KARA-KUM

Enciclopedia Italiana (1933)

KARA-KUM (A. T., 92 e 103-104)


Vasto deserto del Turkestan, che si stende tra l'oasi di Chiva e l'Āmū-daryā a NE. e il Kopet Dag a SO., cioè fino ai confini della Persia. La sua parte settentrionale è un pianalto ciottoloso (intorno ai 200 m. d'altezza), costituito da marne e argille mioceniche, coperte in gran parte da arenarie plioceniche; rare vi sono le sabbie, mentre la parte meridionale, che è meno elevata (80-120 m.), è esclusivamente sabbiosa, con lunghi allineamenti di dune. Il limite tra le due parti è segnato da una ripa alta 60-80 m., dovuta probabilmente a una faglia. L'acqua manca quasi dappertutto, e la scarsa vegetazione è costituita da poche piante xerofile (Reamuria, Kochia, Salsola arbuscula, Calligonum, ecc.). Sono state scoperte nel Kara-Kum alcune conche con il fondo sotto il livello del mare (anche a −50 m.); una di queste alberga i laghi Sary-Kamyš, donde usciva un tempo l'Uzboi, la cui valle press'a poco era seguita dal canale. che ancora nel Quaternario faceva comunicare il Caspio con il Lago d'Aral. Quando il livello del Caspio si abbassò, il Lago d'Aral per un certo tempo inviò una parte delle sue acque al Caspio, finché anche l'Aral abbassò il suo livello e l'emissario verso il Caspio cessò di funzionare regolarmente. Certamente peraltro, nell'antichità e nel Medioevo l'Uzboi funzionava quale diramazione dell'Āmū-daryā. Nel 1871 la sua valle era ancora umida, con serie di laghi d'acqua dolce; al principio del nostro secolo alcuni di questi laghi esistevano ancora. Nel Kara-Kum si trovano poi delle zone depresse, che ospitano periodicamente dell'acqua e si trasformano in depositi di fango più o meno salato; alcune cavità sono a fondo piatto e allungate (takyr); altre ospitano fango più salato e che resta viscoso (chor). I takyr, al ritirarsi delle acque, si coprono fino all'estate di bella vegetazione erbacea.

Il Kara-Kum è attraversato dalla ferrovia transcaspiana.

Bibl.: V. A. Dubjanskij, Peščanaja pustynja jugo-vostoč. Karakuma, Leningrado 1928; W. Obrutschew, Zur Geschichte des Oxusproblems, in Pet. Mitt., 1914, pp. 87-88.