HUS, Jan

Enciclopedia Italiana (1933)

HUS, Jan (Giovanni)

Giovanni Maver

Nacque nel 1369 a Husinec presso Prachatice nella Boemia meridionale.

La data di nascita non è del tutto sicura. Essa ha tuttavia il suffragio della tradizione secondo la quale H. sarebbe nato quando Carlo IV si trovava in Italia; non contraddice all'affermazione di H. di non avere ancora, nel 1414, cinquant'anni, ed è infine fornita, nel 1590, dall'umanista boemo Petrus Codicillus. Circa il luogo di nascita non sembra necessario accettare l'ipotesi di chi ora a Husinec della Boemia meridionale sostituisce un altro Husinec presso Praga. Certo è, a ogni modo, che H. trae il suo cognome da Husinec (quasi un'abbreviazione e un ritorno all'etimo hus "oca").

I genitori erano probabilmente poveri e di umile condizione. Prima del 1386 H. viene a Praga e s'iscrive alla facoltà degli artisti rivelandosi studente pieno di zelo e ambizione. Lo seduce presto la carriera ecclesiastica, "per poter mangiare bene, vestirsi bene ed essere stimato dal popolo", come confesserà più tardi egli stesso. E confesserà anche di aver preso parte alla vita piuttosto scapestrata degli studenti praghesi. Nel 1393 è baccelliere, tre anni dopo "magister" nella facoltà delle Arti. A giudicare dal risultato degli esami non è uno studente eccezionale: tuttavia dimostra buone attitudini allo studio. Ci sono buone ragioni per supporre che nel 1398 egli abbia accompagnato in Francia Venceslao IV nel suo convegno a Reims col re Carlo. Alla fine dello stesso anno egli figura già fra gli esaminatori e promotori di baccellieri, fra altri di Girolamo di Praga. Nel 1401 la facoltà delle Arti lo nomina decano, e nello stesso anno (o nel 1400) egli è consacrato sacerdote.

S'inizia allora anche la sua attività di predicatore. In un primo tempo predica, per propria iniziativa, anche nella chiesa di S. Michele nella Città vecchia. Le sue prediche, ascoltate da un pubblico numeroso, sono poi anche lette e copiate. E da allora sino alla fine della sua vita l'argomento centrale delle sue prediche è l'elevamento della vita spirituale dei laici e del clero. Nel 1402, pare col beneplacito del re Venceslao, egli è prescelto a predicatore della cappella di Betlemme, che, fondata nel 1391, era di già considerata propugnacolo principale delle correnti riformatrici e destinata in primo luogo alla predicazione in lingua cèca. Ad ascoltare la parola del giovane H. accorrono in folla borghesi e nobili, sicché la cappella diventa presto la tribuna donde, per più di un decennio, H. agiterà problemi religiosi e morali. Nel fervore religioso s'insinuava pian piano l'esaltazione nazionale: e già nella chiesa di S. Michele egli aveva inveito contro lo scarso patriottismo dimostrato dai Cèchi nel difendere Venceslao, cui i principi elettori avevano tolto il trono imperiale. Con ciò H. ha già precisato la sua condotta futura; riforma della vita morale e difesa della nazione cèca sono i suoi due ideali principali. Non lo intende appieno chi separa l'uno dall'altro, e per giudicarlo ricorre soprattutto alla sua dottrina religiosa, che è il lato meno importante, certo il meno originale, della sua attività. E il mezzo principale con cui egli tenacemente mira a raggiungere il suo scopo non sono i suoi trattati, per quanto numerosissimi, ma la parola viva della cui straordinaria efficacia, più che i testi tramandatici, fanno fede le testimonianze indirette.

La cultura di H., di tipo schiettamente medievale, appare sin dai primi anni ampia e viva. Il temperamento ambizioso e bellicoso vi aggiunge una nota, meno simpatica, di soverchia sicurezza di sé, d'intransigenza anche colà dove appare incline a compromessi. L'umanesimo, che pure a praga durante il regno di Carlo IV aveva avuto un inizio promettentissimo, lo ha appena sfiorato. Buon conoscitore del latino, egli ha anche qualche vaga conoscenza del greco e dell'ebraico. Suoi autori preferiti sono Sant'Agostino, Sant'Ambrogio, Sant'Anselmo, San Gregorio e Giovanni Crisostomo. Inoltre il Compendium theologicae veritatis, i Libri quattuor sententiarum di Pietro Lombardo, il Decretum Gratiani. Nessuno però è stato da H. più studiato e più imitato dell'inglese Wycliffe, la cui conoscenza si stava allora rapidamente diffondendo a Praga e nelle opere del quale i riformatori boemi avevano trovato l'espressione perfetta delle proprie tendenze e delle proprie aspirazioni. Ma del professore inglese i Cèchi conobbero in un primo tempo soltanto le opere filosofiche - di quelle teologiche si avevano sino al 1400 nozioni sporadiche e frammentarie - e H. stesso ne subirà soltanto col tempo la preponderante influenza. Ora, non vi può essere dubbio, per quanto le prove dirette scarseggino, che l'opera di H. sia strettamente connessa con quella di tutto un gruppo di precursori, fautori, fra altro, del realismo filosofico (che a Praga era appunto professato dai Cèchi in opposizione ai Tedeschi, sostenitori del nominalismo); del famoso predicatore e asceta Jan Milič (morto nel 1374) avversario di ogni simonia e rilassatezza morale; del dottore di Parigi Matej da Janov (circa 1350-1394), assertore della sufficienza della Bibbia, avversario del culto delle immagini e delle reliquie; di Tomás da Stitny (circa 1331-1401) che trattò in lingua nazionale anche questioni teologiche. Alcuni di questi precursori di H. s'incontrano con Wycliffe che trae le sue argomentazioni da un'atmosfera religiosa e culturale non molto diversa da quella che è caratteristica di Praga nella seconda metà del sec. XIV.

L'attività di H. non si limita alle sole prediche, frequentate persino dalla regina Sofia: anche all'università egli è operosissimo. Non gli manca la stima dei colleghi - fra i quali conta, però, avversarî irriducibili - ed è quasi sicuro che nel 1402-14 vi coprisse la carica di rettore. Sono proprio gli anni in cui a Praga cominciano a diffondersi le opere teologiche di Wycliffe, portate dall'Inghilterra da Girolamo di Praga. La reazione da parte dei maestri tedeschi (fra quelli cèchi gli avversarî di Wycliffe sono rari) è immediata; 45 articoli di Wycliffe vengono condannati dall'università. Era questa una sconfitta del partito cèco, capitanato allora da Stanislao da Znojmo, maestro di H., e da Páleč, accaniti sostenitori di Wycliffe (dieci anni dopo tutti e due, e specialmente Páleč, saranno fieri oppositori di H.). H. invece, di fronte a Stanislao che con Wycliffe nega apertamente la transustanziazione, si mantiene piuttosto neutrale, e si limita a protestare contro l'inesatta citazione degli articoli incriminati. Questo suo atteggiamento, per quanto vi appaia già la sua tendenza a troppo sottilizzare, deve aver rinforzato la sua posizione. A lui, infatti, che intanto proseguiva gli studî teologici, è affidato il discorso in occasione delle feste in memoria del fondatore dell'università, Carlo IV. Nel 1404 egli è promosso baccelliere in teologia e comincia a tenere dei corsi teologici all'università.

Nella sua tenace campagna per la riforma del clero, H. aveva da principio un forte appoggio nel giovanissimo arcivescovo di Praga Sbinco (Zbyněk) Zajíc da Hasenburg; valoroso soldato, partigiano di Venceslao, ma debole teologo e, quindi, nelle questioni religiose accessibilissimo alle influenze altrui. Quale fosse allora l'ascendente di H. sull'arcivescovo risulta dal fatto che questi, basandosi sul parere di una commissione universitaria capitanata da H., proibì ai suoi diocesani, sotto pena di scomunica, di far parte di pellegrinaggi che in quel tempo movevano verso Wilsnack (Brandeburgo) per venerarvi un'apparizione del "sangue di Cristo". H. stesso, forse in collaborazione con Stanislao da Znojmo, pubblicò nel 1405 il trattato De sanguine Christi nel quale si scaglia con asprezza contro coloro che "per mendacia seducunt populum" Fu questo uno dei primi grandi successi di H.: né sorprende che, parlando lo stesso anno dinnanzi al sinodo sul tema Diliges dominum tuum (Matteo, 22, 37), egli ottenesse il plauso dell'arcivescovo e di "tanta multitudine cleri, qualis ante plurimos annos numquam similis fuit visa". L'impressione del discorso, che invocava appassionatamente un elevamento morale di tutto il clero, deve essere stata enorme; il vicario generale invitò i presenti a regolare la loro vita sulle esortazioni di H. Eppure questo discorso conteneva già qualche affermazione contraria alla dottrina stessa della Chiesa. Fra altro vi si riscontra, in forma non ancora definitiva, quella definizione della Chiesa ("Ecclesia est praedestinatorum universitas et illa vocatur corpus Christi mysticum... Integratur autem sancta mater ecclesia ex tribus partibus... vulgus... seculares domini... clerus", Op., II, 28) che sarà, a Costanza, uno dei principali capi d'accusa contro H.

Informato del rapido diffondersi in Boemia delle dottrine wycliffiane, Innocenzo VII esortò l'arcivescovo Sbinco a estirpare dalla sua diocesi l'eresia (24 giugno 1405). Sbinco ubbidì, H. invece cercò anche questa volta di assumere un atteggiamento che, formalmente, era conciliante. Nel trattato De corpore Christi, che si appoggia sul trattato De Eucharistia dl Wycliffe, non nega apertamente il dogma della transustanziazione, e così anche al concilio di Costanza egli non si stancherà di affermare che non aveva mai approvato il "manent" ("Substantia materialis panis et vini manent in sacramento altaris") del Wycliffe. Ancora una volta egli uscì dal conflitto che si stava delineando senza la taccia diretta di eretico. Poteva così riprendere con successo crescente la sua attività di predicatore e continuare anche i suoi studî teologici, raggiungendo nel 1407 il grado di baccelliere in teologia e iniziando, subito dopo, con ampia erudizione, il suo commento Super quattuor libros sententiarum di Pier Lombardo, la sua opera più vasta. L'influenza di Wycliffe vi è poco diffusa, ma ciò nonostante H. sempre più gli si avvicina e sempre più si mette in prima linea fra i wycliffiti boemi. L'arcivescovo se ne allarma e proibisce anche le prediche contro il clero, mirando questa volta direttamente contro H. Ma questi non si dà per vinto e nel trattato De arguendo clero (1408) sostiene la necessità che i sacerdoti indegni, avendo pubblicamente peccato, siano anche pubblicamente puniti.

Ad acuire il conflitto e a dargli maggiormente un carattere nazionale contribuisce il grande scisma d'Occidente. D'accordo con la Francia, Venceslao si decide, nel 1408, per la neutralità, cioè contro ambedue i papi Gregorio XII e Benedetto XIII. Sono con Venceslao quasi tutti i maestri cèchi; Sbinco invece, l'alto clero e i Tedeschi serbano ubbidienza a Gregorio.

La rottura dei rapporti tra Hus e Sbinco è completa. L'università, investita della questione, si associa con tre voti contro uno - era il voto della nazione cèca - all'arcivescovo. Da H. e dai suoi amici questo voto dell'università è considerato un'offesa inflitta ai Cèchi. Sotto la loro influenza Venceslao emana il decreto di Kutná Hora (19 gennaio 1409) che - seguendo del resto l'esempio analogo offerto dall'università di Vienna nel 1384 - inverte le proporzioni dei voti all'università: tre voti spetteranno d'ora in poi alla nazione cèca, un solo alle altre nazioni (che per altro, guidate dai Tedeschi, usavano procedere concordi). Il punto di vista cèco è formulato nella Defensio mandati regis Venceslai di cui H., allora gravemente malato, è certo l'ispiratore. Il 16 maggio 1409 la "nazione tedesca" (circa 1000 tra studenti e professori) abbandona l'università e fonda l'università di Lipsia. H. trionfa, e l'università, ormai quasi esclusivamente cèca, lo elegge ancora una volta a rettore.

L'arcivescovo, la cui posizione con l'esodo dei Tedeschi risultava indebolita, getta l'anatema su Hus e gli altri seguaci di Wycliffe, colpendo poco dopo Praga d'interdetto, e invitando H. - che apertamente approvava le sanzioni del re contro coloro che osservavano l'interdetto - a scolparsi dinnanzi all'inquisitore dell'accusa di eresia e di istigazione del popolo contro il clero. Dall'inchiesta H. esce senza alcun danno. Allora Sbinco si rivolge al papa Alessandro V, che gli ordina di proibire la predicazione in luoghi privati (il che voleva dire nella cappella di Betlemme) e di procedere col massimo rigore contro i wycliffiti. Una commissione convocata dall'arcivescovo condanna tutti i libri di Wycliffe e l'arcivescovo ordina di bruciarli (ne aveva chiesto già prima la consegna per il loro esame). L'universita, e H. per essa, si oppone alla loro condanna totalitaria e distruzione; anzi, nel trattato De libris haereticorum legendis, pur riconoscendo implicitamente che essi contenevano insegnamenti eretici, H. sostiene l'opportunità e necessità che siano letti e meditati.

Ai 16 luglio 1410 i libri di Wycliffe furono bruciati pubblicamente. Ne derivò una sempre maggiore aderenza di H. alle dottrine del riformatore inglese, del quale difese il libro De Trinitate. Ancora una volta Sbinco querelò H. a Roma. Giovanni XXII fece esaminare le accuse prima dall'università di Bologna, poi dal cardinale Oddone Colonna; l'una e l'altro condannarono più o meno recisamente i libri di Wycliffe e H.: quest'ultimo non per eresia ma per disubbidienza. Ma Venceslao, che aveva tentato invano di proteggere H. a Roma, ricorse a sua volta a ritorsioni contro l'arcivescovo: e di fronte a un suo rinnovato interdetto lanciato sulla città di Praga, ordina ai Praghesi di non ubbidire. Sbinco allora fugge da Praga, ma muore per strada, a Bratislava (settembre 1411).

Intorno al 1405 Hus comincia a usare nelle sue opere, accanto al latino, anche il cèco. Si tratta di brevi opuscoli diretti al pubblico ignaro del latino, come Výklad piesniček Šalomúnových (Commentario dei canti di Salomone), o i brevi Devět kusuov zlatých (Nove articoli aurei) o il trattato Provázek třípramenný z víry, lásky a naděje (Fede, amore e speranza: la triplice sorgente). Maggiore interesse hanno i suoi sforzi per diffondere canzoni religiose in lingua cèca, che, per sua iniziativa, venivano cantate durante la messa. Si tratta di poche canzoni, due delle quali sicuramente di H. stesso, ma la loro importanza è grande, se si pensa, fra l'altro, al posto cospicuo che il Lied religioso occupa nella chiesa luterana. Veramente geniale infine è la sua riforma dell'ortografia cèca fissata nel trattato De ortographia bohemica (1406?). Per ogni suono sconosciuto al latino egli propone una lettera con l'aggiunta di un segno diacritico. Così per le vocali lunghe á, é, í, ecc., e per le consonanti particolari alla lingua cèca č, š, ž. Queste proposte sono state accolte col tempo non soltanto dai Cèchi, ma su esse si basa anche l'ortografia odierna degli Slovacchi, Sloveni e Croati (cioè, ad eccezione dei Polacchi, degli Slavi cattolici che usano i caratteri latini). E sul sistema diacritico si basa oggi anche la trascrizione scientifica.

Più si avvicina alla sua fine, e più l'attività di H. si fa febbrile, multiforme, recisa, ostinata. Egli è ancora, quando occorre, circospetto: non crede che Wycliffe sia eretico, ma non lo nega neanche (Positio contra Anglicum Stokes, 1411), non nasconde la sua ammirazione per lui, e lo segue per es. nella dottrina della predestinazione (Explicatio in septem priora capita epistolae I Pauli ad Corinthios) e comincia ora a servirsi di un altro mezzo per influire su sempre più ampî ceti della popolazione: le lettere. Il nuovo segnale di battaglia, fu la promulgazione da parte di Giovanni XXIII di nuove indulgenze. Insieme con altri riformatori, H. vi si oppone con violenza; egli nega ubbidienza al papa (Quaestio de indulgentiis, Contra bullam papae), incita l'università, la città, la campagna, la provincia e lo stesso re polacco Ladislao all'aperta ribellione. Ma Venceslao questa volta non lo segue e non lo aiuta. La lotta si fa impari. Anche Stanislao da Znojmo e Stefano Páleč si staccano da H. A Praga avvengono gravi conflitti, e tra gli "ussiti" cadono le prime vittime. Di nuovo si cerca di colpirlo per la sua adesione a Wycliffe, e di nuovo e più recisamente H. difende sé stesso e il suo maestro inglese (Defensio articulorum Wyclef). Da Roma giunge per lui la condanna più grave: egli deve essere deferito all'autorità ecclesiastica e la cappella di Betlemme, roccaforte dell'eresia e disubbidienza, rasa al suolo. Ancora, riferendosi a Giovanni Crisostomo e richiamandosi al Giudice Supremo, H. nega l'ubbidienza e continua a predicare. Ma poi, sollecitato dal re, affranto, ma non domato, abbandona Praga.

Nell'esilio scrisse, fra altro, il trattato cèco Výklad viery, desatera božieho prikázanie a modlitby Páně (Esposizione del Credo, del Decalogo e della preghiera del Signore), che, fortemente influenzato da Wycliffe, cerca di spiegare gli obblighi morali al popolino, e in modo particolare al basso clero.

Al principio del 1413 H. ritorna a Praga e riprende le prediche nella sua cappella, alla cui distruzione si era opposto il popolo di Praga. Da allora sino al viaggio a Costanza, H., seguendo i consigli e gli ordini di Venceslao, si trova ora a Praga, ora in esilio.

A Praga scrive, sempre in cèco e in forma oltremodo aspra, O svatokupectví (Della simonia), ha numerose dispute coi suoi avversarî (Contra Palecz, Contra Stanislaum, Refutatio scripti octo doctorum theologiae) che, a loro volta, non cessavano di attaccarlo. Nel 1413 H. termina l'importante trattato De ecclesia che si diffuse presto in Francia e a Roma e che per lungo tempo, finché cioè se ne constatò la stretta dipendenza da Wycliffe, era considerato l'opera principale di H. Il nucleo del trattato sta nella concezione della chiesa come società dei predestinati di cui unico capo è Cristo. Nello stesso anno H. compilò anche la Postila, čili Vyloženie svatých čteni nedělnich (P., o esposizione delle sacre letture domenicali). A Kozí, nella Boemia meridionale, svolse allora anche una fervida attività predicando nei campi e nei boschi. La sua parola esaltata infiammava migliaia di contadini e artigiani; e città intiere accettavano la sua dottrina. Sono le regioni, ove dopo la morte di H. sorgerà il più radicale e più ardito ussitismo (v.).

Con tutto ciò premeva a H. di allontanare da sé il marchio dell'eresia. Accettò quindi la proposta dell'imperatore di presentarsi al concilio di Costanza con un salvacondotto. Ma non è privo d'importanza che egli vi si recasse senza coercizione alcuna.

Prima di partire pubblicò in lingua latina, cèca e tedesca un proclama col quale invitava chiunque intendesse accusarlo di eresia, di farlo dinnanzi all'arcivescovo; di fronte al quale intendeva scolparsi. Poiché nessuno si presentò, e anzi a H. fu vietato l'accesso alla curia arcivescovile, egli richiese da parte del re la conferma dell'esito negativo del suo proclama. Preparò allora discorsi che sperava di poter tenere a Costanza per difendersi, ed era pieno di fiducia che il concilio avrebbe finito per schierarsi dalla sua parte.

H. iniziò il suo viaggio l'11 ottobre 1414, accompagnato dal fedele allievo Petr da Mladoňovice. Poche settimane dopo giungeva a Costanza, ove il papa garantì ai rappresentanti di Sigismondo che non gli sarebbe fatta violenza alcuna. H. si sentiva sicuro, e in quei giorni scrisse un trattatello Utrum expediat laicis fidelibus sumere sanguinem Christi sub specie vini, che avrà, dopo la sua morte, una grande importanza nella dottrina degli utraquisti e la cui tesi - al quesito H. rispondeva affermativamente - fu subito sfruttata dagli accusatori di H. Il principale di questi (non pochi erano tedeschi) era appunto Paleč, già seguace radicale di Wycliffe. Le sue accuse trovarono un valido sostenitore nel cardinale Pietro d'Ailly che ai 28 novembre, d'accordo con altri cardinali, fece arrestare H., col pretesto di un colloquio amichevole. Da H. si richiese anzitutto di precisare la sua opinione sui noti 45 articoli di Wycliffe. H. rispose tre volte e non sempre nella stessa maniera. In alcuni punti egli si difese con sottigliezza, in altri con la massima precisione, negando, ad esempio, di aver mai sostenuto la dottrina dell'Inglese contro la transustanziazione. Sigismondo, venuto nel frattempo a Costanza, si trovò nella quasi impossibilità di liberarlo dalla prigione, poiché in tal caso i cardinali minacciavano di sciogliere il concilio. Pochi mesi dopo H. fu condotto alla fortezza di Gottlieben. Dalla prigione non si stancava di scrivere lettere che rispecchiano il suo animo e il suo grande stoicismo, ma anche, fra altro, la sua preoccupazione che il concilio non giunga a conoscenza del suo trattato più radicale Contra occultum adversarium. Il 5 giugno fu ammesso la prima volta dinnanzi al concilio, dove però pretese invano che i suoi errori fossero dimostrati tali con la Sacra Scrittura. Nell'ultima udienza gli furono letti 39 articoli, redatti dopo un lungo esame e una triplice revisione, la maggior parte dal libro De ecclesia, e quasi tutti corrispondenti alla dottrina di Wycliffe. Egli ne negò alcuni e difese gli altri. Non accettò però di sottomettersi senz'altro al concilio. Desiderava invece che gli fosse chiaramente dimostrata l'eresia; allora non avrebbe esitato a ritrattarsi. Tutti i tentativi per indurlo alla ritrattazione, anche la più generale e mite, fallirono. Il 24 giugno i suoi libri furono bruciati: il 6 luglio fu condannato. Egli si Appellò a Cristo e ricordò ai giudici di essersi recato al concilio spontaneamente, col salvacondotto del re, presente alla condanna. Contro la qualifica di eretico protestò; nessuna eresia gli era stata dimostrata dai suoi scritti latini, quelli cèchi non erano stati neanche letti. Allora fu degradato e rimesso al potere secolare. Cantando e pregando si avviò al luogo del supplizio; già legato al palo, fu invitato a salvarsi ritrattando gli articoli incriminati. Ma egli rispose: "Dio mi è testimone che non ho mai insegnato quello di cui falsi testimonî m'incolpano. Morrò oggi con gioia per la verità del Vangelo che ho predicata e insegnata". Subito dopo le fiamme lo avevano già avvolto. I suoi abiti furono gettati nel fuoco e la cenere sparsa nel Reno. Un anno dopo finiva sul rogo anche il suo amico Girolamo da Praga; la loro fine segna il principio dell'ussitismo (v.).

Tenacia di propositi e forza di volontà sono i tratti fondamentali del carattere di H., e anche la coscienza imperturbabile della propria missione. La sua passione, il suo zelo non erano sempre disgiunti dall'ambizione e dall'odio. Battagliero a oltranza, egli non recedeva mai dalle sue convinzioni. D'ingegno fine e di spirito mordace, egli trovava sempre, se non altro in ragionamenti sofistici, il modo di non darsi per vinto. La fama della sua illibatezza, il suo ascendente sulle folle gli procurarono una grande popolarità e amici fedeli e devoti. Nel disprezzo dei nemici oltrepassava spesso il segno e non sorprende quindi che abbia avuto avversarî irriducibili. Nel campo ecclesiastico egli negava ogni potestà di giurisdizione alla chiesa, non riconoscendole altra autorità se non quella basata esclusivamente sulla dignità morale; nel campo politico avrebbe visto volentieri un rinforzarsi del potere secolare e un rinsaldamento dell'autorità statale; nel campo nazionale è evidente il suo odio per i Tedeschi (anche se qualche volta mitigato da espressioni di fugace simpatia) e il suo fervente amore per il popolo cèco.

Fonti. - Numerosissimi sono, a Praga, Bruna, Vienna, Leningrado e altrove, i manoscritti delle singole opere di H. A partire dal 1509 esse appaiono anche a stampa, specialmente quelle cèche. La prima importante edizione latina di lettere, documenti ecc., sono le Epistolae quaedam piissimae et eruditissimae, Wittemberg 1537. Oggi ancora in parte insuperata è l'opera Johannis H. et Hieronymi Pragensis, martyrum Christi, historia et monumenta (a cura di Flacio Illirico), Norimberga 1558. Per H. al concilio di Costanza v. H. Hardt, Magnum oecumenicum Constantiense concilium, Francoforte e Lipsia 1697-1700. Inoltre: Fr. Palacký, Documenta Mag. Joh. H. vitam, doctrinam, causam... illustrantia, Praga 1869; K. J. Erben, Spisy Husovy (Opere cèche di H.), voll. 3, Praga 1865-1868; Spisý M. Jana H. (alcune opere latine di H.), voll. 6, ed. da V. Flajšhans, Praga 1903-1907.

Bibl.: V. Novotný, M. Jan H., Život a dílo (Vita e opere), voll. 2, Praga 1919-1921; V. Kybal, Učeni Mistra J. Husa (La dottrina di J. H.), voll. 3, Praga 1923-1927 (queste due opere, fondamentali per lo studio di H., formano una unità). Inoltre: K. Krofta, Novější badání o H. a hnutí husitském (Ricerche recenti intorno a H. e al movimento ussitico), Praga 1915; B. Spáčil, Učeni M. J. H. (La dottrina del M. J. H.), Bruna 1931; J. Sedlák, M. J. H., Bruna 1915; V. Flajšhans, Mistr J. řečený H. (M. J. detto H.), Praga 1901-1904; T. G. Masaryk, J. H. Naše obrozeni a naše reformace (J. H. Il nostro risorgimento e la nostra riforma), Praga 1896; 4a ed., 1923; J. Jakubec, Dějiny literatury české, I, Praga 1929; E. Denis, H. et la guerre des Hussites, Parigi 1878; Fr. Lützow, Life and times of Master J. H., 1909; David S. Schaff, J. H., 1915; L. Krummel, Geschichte der böhmischen Reformation, Gotha 1866; G. Lechler, J. H., Halle 1890; J. Loserth, H. und WIclif, zur Genesis der husitischen Lehre, Praga 1884; 2a ed., Monaco 1925; F. Strunz, J. H., sein Leben und sein Werk, Monaco 1927.

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