JUVARRA

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)

JUVARRA (Ibarra, Ivara, Luvara, Houara, Yuuara)

Giovanni Molonia

Famiglia di argentieri attivi a Messina nei secoli XVII e XVIII, discendenti dalla casata spagnola dei Guevara, che si stabilirono a Messina alla fine del sec. XVI.

Da Francesco, militare spagnolo, originario della Biscaglia (Pascoli) e dalla moglie Clara Sambrana nacquero gli argentieri Gregorio, Pietro, Giovanni Gregorio, Giovanni e Agostino.

Titolare di un'importante bottega in via dei Banchi e console della congregazione degli argentieri nel 1665 fu Gregorio, nato a Messina intorno 1607-08, figlio di Francesco e Clara Sambrana, morto ante 1692.

Il fratello Pietro, nato anche lui a Messina intorno al 1609, abitò e tenne bottega nella strada degli Argentieri. Dalla moglie Caterina Donia, figlia dell'argentiere Cola Maria, sposata intorno al 1640, ebbe in dote gli strumenti del mestiere. La bottega di Pietro fu molto attiva come attestano i numerosi documenti e le opere rimaste, realizzate dall'argentiere nel corso della sua lunga vita.

Nel 1649 Pietro fornì alcuni candelieri al duomo di Messina; il 20 nov. 1651 si obbligava con il gesuita F. Noventario, a nome del rettore del collegio di Malta, a realizzare un busto-reliquiario di s. Ignazio. Nel 1652 fu consigliere del Monte degli argentieri con M. Rizzo e G.G. Frassica. Nel 1653 partecipò con i cognati Giovanni Battista, Giuseppe e Placido Donia ai lavori per la costruzione del baldacchino del duomo di Messina, progettato da S. Gullì. Di questo baldacchino oggi rimane, nell'altare centrale del duomo, una formella con l'Ambasceria dei Messinesi alla Vergine di Pietro. Il suo marchio "PET IUV 1653" è in un reliquiario a braccio del duomo di Messina e nel secchiello della chiesa madre di Pagliara. Con Giuseppe Donia il 18 nov. 1656 s'impegnò a completare e perfezionare la "vara" portata in processione in occasione della festa della Madonna della Lettera. Per il collegio dei gesuiti di Catania nel 1658 eseguì le statue di S. Mauro, Beato Luigi Gonzaga e S. Stanislao. È documentata per il 1660 l'esecuzione di due candelieri per la chiesa del conservatorio delle vergini reparate e la commissione di due paliotti in argento per il collegio dei gesuiti e per il monastero di S. Michele di Messina. Il suo marchio si trova impresso in un reliquiario del tesoro del duomo. Il 5 dic. 1660 Pietro venne pagato dai sacerdoti G. de Fede, G. Branciardo, M. Mayore e dal "deputato" F. Gruttadoro, per la realizzazione di una statua di S. Gregorio Magno da consegnarsi sei mesi dopo al prezzo complessivo di 300 onze. La statua, realizzata sotto la sorveglianza di una commissione di prelati (a cui competeva anche di "suggerire" le storiette tratte dalla vita del santo da rappresentare nel piedistallo della statua), conteneva una sacra reliquia e fu consegnata nei tempi pattuiti. L'opera monumentale, che veniva portata annualmente in processione in occasione della festa del santo, è stata trafugata nel 1993.

Nel 1663 Pietro fu tra i consiglieri e deputati del Monte dei pegni dei Ss. Elena e Costantino. Nello stesso anno emancipò i figli Francesco, Eutichio e Sebastiano, che continuarono però a lavorare nella bottega paterna. In questo periodo fu sicuramente ultimata l'artistica Residenza donata nel 1665 da Filippo IV ai Luoghi Santi. La Residenza, opera firmata insieme con Giovanni e Sebastiano, venne esposta in occasione della festa della Madonna della Lettera nel 1665 (Fighera, p. 149). L'elaborato tronetto, che doveva contenere l'ostensorio eseguito dall'argentiere messinese Francesco Mango (in seguito andato perduto), giunse a Gerusalemme nel 1666, e oggi si trova nel Museo dell'Istituto biblico francescano di Gerusalemme (Musolino, pp. 76-81).

Insieme con l'intera famiglia il 20 genn. 1666 Pietro ricevette da Francesco Capano, cappellano della chiesa di S. Maria Incoronata di Camaro, la somma di 337 onze e 22 tarì a estinzione del prezzo pattuito per la "vara del glorioso S. Giacomo", opera che si conserva, in parte rimaneggiata, nella chiesa parrocchiale di Camaro.

Tra il 1666 e il 1667 morì la moglie Caterina Donia; e il 4 genn. 1668 Pietro firmò una promessa di matrimonio con la venticinquenne vedova di origine greca Eleonora Tafuris o Tafurri, da cui ebbe numerosi figli tra i quali Francesco Natale, che sarebbe poi divenuto "professore di scultura in argento", Natalizia, che avrebbe sposato l'argentiere Francesco Martinez, Filippo, il futuro architetto.

Nel 1672, su incarico dello stratigò di Messina Luigi dell'Hoyo, Pietro eseguì una statua in argento con S. Michele Arcangelo: questa però fu rifiutata dalla cittadinanza e non se ne conosce il destino (Cuneo, p. 45). Nel 1675 Pietro fu chiamato a rivestire la carica di console della congregazione degli argentieri, e in tale qualità, essendosi Messina ribellata alla Spagna ed essendo stato richiesto l'intervento militare della Francia, fu costretto a giurare fedeltà a Luigi XIV. Come console vidimò con il suo bollo il S. Antonio Abate oggi esposto nel Museo del Tesoro di S. Maria della Stella di Militello in Val di Catania, ma proveniente dalla chiesa di S. Antonio Abate. Degli inizi degli anni Ottanta è il calice d'oro del Museo Pepoli di Trapani, firmato insieme con i figli Eutichio e Sebastiano e realizzato per il locale collegio dei gesuiti (Ori e argenti…, p. 241). A questo calice viene associato lo splendido ostensorio in oro, datato 1682, che si conserva nello stesso museo. Pietro fu attivo per tutto il decennio 1682-92: il suo marchio è stato rinvenuto in un calice della chiesa madre di Giampilieri, in un ostensorio della chiesa di Montevergine di Messina, in un secchiello del Museo nazionale di Capodimonte a Napoli, in un calice con piede di rame della chiesa madre di Alì, in un ostensorio in rame e argento nella chiesa di Piraino, in un turibolo della chiesa del Ss. Salvatore di Tortorici. Pietro lavorò ancora per i gesuiti di Catania e Malta e, su commissione di padre G. Sallimbeni, in rappresentanza di G. Scalmato rettore del collegio di Malta, realizzò nel 1688 un paliotto. Col punzone "PET IVA 1689" è contrassegnata la manta d'argento che copre la tavola della Madonna di Montalto nel santuario omonimo (Musolino, p. 90).

Pietro morì a Messina il 1° marzo 1705, "annorum 96 circiter".

Giovanni Gregorio nacque a Messina intorno al 1611. Fratello e collaboratore di Pietro, la sua attività è documentata dal 1651 al 1666. Sposò Giuseppa Gemellaro, dalla quale ebbe tra gli altri Giovan Battista, documentato come argentiere dal 1665 al 1698, "segretario" della congregazione degli orefici e degli argentieri (1669). Spesso confuso con il fratello Gregorio, a Giovanni Gregorio sono stati assegnati diversi manufatti che recano il marchio "G GR IVAR": del 1651 sono "una saliera, una speziera, una zuccheriera, un "bucali" con i suoi mascheroni" (Accascina, 1974, p. 314); otto calici in argento e rame furono commissionati da un sacerdote spagnolo per i Luoghi Santi nel 1652; con i familiari realizzò la manta della Madonna della Lettera (1653-59), la "vara" di S. Giacomo di Camaro, ultimata nel 1666 (il suo intervento è stato individuato nei cartigli con i miracoli), il reliquiario, l'ostensorio (con piede in bronzo fuso) e il calice della chiesa di S. Nicolò a Giampilieri Superiore, il calice nella chiesa madre di San Fratello, la coppia di candelieri nel Tesoro del duomo di Messina, la pisside della chiesa del Rosario di Allume, il calice della chiesa di Gesù e Maria delle Trombe. Morì il 25 luglio 1671 "aetatis suae annorum 60 circiter". Il Giovanni Gregorio che risulta essere attivo sino al 1693 (Ciolino, 1988, p. 133) è probabilmente un artista diverso che firmava con le stesse iniziali.

Agostino, figlio di Francescoefratello di Pietro, nel 1641 sposò Prudentia Sanna, da cui ebbe sei figli, tra cui Antonino, nato il 23 nov. 1654, argentiere, consigliere del Monte dei pegni dei Ss. Elena e Costantino (1692).

Francesco, primogenito dei quattro figli di Pietro e di Caterina Donia, nacque a Messina, intorno al 1644, esercitò nella bottega del padre, e nel 1660 con il padre e il fratello Eutichio eseguì la statua di S. Gregorio Magno per la chiesa madre di Vizzini. Venne emancipato (con i fratelli Eutichio e Sebastiano) nel 1663. Nel 1665 firmò l'osservanza ad alcuni capitoli del Monte dei pegni dei Ss. Elena e Costantino. Morì all'età di circa trent'anni a Messina il 19 dic. 1674 e fu seppellito nella chiesa dei Ss. Elena e Costantino.

Non si conosce la data di nascita di Eutichio, che a partire dal 1660 fu impegnato con il padre e i fratelli in varie commissioni. Sposatosi nel 1669, risulta essere già morto nel 1682, come si evince da un documento del 1681 in cui Pietro e Sebastiano firmano al suo posto.

Di Sebastiano, sicuramente più giovane dei fratelli Francesco ed Eutichio, è documentata l'attività dal 1663 al 1701.

Fu emancipato anch'egli, come già detto, nel 1663. Oltre all'attività svolta con il padre e i fratelli, si ha notizia di alcune suppellettili sacre per la cappella della Lettera del duomo nel biennio 1666-67 e di una "vara" per il Senato (con l'argentiere A. Attineo) nel 1669. Sposò nel 1667 Diana Scafili o Scafidi, e nello stesso anno ottenne la commissione di una lampada per la chiesa di S. Maria La Croce di Regalbuto. Nel 1685 eseguì con la collaborazione di M. e J. Scardamaglia, "pater et filius, aurefices", su commissione del nobile Salvatore Stagno, "una conca di foco d'argento di bulla di Messina". Gli sono assegnate, in base al punzone "SEBA IVA", le seguenti opere: manta d'argento per la Madonna della Lettera (in collaborazione col padre Pietro); alzata da tavola del Victoria and Albert Museum di Londra (1670 circa); ostensorio del monastero di S. Maria di Montevergine (1670 circa); calice, secchiello e navicella della chiesa madre di Altolia; pisside della chiesa madre di Naso; navicella e turibolo della chiesa di S. Paolino di Messina; cornice di reliquiario di Novara di Sicilia; reliquiario multiplo della chiesa madre di Lentini; calice con piede di rame della chiesa madre di Forza d'Agrò; pissidi della chiesa di S. Domenico di Montellino; aspersorio della chiesa madre di Camaro; calice di Castroreale; croce processionale di Taormina; calice in filigrana del Tesoro dell'Abbazia di Montecassino (1701). Intorno all'ottavo decennio, su commissione dei gesuiti di Trapani, realizzò colla famiglia un calice e un ostensorio (ora al Museo Pepoli di quella città).

Francesco Natale (Francesco) figlio di Pietro e di Eleonora Tafuris, nacque a Messina il 12 genn. 1673, e nello stesso giorno venne battezzato nella parrocchia di S. Luca. Frequentò il seminario, rimanendo però per tutta la vita allo stato di chierico. Ricordato dai contemporanei come "professore di scultura d'argento", fu anche detto il "Cellini di Sicilia".

Attivo nella bottega paterna accanto al fratello maggiore Sebastiano, studiò disegno, scultura e incisione. Fu emancipato nel 1692: il padre gli assegnò il credito della statua di S. GregorioMagno realizzata per la chiesa madre di Vizzini. Eseguì giovanissimo un Presepe in creta per l'altare di S. Gregorio nella chiesa di S. Agostino, oggi disperso. Accascina (1974 e 1976) gli assegna, in collaborazione col giovane fratello Filippo, la serie di otto candelieri del Tesoro del duomo di Messina, in ragione del bollo con la sigla "F IV", bollo riscontrato anche sull'urna di s. Silvestro a Troina e nella cornice di cartagloria del Museo regionale di Messina. Per padre Domenico Fabris realizzò (in collaborazione con il suddiacono F. Dominici) nel novembre del 1712 una custodia in vetro con intelaiatura di bronzo dorato (Messina, chiesa di Gesù e Maria delle Trombe). Intorno al 1713 si trasferì a Roma, dove fu attivo con il fratello Filippo nell'ambito della corte del cardinale P. Ottoboni (Manfredi, p. 287). Il 12 sett. 1717 Francesco fu ammesso nella Congregazione dei Virtuosi del Pantheon con quattordici voti favorevoli e tre contrari; il suo ingresso ufficiale avvenne il 14 novembre dello stesso anno (Bonaccorso - Manfredi). Il 30 ag. 1722 fu ammesso "alla prova" nell'università degli orefici e degli argentieri in S. Eligio, e ne ottenne la patente il 29 novembre dello stesso anno (Bulgari, p. 28). È documentata una serie di suoi lavori in argento, oggi dispersi. Nel 1722 fu pagato per le decorazioni di una cappella della chiesa di S. Uberto (Venaria reale) a Torino (Gritella, I, p. 350). A Roma, negli anni 1722-24, eseguì un paliotto per la chiesa di S. Maria Maddalena. Sono andati dispersi anche i due candelieri commissionati dal pittore S. Conca per la chiesa dei Ss. Luca e Martina. Nel 1724 eseguì per il sacro palazzo apostolico "un Quadro con cornice, il tutto d'argento, lavorato a bassorilievo, raffigurante la Sacra Famiglia e s. Giovanni, per scudi 280 (regalato a mons. Janfé, vescovo di Ambrum)" (Bulgari, p. 29). Il 9 luglio 1726 è documentato come "argentiere in casa", abitante nel palazzo della marchesa Ornani in piazza Navona (ibid., p. 28). Suo è il quadro in argento con cornice in lapislazzuli, ora di ubicazione ignota, con al centro la Sacra famiglia e s. Giovannino, già di proprietà della casa reale Savoia, ed esposto alla Triennale di Milano del 1936 (Accascina, 1974, p. 367, fig. 240; Gritella, I, p. 61). Per sei mesi, dal 15 febbraio al 31 ag. 1732, ospitò il fratello Filippo, a Roma in attesa di una decisione del papa per i lavori di costruzione della sagrestia vaticana (Gritella, I, p. 59). A Roma Francesco eseguì, su incarico di Filippo, il disegno a grandezza naturale per la realizzazione di un globo a mosaico in smalto azzurro e oro composto su una sfera di pietra per la basilica di Superga (Carboneri, p. 18; Gritella, I, p. 272). Nel gennaio 1736 ricevette dal fratello, che si trovava a Madrid, alcuni disegni per la fusione di piccole statue in bronzo o in piombo, destinate a essere impiegate sulla facciata del modello del palazzo reale presentato a Filippo V. Agli inizi del mese di febbraio gli giunse l'annuncio della morte di Filippo. Da questo momento Francesco si assunse "il compito di custodirne la fama e, comunque, di tutelarne il patrimonio" (Manfredi, p. 287) e, come erede universale ed esecutore testamentario del fratello Filippo, ebbe in affidamento le due sorelle nubili Agata Fortunata e Benedetta. Su disposizione di Filippo fece erigere una cappella nella chiesa annessa all'Accademia di S. Luca. Filippo aveva condizionato questo lascito a patto che anche Francesco fosse ammesso come accademico. La sua nomina fu proposta il 1° luglio 1736, l'elezione ebbe luogo il 2 dicembre dello stesso anno. Per l'arredo della stessa cappella dell'Accademia di S. Luca S. Conca gli commissionò sempre nel 1736 due reliquiari d'argento (Bulgari, 1959). Nel 1739 Francesco curò l'incisione di alcune tavole di un Mausoleo funebre regio, eseguite all'acquaforte da G. Vasi, tratte da disegni del fratello Filippo (Gritella, 1992, II, pp. 465-467). Nel 1743 fu eletto camerlengo (Bulgari, 1959, p. 29).

Nel 1745 eseguì il famoso ostensorio per la chiesa di S. Agnese in Agone, su incarico del principe Camillo Pamphili (De Vito Battaglia). L'opera, fatta in collaborazione con Gaetano Gelpi incastonatore di gemme, fu stimata 130.000 scudi romani e venne trafugata dalle truppe francesi nel 1811. De Vito Battaglia (1946-47) ha individuato la base dell'ostensorio nella sacrestia della chiesa di S. Agnese. Tale attribuzione, non condivisa da Accascina, trova d'accordo Musolino (pp. 158 s.).

Tra il 1747 e il 1752 realizzò la Pace in bronzo dorato, decorata con pietre preziose, ora nel Tesoro liturgico pontificio (Città del Vaticano: Roma, 1300-1875. L'arte degli anni santi).

Il 1° sett. 1758 Francesco redasse un minuzioso testamento presso il notaio capitolino P. Piacenti, istituendo sua erede usufruttuaria universale la sorella Benedetta, ed erede proprietaria un'opera pia composta da "tre cappellanie mere laicali" (Telluccini, 1907, pp. 24-36, doc. XII). Morì a Roma il 27 apr. 1759. Sua ultima volontà fu quella di essere seppellito con l'abito domenicano nella chiesa di S. Maria in Vallicella.

Lungo è l'inventario dei beni del defunto, che include numerosi bassorilievi in argento e in terracotta (Manfredi, p. 293 n. 35).

Francesco è sicuramente l'autore della cosiddetta Vita anonima di Filippo, pubblicata da A. Rossi nel 1874 nel Giornale di erudizione artistica di Perugia e rintracciata nel fondo archivistico di L. Pascoli, il quale intendeva probabilmente pubblicarla in un volume successivo ai due precedenti editi nel 1730 e 1736 (L. Pascoli, Vite de' pittori, scultori ed architetti viventi, a cura di A. Marabottini, Treviso 1981).

Placido, argentiere, è registrato a Messina il 22 genn. 1669, "aetatis suae annorum 70 circiter", fra i sepolti in Gesù e Maria degli Argentieri (Parrocchia di S. Giuliano, Registrum defunctorum, 1662-77, f. 47v, n. 432). A Domenico, attivo come argentiere fino all'ultimo trentennio del Settecento, Accascina (1974, p. 359) attribuisce l'ostensorio della chiesa madre di Piazza Armerina. Un Nicola è documentato come argentiere dal 1694 al 1698 (Ciolino, 1988, p. 133).

La famiglia J. continuò ad abitare per tutto il Settecento e gli inizi dell'Ottocento a Messina nel territorio della parrocchia di S. Giuliano.

Fonti e Bibl.: Messina, parrocchia di S. Giuliano, Registrum defunctorum, 1662-77; 1678-1708; Baptesimata, 1625-41; 1642-50; 1651-60; 1662-77; 1667-89; 1690-1700; Matrimonia, 1643-60; Ibid., parrocchia di S. Luca, Baptesimata, 1663-1729; G. Fighera, L'Indie impoverite, Messina 1665, pp. 149, 161; Filippo Juvarra, in L. Pascoli, Vite de' pittori, scultori ed architetti viventi (1730-36), a cura di A. Marabottini, Treviso 1981, pp. 297-303; F. Susinno, Le vite de' pittori messinesi (1724), a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, p. 260; V. Valesio, Diario di Roma (1729-42), a cura di G. Scano, V-VI, Roma 1979, ad indicem; F. Titi, Descrizione delle pitture, sculture e architetture esposte al pubblico in Roma (1763), a cura di F. Prinzi, Roma 1978, p. 132; Accurata, e succinta descrizione topografica e istorica di Roma moderna opera postuma dell'abate Ridolfino Venuti cortonese…, Roma 1766, p. 213; G. Cuneo, Avvenimenti della nobile città di Messina (fine del sec. XVIII - inizi del sec. XIX), a cura di G. Molonia - M. Espro, Messina 2001, pp. 45 s.; G. Grosso-Cacopardo, Opere, I, Scritti minori (1832-1857), a cura di G. Molonia, Messina 1994, pp. 105-106; F. Cordova, I siciliani in Piemonte nel secolo XVIII (1852), Palermo 1864, p. 51; G. Oliva, Annali della città di Messina, I, Messina 1892, pp. 71 s.; I. Carini, I due Juvarra messinesi in Roma, in Arch. stor. siciliano, XXIII (1896), pp. 188 s.; G. Arenaprimo, Argenterie artistiche messinesi del sec. XVII, in Arte e storia, XIX (1900), 22-23; G. La Corte Cailler, Una riproduzione della Cittadella in argento, in Arch. stor. messinese, II (1902), 3-4, pp. 136 s.; G. Arenaprimo, Per la biografia di I. Mangani…, ibid., V (1904), 1-2, p. 155; A. Telluccini, Contributo alla biografia di Filippo Juvara architetto messinese, ibid., VIII (1907), 1-2, pp. 1-36; G. Arenaprimo, Noterelle di cronaca estratte dai registri della parrocchia di S. Lucia de Musellis, ibid., IX (1908), 1-2, pp. 203-208; F. Bruno, Il santuario di Montalto in Messina, I, Messina 1927, pp. 190 ss., 201, 212, 288; D. Puzzolo Sigillo, Prospetto genealogico della famiglia di Filippo Juvarra, in L. Rovere - V. Viale - A.E. Brinckmann, Filippo Juvarra, Milano 1937, pp. 40 s.; S. De Vito Battaglia, Contributo a Filippo Juvarra, in Arti figurative, II (1946-47), pp. 130-136; M. Accascina, Argentieri di Messina: Sebastiano J., Giuseppe D'Angelo, Filippo Juvarra, in Bollettino d'arte, XXXIV (1949), pp. 240-248; Id., Le argenterie marcate del Museo nazionale di Messina, in Arch. stor. messinese, s. 3, II (1949-50), pp. 91-103; Id., La formazione artistica di Filippo Juvarra, II, La famiglia, l'ambiente…, in Bollettino d'arte, XLI (1957), pp. 50-66; C.G. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d'Italia, parte 1, Roma, II, Roma 1959, pp. 28 s.; M. Accascina, Di Pietro J. e di altri orafi di casa Ruffo a Messina, in Antichità viva, I (1962), 2, pp. 46-50; Id., Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974, ad indicem; Id., I marchi delle argenterie e oreficerie siciliane, Busto Arsizio 1976, pp. 102-107; N. Carboneri, La reale chiesa di Superga di Filippo Juvarra, Torino 1979, p. 18; C. Ciolino, Documenti inediti per la storia degli argenti e delle manifatture seriche a Messina nel Seicento, in Cultura, arte e società a Messina nel Seicento…, Messina 1984, pp. 97-114; Roma 1300-1875. L'arte degli anni santi (catal.), a cura di M. Fagiolo - M.L. Madonna, Roma 1984, p. 153; S. Di Bella, Argentieri messinesi del Seicento, da documenti notarili, in Quaderni dell'Istituto di storia dell'arte medievale e moderna, II (1987), pp. 53-62; A. Bulgari Calissoni, Maestri argentieri gemmari e orafi di Roma, Roma 1987, p. 253; C. Ciolino, L'arte orafa e argentaria a Messina nel XVII secolo, in Orafi e argentieri al Monte di pietà. Artefici e botteghe messinesi del sec. XVII (catal.), a cura di C. Ciolino Maugeri, Messina 1988, p. 133; Ori e argenti di Sicilia… (catal.), a cura di M.C. Di Natale, Milano 1989, p. 241; G. Gritella, Juvarra. L'architettura, Modena 1992, ad indicem; A. Lange, Dimore, pensieri e disegni di Filippo Juvarra, Torino 1992, pp. 11-15, 25; A. González Palacios, Il gusto dei principi. Arte di corte del XVII e del XVIII secolo, Milano 1993, I, pp. 123, 128; II, p. 103, fig. 176; T. Manfredi, La Biblioteca di architettura e i rami incisi dell'eredità Juvarra, in Filippo Juvarra. Architetto delle capitali da Torino a Madrid 1714-1736 (catal., Torino), a cura di V. Comoli Mandracci - A. Griseri, Milano 1995, pp. 287-297; G. Bonaccorso - T. Manfredi, I Virtuosi al Pantheon 1700-1758, Roma 1998, pp. 79-82, 85-87, 116; M.P. Pavone, La collezione degli argenti del Museo regionale di Messina, in Quaderni dell'attività didattica del Museo regionale di Messina, IX (1999), pp. 57-70; G. Musolino, Argentieri messinesi tra XVII e XVIII secolo, Messina 2001, pp. 67-103, 106-112, 154-166.

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