KIEV

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1996)

KIEV

H. Faensen

(ucraino Kiiv)

Capitale dell'Ucraina, situata sulla riva destra del fiume Dnepr su un ripiano terrazzato, al margine settentrionale della zona delle terre nere.Nella c.d. Cronaca di Nestore (Povest' vremennych let), frutto di una collazione di più antichi testi realizzata tra il 1113 e il 1118 nella laura delle Grotte di K. (Kievo-Pečerskaja-Lavra), si racconta "da dove la terra russa trae la sua origine, chi cominciò a governare a Kiev", descrivendo la fondazione stessa della città, che, secondo la leggenda, già l'apostolo Andrea durante una missione avrebbe profetizzato in stretto legame con la nascita della Russia. Il nome deriverebbe da Kij, principe slavo orientale della stirpe dei Poliani, il quale con i suoi fratelli Šček e Choriv avrebbe dato avvio alla creazione di tre insediamenti lungo l'alta riva destra del Dnepr.Il regno che riunì le stirpi slave orientali nella prima grande epoca della storia russa, dalla fine del sec. 9° fino al principio del 13°, si chiamò Rus' di K., comprendente l'enorme territorio, scarsamente popolato, esteso dalle coste del Baltico fino al corso inferiore del Dnepr, dai Carpazi fino alla Dvina settentrionale e al Volga.Per l'unificazione della regione e la formazione di uno Stato giocarono un ruolo importante i Variaghi, denominazione usata nella Russia dei secc. 9°-11° per indicare i guerrieri scandinavi, mercanti e venditori di schiavi, in Occidente conosciuti come Vichinghi o Normanni. A partire dal tardo sec. 8° essi penetrarono con le loro imbarcazioni, attraverso la rete fluviale, nelle regioni dell'interno, stabilendosi nelle località più congeniali al traffico commerciale, spesso coesistendo con le signorie slave. Sulle acque degli affluenti del Volga, sul mar Nero, sul Caspio e, a partire dal sec. 9°, anche lungo il Dnepr, essi perlopiù praticarono il commercio con i Bizantini e con l'Oriente, ma prestarono servizio anche come soldati. Rappresenta un riferimento ai Variaghi lo stesso termine, in slavo antico, di Rus', derivato dal gr. rhóos ('corrente'). I primi, ancora leggendari, principi russi e molti dei personaggi del loro seguito avevano nomi germanici ed erano di stirpe scandinava. Nell'862, sul territorio intorno a Novgorod e Starij-Ladoga, assunse il potere Rjurik; questi - secondo la Cronaca di Nestore - lo trasferì a Oleg, che, con il figlio di Rjurik, Igor', si spinse lungo la via d'acqua - la 'strada dei Variaghi verso i Greci' - verso S, conquistando nell'882 la stessa K., presa a due altri capi variaghi, Askol'd e Dir, e riunificando le regioni russe del Nord e del Sud. In effetti, malgrado non si giungesse alla creazione di un vero e proprio Stato nazionale, l'azione dei Variaghi contribuì alla realizzazione di strutture di potere ad ampio raggio e a una sorta di omogeneizzazione delle singole peculiarità delle stirpi slave dell'Est. Nel rapido processo di 'slavizzazione' il termine Rus' si estese a definire l'intero territorio.Per quanto concerne K., considerata 'madre di tutte le città russe', lo sviluppo urbano del centro, eletto residenza dei principi e sede metropolitana, fu sicuramente favorito dalla presenza di un nucleo mercantile sul Dnepr, sebbene solo a km. 40 di distanza a S si estendesse la zona di dominio delle popolazioni asiatico-nomadi dei Peceneghi. Tracce di abitazioni e sistemi a terrapieno, nonché ritrovamenti d'oggetti d'uso e di monete protobizantine attestano che già nei secc. 6°-7° su tre colline e nella valle del fiume esistevano prime forme di insediamento. Con il sec. 10° a K. è possibile distinguere l'assetto topografico tipico di una città dell'antica Russia: sull'altura la città fortificata (gorod) con la residenza dei granduchi, sulle vicine colline gli antistanti insediamenti urbani (posad) e in basso, sul fiume, un ampio suburbio (podol) con mercati, popolato da commercianti e artigiani. Per quest'ultimo, tracce di officine e manufatti in argilla, ferro e metallo non ferroso lasciano supporre la presenza a K. di più di sessanta diverse attività artigianali. La città alta, ampliata da s. Vladimiro I (980-1015), era dotata di un sistema difensivo, articolato in terrapieni, fossati, palizzate e torri di guardia, che racchiudeva al centro luoghi di culto pagano e la residenza, la c.d. corte (dvor), composta da sei distinti palazzi. Quando e in che modo si fosse provveduto a fornire di impianti fortificati le altre parti della città resta questione ancora controversa.Fortificazioni, edifici di rappresentanza o a carattere abitativo e commerciale, ponti e strade erano realizzati con travi lignee, di regola di conifere e querce. I resti di case riportati alla luce nella città bassa attestano costruzioni a travi orizzontali (Blockhaus), che raggiungevano un'altezza pari a nove travi e una superficie estesa fino a m2 38, in alcuni casi addirittura fino a 60. Oltre a questo tipo di abitazione, ne esisteva anche un altro, il Grubenhaus ('capanna con fondo scavato'), tipico della zona del fiume Dnepr. Singolare doveva essere il terem in pietra ricordato nella Cronaca di Nestore nell'anno 945, una torre-palazzo circolare con funzione di abitazione, pertinente al complesso della residenza. Attraverso gli scavi è stato possibile rintracciarne l'ubicazione e l'assetto; il suo diametro interno è di m. 14,50 e lo spessore dell'anello di fondazione arriva fino a m. 1,70; quest'ultimo venne realizzato con grandi blocchi di pietra tenuti insieme da malta argillosa e questa caratteristica fa supporre l'esistenza di una struttura a più piani. I muri erano costituiti da mattoni in argilla, rafforzati da blocchi di pietra. Resti di pitture murali e di mosaici ceramici pavimentali lasciano ipotizzare l'esistenza di una sala del trono, riccamente decorata.Anche le prime chiese russe furono realizzate in legno, secondo la tipologia del Blockhaus diffusa in ambito urbano. La Cronaca di Nestore riferisce della presenza nel seguito del principe Igor' - che assunse il potere nel 912, dopo la morte di Oleg - di membri di fede cristiana, i quali nel 945 avrebbero stretto un patto con i Bizantini nella chiesa lignea dedicata a Elia. Tale patto lascia presumere che all'interno della maggioranza pagana dovesse esistere da tempo una piccola comunità cristiana che celebrava il proprio ufficio divino nell'antica lingua della Chiesa slava. Già durante la lotta iconoclasta, del resto, nelle grotte della Russia meridionale si era verificato l'insediamento di monaci, mentre tentativi di missione in Crimea da parte del patriarcato di Costantinopoli, attraverso le colonie bizantine, sono documentati a partire dall'860. La stessa consorte di Igor', Olga, si recò fino a Costantinopoli per farsi battezzare (955 o 957), con lo scopo di ottenere in cambio da Costantino VII l'assenso per la creazione di un'eparchia, o diocesi, autocefala; la missione non dovette avere successo perché nel 959 Olga mandò a Quedlinburg una delegazione a Ottone I con la richiesta di invio di un vescovo. Sotto il granduca Vladimiro I, nipote di Olga, si optò definitivamente in favore della religione greco-ortodossa, come sottolinea la Cronaca di Nestore, sulla base di una scelta autonoma e in seguito a un'indagine conoscitiva dei diversi credi musulmano, ebraico e cattolico-romano. A proposito del suo battesimo del 988 nel Dnepr, la Cronaca di Nestore descrive come Vladimiro I facesse costruire chiese in legno nel luogo in cui si ergevano le statue lignee di Perun, dio del tuono, e di altri idoli.L'accettazione del cristianesimo come religione di Stato, connessa ai legami istituiti con la casa imperiale bizantina da Vladimiro I grazie al suo matrimonio con Anna, sorella degli imperatori Basilio II e Costantino VIII, servì all'integrazione delle stirpi slave dell'Est in una struttura statale protofeudale e conferì a Vladimiro la pienezza del potere per grazia divina. Il granduca fece sua l'idea della symphonía, cioè del concorso del potere civile e di quello religioso. Sul modello bizantino egli fece coniare monete in argento e in oro (srebreniks e slatniks), che lo ritraggono quale vicario di Cristo in terra: sul dritto, insieme con il nome, appare la sua immagine in trono con la corona, un lungo bastone, la croce e anche il nimbo, sul rovescio l'immagine del Pantocratore con il nome di Cristo o un simbolo araldico. Il granduca Jaroslav I il Saggio (1036-1054), figlio di Vladimiro I, fece in seguito sostituire all'effigie del sovrano quella di s. Giorgio, suo santo protettore, mantenendo il simbolo araldico sul rovescio.Lo statuto ecclesiastico di K. (ustav) si ispirava al nomocanone bizantino; le celebrazioni religiose degli antichi Slavi si fusero con i typiká della Santa Sofia, dei monasteri di fondazione costantinopolitana e del monachesimo atonita. Come narra la Cronaca di Nestore, fu lo stesso Vladimiro I, dopo il suo matrimonio con Anna, a portare con sé da Korsun sacerdoti greci, oggetti liturgici, icone e reliquie. Sul piano della committenza artistica, egli promosse l'afflusso a K. di maestranze costantinopolitane, che trasmisero le tecniche, lo stile e le formule decorative proprie della tradizione bizantina.Malgrado non sia storicamente comprovato un legame diretto con l'arcivescovado bulgaro di Ochrida, il linguaggio ecclesiastico e i testi liturgici si svilupparono a K. sulla base delle traduzioni di s. Cirillo e s. Metodio e numerosi codici furono importati dalla vicina Bulgaria slava, cristianizzata già alla metà del 9° secolo. L'ipotesi più accreditata tra gli studiosi è che dal punto di vista giurisdizionale fin dal principio la sede metropolitana di K. fosse stata sottoposta all'autorità del patriarca di Costantinopoli. In effetti, fino al momento dell'invasione mongolo-tartara del 1237, si succedettero ventitré metropoliti, tutti, a eccezione di Ilarione, scelti ed eletti dal patriarca di Costantinopoli senza il ricorso al sinodo regionale. Solo tre di loro erano di origine russa, mentre altri provenivano dalla Grecia e altri ancora erano addirittura membri della corte imperiale.Intorno al 989, in concomitanza con l'erezione di strutture in pietra per il palazzo, Vladimiro I fece costruire all'interno del complesso residenziale anche la prima chiesa di K. a carattere monumentale: rasa al suolo dai Mongoli nel 1240, di questa si conservano solo i muri di fondazione e parte della decorazione; dedicata alla Vergine, era nota con il nome di Desjatinnaja (chiesa della Decima), poiché in essa doveva confluire la decima parte delle entrate dei granduchi. Durante le lotte per la successione al trono dopo la morte di Vladimiro I, l'edificio fu distrutto da un incendio nel 1017, ma venne rinnovato nel 1039 e nel 1050 fu dotato di ampie gallerie che si estendevano per tre lati. Gli scavi hanno messo in luce il nucleo centrale di un edificio cruciforme con copertura a cupola, provvisto di tre absidi, con navata allungata e nartece, secondo uno schema che ricorda le chiese di corte costantinopolitane del tipo, per es., della Nea Ekklesia (880 ca.) e della chiesa nord del monastero di Costantino Lips (od. Fenari Isa Cami) a Costantinopoli, del 907.Forse proprio in occasione della ridedicazione della chiesa è possibile che il futuro metropolita Ilarione tenesse sul sepolcro di Vladimiro I la famosa predica 'della legge e del perdono', in cui il granduca veniva esaltato come novello Costantino, isoapostolo e Battista e lo stesso popolo russo come 'portatore di salvezza'. La predica di Ilarione, in realtà, era indirizzata a Jaroslav I. Nel suo discorso, pure intessuto di tópoi bizantini, il metropolita difendeva la volontà di autonomia dei Russi e lodava il programma edilizio del nuovo sovrano: "Guardate la città che risplende per la sua magnificenza; guardate le chiese che fioriscono; guardate il cristianesimo, esso cresce; guardate l'intera città che riluce per le icone dei santi ed è avvolta nell'incenso; in essa ogni angolo risuona [per il clamore] delle lodi e degli inni rivolti a Dio" (Die Werke des Metropoliten Ilarion, 1971, pp. 41-53: 51). Jaroslav I, in effetti, non solo fece trasformare la città alta di Vladimiro I in una vera e propria fortezza (detinec), ma dotò la parte antistante, che si era sensibilmente ampliata, di nuove mura e di tre porte monumentali; questa parte dell'abitato venne chiamata più tardi 'città di Jaroslav'. Al principio del sec. 11° Thietmar di Merseburg (Chronicon, IX, 32) ricordava a K. la presenza di più di quattrocento chiese: probabilmente il suo informatore dovette includere nel numero anche le strutture turrite dell'architettura lignea, ma in tale immagine si rispecchia l'importanza acquisita dalla città, riconosciuta anche da Adamo di Brema (Gesta Hammaburgensis ecclesiae pontificum, II, 22), che la definì rivale di Costantinopoli, descrivendola come gioiello della cultura d'ambito greco.A un modello costantinopolitano si ispirarono le due imprese architettoniche di maggiore rilievo: la porta d'accesso meridionale alla città, la c.d. porta d'Oro (1037 ca.) con annessa chiesa, conservatasi solo parzialmente, ma ricostruita in tempi recenti, e, nel centro della 'città di Jaroslav', la cattedrale di Santa Sofia (od. Sofijskij muz.), sede del vescovo metropolita della Rus' (1037 ca.-1050). Circa le maestranze attive nella cattedrale, per le quali le cronache non forniscono alcuna notizia, è difficile stabilire se si trattasse ancora di quelle chiamate a K. da Vladimiro I o di nuove maestranze greche; vennero utilizzate le tecniche costantinopolitane dell'opus mixtum e del 'mattone arretrato', in cui tra due corsi di laterizi se ne inseriva uno con allettamento arretrato, successivamente nascosto da uno spesso strato di malta. L'uso della pietra si limitò alle sole fondamenta e alle parti basse delle pareti, mentre per le restanti parti in muratura - gli angoli, i corsi di livellamento, le parti superiori delle pareti e le volte - furono utilizzati mattoni bassi e quadrangolari; gli archi di portali, finestre e nicchie vennero realizzati con ghiere multiple rientranti. La percentuale di travi lignee impiegate sia nelle strutture di fondazione sia nella costruzione, davvero eccezionale a confronto con gli edifici di Bisanzio, ha suggerito l'ipotesi di una compartecipazione ai lavori di carpentieri russi. Tipicamente bizantine, invece, sono le nicchie cieche poste in facciata e soprattutto nelle absidi, nonché il tipo di decorazione laterizia con fregio a meandro o a spina di pesce.Nella dedicazione, la cattedrale, 'madre delle chiese russe', assunse lo stesso patrocinio della Santa Sofia di Costantinopoli; il riferimento alla saggezza (mudrost') era del resto anche nel nome onorario di Jaroslav I e si riconnetteva all'ideologia imperiale bizantina del trasferimento del potere di Cristo al suo rappresentante terreno, implicando il concetto missionario della vittoria sul paganesimo. Secondo la leggenda, infatti, l'edificio venne eretto proprio sul luogo in cui Vladimiro I aveva sconfitto i Peceneghi. A ciò si univa un richiamo esplicito alla filosofia salomonica come modello di vita saggia e proba e alle analogie con il Tempio di Salomone, con la città celeste, dalle mura indistruttibili, e con Maria quale sedes sapientiae e simbolo della Ecclesia; in questo senso va letta l'iscrizione che corre lungo il mosaico absidale, con il versetto di Sal. 46 (45), 6.La soluzione architettonica che la Santa Sofia di K. presenta è bizantina, ma nello stesso tempo nuova e singolare: una chiesa a croce greca inscritta con copertura a cupola, a cinque navate con cinque absidi e tredici cupole su tamburi, due torri scalari coperte anch'esse a cupola e due gallerie che corrono lungo tre lati del perimetro, quella interna articolata su due piani, quella esterna ampia e, originariamente, aperta da arcate. Con tale concezione dello spazio, che, per la disposizione su più navate e l'ampiezza raggiunta, aveva fino a quel momento caratterizzato solo gli impianti basilicali, Jaroslav I mirava alla realizzazione di un'architettura di rappresentanza, capace di contenere il concorso delle masse, con tribune riservate al seguito del sovrano. Il modello della chiesa di corte a croce greca inscritta con cupole, generalmente di ridotte dimensioni, venne dunque realizzato su una scala proporzionale equiparata a quella della Santa Sofia costantinopolitana, nonché modificato sulla base di influssi dell'Oriente cristiano e del Romanico (per es. l'assetto complessivo del corpo occidentale, che ricorda da vicino le soluzioni di facciate a due torri dell'Occidente romanico). Possenti pilastri cruciformi sostituiscono le colonne utilizzate di norma a Costantinopoli; i pilastri orientali non sono liberi nello spazio, ma connessi con le pareti divisorie delle absidi interne (schema a due sostegni, del c.d. tipo semplice). L'imponente incrocio, largo m. 7,60, con cupola alta m. 29, l'abside principale e gli alti bracci della croce, coperti a botte, creano nel complesso una zona centrale unitaria e piena di luce. Le campate delle navate laterali e delle gallerie interne occupano un quarto del quadrato della cupola: coperte con volte a calotta, strette da archi trasversali con membrature fortemente rilevate, esse creano nel piano terreno una zona marginale frammentata e quasi opprimente. Pertinenti a una seconda fase di lavori, protrattasi fin nel sec. 12°, sarebbero invece da considerarsi (Lazarev, 1973) sia la sopraelevazione della tribuna interna sia la costruzione dell'ampia galleria esterna ad arcate, con il battistero e con la torre scalare della zona sudoccidentale. La tribuna della corte, disposta a U, ampia e ben illuminata, circonda la 'scena sacra', giungendo fino alle conche absidali delle navatelle esterne. Per la delimitazione al termine dei bracci dell'incrocio si adottò una delle più auliche formule giustinianee: triple arcate sovrapposte, su colonne, racchiuse entro un arco. A N-O e a S-O della tribuna si trovano due ambienti ad aula a pianta quadrata, che molto probabilmente erano adibiti all'esercizio delle pubbliche funzioni dell'autorità sovrana.Sul modello della Santa Sofia di K., sia pure semplificato, vennero realizzate sia la cattedrale di Novgorod (1045-1066), anch'essa dedicata alla Santa Sofia e ugualmente di committenza principesca, sia la chiesa di Polock (metà sec. 11°).L'attuale assetto esterno dell'edificio è segnato dai profondi rimaneggiamenti dei secoli successivi e in particolare dalla completa ristrutturazione del sec. 17° nelle forme del Barocco ucraino. Come specificamente russi possono intendersi tanto l'andamento piramidale del corpo di fabbrica - evidente soprattutto nell'altezza scalare delle absidi, delle volte, dei timpani e delle cupole su tamburo - quanto il sistema spaziale e decorativo, nonché il ritmo ondulato delle coperture.I mosaici e gli affreschi, pervenuti purtroppo solo in modo frammentario, risalgono in larga misura al sec. 11° e costituiscono un esempio fra i più significativi dei programmi iconografici mediobizantini. L'evento salvifico è presente soprattutto in una dimensione cosmica ed escatologica, evidenziandosi Cristo come Pantocratore e sacerdote della liturgia celeste. Dal punto di vista iconografico un significativo termine di confronto è costituito dagli affreschi della Santa Sofia di Ochrida, realizzati a partire dal 1037: malgrado l'aspetto legato alla simbologia liturgica risulti a K. preponderante rispetto, più generalmente, agli esempi coevi d'ambito greco, non soltanto in entrambi i casi il ciclo di immagini è pressoché sovrapponibile, ma evidente appare l'apporto di un reciproco scambio. Le immagini più importanti e di maggiori dimensioni trovano posto, secondo i principi dell'estetica architettonica della luce, nelle parti più illuminate della cupola centrale e dell'altare. All'altezza delle volte e nella zona superiore delle pareti sono rappresentate scene dal ciclo delle Feste; nella parte inferiore i fedeli sono attorniati dal fitto coro delle immagini dei singoli santi, raffigurati lungo le pareti e sui sostegni.Così organizzato, il programma prende avvio dalla sommità della cupola con il busto di Cristo Pantocratore; la mano destra è ritratta nel gesto benedicente e docetico, mentre la sinistra sostiene il libro chiuso dei Vangeli. Accanto si dispongono quattro arcangeli, in posizione frontale e abbigliati, in qualità di diaconi divini, con la veste tempestata di perle; nella mano destra essi reggono il globo crucigero, quale insegna della potenza di Cristo, e nella sinistra il labaro (rhipídion) con la formula del trisághion. Tra le dodici finestre del tamburo sono raffigurati gli apostoli e al di sopra dei pilastri della cupola, nei pennacchi, i quattro evangelisti seduti allo scrittoio. Al di sopra della chiave dell'arco orientale appare ancora Cristo, in qualità di sommo sacerdote; alludono alla sua dignità sacerdotale anche le figure di Melchisedec e di Aronne sui pilastri settentrionale e sudorientale della cupola. Negli intradossi dei quattro archi si susseguono, entro tondi, i busti dei Quaranta martiri di Sebaste, quasi come a proteggere la stabilità delle stesse strutture portanti. Sull'arco trionfale è raffigurata l'Annunciazione: la Vergine è ritratta, secondo la tradizione apocrifa del Protovangelo di Giacomo, con il fuso tra le mani, allusivo alla partecipazione di Maria alla tessitura della tenda per il Tempio di Gerusalemme.Il secondo spazio privilegiato, l'abside principale, è occupato dall'immagine (alta m. 5,5) della Vergine orante, o Blacherniótissa, chiamata a intercedere presso il Pantocratore per i peccati del mondo; secondo il modello consueto, è raffigurata con l'abito delle diaconesse protocristiane, ma con appesa alla cintola, quale simbolo di dignità, una mappa, che a partire dall'epoca medievale nella Chiesa orientale fu insegna propria dell'autorità vescovile. L'iscrizione con il versetto di Sal. 46 (45), 6, allude in senso più ampio al corpo della Madre di Dio come 'tempio' dell'incarnazione di Cristo, alla Ecclesia quale comunità dei credenti nel Signore, e, infine, alla saldezza dell'edificio stesso. Nello spazio di risulta della volta, al di sopra del mosaico absidale, è la Déesis, con le tre figure a mezzo busto entro clipei. Al di sotto si sviluppa la scena della Comunione degli apostoli con nell'iscrizione le parole sacramentali dell'Eucaristia. Secondo la pratica liturgica, Cristo appare due volte nella veste sacerdotale del dispensatore eucaristico: collocato davanti a un altare con baldacchino e assistito da arcangeli, da una parte distribuisce il pane del sacrificio al corteo degli apostoli guidato da Pietro, dall'altra offre il calice con il vino al gruppo introdotto da Paolo.Al di sotto della Comunione degli apostoli, ai lati delle finestre, si sviluppa la Galleria dei dodici vescovi, tema iconografico noto anche come Liturgia dei santi Padri o come Grande entrata, che si diffuse nel corso del sec. 11° e proprio a K. conobbe una delle fasi salienti di maturazione. All'immagine dell'Eucaristia divina viene subordinata quella dei santi vescovi, i quali nella zona dell'altare, in qualità di concelebranti, contribuiscono al compimento della liturgia eucaristica terrena. Sul lato nord, accanto all'arcidiacono Stefano si trovano Nicola di Mira, Gregorio Nazianzeno, il papa Clemente I ed Epifanio di Cipro; sul lato meridionale, accanto all'arcidiacono Lorenzo, i Padri della Chiesa Basilio il Grande e Giovanni Crisostomo, seguiti da Gregorio di Nissa e Gregorio Taumaturgo. Tutti sono raffigurati frontalmente, a capo scoperto, con l'omophórion sulle spalle; la mano destra nella maggior parte dei casi è ritratta nel gesto di benedizione o docetico, mentre nella sinistra si trova il libro dei vangeli.Sulla questione stilistica e i problemi attributivi del complesso musivo, che, integrato in parte da pitture a olio nel corso dell'Ottocento, copre una superficie di m2 200 ca., i pareri critici non offrono una lettura unanime. Una conclusione a favore di una definitiva assegnazione a maestri di scuola costantinopolitana, per es., non è accolta da Lazarev (Geschichte der russischen Kunst, 1957; Lazarev, 1960); per lo studioso si tratterebbe piuttosto di una bottega guidata da un importante artista greco, formatosi a Costantinopoli, ma nella quale dovettero operare anche mosaicisti giunti dalle province bizantine e dalla Russia. La maniera arcaica del Pantocratore e delle teorie di apostoli tradirebbe un influsso orientale, mentre la Galleria dei dodici vescovi lascerebbe individuare l'opera di una mano elegante, più raffinata e originale, probabilmente quella dello stesso capobottega. Stringenti appaiono anche i legami con i cicli musivi greci del sec. 11°: Hosios Lukas, Nea Moni di Chio, Dafni. Confronti possono istituirsi, per es., nelle proporzioni tozze, nei movimenti rigidi e nei tratti rustici del volto, fra le figure di s. Pietro nella Comunione degli apostoli a K. e nella Lavanda dei piedi del nartece del katholikón di Hosios Lukas. Il volto di s. Giovanni Crisostomo, nella Galleria dei dodici vescovi, mostra invece contatti con l'arte più sfumata, elegante e umana di Dafni, che segna il passaggio al gusto antichizzante dell'epoca comnena.La pittura ad affresco (m2 2000 ca.) si sviluppa nelle absidi laterali (pastophória), nella fascia centrale delle pareti, sui pilastri, nelle volte e nella tribuna; databile al sec. 11°-12°, si presenta oggi gravemente compromessa anche per i successivi interventi di ridipintura a olio di molte sue parti. Per tale complesso di pitture Lazarev (Geschichte der russischen Kunst, 1957; Lazarev, 1960) rinvia a un concorso, all'interno di botteghe greche, di un numero sempre maggiore di maestri russi. Sotto il profilo stilistico vengono chiamate in causa scuole come quella di Salonicco o, ancora, balcaniche o atonite. Il programma iconografico dei quattro pastophória è perlopiù incentrato sulle figure dei santi a cui tali ambienti sono dedicati, a partire, a N, dalla cappella di S. Giorgio, santo protettore di Jaroslav I, che conserva al suo interno anche il sarcofago in marmo del granduca; opera bizantina del sec. 11°, esso presenta una decorazione a rilievo comprendente croci, cipressi, rosette e racemi, realizzata in uno stile piuttosto piatto e rigido. La cappella dedicata a s. Pietro (protesi) è decorata con scene della vita del santo; la cappella interna meridionale (diaconico), dedicata ai ss. Gioacchino e Anna, presenta scene della vita della Vergine, tra le quali la Nascita, le Nozze, la Visitazione, la Presentazione al Tempio e l'Annunciazione. L'ultima cappella a S, di S. Michele, è decorata con scene dei miracoli di Cristo e dell'Apocalisse, che alludono allo stretto legame esistente tra il culto dell'arcangelo e quello del Signore.Le immagini della Passione e del ciclo delle Feste si sviluppano sulle volte a botte e sugli archi longitudinali dei bracci della croce: tra queste, nel braccio settentrionale, la Nascita di Cristo, la Presentazione al Tempio, Cristo al cospetto di Caifa, l'Anastasi e le Pie donne al sepolcro; nel braccio opposto si trovano raffigurati il Battesimo di Cristo, la Trasfigurazione, la Crocifissione e la Discesa dello Spirito Santo. Alla vivezza delle scene narrative fanno riscontro le singole immagini dei santi della zona sottostante, disposte come icone, entro cornici dipinte in posizione frontale e statica. Nel braccio occidentale della croce trova posto una rappresentazione celebrante la figura del donatore. Originariamente estesa su tutti e tre i campi del parapetto della tribuna, si conserva oggi solo nei due cortei laterali dei figli e delle figlie di Jaroslav I. Al centro doveva troneggiare, stando a un' ipotesi ricostruttiva (Lazarev, 1967, p. 154; Kämpfer, 1978, p. 111ss.), il Pantocratore, alla sinistra del quale compariva Jaroslav I con il modellino della chiesa e a destra la sua seconda moglie, Irina. Nella tribuna regia, dove i granduchi e il loro seguito ricevevano separatamente la comunione, gli affreschi rappresentano scene dell'Antico e del Nuovo Testamento in relazione al tema eucaristico; tra queste anche la prima raffigurazione in territorio russo della Philoxenía, l'Ospitalità di Abramo, che costituisce il prototipo della Trinità. Gli arcangeli, i serafini e i cherubini sulle volte delle cupole laterali sono da porre in relazione con il tema della sovranità.Testimonianza significativa di temi celebrativi dell'autorità granducale sono gli affreschi nelle torri scalari (sec. 11° o prima metà del 12°), che raffigurano corse di carri, giochi e scene di lotta nell'ippodromo di Costantinopoli e possono essere letti come una sorta di rivendicazione di parità di rango nei confronti di Bisanzio: nel podio a più piani del circo, insieme con la coppia imperiale si suppone raffigurata la granduchessa Olga.Gli affreschi del battistero, accanto alla torre scalare sudoccidentale, sono assegnati alla seconda metà del sec. 11° per quanto concerne i Quaranta martiri di Sebaste e alla prima metà del successivo per il Battesimo di Cristo nella piccola abside, la Galleria dei dodici vescovi e i Ss. Glĕb e Boris.Con il processo di frantumazione dell'organismo feudale dopo la morte di Jaroslav I, l'autorità metropolitana di K., da cui dipendevano tutte le diocesi suffraganee istituite ex novo, sostituì in pratica il tramontato potere centrale. Per la maggior parte di origine greca, i metropoliti non godettero dal punto di vista politico del favore della popolazione russa, che continuò a nutrire scarsa fiducia nei loro confronti. Di fatto, la funzione di un centro di cultura e di formazione panrusso venne svolta dalla laura delle Grotte di Kiev. Sviluppatasi dall'originario insediamento eremitico fondato dal monaco Antonio alla metà del sec. 11° nelle grotte sulla sponda del Dnepr, la laura ben presto era stata circondata da un nuovo e distinto sobborgo (Pečersk). L'abate Feodosij la pose sotto il protettorato dei granduchi di K. e, sulla scorta della regola studita di Costantinopoli, fondò un ordine cenobita dando avvio alle prime costruzioni sub divo, nel 1062 a una chiesa in legno e nel 1073-1078 a un monumentale katholikón. La dedicazione all'Assunzione della Vergine, o alla Dormizione, è, ancora una volta, da collegarsi all'idea di continuità dello Stato russo (Grabar, 1968).La laura delle Grotte di K. fu il luogo in cui vennero composti la Cronaca di Nestore, il Libro dei Padri (Paterikón) e le vite dei primi santi nazionali russi (Glĕb e Boris), ma anche quello in cui operò il primo monaco-pittore russo, s. Alipio (v.), con la sua bottega. Attraverso l'avvio di un culto dei santi e delle icone di stampo 'patriottico', essa improntò tutta la vita religiosa russa; il suo typikón passò in eredità a tutti i ca. settanta monasteri, di fondazione privata o sviluppatisi da comunità cenobitiche, sorti in Russia fino all'avvento dei Mongoli. Ma la laura giocò un ruolo significativo anche in campo architettonico: il suo katholikón inaugurò, nell'ambito dell'edilizia religiosa, la nuova linea direttrice cui fecero riferimento, fino al principio del sec. 13°, non solo le chiese monastiche, ma anche quelle di corte e le stesse cattedrali cittadine della Rus' di Kiev. Un'ulteriore ripresa di tale modello si ebbe infine con l'avvento dello Stato moscovita, come attesta per es. la cattedrale Uspenskij del Cremlino (1475-1479).Per la costruzione della cattedrale della Dormizione (distrutta durante la seconda guerra mondiale), Feodosij fece arrivare nuovi maestri da Costantinopoli, generalmente noti con i termini di seconda e terza scuola bizantina. Realizzato in opera laterizia, il katholikón apparteneva al c.d. tipo semplice delle chiese a croce inscritta con cupola ed era articolato in tre navate longitudinali con absidi poligonali, una grande cupola e sei pilastri cruciformi, nartece isolato con tribuna. Le lesene scandivano in quattro distinte zone i lati lunghi, in tre la facciata occidentale, per proseguire senza soluzione di continuità nelle fasce a cornice dei timpani che delimitavano la volta a botte centrale (sakomari) e dei timpani ciechi semicircolari posti a conclusione delle volte laterali. Il tipo di copertura utilizzato era quello comunemente denominato tetto a onde, nonostante la presenza di una porzione centrale, sopra i bracci della croce, leggermente sopraelevata. In orizzontale la scansione parietale era determinata dalla serie delle finestre, dal profilo a tutto sesto, e delle archeggiature cieche.Presso l'angolo nordoccidentale era il battistero di S. Giovanni; eretto contemporaneamente alla chiesa e caratterizzato da proporzioni slanciate, ripeteva lo schema a croce greca inscritta, con cupola su quattro pilastri e copertura con tetto a onde. Di tale tipologia, destinata a ricoprire un ruolo preponderante nel processo di semplificazione architettonica innescato dal fenomeno di frammentazione feudale, si conserva un esempio nella chiesa della Trinità, voluta dal principe di Černihiv, Svjatoslav, e costruita tra il 1106 e il 1108 in corrispondenza dell'accesso principale alla laura delle Grotte. L'edificio, caratterizzato all'esterno da una veste barocca, che ha risparmiato, del suo assetto originario, solamente il lato meridionale, all'interno si qualifica per uno spazio unitario, con le volte degli ambienti d'angolo che raggiungono quasi la stessa altezza delle volte a botte dei bracci della croce.Già prima dell'insediamento eremitico, ai margini dell'abitato di K. esisteva una serie di monasteri fondati, secondo il modello bizantino, sia da committenti laici sia da comunità. Nel 1037 furono fondati da Jaroslav I il monastero di S. Giorgio, in onore del santo prescelto come patrono, e da sua moglie Irina quello di Santa Irene; nel 1051 il figlio Izjaslav fondò il monastero di S. Demetrio e intorno al 1070 un altro figlio, Vsevolod, quello di Vydubizki. Dei primi due complessi, come anche di due ulteriori monasteri di corte e di altre nove chiese, non si sono conservati che resti archeologici. Il monastero di Vydubizki, insieme con la chiesa dell'arcangelo Michele (1070-1088), più volte rimaneggiata e quindi restaurata nel corso dei secc. 17° e 18°, nel 1199 era circondato da un muro di protezione, realizzato dal magister russo Pietro Miloneg con lo scopo di preservare le strutture dal pericolo delle piene.Al monastero di S. Demetrio si collegava l'altra chiesa dedicata all'arcangelo, S. Michele 'dalle cupole d'oro'; eretta fra il 1108 e il 1113 sul modello della cattedrale della Dormizione della laura delle Grotte di K., venne demolita al tempo di Stalin. Dell'originaria decorazione restano il mosaico absidale con la Comunione degli apostoli, le immagini di S. Stefano - dalla Galleria dei dodici vescovi - e di S. Taddeo, con iscrizioni in greco, nonché alcuni affreschi, fra i quali la Vergine di una Annunciazione, oggi al Sofijskij muz., e il mosaico con S. Demetrio di Salonicco (Mosca, Gosudarstvennaja Tretjakovskaja Gal.). Nel complesso i mosaici sono riferiti allo scorcio del sec. 12° e attribuiti a maestri di scuola costantinopolitana attivi nella cattedrale della Dormizione della laura delle Grotte di Kiev. Espressione di una bellezza calligrafica (Lazarev, 1967), essi si distinguono per un sottile illusionismo coloristico e una resa psicologica ricca di sfumature. Nell'iscrizione che corre lungo il mosaico absidale relativa al sacrificio eucaristico, redatta in slavo antico, si è voluto riconoscere il contributo di un allievo russo.Del monastero del Salvatore di Berestov, del 1072 ca., si conserva, inglobato in una costruzione barocca, il corpo occidentale dell'originario katholikón, eretto fra il 1113 e il 1125: il modello offerto dalla cattedrale della Dormizione venne qui sostanzialmente modificato con l'introduzione di un nartece sporgente, con cappella battesimale e torre scalare, a formare due risalti laterali, nonché con la realizzazione di tre atri antistanti gli ingressi. Nella muratura, la tecnica utilizzata è quella del 'mattone coperto', in cui lo spessore dei giunti di malta, arricchita con frammenti di laterizio, risulta di gran lunga maggiore dello strato a vista degli embrici. Propriamente russa va considerata la conclusione triloba che sovrasta l'atrio occidentale, l'unico conservatosi. Per l'articolazione parietale, oltre alle lesene e alle sequenze di finestre e nicchie, venne utilizzato un motivo a meandro in laterizio che corre all'altezza dell'imposta dei timpani; un ulteriore elemento decorativo è costituito dalle diverse forme a croce incastonate nella muratura.All'interno, l'originaria decorazione ad affresco, risalente al principio del sec. 12°, è oggi occultata da pitture seicentesche. La presenza, presso la zona absidale, di una cappella sepolcrale dei granduchi di K. consente di ipotizzare per l'edificio una committenza da parte del granduca Vladimiro Monomaco (1053-1125) - nipote di Jaroslav I e dell'imperatore bizantino Costantino IX Monomaco e noto in campo letterario per il suo Specchio dei principi (Poučenie), 'l'educazione' dei propri figli - al quale riuscì, sia pure ancora per poco, di conservare l'unità della Rus'.La chiesa di S. Cirillo (o della Trinità) del monastero omonimo fu costruita, tra il 1140 e il 1146, per volere del principe di Černihiv, Vsevolod Ol'govič, sul luogo dal quale egli, nel 1139, si era mosso alla conquista della città e del trono dei granduchi di Kiev. Tipologicamente aderente al modello rappresentato dalla cattedrale della Dormizione, tra il Seicento e il Settecento la chiesa fu oggetto di una radicale trasformazione. All'interno sono stati recentemente riportati alla luce affreschi risalenti alla metà del sec. 12°, disposti su tre ordini e corredati da iscrizioni in slavo antico. Esemplati sui programmi iconografici della tradizione mediobizantina, si tratta probabilmente di vere e proprie copie di cicli greci. Sul tamburo della cupola, sui pennacchi e sui pilastri sono raffigurati gli apostoli, gli evangelisti e i martiri; la Vergine orante, la Comunione degli apostoli e una teoria di vescovi decorano l'abside principale; sull'arco trionfale compare l'Annunciazione. Sulla parete nord è raffigurata, oltre alla Dormizione della Vergine, anche una scena con l'imperatore Costantino; nella parete meridionale compare la Natività. Il diaconico, dedicato ai ss. Cirillo e Atanasio, è decorato con scene relative alla vita dei due santi. Nel nartece è raffigurato il Giudizio universale, la prima rappresentazione che si conosca di tale soggetto sul suolo russo.Anche dopo l'introduzione delle tecniche costruttive bizantine, come attestano le cronache, nell'edilizia religiosa di K. l'architettura lignea continuò a giocare un ruolo fondamentale. Costituiscono un caso emblematico, per es., le vicende relative all'edificazione dei luoghi di culto in onore dei ss. Glĕb e Boris: Jaroslav I nella sua residenza di Vyšgorod aveva fatto costruire una cappella funeraria in legno per accogliere le spoglie dei due santi nazionali; in concomitanza con l'introduzione della ricorrenza annuale venne realizzata, tra il 1020 e il 1026, una chiesa lignea a cinque cupole; nel 1072 le spoglie furono traslate in una nuova chiesa fondata da Izjaslav, anch'essa in legno, e solo nel 1115 in una chiesa memoriale realizzata in pietra.La pittura del 'periodo di K.' - ovvero le esperienze maturate nell'ambito della prima Rus' - viene generalmente definita con il termine di stile bizantino-russo, espressione che perlopiù è adottata anche per tutti gli altri campi della produzione artistica. Si può parlare in sostanza di una fase in cui nella pluralità di stili bizantini si distinguono ancora a fatica caratteristiche specificamente russe e per la quale Lazarev (Geschichte der russischen Kunst, 1957; Lazarev, 1960; 1973) individua, quali tratti salienti, l''arcaismo' e il 'linearismo' del repertorio formale, la scala cromatica luminosa e chiara e la particolarità derivante dalla fisionomia dei 'volti russi'. È sempre Lazarev a ritenere che solo in seguito le maestranze autoctone rielaborarono, modificandoli, i modelli bizantini e progressivamente se ne affrancarono.Per quanto concerne la produzione di icone, le notizie sono piuttosto scarse. Le cronache riferiscono al riguardo sia dell'attività a K. del monaco pittore s. Alipio sia della diretta importazione da Bisanzio di immagini poi utilizzate come modelli per la produzione di copie. Fra le più antiche che si siano conservate (Mosca, Gosudarstvennaja Tretjakovskaja Gal.) possono essere ricordate: l'icona c.d. Vladimirskaja, opera costantinopolitana del principio del sec. 12°, razziata da s. Andrea Bogoljubskij a Vyšgorod; la Pečerskaja (Svenskaja), l'icona della laura delle Grotte con la Madonna in trono e i Padri del monachesimo russo Antonio e Feodosij, risalente al sec. 13°; infine, l'icona dei Ss. Glĕb e Boris, proveniente sempre dalla laura delle Grotte e databile anch'essa al 13° secolo.Per la maggior parte i codici in slavo antico appartenenti al 'periodo di K.' contengono traduzioni bulgare di testi dal greco. Nel loro lavoro di copiatura i maestri russi ripeterono talvolta anche il corredo illustrativo, ornamentale e figurativo, che decorava tali testi, realizzati su committenza dei granduchi di K. o di personaggi del seguito, un buon numero dei quali è conservato in varie collezioni o musei del mondo. Fra i più significativi è l'Evangeliario di Ostromir, del 1056-1057 (San Pietroburgo, Saltykov-Ščedrin, Perg. I. 5.), realizzato dal diacono Gregorio per il mercante di Novgorod, Ostromir, confidente del granduca di K. Izjaslav. Il codice è corredato da un gran numero di piccole scene, da iniziali miniate e da tre miniature con gli evangelisti, in uno stile piuttosto piatto e a vivaci colori, tipico dei lavori a smalto. L'evangelista Luca non appare seduto come di norma allo scrittoio, ma è ritratto in piedi, con le mani giunte, nell'atto di ricevere dal toro il rotolo (c. 88v). Il codice di Izjaslav, o di Svjatoslav, del 1073 (Mosca, Gosudarstvennyj Istoritscheskij Muz., Patr. 31 d), è una copia di un originale bulgaro, composta su commissione di Izjaslav ma completata per il principe Svjatoslav con l'aggiunta di un foglio di pergamena con la rappresentazione iconica di Cristo e della famiglia dei granduchi (cc. 1v2r, allegate alla fine di c. 263). Degne di menzione sono anche le quattro miniature con stilizzate chiese a cupola, al cui interno si svolgono i concili episcopali (cc. 3r e v; 128r e v).Il Salterio di Egberto, o Codice di Gertrude (Cividale, Mus. Archeologico Naz., CXXXVI), composto alla fine del sec. 10° per il vescovo di Treviri, nel 1078-1087 venne completato, sia nel testo sia nelle immagini, per Gertrude, la moglie polacca di Izjaslav. Si tratta in particolare delle raffigurazioni dell'Incoronazione del figlio Jaropolk da parte di Cristo (c. 10v), di S. Pietro insieme con la famiglia dei granduchi (c. 5v), della Natività (c. 9v), della Crocifissione con i quattro tondi degli evangelisti (c. 10r), dell'immagine della Madre di Dio del tipo della Pečerskaja (c. 41r), in cui trovano espressione tre tendenze stilistiche, caratterizzate ognuna da un grado diverso di commistione di forme mediobizantine e carolingioottoniane, che rendono a tutt'oggi ancora assai controversa l'individuazione dell'originario ambito di produzione.Per quanto riguarda la produzione plastica, essa è testimoniata a K. dai numerosi frammenti riportati alla luce in diverse chiese della città, conservati nelle raccolte del Gosudarstvennyi Istoritscheskij Muz. Ukrainy, del Sofijskij muz. e della laura delle Grotte. Si tratta perlopiù di pezzi pertinenti a recinzioni d'altare, amboni, cornici di portali, balaustre e sarcofagi, caratterizzati da formule ornamentali del tutto simili agli analoghi ritrovamenti di Ochrida e del monte Athos. Manufatti russi ispirati a modelli antichi possono considerarsi quattro lastre a rilievo in scisto rosso (sec. 11°); due di esse, conservate alla laura delle Grotte, presentano soggetti profani: Sansone, o Ercole, che affronta il leone e un carro con guidatore, trainato da due leoni; nelle altre due, oggi al Sofijskij muz., sono invece raffigurati in posizione antitetica i santi cavalieri Giorgio e Teodoro Stratilate, Demetrio e Nestore.Numerosissimi esemplari di oggetti preziosi medievali (Kiev, Gosudarstvennyi Istoritscheskij Muz. Ukrainy; Mosca, Gosudarstvennyj Istoritscheskij Muz.; San Pietroburgo, Ermitage) attestano, infine, una produzione di notevole livello nelle diverse tecniche di lavorazione dei metalli: dai manufatti ottenuti per fusione ai metalli sbalzati, dai lavori a niello a quelli cesellati e a filigrana o con smalti cloisonnés e, più tardi, champlevés.Con la frantumazione del sistema feudale e l'invasione mongolo-tartara, lo sviluppo della Russia occidentale conobbe una battuta d'arresto; la sede metropolitana venne trasferita a Vladimir e K., conquistata e distrutta, si spopolò. Per la storia della Russia passarono ormai a ricoprire un ruolo centrale le regioni settentrionali, e l'Ucraina ('terra di confine'), denominazione con la quale a partire dal sec. 13° si definirono i territori sudoccidentali, nel sec. 14° entrò a far parte dell'unione degli stati polacco-lituani.Fra le più importanti istituzioni museali di K. sono il Gosudarstvennyi Istoritscheskij Muz. Ukrainy - che conserva ritrovamenti della cultura di Tripolje, dalla tomba a tumulo scita di Melitopol, dalle regioni del mar Nero settentrionale (Olbia e altre città greche); il tesoro di Martynovka e reperti archeologici dai territori della Rus' di K. - e il Gosudarstvennyi muz. zapadnogo i vostočnogo iskusstva, che raccoglie, oltre alla collezione di antichità, piccole opere di scultura e ceramiche originarie dell'area del mar Nero, arte orientale (tessuti copti), alcuni esemplari, fra i più antichi, di icone del Sinai (secc. 6°-8°), avori tedeschi e francesi, per la maggior parte del sec. 14°, manufatti provenienti da Limoges, pitture su vetro, sculture medievali e rinascimentali, dipinti di area italiana, francese, spagnola, olandese, fiamminga, tedesca e inglese. Una raccolta di icone, dal sec. 12° al 17°, è conservata nel Russkogo iskusstva muzej.

Bibl.:

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