Lamarck, Jean-Baptiste-Pierre-Antoine de Monet chevalier de

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Naturalista francese (Bazentin le Petit, Somme, 1744 - Parigi 1829); gli si devono importanti contributi in geologia, meteorologia, botanica, zoologia, paleontologia, e in particolare la prima teoria dell'evoluzione. Destinato alla carriera ecclesiastica, dopo la morte del padre si volse a quella militare e solo intorno al 1768 prese a occuparsi di storia naturale. Membro dell'Académie des sciences, nel 1789 ottenne un impiego come botanico al Jardin du Roi e dal 1795 fu professore di zoologia degli Invertebrati nel Muséum d'histoire naturelle. Rischiò di compromettere la sua reputazione cercando di confutare la "nuova chimica" di Lavoisier, ma fu ugualmente chiamato a contribuire alle maggiori imprese editoriali dell'epoca: l'Encyclopédie méthodique e il Nouveau dictionnaire d'histoire naturelle. Allo scoppio della Rivoluzione si era schierato con i repubblicani rinunciando al titolo nobiliare. Morì cieco e poverissimo. n L. affermò i principî dell'attualismo e dell'uniformismo circa la natura e i tempi del mutamento geologico, aumentando considerevolmente l'età della Terra (Hydrogéologie, 1802). Seguendo le indicazioni di G.-L. Buffon e J. Hutton nella direzione che avrebbe portato alle tesi di Ch. Lyell, L. pensò infatti al mutamento geologico, in un'epoca dominata dal catastrofismo di G. Cuvier, come a un processo lento e graduale, causato da agenti naturali empiricamente accertabili, e all'età della Terra come a una grandezza dell'ordine di "milioni di secoli". Fu tra i primi a credere nelle possibilità della meteorologia, pubblicando almanacchi (Annuaires météorologiques, 11 voll., 1800-10) che, pur avendo uno scopo commerciale, erano empiricamente fondati e rigorosamente concepiti. Essi vennero peraltro molto criticati dalla comunità scientifica, ma soltanto perché concernevano fenomeni che, caduti in discredito insieme con la tradizione astrologica, non erano considerati un possibile oggetto di trattazione scientifica. In botanica e zoologia L. rivelò appieno il suo spirito sistematico, teorizzando la possibilità (in un'epoca dominata da approcci nominalistici e soluzioni strumentalistiche) di comporre classificazioni realmente "naturali", fondate sull'ordine intrinseco della specie. La sua Flore française (1778) ebbe un grande successo, ed è ancora ricordata per l'introduzione di chiavi rigorosamente dicotomiche. In campo zoologico la sua riforma della sistematica fu ancor più radicale; si deve a L. la distinzione stessa fra Vertebrati e Invertebrati (1795), e una distribuzione finalmente accettabile di questi ultimi, suddivisi fino ad allora nelle due sole classi degli Insetti e dei Vermi. A partire dal Système des animaux sans vertèbres (1801), L. li distingue sempre più rigorosamente fino a giungere al seguente dettaglio: Infusorî, Polipi, Radiati, Vermi, Insetti, Aracnidi, Crostacei, Anellidi, Cirripedi, Molluschi. La sua monumentale Histoire naturelle des animaux sans vertèbres (7 voll., 1815-22), in cui propone di contemplare anche le Ascidie, verrà utilizzata per decennî e privilegiata dallo stesso Ch. Darwin. L. fu inoltre il principale responsabile del passaggio dall'immagine tradizionale della natura (la "grande catena dell'essere"), essenzialmente statica, a quella moderna dell'albero da lui concepita come un albero genealogico. Egli portò a termine il processo, avviato nel Settecento, di laicizzazione della natura, procedendo a una piena valorizzazione dei reperti fossili, che vennero finalmente inseriti nelle classificazioni colmandone le lacune. La ritrovata continuità della natura, e il fatto che a garantirla fossero i resti di organismi appartenuti a epoche remote, gli consentì di concepire un'ipotesi rivoluzionaria: che tale continuità fosse il frutto di un lungo processo storico, e che le affinità percepibili fra i fossili e le specie viventi testimoniassero lontani rapporti di discendenza. L. è tra i fondatori della biologia come scienza autonoma: nega la pretesa della "filosofia meccanica" di comprendere i fenomeni vitali facendo riferimento ai concetti, ai principî e alle leggi della fisica e afferma al contrario la necessità di una scienza particolare dei corpi viventi, che ne salvaguardi la specificità senza cadere in una metafisica; provvede la nuova scienza della sua prima fondamentale ipotesi di lavoro, la teoria dell'evoluzione, concepita intorno al 1800 e proposta all'attenzione degli studiosi dapprima nelle Recherches sur l'organisation des corps vivants (1802) e più compiutamente nella Philosophie zoologique (1809). In tali opere L. rifiuta l'ingenuo finalismo antropomorfico tradizionale, contesta la diffusa credenza in un'armonia prestabilita fra organo e funzione, e postula una grande plasticità degli organismi, unitamente all'esistenza di rapporti interattivi fra questi e l'ambiente (la cui nozione L. allargò notevolmente, passando dalla dimensione del climat a quella moderna del milieu). Mentre i filosofi e i naturalisti settecenteschi (si pensi a Maillet, a La Metriec, a Diderot, a Maupertuis, a Buffon, a E. Darwin, a Lacepède) non erano andati oltre una generica ipotesi di modificazione delle specie, L. passa all'idea di una loro derivazione e definisce anche i meccanismi e le leggi della "marcia della natura", rendendo finalmente passibile la sua teoria di controllo empirico. Il naturalista francese suppone che i primi microrganismi si siano formati per generazione spontanea, e che abbiano prodotto tutti gli altri viventi, sempre più complessi, "trasformandosi" successivamente (per es., i Pesci in Rettili; e questi da una parte in Uccelli, dall'altra in Mammiferi). Questa teoria, detta appunto trasformismo, fa dipendere l'evoluzione dai mutamenti ambientali, secondo precisi nessi di causa-effetto. L'ambiente agisce direttamente sugli organismi inferiori, mentre su quelli superiori provoca invece nuovi bisogni, che li costringono a contrarre nuove abitudini; queste impongono di fare un uso diverso del corpo, e in particolare di esercitare determinati organi con una frequenza e un'intensità diverse dalle precedenti; ne deriva quindi la prima legge dell'evoluzionismo lamarckiano (detta dell'uso e disuso), secondo cui l'aumentato uso costante di un organo lo rafforza, mentre il suo costante disuso lo indebolisce fino a poterne provocare l'atrofizzazione e la scomparsa; da qui, infine, la seconda legge (detta dell'ereditarietà dei caratteri acquisiti), secondo la quale le modificazioni subite per questa via vengono trasmesse ai discendenti: questi col tempo potrebbero allontanarsi dagli antenati fino a costituire una nuova specie distinta. L. non esitò a estendere questo meccanismo anche all'uomo, probabile discendente, come egli precisò, dello scimpanzé. Piuttosto che l'ultimo erede della tradizione illuministica, come viene per lo più considerato, L. appare l'autore di una grande rivoluzione scientifica, che ne fa l'ispiratore della biologia ottocentesca.

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