Rousseau, Jean-Jacques

Dizionario di Economia e Finanza (2012)

Rousseau, Jean-Jacques


Filosofo politico e sociale svizzero (Ginevra 1712 - Ermenonville, 1778). Espressione della cultura illuminista, ma anche critico della sua fiducia nel progresso in economia, R. polemizzò contro la civiltà, il commercio, la ricchezza e la vita cittadina, i quali corrompono la natura umana, originariamente buona. Sostenne invece che l’agricoltura e la vita sobria preservano la virtù naturale delle persone. Per R. l’ineguaglianza è contro natura ed è dovuta al commercio e alla ricchezza che esso genera.

Nel Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini (1754), R. denunciò il conflitto irrimediabile tra stato di natura e società civile, diritto naturale e diritto politico. Contro la società di antico regime affermò che le disuguaglianze sociali, economiche e politiche sono sproporzionate rispetto a quelle individuali: cioè esse sono artificiali, arbitrarie, risultato di un patto ingiusto imposto da pochi individui spregiudicati ai popoli ignari. R. lo definisce il ‘patto iniquo’ consolidato mediante l’istituzione legale della proprietà privata («Il primo che, recintato un terreno, ebbe l’idea di dire: questo è mio, e trovò persone così ingenue da credergli, fu il fondatore della società civile»). Secondo R., infatti, i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno. Nel Contratto sociale (1762) formulò un nuovo patto egualitario, in base al quale si potesse conservare con tutta la forza comune la persona e i beni di ciascun associato, e ognuno unendosi a tutti «non obbedisca tuttavia che a se stesso e resti libero come prima». Attraverso l’atto di associazione si forma un nuovo ‘io comune’, che con la sua volontà dà forza di legge alle delibere successive. La legge è un atto della volontà generale che si pronuncia nell’assemblea del popolo, coincide con la retta ragione. È perciò impersonale e infallibile; essa sola è in grado di distinguere l’interesse generale dagli interessi individuali, e dunque non ha soltanto un valore morale di volontà buona, ma ha anche un contenuto utilitario, perché il bene generale compendia il bene di ciascuno degli associati. L’originaria libertà e sovranità di ciascuno sono inalienabili, e chi vi rinunciasse perderebbe anche la propria qualità di uomo. Nello Stato che sorge dal patto egualitario, l’atto di ‘alienazione totale’ alla comunità fa sì che ogni individuo dandosi a tutti, non si dia a nessuno.

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