KENYA

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Kenya

Paolo Migliorini e Emma Ansovini
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(XX, p. 163; App.II, ii, p. 137; III, i, p. 949; IV, ii, p. 286; V, iii, p. 106)

Geografia umana ed economica

di Paolo Migliorini

Popolazione

Nel corso della prima metà degli anni Novanta la popolazione del K. (29.008.000 ab. secondo una stima del 1998) è aumentata di 4.600.000 ab. (tasso medio di accrescimento annuo 1990-98: 31‰); è il caso di sottolineare che, per quanto in via di rallentamento, la crescita demografica è rimasta fino ad anni recenti a un livello pari o addirittura superiore rispetto alla crescita dell'apparato produttivo. La liberalizzazione dell'economia, avviata nel 1993, ha peraltro determinato un incremento del PIL (3,9% nel 1994, 5,2% nel 1995, 4,6% nel 1996, ma 2,3% nel 1997 e 1,6% nel 1998).

In particolare, e a prescindere dai contrasti in ambito urbano, a prevalente matrice politico-partitica, in alcune regioni periferiche si sono aggravate le tensioni interetniche, provocando sia moti di rivolta che hanno opposto gruppi etnici minoritari al governo centrale, sia scontri tra le stesse etnie minoritarie (v. oltre: Storia).

Condizioni economiche

Il settore primario (a esclusione delle produzioni di piantagione) sconta un'arretratezza strutturale evidente, che è all'origine di una bassissima produttività per addetto e per superficie coltivata. Lo sviluppo dell'agricoltura è stato intralciato da ricorrenti episodi di siccità, che hanno assunto carattere di calamità nazionale nel 1997, anno in cui, per far fronte ai fabbisogni alimentari della popolazione, si è dovuto ricorrere all'importazione di ingenti quantità di mais, fagioli e altre derrate. Inoltre il paese è particolarmente vulnerabile nei confronti delle fluttuazioni dei prezzi dei prodotti destinati ai mercati internazionali: specialmente tè (24,1% del valore totale delle esportazioni nel 1994) e caffè (14%).

L'ottavo piano di sviluppo dell'economia nazionale (1997-2000), in ottemperanza alle politiche di riassetto strutturale concordate con il Fondo monetario internazionale (FMI), si prefigge tra gli altri obiettivi quelli di agevolare gli investimenti privati e di ridurre il numero degli occupati nel settore pubblico. Tuttavia una certa riluttanza ad avviare operativamente il processo di privatizzazione, e tentativi da parte del governo di stabilizzare i prezzi di alcuni prodotti agricoli hanno indotto il FMI a posporre il versamento delle rate dei suoi consistenti aiuti finanziari, dopo che, nel 1996, erano ripresi i versamenti.

Le attività industriali (minerarie, manifatturiere, della costruzione e della produzione di energia) hanno una rilevanza produttiva e occupazionale ancora modesta, anche se il settore appare razionalmente strutturato e più avanzato che negli altri paesi dell'area. Il comparto industriale viene, a ogni modo, considerato come il più promettente dell'economia keniota. Nel campo delle attività manifatturiere, in particolare, le più importanti, misurate in termini di valore della produzione, sono quelle della lavorazione dei prodotti alimentari, le industrie chimiche e dei derivati del petrolio, e le industrie metalmeccaniche. Nel 1994 gli acquisti di combustibili (essenzialmente petrolio grezzo) hanno inciso per il 15% sul valore totale delle importazioni. L'energia di origine idroelettrica sopperisce all'80% del fabbisogno nazionale; un altro 15% è coperto da energia geotermoelettrica. Il settore dei servizi realizza oltre la metà del PIL, dimostrando una produttività per addetto assai elevata.

Il contributo del turismo alla bilancia dei pagamenti è diventato particolarmente consistente a partire dal 1987, anche se dal 1991 al 1996 si è registrata una certa flessione nelle presenze straniere, poi parzialmente recuperata. Prospettive interessanti sembrano essere offerte dall'entrata in vigore di un accordo di cooperazione economica fra K., Uganda e Tanzania, tendente alla realizzazione di un vero e proprio mercato comune, che per la struttura produttiva (in specie industriale) del K. risulterebbe assai vantaggiosa.

bibliografia

J. Heyer, Kenya: monitoring living conditions and consumption patterns, UN Research Institute for Social Development, Geneva 1990.

Africa Watch, Divide and rule: state-sponsored violence in Kenya, London 1993.

G. Barbina, La riforma agraria del Kenia. Il fallimento di una politica di decolonizzazione, in Rivista geografica italiana, 1997, pp. 305-37.

S.W. Orvis, The agrarian question in Kenya, Gainesville (Fla.) 1997.

R.M. Turner, H.A. Ochung, J.B. Turner, Kenya's changing landscape, Tucson (Ariz.) 1998.

Storia

di Emma Ansovini

Il paese è passato, all'inizio degli anni Novanta, da un sistema politico a partito unico al multipartitismo senza registrare un sostanziale cambiamento di regime, né un autentico processo di democratizzazione del tessuto sociale. D.A. Moi, giunto al potere nel 1978 dopo la morte di J. Kenyatta, ha continuato a dominare la vita politica del K. giovandosi di un completo controllo dell'apparato e dell'organizzazione statale, di un uso spregiudicato delle rivalità etniche, del monopolio dei mezzi di comunicazione e infine delle divisioni interne alle forze di opposizione nonché della loro incapacità di rappresentare una credibile alternativa politica e uno sbocco alle tensioni che percorrevano, esprimendosi in forme spesso violente, la società kenyota. Infatti, benché dal 1992 avesse assunto formalmente i caratteri di una democrazia, il paese continuava a essere governato attraverso un sistema in cui il vecchio personalismo, il clientelismo e le lealtà etniche erano ancora predominanti.

Le prime elezioni multipartitiche svoltesi nel dicembre 1992, anche se giudicate sostanzialmente corrette da una commissione del Commonwealth, furono contrassegnate da un clima di tensione e da sospetti di parzialità da parte del governo: la consultazione fu infatti turbata nel K. occidentale da violenti scontri scoppiati tra differenti gruppi etnici, fomentati, secondo gli oppositori di Moi, dallo stesso governo per dimostrare l'inadeguatezza del paese a un sistema politico pluralistico. Le consultazioni, che erano presidenziali e legislative, registrarono la spaccatura del principale gruppo di opposizione, il Forum for the Restauration of Democracy (FORD), presentatosi diviso tra una fazione espressione dell'etnia kikuyu (FORD-Asili) e un'altra dell'etnia luo (FORD-Kenya), e videro la riconferma di Moi alla presidenza con il 36,35% dei suffragi e la vittoria della Kenya African National Union (KANU), cui andarono 100 dei 188 seggi dell'Assemblea nazionale, contro i 31 ciascuno per i due Forum, i 23 per il centrista Democratic Party (DP) e i tre a formazioni minori.

Negli anni successivi la situazione generale del K. non registrò miglioramenti significativi: mentre infatti gravissimi scontri interetnici coinvolgevano nella zona della Rift Valley le popolazioni kikuyu e kalenjin, causando, tra l'altro, l'esodo di centinaia di migliaia di persone verso altre zone del paese, la situazione economica rimase difficile e le condizioni di vita di gran parte della popolazione subirono un peggioramento in seguito all'applicazione del programma di aggiustamento strutturale, varato dal governo in cambio della concessione di un ingente prestito da parte del FMI nel novembre 1993. Il crescente disagio sociale fu testimoniato anche da un preoccupante aumento della criminalità nelle zone urbane. Le manifestazioni di protesta contro la politica economica del governo e per una reale democratizzazione della vita pubblica si intensificarono, ma a esse il governo rispose con crescente durezza, tanto da attirarsi numerose denunce e condanne da parte delle organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani. Nel marzo 1996 i principali organismi di credito internazionale e alcuni paesi, come la Gran Bretagna e la Germania, decisero nuovamente di subordinare a un effettivo rispetto dei diritti umani e all'introduzione di sostanziali riforme la concessione di ulteriori prestiti. Proteste e violenze contrassegnarono tutto il 1997, in particolare dopo l'uccisione in febbraio del leader di un movimento di studenti universitari e in seguito, in luglio, in occasione di una serie di imponenti manifestazioni organizzate dall'opposizione per chiedere, prima dello svolgimento delle nuove elezioni previste per la fine dell'anno, il varo di riforme costituzionali che ridefinissero i collegi elettorali, disegnati per favorire il partito di governo, e introducessero un turno di ballottaggio per l'elezione del presidente. In questa fase di aspro confronto politico si costituì un nuovo cartello delle opposizioni, la National Convention Assembly (NCA), che raccoglieva rappresentanti di alcuni dei partiti presenti nel parlamento insieme a quelli di organizzazioni non governative e gruppi religiosi, comprese le Chiese cattolica e protestante, da tempo molto critiche nei confronti del regime. La risposta del governo oscillò in modo strumentale tra segnali di apertura e forme violente di repressione. Le elezioni, presidenziali e legislative, svoltesi nel dicembre 1997 e caratterizzate da brogli e violenze, videro la conferma di Moi alla presidenza, e della KANU come partito di maggioranza. La vittoria di Moi fu anche favorita dalla debolezza dell'opposizione, presentatasi alla prova elettorale divisa in nove differenti partiti a schiacciante prevalenza etnica. Proprio le tensioni etniche sfociarono ancora una volta nel corso del 1998 e del 1999 in sanguinosi scontri. Sul piano internazionale, ai problemi incontrati nelle relazioni con i governi occidentali, che pure non sembravano aver trovato interlocutori alternativi a Moi, fece riscontro il mantenimento di buoni rapporti con la Tanzania e un miglioramento di quelli con l'Uganda, segnati da un decennio di gravi difficoltà. I tre paesi nel 1994 decisero di dar vita a una commissione permanente per incrementare la cooperazione regionale.

bibliografia

Markets, civil society, and democracy in Kenya, ed. P. Gibbon, Uppsala 1995.

D. Throup, Ch. Hornsby, Multi-party politcs in Kenya. The Kenyatta and Moi states and the triumph of the system in the 1992 election, London-Athens (Oh.) 1997.

S.M. Makinda, Hiding corruption and division, in The world today, 1997, pp.263-65.

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