebre di Bonifacio VIII nell'antica basilica di S. Pietro; l'opera del maestro, a mosaico, oggi perduta ma documentata da fonti seicentesche, era posta al di sopra della nicchia ove si trovava la tomba del papa. Essa recava la firma di T. e raffigurava la Madonna con il Bambino entro un clipeo, tra i ss. Pietro e Paolo che presentano Bonifacio VIII.

Altre opere a Roma e nel Lazio vengono attribuite a T. per via stilistica; tra queste vanno ricordati gli affreschi dell'abbazia delle Tre Fontane (Bertelli, 1969), i frammenti del mosaico raffigurante il Sogno di Innocenzo III sul coronamento della facciata di S. Maria in Aracoeli (Cellini, 1955), la lunetta musiva sul portale laterale della stessa chiesa e, all'interno, un mosaico raffigurante la Madonna con il Bambino tra i ss. Francesco e Giovanni Battista, tre Vergini sulla sinistra del mosaico di facciata di S. Maria in Trastevere, l'icona di S. Maria del Popolo e la Madonna advocata di S. Maria Maggiore a Tivoli (Bellosi, 1983).La committenza delle opere certe di T. a Roma fu sempre legata a figure di pontefici, a riprova del ruolo preminente da lui svolto nell'ambito della cultura figurativa romana del tardo Duecento, ruolo che egli rivestì non per il carattere 'conservatore' della sua arte, più adatto quindi alla committenza papale, come sostenuto da Hetherington (1972), bensì per la sua capacità di fondere in un raffinato e personalissimo stile le più antiche eredità classiche e bizantine della pittura romana con le novità che l'arte occidentale era andata elaborando nel corso del 13° secolo.

Bibl.:

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