L’anatomia

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Andrea Bernardoni
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Nel corso del Seicento i mutamenti in campo anatomico investono direttamente la fisiologia, tanto che diventa difficile distinguere fra i due campi di ricerca, e si può parlare di un’anatomo-fisiologia che progressivamente rivoluziona non solo e non tanto l’immagine morfologico-strutturale del corpo, quanto la descrizione dei suoi processi di funzionamento, con conseguenze anche sulla patologia.

L’anatomia e la fisiologia sono ancora tenute separate nell’insegnamento universitario, ma nella pratica sperimentale subiscono un profondo rinnovamento che le investe entrambe. Le osservazioni sono condotte, oltre che direttamente sul cadavere, facendo ampio uso della dissezione e della vivisezione di animali, un metodo che, anche se diffuso, non manca di suscitare discussioni di tipo etico (la vivisezione umana era teoricamente proibita). La ricerca anatomica aveva per secoli privilegiato la dissezione di animali, e aveva tratto conclusioni, talvolta errate, dall’analogia tra uomo e animali. La consapevolezza della distinzione non impedisce agli anatomisti successivi a Vesalio di utilizzare, per le proprie ricerche, animali piuttosto che cadaveri umani, e spesso con grande successo. Il fiorire di questa nuova anatomia “funzionale” non può ovviamente prescindere dal riferimento alla scoperta di Harvey, che ne rappresenta insieme il principio e uno dei massimi risultati. La sperimentazione di Harvey è emblematica di un ulteriore cambiamento nella geografia della ricerca: se a fine Cinquecento l’Italia, in particolare con le università di Padova e Bologna, è ancora il centro europeo dominante, progressivamente emergono altri centri e gruppi meno legati all’accademia, specialmente in Inghilterra e in Olanda, anche se la presenza di medici e sperimentatori italiani resta significativa.

Circolazioni

Tra le scoperte essenziali quella della circolazione linfatica, un tipico esempio di osservazioni condivise e la cui cronologia si estende su diversi decenni e su una geografia europea. Nel 1627 il milanese Gaspare Aselli pubblica il De lacteis venis , in cui individua i vasi chiliferi, interpretandoli in senso ancora galenico; nel 1647 il francese Jean Pecquet, attraverso la vivisezione di un cane in digestione, chiarisce la funzione del dotto toracico e la sua relazione con i vasi; negli anni Sessanta il danese Thomas Bartholin dimostra che la circolazione linfatica e quella sanguigna sono distinte ma unite a livello della vena cava superiore. Altrettanto essenziale per l’elaborazione di un modello articolato di macchina corporea, è la descrizione, classificazione delle ghiandole, una struttura anatomica con proprietà specifiche, tra cui fondamentale quella di filtro, variamente interpretate a seconda dell’adesione a questa o quella teoria medica. Dovuta all’inglese Thomas Wharton (Adenographia, 1656), la scoperta scatena una “caccia alla ghiandola” generalizzata, e dispute sull’eventuale natura ghiandolare, e dunque sulla funzione specifica, di organi quali il cervello, i testicoli, i polmoni. La struttura muscolare è descritta dal danese Niels Stensen, che studia anche la struttura cerebrale, il sistema linfatico e quello riproduttivo femminile; Stensen è ricordato anche per il suo interesse per la paleontologia. Altrettanto importanti per gli sviluppi dell’anatomia sono le tecniche di imbalsamazione e in generale di preparazione dei corpi e dei pezzi anatomici elaborate dalla scuola olandese, e in particolare da Louis De Bils e Frederick Ruysch.

L’anatomia ha avuto un ruolo essenziale nel chiarire la funzione di due apparati, quello riproduttivo - sia maschile che femminile - e quello neurologico-cerebrale. I problemi della generazione e quelli della conoscenza e della sensibilità risultavano tra i più difficili da risolvere per una fisiologia ancora in gran parte da costruire, e implicavano assunti sulla natura dell’anima e della vita che li rendevano molto delicati sul piano teologico; né la corrente iatrochimica né quella iatromeccanica offrivano in proposito delle soluzioni chiare, in grado di riunire i dati di osservazione in un quadro d’insieme convincente. Thomas Willis, uno dei componenti del gruppo dei “fisiologi di Oxford”, è tra i primi a descrivere sistematicamente l’anatomia del cervello (Cerebri Anatome, 1664), correlando malformazioni e patologie con aspetti clinici. Una nozione moderna di riproduzione, che si avvale dalle ricerche embriologiche di William Harvey, emerge dai lavori dell’olandese Regnier de Graaf, che nel De mulierum organis reproductioni inservientibus (1672) descrive l’apparato riproduttivo femminile. Sia nel caso del sistema nervoso che in quello del sistema riproduttivo la correlazione fra dato anatomico-osservativo e quello funzionale o clinico-patologico risultava particolarmente difficile, e in molti casi anche la medicina “moderna” fa ricorso all’attività di spiriti o entità invisibili in grado di rendere conto dell’animazione del feto e della sensibilità. In particolare, si afferma in questo periodo, sulla scorta di osservazioni anatomiche, la teoria dell’esistenza di uno specifico liquido, il “succo nerveo”, destinato a mettere in collegamento il cervello con il sistema nervoso periferico.

Vedere l’invisibile

A partire almeno dalla metà del secolo, l’anatomia, la medicina e più in generale le scienze della vita si arricchiscono di osservazioni compiute attraverso uno strumento innovativo: il microscopio. Pur con le limitazioni dovute a uno scarso sviluppo tecnico, il suo uso muta profondamente la prospettiva anatomica, aprendola allo studio di microstrutture dell’organismo invisibili all’occhio umano. L’olandese Antoni van Leeuwenhoek, un “dilettante” di genio, conduce osservazioni sui protozoi, ma anche sugli spermatozoi e sulle fibre muscolari. Nel campo di quella che viene chiamata “anatomia sottile” per distinguerla dall’indagine macroscopica, emerge il bolognese Marcello Malpighi. Le sue scoperte, a partire dagli anni Sessanta, rivoluzionano la concezione dei meccanismi della sensazione (individua le papille gustative e tattili), della respirazione (scopre e descrive gli alveoli polmonari), della circolazione sanguigna (dimostra che William Harvey ha ragione a postulare la “chiusura” del circolo, individuando l’anastomosi capillare), dell’escrezione delle scorie dall’organismo (descrive i glomeruli e la struttura fine del rene), della struttura delle piante (di cui segnala, per analogia con l’organismo animale, la presenza di vasi in cui scorrono liquidi). Malpighi eccelle non solo nelle capacità osservative, ma anche nell’uso di tecniche semplici ma efficaci di preparazione dei pezzi da osservare. Con acutezza vede le possibilità insite nell’uso di quello che chiama “microscopio naturale”, cioè l’ingrandimento causato in un organo dalle patologie.

Medico universitario di fama (dopo aver insegnato a Pisa, Messina, Bologna, termina la sua carriera a Roma come archiatra pontificio), Malpighi sa calare nella pratica medica le sue concezioni generali, favorendo l’adozione presso i molti pazienti, taluni dei quali assai influenti, dalle acquisizioni della medicina moderna. Nella sua autobiografia, ricorda le difficoltà della medicina “moderna”, sottoposta agli attacchi di galenisti ormai anacronisticamente attaccati alla lettera dei testi antichi più che alla pratica osservativa, ma non si spinge mai a condannare in toto la cultura medica antica, rivalutando, come molta medicina clinica del suo tempo, Ippocrate - con la sua abitudine all’osservazione clinica - contro gli eccessi teorici di Galeno. Anche dal punto di vista della filosofia naturale Malpighi, pur aderendo al meccanicismo, che contrassegna la parte più progressiva della medicina italiana, sa integrare nelle proprie teorie la chimica, è in corrispondenza con Boyle e con altri “fisiologi” inglesi, ed è eletto fellow della Royal Society.

Sistemi moderni

Malpighi mantiene sempre una notevole cautela, non accettando dati che non siano verificabili e rifuggendo dalla creazione di sistemi medici o anatomo-fisiologici di tipo generale. In Italia e poi in altre aree geografiche, specie la Francia e l’Inghilterra, si sta infatti tentando di ripetere i successi ottenuti in campo fisico creando una medicina “galileiana”, “cartesiana”, o “newtoniana”, che, pur restando per molti versi incompiuta e incapace di spiegare molti fenomeni “fini” (tra i quali la sensibilità, la riproduzione, la coscienza e in generale la questione dell’animazione vitale), ha una notevole importanza nel ridefinire gli standard della ricerca, imponendo che gli esperimenti e le osservazioni siano verificabili e ripetibili, e nel porre la questione dell’utilizzazione da parte delle scienze della vita delle acquisizioni ottenute in altri ambiti disciplinari, quali l’idraulica o l’idrodinamica. Il massimo esponente italiano della iatromeccanica, il matematico messinese Giovanni Alfonso Borelli può essere preso a emblema delle ambizioni e delle difficoltà di questo tentativo. Convinto galileiano, allievo di Benedetto Castelli da cui apprende la dinamica dei fluidi, Borelli è una figura inquieta di rivoluzionario, anche politico: partecipa alla rivolta antispagnola nella sua città di origine, insegna nelle università di Messina e di Pisa, ed è un pensatore laico e radicale. Borelli si avvale, nella ricerca anatomica e fisiologica, della collaborazione di Malpighi, cui è stato, per alcuni anni, molto vicino. La sua ambizione sarebbe stata quella di ridurre i moti del corpo umano e animale a categorie meccaniche, a movimenti indagabili per via geometrica e analoghi a quelli di leve, pulegge e “macchine” semplici. Ma di fronte a problemi più complessi, quali il meccanismo del moto muscolare o fenomeni come il moto involontario, Borelli non esita a far ricorso a spiegazioni di tipo “chimico”, introducendo nella macchina del corpo l’azione e la reazione fra sostanze e perfino spiriti. Il suo capolavoro, il De motu animalium, pubblicato postumo nel 1681, mostra come la differenziazione netta tra iatromeccanica e iatrochimica sia discutibile, e come la ricerca faccia uso, nella realtà, di elementi tratti dall’una e dall’altra.

Un’ impostazione puntuale dei problemi anatomo-fisiologici, rivolta a chiarire questioni specifiche, ha dato i suoi risultati migliori in Inghilterra e in Olanda, Paesi emergenti sulla scena scientifica europea grazie a un notevole progresso politico ed economico, e nei quali il peso della censura religiosa e politica, pur presente, non arrivava a ostacolare le iniziative di ricerca. Se la pratica medica, regolare e irregolare, fiorisce in una metropoli moderna come Londra, la ricerca fisiologica e medica è portata avanti nel circolo dei “fisiologi di Oxford”. Il piccolo centro universitario assiste infatti, fra gli anni Quaranta e Ottanta del Seicento, agli esperimenti e alle elaborazioni teoriche di un gruppo di ricercatori - Walter Charleton, Thomas Willis, Robert Hooke, Richard Lower, John Mayow – che, ispirandosi tra l’altro alla chimica e alle teorie sull’elasticità dell’aria di di Robert Boyle, si dedicano a chiarire il funzionamento di alcune funzioni cruciali dell’organismo: anzitutto il meccanismo della respirazione, correttamente messo in relazione con l’esistenza nell’aria di una sostanza che non ha ancora il nome di ossigeno, ma quello di “nitro aereo” – una sostanza necessaria per il mantenimento delle funzioni vitali. Ma le ricerche prendono a oggetto anche il metabolismo, la digestione, il sangue e la sua funzione: l’adozione di un modello meccanicistico riguardo la costituzione della materia e l’azione dei fluidi e dei solidi nell’organismo - non si dimentichi che i “fisiologi di Oxford” sono gli eredi intellettuali di Harvey – va di pari passo con l’analisi delle sostanze che lo compongono e che vi agiscono.

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