KOMENSKÝ, Jan Amos

Enciclopedia Italiana (1933)

KOMENSKÝ, Jan Amos (latinamente Comenius)

Giovanni Calò

Pedagogista e poligrafo, nato a Nivnice, villaggio moravo presso la frontiera ungherese, il 28 marzo 1592; morto in Olanda il 15 novembre 1670 e sepolto a Naarden (presso Amsterdam). Usciva da una famiglia appartenente all'Unione dei Fratelli boemi (v. boemi, fratelli), sicché, rimasto orfano, studiò nelle scuole dei Fratelli a Strážnice, poi (dal 1608) nella scuola latina di Přerov (Prerau). Passo nel 1611 all'accademia di Herborn in Nassau, dov'ebbe maestri Giovanni Enrico Alsted, il teologo Giovanni Fischer o Piscator, il filosofo Enrico Gutberleth, dove s'iniziò al millenarismo, rimasto poi sempre fede confortatrice alla sua vita travagliata, e dove concepì il Linguae Bohemicae Thesaurus e un Theatrum universitatis rerum, raccolta di notizie e citazioni su ogni argomento, non mai finita. Dopo avere studiato anche all'università di Heidelberg, fu per qualche tempo insegnante nella scuola di Přerov, ove scrisse, nel 1616, i Grammatìcae facilioris praecepta. Nello stesso anno fu ordinato pastore e nel 1618 destinato a Fulnek, centro moravo importante, con l'incarico di dirigervi anche le scuole. Esercitando tale ufficio, già riceve il primo impulso al suo pensiero pedagogico innovatore dalle opere di W. Ratke, di L. Vives e di G. Valentino Andreae. Ma da Fulnek, saccheggiata durante la persecuzione di Ferdinando II contro i protestanti boemi, fugge nel 1621, dopo aver visto distrutti i suoi libri e manoscritti. La peste gli rapisce la moglie e i due figlioletti. Rifugiatosi prima presso il nobile Carlo di Zerotín a Brandýs, comincia a scrivere (1623) in cèco il Labyrynt světa a raj srdce (il Labirinto del mondo e il paradiso del cuore), poi pubblicato nel 1631; più tardi, viaggiando qua e là in aiuto dei fratelli fuggiaschi, è conquistato dalla fede mistica nelle profezie d'un umile conciatore slesiano, Cristoforo Kotter, e nelle visioni d'una giovinetta malata, Cristina Poniatowska; e le profezie del primo traduce in cèco. Costretto ad abbandonare il suolo della patria con la sua seconda moglie, dal 1628 al 1641 vive a Leszno (Lissa) in Polonia, insegnante in quel ginnasio. Quivi matura il suo concetto dell'intima connessione tra il problema educativo e quelli della liberazione della sua patria, dell'avvenire della sua chiesa e della pace religiosa in genere. La Didattica di Elia Bodin, il De studiorum rectificanda methodo consilium del Ratke e gli scritti di Cecilio Frey, di Eilardo Lubin, di Elvico, di Renio, del Ritter, del Vogel, ecc., e in genere pensatori come Bacone e Campanella, gli servono di preparazione e di stimolo, mentre dall'ammiratissimo Andreae gli vengono incoraggiamenti diretti (il geloso Ratke risponde col silenzio alle sue richieste). Scrive in questo periodo la Grande Didattica (per ora in cèco: Didaktika), la Schola Infantiae, che s'intitolerà anche Informatorium materni gremii o, nell'ed. ted. fattane dallo stesso K., Informatorium der Mutterschule (scritta pure dapprima in cèco) e testi per la scuola del popolo, non giunti a noi. La prima grande opera da lui pubblicata è la Janua linguarum reserata (1631), alla quale fa seguire, a vantaggio dei principianti, nel 1633, lo Januae linguarum reseratae vestibulum: opera che attua, in forma assai più ampia e perfetta, l'idea della Janua linguarum (latino-spagnuola) degl'irlandesi Guglielmo e Giovanni Bateus (Bathe), e che ebbe innumerevoli edizioni. Seguono scritti di esegesi biblica e di edificazione religiosa e di polemica con luterani e sociniani, mentre è eletto senior (vescovo) della sua comunità, e una Physicae ad lumen divinum reformatae synopsis. Intanto matura in lui, non senza l'influenza dell'Alsted, l'idea d'un'enciclopedia totius eruditionis, cioè d'una Pansophia, che risponda anche al fine d'un insegnamento organico di tutto lo scibile. Nel 1634 ne manda il programma all'amico Hartlib, appartenente al circolo dello scozzese Giovanni Dury, la cui propaganda irenistica e millenaristica, mirante alla fusione di tutte le religioni in una societas christiana, s'incontrava con le aspirazioni dell'Andreae e dell'ambiente in cui si muoveva K. Quel programma (Conatuum Comenianorum Práez ludia), pubblicato dal Hartlib nel 1637, usciva in 2ª ed. due anni dopo col titolo di Pansophiae Prodromus e, lodato dal Mersenne e, assai più cautamente, da Cartesio, ebbe poi molte edizioni. Un'intima unione di Pansophia e di Didattica egli tentava nello stesso tempo scrivendo per il senato di Breslau, che aveva adottato la sua Janua, la dissertazione De sermonis latini studio per Vestibulum, Januam, Palatium et Thesauros latinitatis (1637). Nel 1641, l'opera dell'amico Hartlib e un invito del parlamento inglese chiamavano K. in Inghilterra. Quivi scrive la Via lucis, esposizione dei mezzi per fare di tutti gli uomini "una stirpe, un popolo, una casa, una scuola di Dio". Ma le lotte politiche inglesi gl'impediscono ogni attività pratica.

Invitato da Luigi de Geer in Svezia, si mette in viaggio col Dury e con Pietro Figulo, ma altri inviti di ammiratori lo fermano prima in Olanda, dove - a Leida - s'incontra con Cartesio, e donde prosegue per alcune città della Germania. Finalmente giunto in Svezia, assume col grande ministro Oxenstierne l'impegno di lavorare al miglioramento della scuola svedese preparando testi con alcuni collaboratori (il Figulo, Paolo Cirillo, Daniele Nigrin, poi Cipriano Kinner, Giovanni Rave). Polemiche religiose, miraggi e tentativi politici, ritorni ai mai abbandonati ideali pansofici (nel 1643 usciva a Danzica la Pansophiae Diatyposis ichnographica et orthographica) rallentano il suo lavoro scolastico. Ma sul principio del 1647 finisce un'altra opera didattica famosa, la Linguarum methodus novissima (Leszno, 1648-49), e più tardi il Vestibulum latinae linguae, la Latinae linguae ianua reserata (testi ora perduti), e altre opere per l'insegnamento del latino. Nel 1648, assolto il suo impegno con la Svezia, torna a Leszno, dove rimane la seconda volta vedovo, con cinque figlioli, e dove la nomina a primo vescovo (praeses) dell'Unione gli è amareggiata dal progressivo sbandarsi della sua comunità e dal trattamento fatto al suo popolo dalla pace di Vestfalia. Un'occasione di attuazione organica dei suoi piani pansofici gli è offerta nel 1650 dal principe Sigismondo Rákóczi, che lo invita a Sarospatak in Ungheria a riformare quelle scuole. Nel 1651 K. pubblicava la Schola Pansophica, hoc est universalis Sapientiae Officina. Ma se grandi furono la cura e la sapienza rinnovatrice con cui furono organizzate le classi e la vita interna della scuola, incompleta fu l'attuazione del piano, perché delle 7 classi che dovevano costituire la scuola, distribuite in trivium e quadrivium (in senso diverso dal medievale), solo le prime (la vestibulare, la ianuale e l'atriale) il K. riuscì a istituire. Intanto rifà i suoi testi scolastici cambiandone anche i titoli, e pronunzia e pubblica importanti discorsi aventi per fine l'illustrazione e diffusione del suo metodo: compito nel quale persevera anche dopo la morte del Rákóczi (1652), pubblicando fra l'altro le Leges scholae bene ordinatae (1653), disegno di una completa legislazione scolastica, e scrivendo la Schola ludus seu Encyclopedia viva (1654), nella quale, secondo l'antica idea d'un suo collega di Leszno (J. S. Macer), è posta in forma drammatica tutta la materia della Janua e dell'Atrium. Infine, a Sarospatak K. concepisce l'Orbis sensualium pictus (Norimberga 1658, testo latino e tedesco), che offre all'occhio del fanciullo le immagini delle cose notevoli del mondo naturale e umano, in connessione con parole e frasi, in sussidio dell'insegnamento così del latino come della lingua materna.

Lasciata Sarospatak nel 1654, torna a Leszno, tutto dedito all'attività religiosa e a sogni politici. Ma nel 1656 Leszno è presa e distrutta, e son ridotte in cenere la casa e la biblioteca di K. insieme con varî suoi scritti pansofici, col Thesaurus linguae bohemicae, con una confutazione di Copernico e una di Cartesio (una seconda, di quest'ultimo, compilerà e pubblicherà nel 1659). Dopo aver errato per la Slesia, per Stettino e Amburgo, invitato e aiutato da Lorenzo De Geer, figlio di Luigi, si rifugia ad Amsterdam, ove una pensione assegnatagli gli consente d'attendere ai suoi lavori svariatissimi. Può così stampare e poi pubblicare, ma soltanto nel 1666, e anonime, le due parti superstiti della De rerum humanarum emendatione consultatio catholica, cioè la Panegersia e la Panaugia. Pubblica, col titolo di Lux ín tenebris (1657), la raccolta delle profezie di Drabik, di Cristoforo Kotter e di Cristina Poniatowska, in latino, attirandosi critiche soprattutto da Nicola Arnolds e da Marets, contro i quali polemizza. Ma, avvenimento ben più importante, nel 1658 pubblica in 4 volumi ad Amsterdam, a spese del De Geer, le Opera didactica omnia. Il 1° volume contiene le opere scritte dal 1627 al 1642, e vi compare per la prima volta, in latino, la Didactica Magna; il 2° quelle dal 1642 al 1650; il 3° quelle del periodo di Sarospatak (1650-1654); il 4° quelle scritte ad Amsterdam, tra le quali il Latium redivivum, il Typographeum vivum, la Traditio lampadis (appello ai continuatori dell'opera sua). Ma contemporaneamente continua a scrivere opere religiose (per esempio una Janua sive Introductorium in Biblia Sacra, 1658; un Kancyonal, 1659, raccolta di salmi e inni sacri in boemo composti da lui stesso; un Catechismo, 1661), altre sull'unità dei fratelli boemi, da cui si congeda con l'opuscolo Smutný hlas zaplašeného hněvem Božím pastýře k rozplašenému, hynoucímu stádu (Triste voce del pastore spaurito dall'ira di Dio al gregge disperso e morente), 1660; e a Luigi XIV fa pervenire la nuova edizione della sua raccolta di profezie, col titolo modificato in Lux e tenebris; e lotta per i suoi ideali pansofici e irenici indirizzando ai rappresentanti inglesi e olandesi a Breda, e per essi a tutti i popoli cristiani, il suo Angelus pacis (1667), e a Ruperto, figlio dell'effimero re di Boemia, Federico, l'Unum necessarium, suo testamento morale e religioso. I rapporti con l'ex-gesuita De Labadie, fondatore d'una setta pietista (il labadismo), e con una mistica fanatica, Antonietta Bourignon, le polemiche contro il Des Marets, ehe aveva attaccato il millenarismo suo, del De Labadie e del Serario, occupano i suoi ultimi anni. Uscirono postumi lo Spicilegium didacticum, nel 1680, e nel 1681 la Janua rerum reserata e il Sapientiae primae usus Triertium catholicum appellandus.

La dottrina. - K. è insieme un prodotto della tradizione, del clima spirituale europeo, e soprattutto nazionale, determinato dalle lotte religiose del sec. XVII, e del naturalismo scientifico e filosofico dei secoli XVI e XVII. Spirito profondamente mistico, punto innovatore in filosofia, anzi legato, per molti aspetti, alla tradizione aristotelica e scolastica, quel naturalismo egli esprime soprattutto, e genialmente, nel pensiero educativo. Le sue attitudini di poligrafo e la sua aspirazione costante all'armonia e all'unità spiegano insieme la sua attesa d'una palingenesi dell'umanità in una pace universale e in una conciliazione di tutte le fedi in Cristo, e il suo tenace proposito di costruire una pansofia. Enciclopedista avant la lettre, in senso cristiano, egli sogna una sintesi di tutto il sapere che non sia semplice rassegna e giustapposizione di tutte le cognizioni, ma ricerca della loro intrinseca unità e insieme anatomia che di tutte le cose riveli venas et artus, cioè la struttura intima. Parti essenziali di essa saranno Dio, la natura e l'arte; e la sintesi dovrà condurre a fissare, per una specie d'induzione, diversa da quella baconiana, i principî universali, realia et practica, le sententiae per se fide dignae, che sono alla base di tutto il sapere e son capaci di renderlo, oltre che uno, veramente intelligibile e più facile ad apprendersi. La pansofia dovrebbe perciò essere il fine vero della scuola e diventare mezzo all'unificazione di tutte le genti, cioè a quella panarmonia cui devono servire libri universali, scuole universali, lingua universale, collegio universale di dotti.

L'ideale pansofico non trovò mai attuazione né scientifica né pratica nell'opera di K. Ma questi ne trasse così il concetto e il senso profondo dell'unità e molteplicità della cultura - che peraltro degenera spesso in enciclopedismo - come quello della natura sociale dell'educazione che deve esser data a tutti (maschi e femmine, ricchi e poveri, intelligenti e idioti) e servire alla vita e unificare tutti gli aspetti di questa, tutte le facoltà dell'individuo e, fuori di questo, classi e chiese e stati e nazioni: il quale ideale non gl'impedisce però d' insistere sull'aspetto nazionale dell'educazione e sull'importanza capitale della lingua materna nella scuola. A quel suo concetto fondamentale risponde poi quello (già vivo nel nostro Umanesimo e Rinascimento) dell'uomo come microcosmo, che ha il suo archetipo in Dio, che è fatto signore dell'universo, le cui potenze sono infinite nella loro possibilità di sviluppo, e la cui cultura deve essere specchio e sommario dell'universo. Pure, tale cultura non va intesa come semplice processo dall'esterno, come un riflettersi del mondo nel soggetto. Anzitutto, K. è un innatista, e più nel senso di Cartesio e della scuola di Cambridge che non nel senso di Leibniz. D'altra parte, egli insiste sul concetto che l'istruzione va promossa dall'interno; e la iudicii soliditas è quella che per lui veramente importa. Di qui i caratteri fondamentali della sua pedagogia.

I. Il naturalismo: la massima parte della Didactica Magna è una ricerca delle leggi dell'educazione, fatta in base alle leggi della natura. Si tratta peraltro d'un naturalismo prescientifico e spesso ingenuo, malgrado i luminosi corollarî pratici che ne cava il genio di K. Le leggi dell'educazione non scaturiscono dalla specifica natura psicologica dell'uomo, ma sono indicate per analogia coi processi osservabili nella natura esterna. In tal modo la massima opera di K. stabilisce i fondamenti: 1. per prolungare la vita: 2. per piantare e far germogliare con certezza i semi dell'istruzione e dell'educazione; 3. per la facilità dell'insegnare e dell'imparare; 4. per la solidità dell'insegnare e dell'imparare; 5. per la rapidità dell'insegnare con risparmio di tempo e di fatica. Tale naturalismo è in K. pienamente d'accordo col suo trascendentalismo. La vita terrena è preparazione alla vita eterna, nella quale è la piena attuazione dell'essere umano, come la vita intrauterina è preparazione alla terrena. Ugualmente, l'istruzione è scala alla virtù, che è dominio di sé e delle cose, e l'una e l'altra sono scala al fine supremo, la religione o devozione alla volontà di Dio. Ma di questi beni spirituali i germi sono nella natura nostra. Il naturalismo di K., in modo non molto diverso da quello di Rousseau, ha una delle sue radici in un ottimismo religioso.

II. L'attivismo, che gli fa esplicitamente assimilare l'arte del maestro alla maieutica di Socrate. Laboratorium perpetuum e Humanitatis officina chiama la scuola, non solo perché in essa gli alunni devono essere continuamente operosi, insieme col maestro, ma perché necesse est pueros quoque homines fieri umana tractando. Fabricando fabricamur. Oltre alle scienze, vanno apprese le arti (intese in senso largo), e ciascuna di queste col fare, che dev'essere anzitutto un imitare; non solo, ma anche le lingue vanno studiate per pratica, per esempî e per uso, sebbene i precetti devano soccorrere, e la loro conoscenza deve, essenzialmente, in res tendere; e, in genere, ogni conoscenza deve culminare nell'applicazione, nella quale soltanto si raggiunge l'intendimento e il possesso pieno della cosa. Quindi va bandito ogni insegnamento verbalistico, fondato sull'autorità o sulla memoria, che K. condanna come causa della decadenza degli studî e della vita spirituale in genere. Metodo costante deve essere l'autopsia, come K. la chiama, cioè la diretta osservazione, mediante i sensi, delle cose o almeno delle loro immagini, quindi razionale comprensione di esse: e questa dev'essere quanto più è possibile genetica. K. ripete con Bacone che veramente conoscere è per causas scire. Quindi anche: a) il fondamento intuitivo del metodo, onde le conoscenze partano sempre dai sensi e le cose sian le prime maestre dell'uomo: K. ha offerto nell'Orbis sensualium pictus il primo testo per lezioni di cose e per l'applicazione del metodo intuitivo: dalla Schola naturalis seu physica, quella dell'esperienza esterna, ci dobbiamo sollevare (com'è detto nella Via Lucis) a quella razionale o metaphysica, nella quale il maestro è interno a noi, è dato, cioè, dal complesso di principî razionali e di esigenze spirituali che controllano, integrano, correggono, interpretano i dati dei sensi, e infine a quella hyperphysica, nella quale maestro è Dio con la sua rivelazione, col Verbo; b) "il realismo reale", com'è stato chiamato, che veramente trionfa con K.: la conoscenza che importa è quella delle cose, conquistata sulle cose: suppellettile adatta all'insegnamento sperimentale, libri illustrati, escursioni e visite a botteghe, fabbriche, lavori agricoli ecc. sono richiesti da K. come mezzi indispensabili. Le lingue andranno studiate solo come strumenti per la conoscenza e sempre in connessione con gl'insegnamenti reali: mai la parola sia staccata dalla cosa, ma serva a questa. Più importante, la lingua materna, mediante la quale ogni altra va studiata: a essa seguirà qualche lingua moderna (un anno per ciascuna), avanti l'ingresso nella scuola latina: poi verranno il latino (due anni), il greco (un anno), l'ebraico (un anno). L'apprendimento ne sarà enormemente facilitato seguendo uno schema e un metodo identico, e cioè: successione d'una lingua all'altra, parallelismus rerum et verborum accuratus, gradazione scrupolosa, riduzione della grammatica al minimo, prevalenza dell'insegnamento diretto e dell'esercizio pratico. In tutto, l'autopsia deve risolversi in autopratica. Conversazione, domande e risposte, azioni sceniche, ecc., devono avere gran parte nella scuola, come in genere emulazione e insieme collaborazione attiva fra alunni. K. applica l'insegnamento mutuo: ogni alunno deve farsi subito maestro di ciò che ha appreso per averne conoscenza più chiara e sicura: perciò K. non solo non rigetta, ma preferisce classi numerosissime.

III. Il liberalismo dei metodi. In genere il fanciullo è per natura buono e amante del vero. Tutto deve partire dall'interesse destato in lui da una disposizione favorevole. La disciplina dev' essere fondata sull'amore, sullo spontaneo prestigio della personalità del maestro, sul lavoro intenso e ben ordinato. La scuola dev'essere gioiosa e serena, abbellita dall'arte, fornita di giardino, allietata dai giuochi. Nella sua aspirazione a render facile e rapido l'apprendimento, K. è sorretto dalla sua fede profonda nell'ordine e nel metodo: in un metodo universale, quale crede il suo, ricavato ex ipsissima immota rerum natura, omnes omnia prompte et solide docendi artificium exhibens. Avere vista l'importanza di tutti gli aspetti e aver curato, con genialità di maestro, tutti i particolari dell'ordinamento e della vita della scuola, è uno dei meriti insigni di K.

IV. L'ordinamento ciclico. Poiché l'uomo è sempre un microcosmo, in ogni periodo del suo sviluppo l'educazione deve abbracciare tutte le parti del sapere. Ogni grado dell'istruzione deve perciò sviluppare in cerchi più larghi e approfondire quella del grado precedente (insegnamento ciclico). In base a questo principio, K. divide simmetricamente in 4 periodi l'età umana destinata all'educazione: 1. Schola materni gremii o scuola materna (fino ai 6 anni), per la quale egli ha il merito d'aver fornito il primo testo, insistendo sull'educazione dei sensi e sull'esercizio dell'attività motrice; 2. Schola vernacula o scuola popolare (dai 6 ai 12 anni), che deve coltivare immaginazione, memoria e intelletto, e per i cui sei corsi K. compilò testi ora perduti, 3. Schola latina (dai 12 ai 18 anni), le cui sei classi si chiamano grammatica, fisica, metafisica, morale, dialettica, retorica, ma che comprende, nel suo piano, anche la musica e il canto, e un programma di storia in ogni classe, oltre all'insegnamento di lingua materna, latino, greco ed ebraico; 4. Academia, cioè l'università (dai 18 ai 24 anni), che ha il compito di sviluppare lo spirito scientifico in una branca determinata.

L'influenza di K. è stata immensa. A. Reyher, G. Rave, C. Kinner, G. Mochinger, Giov. Docemio, G. Jung, Moser, Z. Schneider, S. Evenio, G. G. Sybold, G. G. Redinger, M. Hesenthaler, G. Vechner, W. Frey, A. Weinheimer lavorarono nel suo secolo, in Germania e fuori, sulle sue tracce, riformando la scuola. Risentono la sua azione diretta le riforme di Ernesto il Pio in Sassonia-Gotha e molti altri movimenti del secolo successivo, compresi il pietismo e le sue Realschulen e il filantropismo e persino alcune idee di neo-umanisti come Gesner ed Ernesti. La sua Janua e i suoi metodi d'insegnamento linguistico penetrano o agiscono nelle scuole dei portorealisti e dei gesuiti, mentre in Inghilterra il suo influsso si esercita sul Milton, sul Petty, sul Hoole, sullo stesso Locke. In genere tutto il naturalismo pedagogico moderno, anche se Rousseau e Pestalozzi non hanno direttamente conosciuto il grande pedagogista boemo, come tutto il concetto moderno, pieno e organico, della scuola dipendono in gran parte dall'influsso potente del suo genio d'educatore, che riflette, pur attraverso elementi tradizionali e contradittorî, lo spirito nuovo di Bacone, di Galileo e di Campanella e che con tale spirito ha tentato, oltre che la prima radicale riforma pratica, la prima organica sistemazione della pedagogia come scienza.

Bibl.: S. S. Laurie, J. A. C., His life and educational Works, 6ª ed., Londra 1899; J. Kvačala, J. A. C., Sein Leben u. seine Schriften, Berlino-Lipsia 1892; id., J. A. C., Berlino 1914; id., Die päd. Reform des C. in Deutschland bis zum Ausgange des XVIII. Jahrh., nei Mon. Germ. Paedag., Berlino 1903-04; J. V. Novák, J. A. K., Praga 1920 segg.; Will. S. Monroe, C. and the Beginnings of Ed. Reform, 3ª ed., New York 1907; A. Heyberger, J. A. C., Sa vie et son œuvre d'éduc., Parigi 1928; Ad. Faggi, Il Galileo della pedag., Torino 1902; F. Orestano, C., in I diritti della scula, 1906; A. Poggi, C., Roma 1930.