MARAT, Jean-Paul

Enciclopedia Italiana (1934)

MARAT, Jean-Paul

Roberto Palmarocchi

Uomo politico e giornalista francese. Nacque a Boudry (Neufchâtel) il 24 maggio 1743, di padre sardo (Mara) e di madre svizzera. Iniziò a Bordeaux gli studî di medicina e li continuò in Inghilterra, dove si trasferì nel 1760. A Londra pubblicò le sue prime opere: un Essay on the human Soul, un Philosophical essay on Man e un saggio politico, The chains of Slavery, che suscitò molte discussioni e procurò a M. l'ostilità dei conservatori e l'approvazione entusiastica dei liberali. Nel 1774 ritornò in Francia, dove esercitò la medicina con successo, e fu nominato medico delle guardie del corpo del conte di Artois. Fra il 1783 e il 1788 si dedicò a studî di fisica, ma le speranze di gloria che aveva fondato su codeste opere, non prive di originalità e di valore scientifico, furono frustrate dalle opposizioni accademiche, e questo fallimento inasprì il suo carattere naturalmente angoloso e diffidente. Mentre fervevano i preparativi per gli Stati generali, M. scrisse una Offrande à la patrie, dove sosteneva una specie di liberalismo legittimista, e alla quale fece seguire un supplemento che criticava con violenza le lettere reali. Questi opuscoli hanno un'importanza assai scarsa e non ebbero alcuna eco. Solo nell'agosto M. trovò la sua strada, dandosi al giornalismo. Pubblicò il Moniteur patriote, ma lo lasciò dopo il primo numero, e finalmente il 12 settembre iniziò il Publiciste parisien, che col sesto numero prese il titolo di L'ami du peuple. Da principio nessuno si accorse di M.: le sue "lettere aperte" non provocarono alcuna risposta, e questo lo esasperò sempre più. Verso la fine di settembre M. fu il primo a dare l'allarme e a denunziare tentativi contro-rivoluzionarî. Dopo la marcia su Versailles fu dichiarato fuori legge: nascosto nelle cantine, dove la polizia lo ricercò invano, si appoggiò ai cordiglieri, attaccò ferocemente il Necker. La minaccia dell'arresto lo costrinse a fuggire in Inghilterra, donde tornò nell'aprile 1790. Con opuscoli incendiarî si scaglia ora contro i rivoluzionarî tiepidi e sospetti; l'Assemblea comincia ad accorgersi del pericolo e procede contro di lui, che riprende la sua vita di refrattario. Dopo i fatti di Nancy, M., che fino allora non aveva affermato alcuna pregiudiziale antimonarchica, si dichiarò contro la corte e chiese l'arresto della famiglia reale. Nel 1791, il salvataggio del re dopo la mancata fuga di Varennes e il massacro del Campo di Marte esasperarono il suo furore contro l'Assemblea, la quale decise di agire sul serio e fece distruggere la sua tipografia. M. riuscì ancora una volta a sfuggire all'arresto e continuò i suoi attacchi; ma, sentendo aumentare il pericolo, si rifugiò di nuovo in Inghilterra. Nel marzo 1792 era di ritorno a Parigi e il 12 aprile riprendeva la pubblicazione del giornale, schierandosi con i giacobini contro i girondini dominanti.

Il 10 agosto segnò il trionfo di M.; chiamato a far parte del comitato di sorveglianza eletto dalla Comune, egli fu il principale istigatore delle stragi di settembre. Il 9 settembre fu eletto deputato di Parigi. Il 25 trasformò L'ami du peuple in Journal de la République française. Nella Convenzione M. prese parte attiva alla lotta della Montagna contro la Gironda e fu tra i più violenti sostenitori del processo e della condanna del re. Il 9 marzo la Convenzione, in odio a M., decretò che la qualità di deputato fosse incompatibile con quella di giornalista, ma M. sfuggì al decreto cambiando il titolo del giornale in Publiciste de la République française ou Observations amx Français. Eletto presidente del club dei giacobini,M. accusò i girondini di complicità con Dumouriez; la Convenzione rispose mettendolo in stato d'accusa, ma il processo finì con l'assoluzione che costituì la sua vittoria definitiva. Al culmine della supremazia di M. corrispose la caduta dei girondini. Dopo l'arresto di questi (2 giugno) M. si dimise da deputato e rallentò il ritmo dei suoi attacchi.

Tormentato da una malattia della pelle che si era gravemente acutizzata, non scrisse più che pochi articoli nei quali si sforzò di assumere un tono più moderato, pur esprimendo qualche diffidenza verso il Comitato di salute pubblica e mettendo in guardia contro il pericoloso atteggiamento della provincia. Una giovine di Caen, centro girondino, Carlotta Corday, che vedeva in M. la personificazione del Terrore, si recò a Parigi e il 13 luglio 1793 lo uccise con una pugnalata. Il 21 settembre 1794 le ceneri di M. furono trasportate al Panthéon, di dove furono rimosse pochi mesi dopo, l'8 febbraio 1795.

Si può dire che dal momento della morte ha origine la duplice opposta leggenda di M. I fanatici ne fanno un arcangelo delle rivendicazioni popolari; gli altri lo considerano una belva assetata di sangue. Per comprenderlo non bisogna dimenticare che egli si muove nel clima di una rivoluzione. Il suo dogmatismo quasi maniaco, la sua diffidenza verso tutti, il suo odio implacabile contro chiunque la pensasse diversamente da lui, possono derivare dalle delusioni della sua gioventù, ma sono anche un prodotto fatale di quei periodi di sovvertimento nei quali l'azione dei nemici non è tanto pericolosa quanto l'intiepidimento e il tradimento degli amici. Si può definire il Marat, sempre disinteressato, sempre pronto a convincere il popolo non già con lusinghe ma con invettive, come l'esemplare più tipico del giacobino, perché la sua opera è tutta un'applicazione rettilinea, integrale, terribilmente rigida e logica dell'intransigenza giacobina. Insofferente di qualsiasi pregiudiziale costituzionale o democratica, la sua dottrina rivoluzionaria sboccò nell'invocazione di un dittatore. Per la sua lotta, M. si costruì uno strumento perfetto: l'articolo di giornale. Egli conobbe tutte le arti del propagandista rivoluzionario: poche idee, ma chiare, ripetute con insistenza fino a imprimerle come una specie di ritornello nell'orecchio e nell'animo dei lettori, senso dell'attualità e conoscenza sicura di quelle elementari passioni umane, che si possono più facilmente stimolare e impiegare; stile magniloquente, ma scevro di ornamenti superflui.

Bibl.: Oeuvres de J.-P. M., a cura di A. Vermorel, Parigi 1869; Correspondance de M., a cura di C. Villay, Parigi 1908; A. Bougeart, M., l'ami du peuple, Parigi 1865, voll. 2; A. Cabaéns, M. inconnu, Parigi 1891; E.-B. Bax, J.-P. M., Parigi 1900; Marat, Invettive, racc. da R. Palmarocchi, Roma 1926; L.-R. Gottschalk, J.-P. M., Parigi 1927; G. Walter, M., Parigi 1933 (riduce l'importanza, del M. nel 10 agosto e nelle stragi di settembre).