KHALCAYAN

Enciclopedia dell' Arte Antica (1995)

KHALCAYAN

A. Santoro

Località della Battriana antica situata sulla riva destra del Surkhan Daryā, in prossimità dell'odierna regione di Denau (Uzbekistan), ove è stato rinvenuto un vasto insediamento urbano, fondato in epoca greco-battriana (III sec. a.C.) e giunto al suo apogeo sotto i Kuṣāṇa (I-III sec. d.C.).

Le campagne di scavo, condotte negli anni 1959-1963 dalla Spedizione di Storia dell'Arte dell'Uzbekistan sotto la direzione di G. A. Pugačenkova, hanno consentito di ricostruire l'estensione e la tipologia del sito, che costituisce, nelle parole di B. Ja. Staviskij, un tipico esempio di «insediamento-oasi».

Il centro architettonico della città è costituito da un palazzo residenziale-amministrativo circondato da un gruppo di fabbricati; il resto dell'abitato si sviluppa lungo i canali di irrigazione derivati dal fiume mediante una serie di costruzioni che comprendono anche «poderi», con edifici di abitazione, dipendenze e annessi, giardini e frutteti. Non esiste soluzione di continuità fra il centro urbano vero e proprio e le costruzioni di campagna, né sono state rinvenute cinte murarie o fossati che racchiudano l'agglomerato abitativo che, nel suo insieme, ricopre una fascia lunga 2 km e larga 1500 m.

Nella zona meridionale dell'insediamento sono state scavate sistematicamente due collinette, Karabag Tepe e Kha- naka Tepe. Nella prima sono stati riportati alla luce i resti di una struttura fortificata nella quale sono riconoscibili due fasi costruttive, la più antica risalente al periodo greco-battriano (III sec. a.C.), la seconda, che presenta una modificazione e rinforzo del sistema difensivo, di epoca kuṣāṇa (I-III sec. d.C.).

La scoperta più sensazionale, cui Kh. deve la sua fama, è senz'altro quella di Khanaka Tepe. Ivi è stato rinvenuto un palazzo di epoca kuṣāṇa decorato con pitture parietali, di cui rimangono purtroppo solo pochi frammenti, e ornato da una ricca serie di sculture in argilla cruda policroma. L'edificio è a pianta rettangolare (35 x 26 m) orientato longitudinalmente e con la facciata a E, ed è diviso, dal punto di vista funzionale, in tre parti. L'ala N, composta da corridoi e stanze, era destinata probabilmente a ospitare le guardie (vi sono state trovate, fra l'altro, 80 punte di frecce in ferro); l'ala S, costituita da due corridoi e una stanza, doveva contenere il «tesoro», di cui ci sono giunti solo pochi frammenti d'oro e di tessuti di seta. La parte centrale aveva funzioni di rappresentanza e comprende un portico esastilo che immette in un'ampia sala rettangolare (17,6 x 6,1 m), sul fondo della quale si apre una porta d'accesso a una piccola sala quadrangolare (7,4 x 6,2 m) con due colonne al centro. Il palazzo è costruito, come sempre in Battriana, in mattoni crudi, con rivestimento di intonaco imbiancato. Il tetto era piatto, coperto con tegole e coronato ai bordi con cornici merlate decorate con un'apertura a punta di freccia dipinta in rosso. Le colonne del portico e della sala di fondo avevano il fusto ligneo ma il plinto quadrato e il toro erano di pietra. La costruzione, di dimensioni non certo imponenti, è caratterizzata da un armonioso equilibrio dei rapporti volumetrici e sfrutta sapientemente gli effetti di luce e colore derivanti dall'alternanza di vuoti e pieni che caratterizza la facciata.

Internamente il palazzo era ornato, nel portico e nella sala centrale, con una ricca serie di pitture e sculture. Della decorazione pittorica sopravvivono solo pochi frammenti. Di gran lunga più numerosi sono i resti scultorei che formavano il fregio collocato sulla parte più alta delle pareti e che caddero a terra per un terremoto: la posizione dei frammenti sul pavimento ha consentito di ricostruire, almeno in parte, le scene raffigurate e la loro dislocazione. Tutte le sculture sono eseguite in argilla cruda giallastra, disposta a strati successivi su uno scheletro di legno, e fissate alle pareti mediante paletti di legno o canne. Una caratteristica singolare di queste opere plastiche è che il loro aggetto aumenta progressivamente dal basso verso l'alto, variando così dal bassorilievo all'altorilievo fino a giungere al tutto tondo di alcune teste. Nel portico la decorazione pittorica doveva correre lungo le tre pareti, ma ci sono pervenuti solo pochi frammenti di motivi decorativi e di due teste maschili. La fascia dipinta era sormontata da un fregio scultoreo, di cui sopravvivono due teste femminili della parete N, e una più ricca serie di frammenti della parete S: una testa maschile, una femminile con elmo (identificata con Atena), parti di gambe, di braccia e di panneggio. Molto meglio conservata è la fascia scolpita della sala centrale. Secondo la ricostruzione di G. A. Pugačenkova, la decorazione pittorica era qui limitata alla parete E, mentre le altre tre erano ricoperte di intonaco bianco fino a 3 m dal suolo. Al di sopra si sviluppava la decorazione plastica, articolata in due fregi sovrapposti. Quello di coronamento, alto 60 cm, presenta il motivo degli amorini portatori di festone; ma se il motivo è «classico», la tipologia degli amorini è decisamente lontana dalla tradizione occidentale: a figurette nude si alternano rappresentazioni di fanciulli in tunica e con berretto «frigio», o immagini di giovani uomini, tutte fortemente individualizzate ed esprimenti un particolare ideale di bellezza. Nelle anse dei festoni sono collocati busti maschili e femminili: suonatrici di arpa e liuto, volti di tipo satiresco e un busto di Eracle. Il fregio inferiore, di dimensioni maggiori (c.a 2 m), comprendeva più scene indipendenti, tré delle quali sono state ricostruite nel loro insieme. Quella centrale, collocata nella nicchia centrale del muro O, comprendeva una coppia regale in trono affiancata da due coppie stanti di proporzioni minori; una seconda coppia seduta chiudeva la composizione a sinistra. Nella sezione Νdella stessa parete era raffigurato un sovrano seduto in trono affiancato da personaggi maschili stanti; sulla sinistra una divinità femminile su carro e una sfinge. Nella sezione S era un gruppo di guerrieri su cavalli al galoppo. I resti della parete N, che comprendono frammenti di una figura inginocchiata, potrebbero forse alludere a una scena di trionfo. Pur nella difficoltà di comprendere pienamente le scene e la relazione fra una scena e l'altra, è evidente il carattere celebrativo delle immagini, destinate a esaltare figure regali. Un'attenta analisi dei personaggi consente di riconoscere gruppi diversi per etnia e costumi; inoltre i personaggi principali delle tre scene sono caratterizzati da una stretta somiglianza non solo tipologica, ma anche fisionomica, tanto che sembra che essi appartengano non solo a un medesimo gruppo etnico, ma addirittura a uno stesso gruppo familiare (deformazione del cranio, forma del naso, acconciatura dei capelli, ecc.). G. A. Pugačenkova, confrontando con monete kuṣāṇa il sovrano rappresentato nella seconda scena, ha rilevato una somiglianza assai stretta fra il dinasta di Kh., e il profilo numismatico di Heraos (I sec. a.C.), considerato il capostipite del futuro impero kuṣāṇa. La studiosa ha quindi avanzato l'ipotesi che nel fregio di Kh. fossero raffigurati, insieme con gruppi battriani e partici, Heraos e il suo clan. Essa ritiene inoltre che il palazzo fosse stato fondato dallo stesso sovrano e utilizzato come residenza di campagna: la sala centrale, decorata con le sculture che esaltavano il dinasta e il suo gruppo, avrebbe avuto la funzione di sala delle udienze, mentre la sala di fondo, priva di decorazione, era destinata a ospitare il trono. Nei secoli successivi (la vita del palazzo continuò fino al III-IV sec. d.C.) l'edificio venne utilizzato come «tempio degli antenati deificati».

Benché vi sia accordo generale fra gli studiosi sulla connessione fra questo edificio e la celebrazione di Heraos e della sua dinastia, alcune riserve sono state avanzate sia per quel che riguarda l'attribuzione allo stesso sovrano della edificazione, sia per la destinazione sacrale del palazzo. In particolare B. Ja. Staviskij sottolinea da un lato l'estrema improbabilità che sculture così fragili siano sopravvissute per più secoli, dall'altro rileva come l'assenza di monete di Heraos nel corso medio del Surkhan Daryā renda assai difficile ritenere che questa zona sia stata la culla del futuro impero kuṣāṇa. Lo studioso avanza perciò l'ipotesi che la costruzione del palazzo risalga alla fine del regno di Kujula Kadphises o a quello di Wima Kadphises (i sec. d.C.), allorché il dominio kuṣāṇa su questa zona si consolidò pienamente, e ritiene che il palazzo di Kh. venne costruito come «santuario dinastico». La sala di fondo, che secondo la Pugačenkova era la «sala del trono», sarebbe in realtà la sala di culto, destinata ad accogliere, inquadrato fra le due colonne, un altare del fuoco. Altri studiosi esprimono ampie riserve sulla destinazione cultuale dell'edificio, sia per la tipologia architettonica, sia per il carattere eminentemente laico delle decorazioni che celebrano le imprese della dinastia senza però contenere scene propriamente religiose.

Se dal punto di vista storico il palazzo di Kh. presenta, come si è visto, notevoli motivi di interesse, non certo minore è il suo significato per l'evoluzione della cultura artistica della Battriana e dell'intera arte kuṣāṇa, di cui illumina molti aspetti prima pressoché ignoti. In primo luogo va sottolineato come temi o personaggi di chiara derivazione classica (amorini portatori di festoni, Atena, Nike, ecc.) siano trasformati sulla base di un gusto e di un ideale estetico ormai lontani dai prototipi occidentali, un gusto e un ideale che alla luce delle scoperte più recenti di Dilberǰin e Dalverzin Tepe possono essere definiti «battriani». Vivace e originale è il gusto individualizzante che si esprime nella caratterizzazione di tutti i personaggi, anche di quelli minori; una caratterizzazione che non solo approda vigorosamente al ritratto, sottolineando senza esitazione anche i segni dell'età, ma tende efficacemente all'effetto drammatico e patetico. Assai forte è la sensibilità plastica, che si esprime sia attraverso il passaggio dal bassorilievo al tutto tondo, sia nell'uso della policromia (quest'ultima vale anche a esaltare gli effetti drammatici), sia infine nel ricorso a particolari soluzioni ottiche, quale l'utilizzazione dell'asimmetria, per correggere le distorsioni derivanti dalla collocazione assai elevata del fregio.

Bibl.: G. A. Pugačenkova, K istorii antičnoj stroitel'noj tekhnikì Baktrii-Tokharistana («Sulla storia dell'antica tecnica costruttiva in Battriana- Tokhārestān»), in SovArkh, 1963, 4, pp. 73-85; ead., Κ ikonografii Geraja («Sull'iconografia di Heraos»), in VesDrevIstor, 1965, 1, pp. 127-136; ead., La sculpture de Khaltchayan, in IrAnt, V, 1965, pp. 116-127; ead., Khalçajan, Taškent 1966; ead., Skul'ptura Khalčajana («La scultura di Kh.»), Mosca 1971; ead., Kušanskoe iskusstvo νsvete novejšikh otkrytij νsevemoj Baktrii («L'arte kuṣāṇa alla luce delle nuove scoperte nella Battriana settentrionale»), in Central'naja Azija ν kušanskuju epokhu, II, Mosca 1974, pp. 312-319; Β. Rowland, Graeco- Bactrian Art and Gandhara: Khalchayan and the Gandhara Bodhisatwas, ibid., pp. 320-323; Β. Ja. Staviskij, Kušanskaja Baktrija: problemy istorii i kul'tury, («La Battriana kuṣāṇa. Problemi di storia e cultura»), Mosca 1977, passim (ed. francese La Bactriane sous les Kushans, problèmes d histoire et de culture, Parigi 1986); P. Bernard, La Bactriane à l'époque kushane d'après une nouvelle publication soviétique, in JSav, 1979, pp. 237-256; G. A. Pugačenkova, Iskusstvo Baktrii epokhi Kušan («L'arte della Battriana nell'età dei Kuṣāṇa»), Mosca 1979; G. Verardi, The Kuṣāṇa Emperors as Cakravartins. Dynastic Art and Cults in India and Central Asia: History of a Theory, Clarification and Refutations, in EastWest, XXXIII, 1983, pp. 225-294; V. M. Masson, Sevemaja Baktrija, in G. A. Košelenko (ed.), Drevnejšie gosudarstva Kavkaza i Srednej Azii («I più antichi stati del Caucaso e dell'Asia Media»), Mosca 1985, pp. 261, 268.