MARIANA, Juan de

Enciclopedia Italiana (1934)

MARIANA, Juan de

Mario Casella

Umanista, erudito e storico spagnolo, nato a Talavera nel 1535, morto a Toledo il 16 febbraio 1624. Entrato a diciotto anni nella Compagnia di Gesù e fatto il noviziato a Simancas sotto Francisco de Borja, studiò all'università di Alcalá e professò teologia a Roma (1564-65), in Sicilia (1567-68) e quindi a Parigi (1569), dove espose per sei anni la Somma di San Tommaso. Rientrato in patria per la sua cagionevole salute, si fissò definitivamente a Toledo (1574). La forte dottrina in materia ecclesiastica, la larga erudizione, la rigidezza d'un carattere tagliente che moveva con estrema logica dai principî della sua educazione religiosa, lo trassero nel campo aperto delle battaglie d'idee. Censore della Biblia regia di Anversa (1569-72), ne difese con critiche assennate e moderate il curatore Arias Montano. Fu degli esaminatori del Nuovo Testamento nell'edizione greca di Henri Estienne (1569) e in quella di Jean Harlem (1574); partecipò alla compilazione dell'Index librorum prohibitorum diretta dal cardinale Quiroga (1583); collaborò con minute collazioni all'edizione d'Isidoro di Siviglia che porta il nome di Grial (1599); prese netta posizione di fronte alle Ilustraciones genealógicas di E. de Garibay (1596), alla questione delle false cronache di Granata e alle false reliquie del padre Portocarrero. La sua fama è legata alle Historiae de rebus Hispaniae (Toledo 1592, i primi venti libri; Magonza 1605, l'opera complessiva in trenta libri); delle quali preparò e in parte anticipò, attraverso a redazioni e rielaborazioni varie, la concisa, chiara e arcaicizzante versione spagnola (Historia general de España, Toledo 1601), seguita da un Sumario (1616-17, ampliato nel 1623) che la continua dalla morte di Ferdinando il Cattolico sino al 1621.

Informata a criterî umanistici, fusione d'arte e di scienza, di considerazioni morali e di notazioni pratiche, in stile più tacitiano che liviano, condensato e aforistico, l'opera risolve il frammentarismo di un'esposizione sincronica e annalistica, per monarchie e per regni, nel sentimento unitario della nazione spagnola come risultato d'un secolare e provvidenziale processo storico. La critica delle fonti, che fornì pretesto agli attacchi di Pedro Mantuano, del marchese di Mondéjar e di altri, s'arresta, soprattutto nelle questioni delle origini preistoriche, al buon senso. Il M. indulge a narrazioni tradizionali, accetta elementi poetici dell'antica cronografia, ma allarga gli orizzonti della storiografia umanistica nel campo della storia e della letteratura ecclesiastica. Complemento delle Historiae è il De rege et regis institutione (Toledo 1599), che, in accordo con la dottrina gesuitica della superiore giurisdizione papale e dei diritti del popolo, tratta dell'origine e dei limiti della monarchia e dell'educazione del principe, giustificando il tirannicidio (I, cap. 6) nei casi in cui sia fatta violenza ai sentimenti del popolo. Il libro, quando il Ravaillac uccise Enrico IV (14 maggio 1610), suscitò in Francia un'aspra tempesta contro la Compagnia di Gesù e contro il M.; la cui dottrina, che prospettava puri astratti principî, fu giudicata empia da parte dell'università e del parlamento di Parigi con la condanna dell'opera incriminata al rogo. Estremista nel dedurre dai principî etici e sociali che furono di D. Lainez e di R. Bellarmino, polemista rigidamente logico senza timori, il M. subì persecuzioni da parte dell'Inquisizione e dei ministri di Filippo III per i suoi Tractatus VII (Colonia 1609), dove oltre al De adventu Iacobi in Hispaniam e al De spectaculis, che è un'austera diatriba contro i costumi del tempo, sostiene l'idea d'una Provvidenza che domina con le sue ferree leggi (De morte et immortalitate), e denunzia lo sperpero della ricchezza pubblica con l'eccessiva arbitraria imposizione d'una moneta fiduciaria (De monetae mutatione). Uscì senza danno dai processi, dalle accuse e dalla relegazione nel convento di S. Francesco a Madrid, e si raccolse durante gli ultimi anni nei suoi studî eruditi, riversando la sua amarezza contro la Compagnia alla quale rimproverava d'averlo abbandonato agli avversarî, in un'opera che fu pubblicata postuma (Discurso de las enfermedades de la Compañía, Madrid 1867) e, pare, non in tutto genuina. Essa fu messa all'Indice nel 1627.

Ediz.: Obras, ed. F. Pí y Margall, in Bibl. Aut. Esp., XXX-XXXI; Historia general de España, ed. V. Blasco e V. Noguera y Ramón, Valenza 1783-96, voll. 9; ed. J. Sabau y Blanco, Madrid 1817-1822.

Bibl.: G. Cirot, M. historien, Bordeaux 1905; id., Le roman du P. M., in Bulletin Hispanique, XXII (1920), pp. 269-294; A. Astrain, Historia de la Compañía de Jesús en la Asistencia de España, III, Madrid 1909, pp. 557-561; IV, 1913, pp. 95-104; V, 1916, pp. 65-70.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata