Bachofen, Johann Jakob

Dizionario di filosofia (2009)

Bachofen, Johann Jakob


Giurista, antropologo e storico elvetico delle religioni (Basilea 1815 - ivi 1887). Frequentò le univ. di Basilea, Berlino e Gottinga, avendo come maestri L. Ranke e F.C. Savigny. Dedicatosi per influsso di quest’ultimo allo studio del diritto romano, ne fu per gli anni 1841-43 professore all’univ. di Basilea; dal 1843 al 1866 fu giudice del tribunale d’appello della sua città. Autore di opere sulla cultura, la religione e il diritto di Roma (tra le altre: Geschichte der Romer, 1857, in collab. con F.D. Gerlach), B. entrò in polemica con la scuola di Th. Mommsen, contrapponendo al metodo positivista una visione storica generalizzante, di matrice romantica, che pur a scapito del rigore filologico gli consentiva una visione globale dello sviluppo storico. Anche per tale metodo, B. è annoverato tra i fondatori della storia comparata del diritto. A partire dal 1842, B. aveva intrapreso viaggi in Italia e Grecia, dedicandosi a uno studio del significato simbolico dei monumenti funerari che ebbe per risultato Versuch uber Grabersymbolik der Alten (1859). La teoria del simbolo qui enunciata si connette alle dottrine romantiche di Creuzer, Schelling e J.J. Görres, dei quali B. condivide l’impostazione idealistica e metafisica; per un altro verso, però, essa presenta un carattere storicistico per cui la simbolicità del mito e della religione è concepita come prodotto del processo storico. Tale pregnanza storica della dottrina del simbolismo di B. si accentua nella sua opera più famosa, Das Mutterrecht (1861; trad. it. Il matriarcato), basata su documenti delle civiltà greca e romana, e successivamente estesa alla considerazione della totalità delle culture (18692). Egli vi sosteneva l’esistenza di una primordiale fase eteristica, ossia di libera promiscuità sessuale, deducendola dall’istituto dell’antica prostituzione sacra, interpretata come sopravvivenza di essa. All’eterismo sarebbe seguita la fase del matriarcato (cronologicamente anteriore al patriarcato), dovuta alla necessità di organizzare la società in assenza del padre. Alla teoria dell’antecedenza della matrilinearità sulla patrilinearità – già indipendentemente enunciata da J. Ferguson McLennan (Primitive marriage, 1866; trad. it. Il matrimonio primitivo) – corrisponde la tesi del comunismo primitivo che, soprattutto attraverso la mediazione di L.H. Morgan (Ancient society, 1877; trad. it. La societa antica), sarebbe stata sostenuta da Marx e Engels. Al matriarcato e alla matrilinearità succedono, secondo B., il patriarcato e la patrilinearità, e tra di essi è da lui vista sussistere una dialettica coincidente con quella tra Oriente e Occidente, luna e sole, buio e luce, ecc. Se per la priorità che il simbolismo mitico-religioso assume così sul fattore sociale la concezione antropologica di B. è stata definita idealistica, cionondimeno la concretezza sia della documentazione storica ed etnologica cui attingeva (ormai provata dallo studio dei suoi inediti), sia del suo approccio a istituti culturali singoli (parentela, matrimonio, diritto, religione, ecc.) permette di considerarlo tra i primi antropologi culturali, accanto ad altri fondatori di questa disciplina, con i quali intrattenne vivi rapporti culturali: non solo Morgan, che da lui derivò la teoria dell’originaria matrilinearità, ma anche McLennan, E.B. Tylor, J. Lubbock, A. Bastian. Altre opere: Die Unsterblichkeitslehre der orphischen Theologie (1867), Die Sage von Tanaquil (1870).

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