WYCLIFFE, John

Enciclopedia Italiana (1937)

WYCLIFFE (Wyclif, Wiclif, Wiclef, ecc.), John

Alberto Pincherle

Agitatore religioso inglese, nato circa il 1330 a Hipswell o a Wiclif, residenza della famiglia, nello Yorkshire; morto a Lutterworth il 31 dicembre 1384. Le discussioni circa i documenti che lo riguardano e le possibili omonimie permettono di considerare come sicuri o probabili i dati biografici relativi alla prima parte della sua vita, che riassumiamo. Studiò a Oxford, dove forse era fellow del Merton College (1356); nel 1360 era master, o preside, del Balliol College; l'anno dopo ottenne una prebenda a Fellingham; nel 1363-66, e poi ancora nel 1374-75 e nel 1380-81 dimorò nel Queen's College di Oxford. Più importanti i suoi rapporti con la Canterbury Hall, istituita dall'arcivescovo S. Islip di Canterbury nel 1361, dove il guardiano e i tre fellows avrebbero dovuto secondo l'atto di fondazione essere monaci; ma il 9 dicembre 1365 l'arcivescovo nominò guardiano Giovanni "de Wyclyve" e in seguito sostituì ai regolari dei secolari, morendo però (26 aprile 1366) prima di aver modificato lo statuto dell'istituzione. Il nuovo arcivescovo S. Langham, benedettino, ristabilì l'antico ordine di cose; W. e i suoi colleghi appellarono al papa, resistettero, tergiversarono, ma nell'aprile 1372 furono espulsi. Vi è stato chi ha voluto far risalire a questa controversia l'avversione del W. per gli ordini religiosi, e chi ha pensato che il guardiano espulso fosse invece un John Whytclif, cui l'Islip conferì un beneficio nel 1361. Ma non vi è ragione di dubitare - anche senza accogliere la deduzione accennata - che si trattasse del W.; il quale nel 1368 scambiò il beneficio di Fellingham con uno a Ludgershall, più vicino a Oxford; nel 1371 ottenne un canonicato a Lincoln, rinnovato nel 1373 con l'autorizzazione a conservare una prebenda a Westbury-on-Tryn, presso Bristol, conferitagli dal papa nel 1362 e per la quale almeno per parecchio tempo trascurò anche di nominare un vicario. Nel 1372, probabilmente, ottenne il dottorato in teologia; nel 1374 la cura di Lutterworth, per cui rinunciò a Ludgershall. Ma nello stesso anno fece parte della commissione inviata a Bruges per trattare di varie questioni con i rappresentanti del papa; non sappiamo se fosse riconfermato l'anno seguente. Ma certo ritornò a Oxford; e se anche quell'incarico diplomatico-canonico non segna il vero e proprio inizio dell'azione riformatrice del W., è certo che il suo pensiero politico venne maturando in quel torno di tempo; e che in esso egli cominciò ad acquistare una fama alquanto superiore a quella dell'insegnante e canonico né troppo diverso dai suoi contemporanei né troppo largamente dotato, se il 22 settembre 1376 fu convocato innanzi al consiglio regio. Era il momento in cui, morto Edoardo il Principe Nero, Giovanni di Gaunt duca di Lancaster era in fiera lotta con Guglielmo di Wykeham, col vescovo di Londra W. Courtenay, e altri (v. inghilterba: Storia, XIX, p. 239). Ai fini della lotta contro il Lancaster, dovette apparire utile il privarlo di un sostenitore teologo, e per di più dalle tendenze pericolose; pertanto il W. fu chiamato a comparire dinnanzi all'arcivescovo Simone di Sudbury e al Courtenay. Si presentò, il 19 febbraio 1377, accompagnato da quattro frati per sostenere le sue opinioni, ma anche da Giovanni di Gaunt. La discussione degenerò in un alterco violento, nel corso del quale quest'ultimo offese il vescovo; ne seguì, il giorno dopo, un tumulto, nel quale il popolo di Londra assalì le case del Gaunt e di altri. Ma l'azione contro il W. continuò; e 50 proposizioni di lui furono mandate a Roma, donde il 20 maggio Gregorio XI spedì ben 5 bolle; 3 al Sudbury e al Courtenay, 1 al re, 1 all'università di Oxford, dichiarando che il W. insegnava dottrine erronee, false e pericolose, e segnalando in particolare 18 errori, in proposizioni tratte principalmente dal De civili dominio. Edoardo III morì prima di aver ricevuto la bolla destinatagli; questa fu diretta a Riccardo II, ma il sopravvento acquistato da Giovanni di Gaunt tutelò il W., nonostante che il Sudbury e il Courtenay pubblicassero le bolle papali, pur senza osare di imprigionare, come era loro prescritto, il W., mentre l'università di Oxford finiva con l'assolverlo; egli, prima che il papa morisse, si presentò anche dinnanzi ai vescovi, ma, protetto dalla regina madre, si sentì soltanto ordinare il silenzio. L'anno dopo, nell'autunno, troviamo ancora il W. fra i consultori del governo; ma anche questa volta non pare che la sua azione fosse di primaria importanza.

Ma il 1378 fu l'anno dello Scisma d'Occidente. A esso pare che veramente si possa attribuire, se non un mutamento radicale di indirizzo, almeno un'influenza notevole sulla formazione e la formulazione di certe almeno fra le dottrine ecclesiologiche del W. Egli stette per Urbano VI; ma lo scisma lo indusse a modificare, in senso molto più radicale, le sue opinioni intorno al papato come istituzione. Ma nello stesso torno di tempo, fin dal 1379, il W. cominciò a esporre apertamente anche le sue dottrine eucaristiche, le quali gli fecero perdere quelle simpatie che aveva avuto tra gli ordini mendicanti, e mentre crearono vivaci dissensi anche a Oxford, finirono col rendere molto più tiepido verso di lui lo stesso Giovanni di Gaunt. La rivolta dei contadini del 1381, della quale si volle da alcuni attribuire al W. la responsabilità morale, scorgendo in essa una delle cause della sua sconfitta, in realtà ebbe, secondo storici più recenti, un influsso soprattutto indiretto: sia perché a poco a poco la situazione politica si veniva lentamente modificando, con l'avvicinarsi di Riccardo II alla maggiore età (si ricordi la sua azione personale nel domare i ribelli penetrati in Londra) e l'aggrupparsi attorno a lui di nuovi consiglieri, sia perché, ucciso dai ribelli stessi il Sudbury (un cronista vi ravvisò un castigo di Dio per la sua tolleranza verso gli eretici), gli succedette nell'arcivescovato il Courtenay, molto più energico, e deciso a ricondurre al dovere i preti secolari che predicavano le dottrine del W. e i suoi partigiani di Oxford. Così, il 17 maggio, egli convocava un'assemblea di nove vescovi, 16 dottori (tutti regolari) e 7 baccellieri in teologia, 11 dottori e 2 baccellieri in giurisprudenza (il "Concilio del terremoto", per il fenomeno sismico che lo fece chiudere): benché il W. non fosse condannato personalmente, 10 sue proposizioni furono dichiarate ereticali e altre 14 erronee. I Comuni favorirono la resistenza del W.; e verso l'università di Oxford il Courtenay dovette agire con tutta energia, riuscendo però alla fine a ottenere la sottomissione del cancelliere R. Rigge, amico del W. Questi, abbandonato anche da Giovanni di Gaunt a causa delle sue dottrine eucaristiche, dovette ritirarsi a Lutterworth, ove rimase indisturbato per gli ultimi due anni e mezzo della sua vita, che trascorse minato da insulti apoplettici: l'ultimo dei quali lo colpì mentre sentiva Messa il 28 dicembre 1384. Essendo morto in comunione con la Chiesa, ebbe sepoltura ecclesiastica; ma dopo la condanna da parte del Concilio di Costanza, nonostante la riluttanza di qualche suo antico seguace, nel 1428 le sue ossa furono esumate, bruciate, e le ceneri gettate nel fiume Swift (affluente dell'Avon).

In W. si è voluto scorgere - e sovente esaltare - il precursore di Lutero e della Riforma, e del mondo moderno. Non si può certo trascurare né il fatto, indubitato, dell'influsso che le dottrine del W. esercitarono su J. Hus (v.), né l'altro che una somiglianza fra le dottrine degli hussiti e le sue fu ben presto rimproverata a Lutero e da lui, in fin dei conti, riconosciuta. Meno chiaro appare invece il rapporto fra la trasmissione delle dottrine del W. attraverso i Lollardi (v.) e la penetrazione delle dottrine teologiche riformate in Inghilterra. Del resto, l'indagine storica più recente ha ampiamente riconosciuto gli elementi "medievalistici" che sono manifesti in Lutero stesso; tanto più facile è dunque il riconoscere in W. l'uomo del suo tempo, e il discernere la via da lui percorsa per raggiungere certe conclusioni e quindi il posto che a esse spetta nel suo pensiero e il senso preciso in cui vanno interpretate. In sostanza, il W. è uno scolastico; un realista che solo in scarsissima misura, se mai, ha risentito l'influsso della teologia nominalistica a lui contemporanea, anzi, ha reagito contro di essa. Anche le sue dottrine politiche e altre parti della sua predicazione risentono, come è naturale, delle condizioni del suo tempo e appaiono profondamente radicate nella mentalità medievale.

Realista, il W. non ammette il carattere arbitrario della volontà divina; l'universo che Dio ha creato è di per sé il migliore tra tutti quelli che egli avrebbe potuto concepire, altrimenti ne avrebbe creato un altro. Dio è l'essere assoluto e il bene assoluto; il male non è che privazione di essere; e pertanto non si può attribuire a Dio la distruzione o l'annientamento di alcuna sostanza. Vedremo l'effetto che questo modo di pensare ha avuto sulle sue dottrine eucaristiche. Ma neanche le teorie politiche del W. sono nuove, e neppure quelle ecclesiologiche. La dottrina del dominio fondato sulla grazia, è in sostanza fondata sulla concezione che il dominio assoluto spetta a Dio, del quale l'uomo è servo. Ma nello stato di innocenza e in quello di grazia, Dio ha riservato al genere umano l'uso di tutte le cose in comune; la proprietà privata è una conseguenza del peccato originale, così come il potere politico. Pertanto, tutte le leggi umane - anche le canoniche - sono conseguenza del peccato, e inferiori alla legge del Vangelo. E poiché la Chiesa si fonda su questa, essa non deve ricorrere alle leggi del mondo, né possedere. È la dottrina della povertà evangelica, tutt'altro che nuova al suo tempo. Ma W. riprende certi elementi agostiniani: S. Agostino aveva già dichiarato che senza giustizia non vi sono regni, ma mere violenze; ora, la iustitia è data dalla grazia, consiste cioè nella predestinazione. Ma, mentre S. Agostino si era guardato dal ridurre la Chiesa alla società degli eletti, dei predestinati, W. arriva a questo, benché riconosca l'utilità dei sacramenti anche per i non predestinati (la dannazione di costoro è solo prevista). Ora, la gerarchia è composta degli uni e degli altri; ma poiché essi non si possono distinguere, è dovuta bensì l'ubbidienza, ma il rispetto diventa condizionato; e quando il W. tratta del papato, applica questi suoi concetti. Se il papa otterrà o no la salvezza eterna è del tutto incerto. Con quale norma giudicare dunque i suoi atti, e a quale criterio si uniformerà il potere civile, cui spetta il dovere di vigilare sulla condotta della Chiesa? Il W., nella sua opposizione ai teologi contemporanei, trova questo criterio nella Bibbia, interpretata letteralmente. Di qui la sua preoccupazione di farla conoscere e di farla tradurre in volgare (v. bibbia, VI, p. 906). In base alla Bibbia si devono giudicare e approvare o respingere tutti gli usi esistenti; e pertanto egli, non trovandone la giustificazione nella Sacra Scrittura, finisce col respingere i sacramenti della Confermazione e della Estrema Unzione, la canonizzazione e il sistema penitenziale fondato sull'obbligo della confessione auricolare e sulla dottrina del tesoro dei meriti. Quanto all'Eucaristia, il W. respinge la transustanziazione; la dottrina di S. Tommaso gli sembra vulnerata dalle critiche dei teologi più recenti, ma le dottrine di questi non lo soddisfano. Egli non può ammettere che le specie - cioè gli accidenti - del pane e del vino possano sussistere indipendentemente dalla sostanza, per un atto arbitrario del volere di Dio; ma tanto meno, che la sostanza del pane e del vino possa essere ridotta a nulla. Pertanto egli si sforza di affermare la presenza reale, pur dichiarando che le sostanze del pane e del vino continuano a sussistere: l'ostia consacrata è materialmente pane, spiritualiter, virtualiter et sacramentaliter (ma altresì vere et realiter) il corpo di Cristo; non è tuttavia corpo di Cristo substantialiter et corporaliter.

Si ritrovano dunque nel W., con dottrine e atteggiamenti che gli sono particolari, anche modi di pensare che non sono affatto caratteristici, ma lo ricongiungono idealmente a tutto il movimento ereticale del Medioevo. D'altra parte la sua dottrina della povertà, il suo predicare la necessità di togliere alla Chiesa le proprietà, coincideva anche con gl'interessi, particolari e politici, di gran parte della classe dominante; ma finiva altresì col rafforzare anche l'autorità del potere civile, cioè, in ultima analisi, del sovrano e dello stato. In questo senso egli certamente precorre lo stato moderno; così come nel proporsi per ideale la Chiesa dei primi tempi mostra di sentire l'influsso del modo di pensare che si veniva affermando, è all'alba già del Rinascimento. Anche per la convinzione che pare lo assistesse negli ultimi anni, che con lo Scisma i mali del mondo fossero giunti al colmo e fosse quindi da attendersi l'instaurazione di una nuova era, si potrebbe forse considerarlo come un uomo dei tempi nuovi e insieme ricongiungerlo ancora una volta ai predicatori della povertà, agli "spirituali" di cui, con l'istituzione dei suoi "preti poveri", predicatori itineranti e secolari, riprese altresì un metodo caratteristico.

Bibl.: Le opere del W. sono pubblicate in gran parte, o si stanno pubblicando, per opera della Wyclif Society di Londra, a cura di varî studiosi, dal 1883 in poi. Il centenario della nascita non ha dato luogo a pubblicazioni così cospicue come si sarebbe aspettato. Si vedano soprattutto: H. Rashdall, in Diction. of Nat. Biography, s. v.; J. Loserth, Hus und W., 2ª ed., Monaco 1925; id., in Die Religion in Gesch. u. Gegenwart, V, Tubinga 1931; H. B. Workman, in Hastings, Encyclopaedia of Religion and Ethics, XII, Edimburgo 1921, s. v.; id., J. W., Oxford 1926, voll. 2; R. L. Poole, W. and the movements for reform, Londra 1911; B. L. Manning, in Cambridge Medieval History, VII, Cambridge 1932, cap. 16° e bibl. a pp. 900-07.