L'archeologia del Sud-Est asiatico. Laos

Il Mondo dell'Archeologia (2005)

L'archeologia del Sud-Est asiatico. Laos

Charles F.W. Higham
Oscar Nalesini
Anna Källén

Laos

di Charles F.W. Higham

Il Laos differisce dagli altri Paesi del Sud-Est asiatico poiché non presenta sbocchi sul mare e il suo territorio è relativamente montuoso (Catena Annamita). Esso comprende un lungo tratto del corso del fiume Mekong, che rappresenta un'agevole rotta verso il mare a sud e verso la Cina a nord. Molti passi collegano inoltre il Laos con la costa del Vietnam e l'altopiano del Khorat (Thailandia nord-orientale).

Le ricerche archeologiche ricevettero precoce impulso grazie a una missione scientifica condotta da A. Pavie sotto gli auspici del Museo di Storia Naturale di Parigi. Tra il 1876 e il 1895 Pavie condusse ricerche sulla storia naturale dei nuovi protettorati francesi, che comprendevano anche lo studio di resti archeologici del Laos. Nel 1904 M. Massie pubblicò un volume sui materiali preistorici raccolti nella regione di Luang Prabang e dell'alto Song Da (Fiume Nero, Vietnam), descrivendo 11 accette di bronzo a immanicatura cava, un ago, 4 scalpelli e una lancia di bronzo: tali rinvenimenti furono la prima diretta evidenza dell'esistenza di un'età del Bronzo nel Laos. Se comparate con il forte interesse degli studiosi francesi per le evidenze archeologiche dei regni di Angkor (Cambogia) e Cham (Vietnam), le ricerche nel Laos stentarono comunque a prendere avvio e non furono mai tanto intense come in altre regioni del Sud-Est asiatico. Negli anni Trenta M. Colani intraprese alcuni scavi nella Piana delle Giare e nello stesso decennio A. Fromaget visitò numerosi siti e scavò a Tam Nang An, ma i suoi rinvenimenti non vennero mai pubblicati. Successivamente i conflitti bellici impossibilitarono le ricerche e solo recentemente le indagini sul campo sono riprese con regolarità. Nel 1975 un gruppo congiunto di archeologi lao-giapponesi rinvenne per la prima volta testimonianze dell'attività di cacciatori-raccoglitori nel sito di Tam Hua Pu; tuttavia, le prime datazioni al 14C di un sito del Laos sono state determinate solo nel 1996. Siti di cacciatori-raccoglitori hoabinhiani sono stati individuati per la prima volta in Vietnam, in ripari databili a partire dalle fasi finali del Pleistocene; successivamente siti simili sono stati identificati in Thailandia, nel Myanmar, in Cambogia e nella Cina meridionale, ma solo a partire dal 1994 archeologi laotiani hanno condotto nuove ricerche a Tam Hua Pu ed esaminato un complesso di grotte e ripari rocciosi a Tam Nang An, identificando tracce dei cacciatori-racoglitori hoabinhiani anche nel Laos.

La sequenza archeologica al di là del Mekong, sull'altopiano del Khorat, ha rivelato che le prime comunità agricole iniziarono a occupare i bassopiani rivieraschi a partire dalla metà - fine del III millennio a.C.; successivamente, tra il 1500 e il 1000 a.C., è attestata la presenza dei primi manufatti di bronzo. Sulla riva destra del Mekong, infatti, al confine con il Laos, è stato rinvenuto a Phu Lon (Thailandia) un vasto complesso per l'estrazione del rame. Il Laos deve certamente avere partecipato a queste due fasi culturali, soprattutto in considerazione dei suoi importanti depositi di stagno, ma le evidenze sono assenti fino all'insediamento, intorno al 500 a.C., di comunità che lavoravano il ferro. Le sepolture di Tam Hua Pu contenevano una accetta di bronzo a immanicatura cava finemente lavorata e una punta di lancia di ferro che conservava le impressioni del tessuto in cui era stata avvolta prima di essere collocata nella tomba. Tra gli altri oggetti di ferro figurano falcetti e coltelli, mentre grani di collana di cornalina e vetro attestano l'esistenza di un'ampia rete di scambi articolata attraverso il corso del Mekong. Bracciali di ferro sono stati rinvenuti invece in una sepoltura di Tam Nang An. I recenti scavi condotti a Lao Pako consentono una valutazione più esauriente dell'occupazione del Laos nell'età del Ferro. Questo sito è localizzato nella riva meridionale di un modesto corso d'acqua tributario del Mekong, il Nam Ngum; gli scavi (1995) condotti dalle archeologhe svedesi A. Karlström e A. Källén insieme con il laotiano Viengkeo Souksavatdy hanno consentito di recuperare due importanti strati culturali in una sequenza stratigrafica profonda circa 1,2 m. Un'area del sito era destinata alla forgiatura del ferro, come attestato dalla presenza di scorie e ugelli, mentre fusaiole di terracotta documentano l'esistenza di un artigianato tessile. Queste evidenze, congiuntamente con le forme fittili e le datazioni al 14C, suggeriscono un'occupazione intorno al II-VI sec. d.C. Durante la terza stagione di scavo è stato rilevato che almeno due dei vasi fittili integri contenevano resti di infanti, associati a una varietà di beni di corredo. Sono state identificate 70 giare di questo tipo, collocate nel substrato naturale a una profondità di circa 1,6 m ed è molto probabile che i suoli acidi abbiano impedito la conservazione dei resti scheletrici; le giare presentano inoltre elementi decorativi che trovano confronti con quanto rinvenuto nei siti dell'età del Ferro della Thailandia nord-orientale.

Negli anni Trenta Colani intraprese alcune ricerche nelle regioni montuose della cordigliera settentrionale di Truong Son per indagare una serie di siti caratterizzati dalla presenza di grandi giare funerarie di pietra e lastre litiche collocate in posizione verticale, o menhir. Phon Savanh è il sito più rilevante e integro. Esso è localizzato a un'altitudine di poco più di 1000 m e domina un'estesa area nota come Piana delle Giare. Il sito si concentra intorno a una collina dove Colani identificò e scavò un crematorium preistorico. Nell'area limitrofa vi erano due gruppi di grandi giare funerarie di pietra, uno dei quali, descritto come gruppo dominante, in un settore rialzato. Le giare di dimensioni maggiori, realizzate con pietra locale mediante strumenti di ferro, sono alte fino a 3 m, e dischi circolari rinvenuti nelle vicinanze lasciano ipotizzare che esse fossero originariamente dotate di coperchio. Le offerte funerarie rinvenute a Phon Savanh e in altri siti connessi comprendono grani di vetro e cornalina, conchiglie cauri (Cypraea sp.) di provenienza costiera, spirali, campanelle, bracciali e coltelli di bronzo e punte di freccia e punte di lancia di ferro. La presenza di frammenti di matrici di argilla attesta la fusione locale del bronzo, come pure le scorie di ferro rivelano la lavorazione in loco di questo metallo. Recentemente nell'area sono stati effettuati scavi in una serie di siti e ricognizioni in una cava nella località di Pu Keng, in cui sono state individuate giare integre e frammentarie. Gli scavi hanno rivelato la presenza di ceramica e sepolture, una delle quali era coperta da una lastra di pietra decorata da figure umane stilizzate. Nell'ambito della cultura materiale è possibile ravvisare numerosi confronti con l'età del Ferro dell'altopiano del Khorat, sebbene una figurina di bronzo ricordi anche tradizioni di tipo Dong Son (Vietnam). La datazione tra il 300 a.C. e il 300 d.C., ottenuta attraverso il confronto stilistico dei materiali rinvenuti nelle grandi giare funerarie litiche, sembrerebbe poter essere accettata. Non è facile spiegare invece le origini e le modalità attraverso cui questi gruppi ebbero accesso alla manodopera necessaria a trasportare e lavorare questi impressionanti monumenti funerari. Potrebbe essere corretta l'interpretazione di Colani, secondo cui la localizzazione di questi gruppi avrebbe permesso loro di controllare le rotte di scambio tra la Cina meridionale, il golfo di Bac Bo (Vietnam) e i chiefdoms dell'area del Khorat. L'archeologa rilevò inoltre che le regioni montuose in questione erano all'epoca un'importante area di approvvigionamento di sale e dunque il controllo del commercio del sale avrebbe potuto verosimilmente fornire le risorse per l'importazione di beni esotici da notevoli distanze.

La documentazione di una importante tradizione commerciale nel Laos, che con tutta probabilità si avvaleva della rotta del Mekong, contribuisce alla comprensione della transizione verso le prime formazioni statali. A partire da almeno 2000 anni fa, e probabilmente anche nei secoli precedenti, lo scambio marittimo nel Sud-Est asiatico portò all'introduzione di nuove idee e possibilità economiche presso le comunità locali che controllavano strategiche località costiere. Gli ornamenti di cornalina e di vetro rinvenuti nei siti dell'età del Ferro del Laos sono solo la punta di un iceberg. Nel delta del Mekong la presenza di città e di governanti è documentata dalle evidenze archeologiche a partire dal 150 d.C. circa. Il Laos partecipò a questa koinè che coinvolgeva il Sud-Est asiatico continentale e insulare, l'India e la Cina in un unico vasto fenomeno di interazione culturale e commerciale. A Wat Phu, sulla riva del Mekong nel Laos meridionale, un grande liṅgam naturale corona un rilievo montuoso locale, trasformandolo in un luogo di grande sacralità. Un'iscrizione proveniente da quest'area, datata alla seconda metà del V sec. d.C., cita il re Devanika ("protezione celeste" o "ispirazione divina"); recenti ricerche svolte da un progetto congiunto francese, italiano e laotiano hanno portato all'identificazione del muro di cinta di un'antica città datata proprio a questo periodo. Lo sviluppo di un antico Stato nel Laos meridionale potrebbe verosimilmente avere attirato l'attenzione di un governante rivale, Mahendravarman ("protetto del Grande Indra") che era a capo di uno Stato della Cambogia centrale durante i primi anni del VII sec. d.C. Egli certamente comandò un'incursione a nord della regione di Wat Phu, poiché, nello strategico punto di confluenza del fiume Mun con il Mekong, numerose brevi iscrizioni in sanscrito riportano il suo passaggio nell'area e citano le sue vittorie militari. Agli inizi del IX sec. d.C. l'affermazione dello Stato di Angkor sulla riva meridionale del Lago Tonle Sap (Cambogia) sviluppò un ulteriore interesse per la strategica regione del Laos meridionale. Il re Yashovarman, che salì al trono nell'889 d.C., lasciò un'iscrizione a Wat Phu e progressivamente, durante il periodo del regno di Angkor, che sarebbe perdurato fino alla metà del XV sec. d.C., Wat Phu divenne un importante centro di pellegrinaggio. Una ricognizione sulla sommità di una cima montuosa sormontata da un liṅgam naturale ha rivelato la presenza di un tempio, mentre vicino alla sorgente d'acqua che sgorga dalla base della montagna era stato posto un altare. Sotto la dinastia di Mahidharapura vennero inoltre costruiti il tempio e la città di Wat Phu. È riportato che Suryavarman II, il costruttore di Angkor Vat, fu attivo anche a Wat Phu, mentre Jayavarman VII, il più grande dei re angkoriani, che ascese al trono nel 1181, fece costruire strade, luoghi di sosta e ospedali in una rete che incorporava l'area del Laos meridionale nel suo regno.

Nel 2001 ha avuto inizio un secondo progetto di studio sulle prime fasi dello sviluppo storico del Laos, focalizzato questa volta nella capitale, Vientiane. Sono stati individuati molti siti nell'area che si estende per 70 km a nord del fiume Mekong, comprendenti fornaci ceramiche, fondazioni di templi e muri di cinta. Un monumento di particolare rilevanza è il That Luang, uno stūpa dorato i cui antecedenti riportano a fasi molto antiche della diffusione del buddhismo nel regno. Il programma di ricerca ha inoltre riguardato le mura e i fossati difensivi costruiti nel XIV sec. d.C. dal regno del Laos fondato da Fa Ngum. La preistoria del Laos resta comunque la meno conosciuta di tutti i Paesi del Sud-Est asiatico. Lo sviluppo delle ricerche archeologiche è tuttavia ben avviato e offre buone possibilità per futuri rinvenimenti.

Bibliografia

M. Colani, Mégalithes du Haut-Laos, Paris 1935, pp. 25-26; M. Cucarzi - P. Zolese, An Attempt to Inventory Khmer Monumental Remains through Geomagnetic Modelling. The Ancient City of Wat Phu, in P.-Y. Manguin (ed.), SAA 1994, Hull 1998, pp. 27-29; A. Karlström, Lao Pako. An Iron Age Site on the Nam Ngum River in Laos, in BIndoPacPrehistAss, 19 (2000), pp. 85-92; T. Sayavongkhamdy - P. Bellwood, Recent Archaeological Research in Laos, ibid., pp. 101-10; A. Källén - C. Vinterhav, Embodied Pots. A Wider Concept of Jar Burial Applied to the Lao Pako Site, Central Laos, in A. Källén - A. Karlström (edd.), Fishbones and Glittering Emblems. Southeast Asian Archaeology 2002, Stockholm 2003, pp. 167-81; A. Karlström, Place and Space in an Urban Landscape of Vientiane, ibid., pp. 243-54.

Ban ang

v. Phon Savanh

Hoabinhiano

di Oscar Nalesini

Nonostante il territorio del Laos sia in gran parte montuoso e attraversato da corsi d'acqua, tutte caratteristiche favorevoli alla presenza di siti hoabinhiani, le evidenze sicuramente appartenenti a questa cultura in Laos sono molto poche, a causa delle limitate ricerche e della difficoltà di esplorazione di molte regioni. Strumenti litici che potrebbero risalire allo H. sono stati raccolti sin dalla spedizione di A. Pavie, nel 1893, e poi da altri ricercatori francesi.

In uno dei primi studi complessivi sulla preistoria dell'area, M. Colani aveva escluso dallo H. una serie di strumenti che aveva rinvenuto in diversi siti laotiani. Tuttavia oggi è in corso un dibattito per dare a questo termine implicazioni meno generiche che in passato e ciò richiederebbe una revisione delle industrie raccolte all'epoca e una loro nuova classificazione in base a criteri aggiornati. Di recente sono stati scavati alcuni siti sulla riva destra del Mekong, nell'area di Luang Prabang, che contengono livelli con industrie hoabinhiane. Nella grotta di Tam Hua Pu i livelli preistorici sono stati disturbati da sepolture dell'età del Ferro; è stato comunque possibile reperire campioni per la datazione al 14C che hanno fornito risultati compresi tra 4500 e 3500 anni fa. Il secondo sito, Tam Nang An, a circa 12 km dal Mekong, è un riparo scavato una prima volta negli anni Trenta da A. Fromaget, il cui rapporto è però rimasto inedito. Anche qui i livelli hoabinhiani sono stati in gran parte disturbati da sepolture dell'età del Ferro, ma hanno comunque restituito industria litica e resti faunistici.

Bibliografia

M. Massie, Catalogue des objets des âges de la pierre et du bronze recueillis dans la région de Luang-Prabang, in Mission Pavie Indo-Chine 1879-1895, III. Recherches sur l'histoire naturelle de l'Indo-Chine Orientale, Paris 1904, pp. 10-16; H. Mansuy, L'industrie de la pierre et du bronze dans la région de Luang Prabang, Haut-Laos. Contribution à l'étude de la préhistoire de l'Indochine, I, in BGeologIndochine, 7, 1 (1920), pp. 1-14; M. Colani, Recherches sur le préhistorique indochinois, in BEFEO, 30, 3-4 (1930) pp. 299-422; J. Fromaget - E. Saurin, Note préliminaire sur les formations cénozoïques et plus récentes dans la Chaîne Annamitique septentrionale et du Haut-Laos (stratigraphie, préhistoire, anthropologie), in BGéologIndochine, 22, 3 (1936), pp. 1-48; E. Saurin, Mésolithique et Néolithique dans le Haut Laos, in Congrès Préhistorique de France. Compte-rendu de la Douzième Session, Toulouse 1937, pp. 816-23; M. Colani, La civilisation Hoabinhienne extrême-orientale, in BPrHistFr, 36 (1939), pp. 170-74; J.M. Matthews, A Review of the "Hoabinhian" in Indo-China, in AsPersp, 9 (1968), p. 86; H. Watanabe - H. Shigematsu - M. Anzai, Archaeological Survey of Prehistoric Cave Sites in Laos, in Bulletin of the Department of Archaeology, University of Tokyo, 4 (1985), pp. 31-54; Th. Sayavongkhamdy - P.S. Bellwood - F.D. Bulbeck, Recent Archaeological Research in Laos, in BIndoPacPrehistAss, 19 (2000), pp. 101-10.

Lao pako

di Anna Källén

Necropoli dell'età del Ferro ubicata su una collinetta lungo la riva meridionale del fiume Nam Ngum, 40 km a nord-est della città di Vientiane (Laos centrale).

Le ricerche sono iniziate nel 1994 con un saggio di scavo condotto dal Ministero dell'Istruzione e della Cultura del Laos sulla base delle notizie del rinvenimento di materiali preistorici effettuato nel corso della costruzione di un villaggio turistico. Nel 1995 un progetto congiunto tra il MIC del Laos e l'Università di Uppsala (Svezia) ha dato inizio a una serie di scavi sistematici (1995, 2002 e 2003). L'analisi dei fosfati ha consentito inoltre di determinare l'estensione del sito preistorico (ca. 1 ha), parte del quale giace attualmente sotto il villaggio turistico. Un'area di 41 m2 è stata sottoposta a scavi, i cui risultati attestano la presenza di una necropoli complessa anche se di limitata estensione, datata tra il 350 e il 600 d.C.

La tipologia dominante dei rinvenimenti è rappresentata da vasi fittili integri deposti in fosse e da frammenti fittili raccolti in superficie. I vasi integri variano per dimensioni, da piccole ciotole a grandi giare, e presentano consistenti diversità di stile e forma. Il vasellame è temperato con materiali quali sabbia, grog, pula di riso, laterite e ossa triturate. Sia i vasi integri che i frammenti sono decorati con una grande varietà di tecniche: impressioni di corde, linee incise e a zigzag, pittura rosso su camoscio (Red on Buff) e decorazioni applicate. I motivi decorativi maggiormente ricorrenti appaiono solitamente su grandi giare con corpo rotondo e orli fortemente eversi: la sezione superiore del corpo, il collo e l'orlo sono rivestiti da un ingobbio di colore rosso scuro sulle superfici interne ed esterne e decorati con campi di linee parallele incise e a zig-zag. Sulla spalla del recipiente sono presenti due bande di elementi applicati inframmezzate da due o quattro protuberanze; occasionalmente le giare presentano anche una decorazione dipinta (Red on Buff) nella sezione inferiore del corpo. Particolarmente significativo appare il modello di deposizione, in base al quale le giare erano disposte in gruppi entro fosse. Nella maggior parte dei casi le giare erano vuote, ma sono stati rinvenuti anche tre esemplari contenenti sepolture di infanti, accompagnati da un ricco corredo di oggetti di bronzo, vetro e ferro. In due altre giare sono state rinvenute fusaiole. Vi sono anche evidenze della produzione di ferro, probabilmente forgiato in loco, attestata dal rinvenimento di ugelli, scorie, argilla carbonizzata e frammenti di oggetti di ferro sparsi. La metallurgia è coeva alle deposizioni in fossa delle giare, come evidente da rinvenimenti di scorie nelle fosse stesse e sui vasi fittili. Il sito dovette essere dunque un luogo in cui con ogni probabilità si celebravano riti (tra i quali la deposizione di ceramica e altri manufatti entro fosse), si seppellivano bambini e venivano prodotti manufatti di ferro. I vaghi di collana e i manufatti di bronzo evidenziano stringenti confronti con siti coevi ubicati più a sud, sull'altopiano del Khorat (Ban Chiang, Ban Na Di), ma la tradizione ceramica, sebbene tecnologicamente comparabile con questi siti, esprime un diverso e peculiare stile locale.

Bibliografia

A. Källén - A. Karlström, Lao Pako, a Late Prehistoric Site on the Nâm Ngum River in Laos, Oxford 1999; A. Källén - Ch. Vinterhav, Embodied Pots: a Wider Concept of Jar Burial Applied to the Lao Pako Site, Central Laos, in A. Karlström - A. Källén (edd.), Fishbones and Glittering Emblems. Southeast Asian Archaeology 2002, Stockholm 2003, pp. 167-81; A. Källén, And Through Flows the River: Archaeology and the Pasts of Lao Pako (PhD Diss.), Uppsala 2004.

Luang prabang

di Oscar Nalesini

Antica capitale nel Laos settentrionale, oggetto di un vasto progetto di recupero e restauro architettonico degli edifici storici, databili dal XV secolo fino all'epoca coloniale, che le hanno valso l'inserimento nell'elenco del Patrimonio Mondiale gestito dall'UNESCO.

L'attività archeologica, piuttosto limitata, si è concentrata su tre siti di ceramisti, di cui sono state scavate le fornaci. Secondo le informazioni raccolte durante la ricognizione di superficie, il sito più importante e meglio conservato è Ban Xanhai. Le due fornaci indagate producevano vasellame in gres invetriato e avevano un piano di cottura molto inclinato per aumentare il tiraggio e raggiungere temperature elevate. Dai reperti rinvenuti, si direbbe che il sito fosse specializzato in una tipologia di prodotti in parte differente da quella prodotta a Sisattanak, sito che riforniva all'incirca nello stesso periodo Viengchan (Vientiane). A giudicare dalla ceramica d'importazione, cinese, vietnamita ma soprattutto Thai, databile tra il XIII e il XVI secolo, le fornaci di Ban Xanhai sono al momento le più antiche del Laos. I due altri siti con fornaci presso L.P., Ban Taihai e Ban Sanghalok, presentano caratteristiche simili a Ban Xanhai. Va rilevata la somiglianza del secondo toponimo con il famoso sito di fornaci thailandese di Sawankhalok, che fa pensare a una possibile connessione tra i due. Nell'area di L.P. sono inoltre stati individuati siti pre- e protostorici, ancora da scavare, tra cui un'officina litica per la lavorazione di asce di pietra.

Bibliografia

D. Hein - M. Barbetti, An Excavation at the Sisattanak Kiln Site, Vientiane 1989; D. Hein - M. Barbetti - V. Souksavadty, A Brief Description of Recent Archaeology on Ceramics Sites in the Lao PDR, in R. Ciarla - F. Rispoli (edd.), Southeast Asian Archaeology 1992, S.O.R. LXXVII, Rome 1997, pp. 223-30.

Megaliti dell’alto laos

di Oscar Nalesini

Frutto soprattutto delle ricerche condotte da M. Colani negli anni Venti e Trenta del Novecento, i megaliti dell'Alto Laos costituiscono un insieme eterogeneo di monumenti litici rappresentati da pietre erette in piccoli gruppi o a cerchio e talvolta associate a lastre piatte.

Nei loro pressi sono state rinvenute strutture semplici, come focolari e fosse, contenenti grani di collana, qualche reperto di bronzo o frammenti di ceramica in genere scarsamente diagnostici sul piano cronologico e culturale. La maggior parte dei monumenti rinvenuti da Colani si trovava nei pressi di villaggi o di aree coltivate, ed è ipotizzabile che essi siano stati eretti durante un lungo arco temporale che dalla preistoria giunge sino a giorni non molto lontani da noi. Le ragioni che possono aver portato le popolazioni locali a erigere i megaliti sono ignote; se ne possono ipotizzare diverse in base al confronto con dati etnografici, come il culto degli antenati, la celebrazione collettiva di eventi importanti, la competizione tra individui per l'acquisizione di un più elevato status sociale. Sotto la medesima denominazione generica sono tradizionalmente comprese anche le urne di pietra che caratterizzano circa 40 siti nella Provincia di Xieng Khouang. Questi campi di urne, il cui numero varia da poche unità a 250, costituiscono un fenomeno archeologico che non è possibile mettere in collegamento con i monumenti sopra descritti. Le urne, la cui altezza varia da 1 m a oltre 3 m, erano infisse nel terreno e alcuni elementi fanno supporre che possedessero un coperchio. Tuttavia, le lastre discoidali di pietra che solitamente si trovano sul terreno presso le urne hanno diametri non compatibili con l'imboccatura di queste ultime. All'interno di alcune giare furono rinvenuti resti di ossa e ceneri che permettono di interpretare i campi di urne come cimiteri a cremazione. Tra i reperti di ferro e bronzo associati alle urne di pietra, alcuni presentano somiglianze con reperti della cultura Dong Son (Vietnam), ma la maggior parte trova più stretti confronti con reperti rinvenuti nella Thailandia nord-orientale databili tra il 300 a.C. e il 300 d.C. Il contesto culturale dei costruttori delle urne rimane ignoto. L'area interessata dai siti con urne di pietra fu pesantemente colpita dai bombardamenti durante la guerra del Vietnam. Al momento è in corso un progetto di bonifica dell'area dai residuati bellici e un suo recupero finalizzato anche allo sfruttamento turistico.

Bibliografia

M. Colani, Champs de jarres monolithiques et de pierres funéraires du Tran-ninh (Haut-Laos), in Congrès des préhistoriens d'Extrême-Orient, Hanoi 1932, pp. 103-28; Id., Mégalithes du Haut-Laos, Paris 1935; E. Saurin, Station préhistorique à ciel ouvert dans le massif du Pah Xieng Tong (Laos), in W.G. Solheim II (ed.), Anthropology at the Eighth Pacific Science Congress, II, Honolulu 1968, pp. 86-95; H. Fontaine, Hoang Thi Than. Nouvelle note sur le champ de jarres funéraires de Phu-hoa, avec une remarque sur la crémation au Viet-Nam, in Bulletin de la Société des Études Indochinoises, 50, 1 (1975), pp. 7-73; E. Nitta, Comparative Studies on the Jar Burial Traditions in Vietnam, Thailand and Laos, in Historical Science Reports, Kagoshima University, 43 (1996), pp. 1-19; Th. Sayavongkhamdy - P.S. Bellwood - F.D. Bulbeck, Recent Archaeological Research in Laos, in BIndoPacPrehistAss, 19 (2000), pp. 101-10; P. Rogers et al., Safeguarding the Plain of Jars, in A. Källén - A. Karlström (edd.), Fishbones and Glittering Emblems. Southeast Asian Archaeology 2002, Stockholm 2003, pp. 471-79.

Phon savanh (ban ang)

di Charles F.W. Higham

Necropoli (precedentemente nota come Ban Ang) situata su un altipiano, a un'altezza di più di 1000 m s.l.m., presso il corso superiore del fiume Ca che scorre verso il golfo di Bac Bo (Vietnam). Nella regione si trovano numerose aree funerarie, delle quali Ph.S. è la più estesa.

Il centro della necropoli è costituito da una collina all'interno della quale si trova un crematorium recintato, mentre intorno sono situati due gruppi di enormi giare di pietra usate per contenere le ceneri dei defunti. M. Colani, che lavorò a Ph.S. all'inizio degli anni Trenta del Novecento, ritenne che il gruppo meno numeroso e più ricco rappresentasse la classe sociale più alta. La maggior parte delle giare venne realizzata in pietra locale, a eccezione di un esemplare per il quale potrebbe essere stata impiegata pietra proveniente da oltre 40 km di distanza; la giara più grande pesa 14 t, l'altezza media è di 1,5 m. A queste giare sono associati larghi dischi di pietra, di forma inadatta per essere utilizzati come coperchi: i bordi dei vasi, infatti, sono di ridotte dimensioni rispetto ai diametri dei "coperchi". Le giare contenevano frammenti di ossa e di ferro corroso; dal momento che furono saccheggiate, la maggior parte degli oggetti di corredo è stata rinvenuta al loro esterno: perline di vetro e di cornalina circolari, campanelle, bracciali e spirali di bronzo, conchiglie di Cypraea sp., coltelli, frecce e punte di lancia di ferro. Le scorie di ferro e le matrici di bronzo indicano l'esistenza di una metallurgia locale, anche se alcuni oggetti potrebbero essere frutto di scambi. Non è stato possibile a oggi recuperare materiale organico che potesse fornire date assolute e l'intero complesso è stato datato in base alla cultura materiale tra il 300 a.C. e il 300 d.C. Colani riteneva inoltre che la comunità legata a questo e agli altri siti caratterizzati da cimiteri di urne litiche avesse prosperato grazie al commercio del sale e di altri prodotti tra lo Yunnan (Cina meridionale) e gli insediamenti della media valle del Mekong (Thailandia nord-orientale). Per i riti funerari non sono noti confronti nel Sud-Est asiatico continentale, ma nelle strutture megalitiche si evidenziano lievi analogie con l'area insulare e forse con l'Assam (India nord-orientale).

Bibliografia

M. Colani, Mégalithes du Haut-Laos, I-II, Paris 1935; P. Bellwood, Man's Conquest of the Pacific, Auckland 1978, pp. 194-98; T. Sayavongkhamdy - P. Bellwood, Recent Archaeological Research in Laos, in BIndoPacPrehistAss, 19 (2000), pp. 101-10.

Piana delle giare

v. Phon Savanh e Megaliti dell'Alto Laos

Wat phu

di Oscar Nalesini

Nome vernacolare ("Tempio della montagna") che designa un complesso cultuale Khmer situato sulle pendici orientali del Phu Kao, il picco più elevato di un gruppo montuoso che chiude a nord e a ovest la piana di Champasak, sulla sponda destra del Mekong (Laos meridionale).

Il monumento fu oggetto dei primi studi da parte di É. Aymonier ed E. Lunet de Lajonquière, dopo il passaggio del Laos alla Francia (1893). Negli anni seguenti le ricerche si concentrarono sul tempio e sui reperti rinvenuti nella campagna circostante, tra cui alcune epigrafi di particolare interesse storico in cui si menziona la montagna del liṅgam (Lingaparvata), identificata con il Phu Kao in ragione della peculiare forma della sua sommità e della sua sacralità, testimoniata dalle vestigia religiose. Dopo l'indipendenza del Laos dalla Francia, nel 1956, e l'allargamento del conflitto vietnamita, la tutela dei monumenti ricadde unicamente sulle istituzioni locali. La principale famiglia aristocratica del luogo, discendente dai re di Champasak del XVIII secolo, raccolse un gran numero di reperti, tra cui anche la nota testa di argento di Vishnu, di cui si è persa ogni traccia. La collezione fu trasferita all'estero quando la famiglia abbandonò il Laos, dopo la vittoria delle forze filo-vietnamite (1975). Rimasero a Champasak oltre 200 frammenti architettonici, epigrafi e altri oggetti litici che, per dimensioni e peso, non potevano essere spostati agevolmente; custoditi a lungo in magazzini chiusi al pubblico, sono stati in parte esposti nel museo aperto nel 2002. La scarsità di risorse finanziarie e umane e la chiusura verso gli interventi stranieri non migliorarono la situazione nei 15 anni successivi. Anzi, attorno al tempio Khmer denominato Hong Nang Sida, circa 1 km a sud di W.Ph., fu costruito un campo militare (circondato da mine, in parte ancora in situ) spianando una consistente parte dell'area archeologica. Il Paese si aprì alla collaborazione internazionale nel 1989, quando W.Ph. fu studiato da archeologi giapponesi sotto l'egida dell'UNESCO. Essi scavarono l'esterno delle mura perimetrali del tempio, lasciando scoperta la trincea di scavo, cosicché le piogge monsoniche asportarono il riempimento delle fondazioni, provocando un pronunciato cedimento del muro sul lato meridionale, all'altezza dell'ingresso laterale alla cella. Il tentativo fu ripetuto dall'UNESCO nel 1992, tramite l'École Française d'Extrême Orient, che progettò un intervento conservativo mai concretizzatosi. L'area di Champasak era intanto indagata dal Projet de Recherche en Archéologie Lao, partito nel 1991. Gli scavi a W.Ph. hanno portato alla luce i resti del portico che limitava a ovest l'area del santuario, da cui partiva una gradinata coperta, fiancheggiata da una condotta idrica. La condotta conduceva alla sorgente sacra, alimentata dalla percolazione di acque dalla montagna lungo la falesia che termina il terrazzo naturale su cui sorge il santuario. Nei pressi vi sono altre strutture cultuali, come bacini in pietra di raccolta dell'acqua sacra e un piccolo tempio in mattoni, con la facciata in arenaria larga 3 m, databile all'XI secolo. La presenza al suo interno di tre liṅgam e alcuni frammenti toreutici attribuiscono anche questo tempietto a un culto shivaita. Nel complesso, in quest'area sono state riconosciute tre fasi principali di ristrutturazione, le prime due tra l'XI e il XII secolo e la terza, nel XVII-XVIII secolo, da parte di monaci buddhisti.

Maggiori informazioni provengono dalla ricognizione del territorio circostante, dove sono stati riconosciuti due centri abitati, circondati da mura di terra, comprendenti numerosi edifici sacri. Secondo l'interpretazione corrente il centro più orientale, in parte eroso dal Mekong, corrisponde alla città di Shresthapura, citata dalle epigrafi più antiche, e dovrebbe aver vissuto nel V-VIII secolo. Il secondo insediamento, ai piedi del Phu Kao, preserva nella zona centrale il tempio di Hong Nang Sida, del XII-XIII secolo, collegato a un grande bacino idrico (baray), e corrisponderebbe a una seconda città, Lingapura, citata da fonti di epoca angkoriana. Nell'ambito di questa indagine territoriale, passata dal 1997 all'UNESCO con finanziamenti italiani e giapponesi, è stata esplorata la vetta del Phu Kao, dove sono state trovate testimonianze databili al V-VIII secolo che potrebbero appartenere al tempio sulla cima del monte menzionato da una fonte cinese del VI secolo. Ma la conferma necessita di un'analisi più accurata. Va infine detto che i monumenti delle due città sono stati riconosciuti in gran parte attraverso ricognizioni di superficie e analisi geofisiche e le datazioni sono puramente indicative perché spesso basate su presupposti non verificati con dati stratigrafici raccolti in loco. Nonostante i molti anni di ricerche, la maggior parte dei dati raccolti nelle ricognizioni e nello scavo di alcune aree della città antica rimane inedita.

Bibliografia

É. Aymonier, Le Cambodge, II. Les provinces siamoises, Paris 1901; E. Lunet de Lajonquière, Inventaire descriptif des monuments d'Indochine, II. Le Cambodge, Paris 1907; H. Parmentier, Le temple de Vat Phu, in BEFEO, 14, 2 (1914), pp. 1-31; G. Coedès, Inscriptions du Cambodge, II, Hanoï 1942; P. Lintingre, A la recherche du sanctuaire préangkorien de Vat Phou, in Revue Française d'Histoire d'Outre-mer, 225 (1974), pp. 507-21; M. Santoni et al., Excavations at Champasak and Wat Phu (Southern Laos), in R. Ciarla - F. Rispoli (edd.), Southeast Asian Archaeology 1992, S.O.R. LXXVII, Rome 1997, pp. 233-63; M. Cucarzi - P. Zolese, An Attempt to Inventory Khmer Monumental Remains through Geomagnetic Modelling. The Ancient City of Vat Phu, in P.-Y. Manguin (ed.), Southeast Asian Archaeology 1994, II, Hull 1998, pp. 27-48; Champasak Heritage Management Plan, Bangkok 1999; M. Cucarzi et al., Carta archeologica informatizzata: il progetto UNESCO per l'area di Wat Phu (Laos meridionale), in B. Amendolea (ed.), Carta archeologica e pianificazione territoriale, Roma 1999, pp. 264-71.

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