L'archeologia del Vicino Oriente antico. Anatolia

Il Mondo dell'Archeologia (2005)

L'archeologia del Vicino Oriente antico. Anatolia

Paolo Emilio Pecorella
Wolfram Kleiss
Marcella Frangipane
Carlo Persiani
Refik Duru
Massimo Osanna
Serena Maria Cecchini
Gian Maria Di Nocera
Jürgen Seeher
Tahsin Özgüç
Isabella Caneva
Manfred Korfmann

Anatolia

di Paolo Emilio Pecorella

Lo stato delle ricerche e degli studi in Anatolia è ineguale, ma negli ultimi quattro decenni le indagini sono state numerose e il panorama delle culture anatoliche è fortemente mutato sia per quantità sia per qualità. L'Anatolia si viene a proporre come uno dei focolai di sostanziale importanza e non più come una "provincia" delle culture siro-mesopotamiche che, peraltro, continuano ad avere un primato incontestabile, quello della "invenzione" dello Stato centralizzato e della scrittura, dapprima impiegata per scopi amministrativi e poi per usi più ampi e sofisticati. Da questo momento l'Anatolia entra nel novero delle società "letterate", per un breve arco di tempo durante il Bronzo Medio su influsso assiro e poi durante l'egemonia degli Hittiti, ma sempre collegandosi al mondo siro-mesopotamico.

La geomorfologia della parte occidentale della penisola è segnata da una serie di rilievi che bordano la costa, fortemente incisi dai corsi d'acqua che scendono verso il Mar Egeo: i tre fiumi principali, il Caistro, l'Ermo e il Meandro, forniscono vie naturali per l'accesso all'altopiano, in modo tanto agevole da non costituire alcuna difficoltà al transito di uomini e merci. Tuttavia, a seconda dei periodi, vi sono profonde differenze culturali che non si possono facilmente spiegare, ma che incidono profondamente sulle relazioni tra le diverse regioni. I lavori di ricognizione, che J. Mellaart ha portato avanti con grandi risultati, hanno messo in evidenza l'esistenza di province "culturali" prevalentemente basandosi sulla produzione ceramica, che spesso può non coincidere con la sovrastruttura politica o sociale. Ben poco sappiamo del popolamento, specialmente per i periodi più antichi, e solo in questi ultimi anni si è giunti a un accordo quasi generale per i nomi da apporre alle diverse zone, nomi desunti prevalentemente dai testi cuneiformi della corte hittita. Punti fermi sono la localizzazione del regno di Wilusa, identificato con la Troade, del Paese di Arzawa nell'area sud-orientale e di altri minori. L'altopiano, che occupa la gran parte dell'Anatolia centrale, alterna pianure separate da rilievi che creano modeste barriere naturali. Al centro si stende la grande pianura del Lago Tuz della Licaonia. Le due catene del Ponto e del Tauro (con l'appendice dell'Antitauro che si congiunge al massiccio armeno) paiono creare confini rilevanti, che però sono abbastanza permeabili grazie al corso sinuoso dei fiumi che si gettano nel Mar Nero e nel Mediterraneo, questi ultimi attraversando i passi segnati, durante il Bronzo Tardo, da rilievi hittiti d'età imperiale.

La montuosa area del Ponto è poco conosciuta. Ritrovamenti fortuiti e scavi clandestini hanno fornito materiali specialmente per quello che riguarda il III millennio a.C., rivelando contatti con le aree a occidente e con l'altopiano centrale, come mostrano i ritrovamenti di Kınık. L'Anatolia orientale è forse, per diverse ragioni, la regione meno nota della penisola, se si eccettua quanto riguarda l'età del Ferro. La sua natura montuosa confina con la parte settentrionale degli Zagros che, peraltro, non costituisce una barriera insuperabile. Parte dei corsi dei fiumi dell'area di Van scorrono, attraverso valli strette, verso la Mesopotamia e il bacino del Lago di Urmia.

L’età del bronzo

L'inizio del III millennio a.C. rappresenta convenzionalmente il passaggio a un periodo assai prospero, probabilmente per l'estrazione e la lavorazione dei metalli e per il loro commercio.

Bronzo Antico - Il passaggio dal Calcolitico al Bronzo Antico I e II è graduale, continuando la cultura di villaggio. Nell'Anatolia interna si notano i medesimi sviluppi che in quella occidentale. I siti chiave sono Alişar e Alaca Hüyük, oltre a Demirci Höyük che, con il singolare insediamento circolare difeso da un muro di fortificazione, gravita verso occidente. Mura di fortificazione compaiono anche ad Alişar, a Karaoğlan, nella fortezza di Ahlatlıbel, ad Alaca Hüyük, a Dundartepe nel Ponto e a Tarso in Cilicia.

Alla fine del Bronzo Antico I si assiste alla comparsa di un nuovo tipo di ceramica (Early Transcaucasian Ware) che contraddistingue l'arrivo e la presenza di una popolazione proveniente dall'area caucasica, ben attestata in una serie di località dell'Anatolia orientale, dell'Iran occidentale e, anche se in misura ridotta, della Siria occidentale e dell'area costiera sino alla Palestina (la più tarda ceramica di Khirbet Kerak). Questa ceramica è fabbricata a mano, con motivi decorativi geometrici incisi o a rilievo, con superfici nere polite e talvolta ricoperte di una sostanza micacea di colore argenteo (Shining Ware). Il passaggio alla nuova società che emerge è ben rappresentato ad Arslantepe presso Malatya; altri importanti siti di questo periodo si trovano nell'area anatolica lungo il corso superiore dell'Eufrate e nella piana di Altınova vicino Erzincan, ad esempio, a Şemşiyetepe e nel bacino del Lago di Van (Karaz e Pulur). L'espansione verso occidente della Early Transcaucasian Culture, secondo J. Yakar, causa, alla fine del periodo di Uruk, una regressione culturale ed economica che si riflette nella pianta degli insediamenti, nell'architettura domestica e nella produzione ceramica nelle aree che vanno da Malatya a sud alla regione del Keban a nord. Questa espansione fu graduale e le sue ripercussioni si devono essere sentite anche in regioni non direttamente interessate.

Di grande importanza per le scoperte sono Arslantepe e il vicino sito di Gelinçiktepe, nella grande oasi di steppa non lontano dall'Eufrate. Un sito interessante per documentare il Calcolitico tardo o l'inizio del Bronzo Antico nell'area del Kızıl Irmak è Büyük Güllücek. Il villaggio, alquanto modesto, con case monocellulari a pianta rettangolare, con due fasi, testimonia una produzione ceramica simile a quella di siti come Alişar Höyük, Alaca Hüyük, Pazarlı, Kültepe (tell): la decorazione del vasellame è costituita da pittura bianca o rossa su superfici brunite generalmente scure e da incisioni lineari o puntiformi a motivi geometrici, riempiti talvolta di colore bianco. Singolari sono le anse con protuberanze cornute che sono state accostate a quelle della Tracia e della Bulgaria, supponendo, sia pure larvatamente, una provenienza dai Balcani. Accanto alla strumentazione litica se ne ha una di rame (un pugnale a codolo). Questa cultura dovrebbe essere della fine del IV millennio a.C. e non molto anteriore al Bronzo Antico di Alişar.

A occidente il più importante e famoso insediamento è quello di Troia, dove elemento di spicco sono i megara all'interno della cittadella. Gli importanti ritrovamenti che vanno sotto il nome di "tesoro di Priamo" collegano questo sito occidentale con il grande circuito commerciale che corre trasversalmente lungo la penisola e che si lega con centri interni come Alaca Hüyük e altri. Altro grande sito di capitale importanza per la comprensione dello sviluppo di questo periodo è quello di Beycesultan. Alla cultura cosiddetta "marittima" di Troia I appartengono Yassıtepe (Beşiktepe), Yortan, Bayraklı (Smirne), Helvaci-Hüyücek, Bozköy Hüyücek, Karaağaçtepe, Kumtepe Ic e Iasos a settentrione della penisola di Alicarnasso; nelle isole sono da notare Poliochni II-IV a Lemno (dove l'insediamento inizia nel Calcolitico tardo come a Kumtepe Ib), Thermi I-V a Lesbo, Emporion a Chio, l'Heraion di Samo e l'insediamento di Gökçeada (Imbro) dove sono resti di una muraglia "ciclopica". Le comunicazioni costiere dovevano estendersi a lungo raggio ed è possibile anche un remoto contatto con il Golfo Persico, se la presenza di una conchiglia particolare è un indizio di questi traffici. In Macedonia i siti coevi sono Mikhalits (Bulgaria) e Pythion sulla Maritsa (Grecia). I confronti con l'Europa sud-orientale sono con Cernavoda, Ezero e Karanovo VI nei Balcani. La cultura di Yortan inizia in questo periodo e continua durante il Bronzo Antico II. Il periodo è caratterizzato dalla presenza di molto materiale metallico e dal commercio e dall'influenza verso i Balcani. Si tenga presente che a Poliochni III vi sono alcuni oggetti cicladici invece assenti a Thermi.

Durante il Bronzo Antico I anche l'Anatolia nord-occidentale continua la tradizione dei villaggi agricoli iniziatasi nel Calcolitico tardo. Alla fine del periodo di Troia I si verifica una rottura nella continuità. Il periodo di Troia II è segnato da una particolare prosperità, ma anche da lotte e distruzioni. Testimonianze di questi avvenimenti si hanno a Poliochni, ad Afrodisiade e anche nella regione di sud-est (Tarso e Gedikli-Karahöyük). È più plausibile pensare a lotte intestine che non all'usuale ipotesi di nuovi invasori che mettono a ferro e fuoco le regioni che attraversano o dove si stanziano. Le differenze tra le regioni sono meno marcate nella produzione di armi e dei vasi di metallo che nella ceramica. Si ricostruisce un quadro generale di dinastie locali che controllano le diverse province, che approfittano di una metallotecnica già specializzata, commerciano attivamente tra di loro e accumulano ricchezza in materiali metallici nelle loro fortezze, sia pur con diverse sfaccettature. Tra l'altro quasi tutta la ceramica del Bronzo Antico è ispirata o copiata direttamente da prototipi metallici (come ampiamente dimostrato dai ritrovamenti di Beycesultan).

Ahlatlıbel, una piccola fortezza che si trova lungo la via che conduce al centro della penisola, subisce una distruzione improvvisa e definitiva. Secondo una ricostruzione, molti siti a partire dal Mar di Marmara verso sud-est (Troia, la "città" di Poliochni sull'isola di Lemno, l'Heraion di Samo, Beycesultan e Polatlı) subiscono una violenta distruzione e sono parzialmente abbandonati, mentre nelle altre regioni la transizione al periodo successivo non pare sia stata traumatica. Nel Bronzo Antico II (ca. 2750-2300 a.C.) compare la ceramica fabbricata al tornio; una forma caratteristica è quella del depas che, a seconda delle regioni, assume proporzioni diverse e funge da elemento datante non solo per l'Anatolia occidentale ma anche per l'interno e la regione di sud-est (Gedikli). C'è apparentemente un abbandono degli insediamenti tra Troia e Smirne.

A Troia IIb si nota un graduale cambiamento, dopo l'incendio di Troia IIa e la costruzione della fortezza sull'acropoli. La situazione a Beycesultan è analoga: nello strato XIV sono costruiti due sacelli assai sofisticati con "corna di consacrazione", altari e altri arredi fissi. A Poliochni il grande insediamento continua secondo le linee precedenti, sia pure con la scomparsa del grande edificio e la costruzione di insulae di abitazione. A Limantepe, presso Clazomene, recenti scavi hanno messo in luce un'abitazione detta "a corridoio" analoga a esempi della Grecia continentale e dell'isola di Egina, all'interno di un perimetro fortificato con torri a ferro di cavallo. Di grande interesse il sito di Küllüoba, presso Eskişehir, dove si trova un complesso fortificato; all'interno vi sono edifici simili a quelli di Demirci Höyük e al centro vi è un'area aperta circondata da abitazioni adiacenti tra di loro. Si nota un edificio di 21 m di lato, con annessi, che potrebbe essere la residenza principale; il materiale ceramico rientra nella tipologia testimoniata a Troia II-IV, mentre due idoli di marmo richiamano gli esempi di Karataş-Semayük.

Nel Bronzo Antico III vi sono elementi di contatto tra la Cilicia e Troia, il che dimostra che la via di comunicazione era interna attraverso la piana di Eskişehir. Di rilievo in Licia è Karataş-Semayük; qui nel Calcolitico tardo le case rettangolari non hanno la forma classica del megaron; ancora nelle prime due fasi del Bronzo Antico I l'edificio principale, che ha due piani, si trova al lato di un cortile ovale. Dopo uno iato, nel Bronzo Antico II compare il megaron vero e proprio, una struttura che è precedente agli esemplari di Troia II, anche se la costruzione è prevalentemente composta di materiale deperibile, magari su uno zoccolo di pietrame; il mattone crudo compare solamente nel Bronzo Antico III, con la testimonianza di un tetto a doppio spiovente. Questo tipo di struttura, a Karataş-Semayük, proverrebbe da contesti "europei" distaccandosi dai complessi agglutinanti di siti come Thermi.

Nell'Anatolia occidentale e nelle aree limitrofe dell'altopiano sono state trovate necropoli extra moenia del Bronzo Antico I e II, specialmente a Yortan, a Babaköy e a Ovabyindir, e la testimonianza, per quanto dubbia, delle due sepolture di Dorak; sono prevalentemente sepolture entro ciste con lastre di pietra, talvolta con un segnacolo esterno. Il repertorio ceramico mostra decorazioni a incisione, spesso riempite di materia bianca, o a rilievo e analoga decorazione applicata a pittura; le forme ricordano quelle metalliche (brocche con lungo becco e olle globulari che ritroviamo anche nelle Cicladi).

Il Bronzo Antico II è segnato da una serie di distruzioni che si vogliono mettere in relazione con l'arrivo di un nuovo gruppo etnico, forse indoeuropeo (luvio), che si sarebbe spostato verso sud-est in direzione delle sedi d'età storica. La situazione cambia radicalmente; la rioccupazione, forse a opera di popolazioni balcaniche, è quasi immediata, ma decresce apparentemente il numero degli insediamenti. La III, la IV e la V città di Troia non sono rimarchevoli dal punto di vista architettonico; nella produzione ceramica si segnala una ciotola che presenta all'esterno un motivo a croce in colore rosso, elemento che ha numerose corrispondenze nelle diverse località dell'Anatolia occidentale e centrale e anche in quella di sud-est. La produzione di urne cinerarie antropomorfe, anche se stilizzate, rappresenta un unicum nel panorama anatolico. Ad Afrodisiade l'evoluzione continua per tutto il Bronzo Antico e Medio senza fratture culturali.

L'Anatolia centrale del III millennio mostra una forte indipendenza, specie per quello che attiene alla produzione metallica cui sono interessate le culture siro-mesopotamiche: siti come Alaca e Ikiztepe (forse da identificare con Zalpa) mostrano come la produzione e le relative novità siano forti nell'Anatolia centrale e in quella pontica. A Ikiztepe è stata scavata una necropoli con oltre 500 tombe a inumazione e deposizione resupina o in alcuni casi contratta, per lo più singola. I corredi sono abbastanza ricchi anche di oggetti metallici con una ampia varietà di armi e strumenti; nelle tombe infantili si trovano figurine femminili databili al Bronzo Antico II e III, con larghe anche, vita stretta e braccia simili ad ali; le teste sono appiattite, con orecchie forate.

La straordinaria importanza della necropoli extra moenia di Alaca Hüyük è ben nota e anche la consistenza dell'abitato di Alişar. Quella che era una cultura di villaggio si rivela infatti come una struttura complessa e gerarchizzata, a prescindere dall'ipotesi dell'arrivo di nuove popolazioni come quelle indoeuropee, come adesso si pretende. La ricchezza dei materiali, la qualità della produzione metallica di vasellame contrastano con quella della ceramica dove forme e tecnica sembrano "arretrate". I contatti per la produzione di alto livello sono da ricercarsi in un humus che si è voluto vedere nelle steppe oltre il Ponto Eusino; al momento i ritrovamenti anche di altre località come Horoztepe, Kayapınar, Mahmatlar e Hasanoğlan mostrano un alto livello comune, anche se con diversificazioni. La piccola plastica, erede della schematicità degli idoli "a violino" e simili, si scioglie in statuette che tendono a un "naturalismo" primitivo ma efficace.

Un'interessante necropoli è stata scoperta a Harmanören in Pisidia; le sepolture entro pithoi sono di tipo corrente in questo periodo, così come i corredi; tuttavia alcuni elementi come i depata e gli idoli schematici di pietra attestano i contatti culturali con la zona occidentale durante l'inizio del Bronzo Antico II. A Korucutepe nell'insediamento del Bronzo Antico III si trova una serie di edifici con struttura complessa all'interno di una sorta di cittadella. A Lidar sul corso alto dell'Eufrate, non lontano da Samosata, è stata scavata una necropoli di tombe a cista e a camera, con copertura di pietrame, del Bronzo Antico I-III, analoghe a quelle del vicino sito di Titris Höyük, dove le tombe sono anche intra moenia; peraltro, le connessioni sono con la Siria settentrionale (Halawa e Til Barsip) più che con l'altopiano, come dimostra l'esistenza di tombe a camera. Una necropoli è stata scavata nel già citato sito di Hacınebi, dove le tombe a cista coesistono con quelle entro pithoi; i collegamenti sono con i siti di Titris Höyük e Lidar Höyük. A Hassek Höyük, già sede di un insediamento con forti caratteri Uruk, la necropoli si presenta sia all'interno dell'abitato sia all'esterno; l'elemento di spicco è l'impiego di pithoi per la sepoltura di adulti.

Un interessante caso è costituto dal sito di Gedikli a oriente dell'Amano. Questo sito di frontiera con l'area siro-mesopotamica presenta singolarmente tombe a camera e a incinerazione; in queste ultime la presenza di depata ha fatto germinare diverse ipotesi, tra le quali è da segnalare quella dell'arrivo di una popolazione dall'area dell'Anatolia nord-occidentale. Una tomba a camera è attestata anche nel sito di Tilmen Höyük nel Bronzo Antico III, quando i confronti ceramici legano il sito all'area siriana e alla Cilicia; si nota in particolare una tomba a cista, analoga a una a camera di Gedikli-Karahöyük.

Bronzo Medio - Durante il Bronzo Medio, che corrisponde all'incirca ai secoli XIX-XVII a.C., si sviluppano più articolate strutture politiche e probabilmente sociali, anche con l'emergere di un ceto di commercianti. Il controllo del territorio è scandito in aree più ampie, con un centro maggiore verso il quale vengono drenate le risorse circostanti. Le notizie sulla situazione politica ci sono fornite dai cosiddetti "testi di Cappadocia", ovvero dalla larga messe di tavolette rinvenute principalmente nel maggiore centro commerciale dell'Anatolia centrale, il kārum di Kültepe. Le relazioni mercantili ci forniscono una chiara idea dei contatti e dei legami che si hanno sia entro il territorio anatolico sia con i centri delle regioni meridionali. È comunque interessante vedere come anche alla fine del III millennio a.C. queste rotte fossero battute e che prodotti di pregio venissero importati dalla Siria, come risulta dai ritrovamenti di Kültepe. La produzione artistica mostra una brillantissima originalità e una inventiva iconografica anche in presenza di importazioni dalle più antiche culture siro-mesopotamiche. In senso più generale, considerando anche il resto della produzione, è chiaro che siamo di fronte agli elementi di base della cultura artistica che nel Bronzo Tardo viene identificata per l'Anatolia interna con l'etnia degli Hittiti.

È nel Bronzo Medio che acquistano notevole importanza Troia, Beycesultan, Kültepe, Karahöyük presso Konya, Acemhöyük, Alişar Höyük e in parte la capitale hittita, Boğazköy. Mentre a Troia VI e VII riprende lo sviluppo della cittadella, dopo il periodo poco noto delle città III-V, e si provvede a una rivisitazione dell'architettura militare, la struttura palaziale di Beycesultan si presenta come un paradigma dell'area occidentale. Qui per la prima volta siamo di fronte a un complesso articolato intorno a una corte centrale, secondo il modulo canonico in Oriente e a Creta. Tuttavia le somiglianze, dapprima vantate con i palazzi minoici e anzi ipotizzate come una influenza anatolica sull'isola egea, si basano su elementi di natura generale e non specifica. Semmai sono alcuni motivi delle cretule di Karahöyük che mostrano affinità straordinarie di invenzione, anche se limitate a non troppi esemplari. Altri esempi di palazzi sono stati scavati nel monticolo di Kültepe e in quello di Acemhöyük, dove i palazzi di Sarıkaya e Hatipler sono coevi ai livelli II e Ib del kārum di Kültepe. Le mura civiche di Kültepe sono costruite con mattoni crudi e sarebbe assai interessante sostanziare le poche notizie sulla cinta fortificata del kārum con una torre di pietrame, quasi ciclopico a detta dello scavatore, composta di quattro vani, su due piani.

Tra le città anatoliche sede di kārum paleoassiri solo due sono menzionate nei testi hittiti come governate da grandi monarchi: Kanish e Purushkhanda, che viene identificata con Acemhöyük. I centri abitati hanno un diametro di 500 m e la cinta muraria può essere lunga 4 km; all'estensione dell'abitato si aggiunge l'area della stazione commerciale che, nel caso di Kültepe, ospita mercanti assiri e anatolici gli uni accanto agli altri. Assai importante è l'adozione nelle colonie commerciali dei sigilli cilindrici siro-mesopotamici, che ha permesso studi come quelli di N. Özgüç la quale ha pubblicato un vasto corpus di glittica anatolica, basandosi specialmente sulle impronte delle tavolette del kārum di Kültepe. Accanto alle importazioni di sigilli della III Dinastia di Ur, paleobabilonesi, paleosiriani e paleoassiri, esiste una vastissima produzione indigena che, partendo da schemi iconografici allogeni, risolve miti e culti locali con un complesso vigore.

Una documentazione assai interessante è quella della coroplastica, che consiste in vasi configurati di diversi modelli: animali, barche con passeggeri e rematore, conchiglie, scarpe, nonché tutta una serie di appliques di vasi. Sebbene si abbia scarsa testimonianza di recipienti metallici, nella vasta produzione ceramica, almeno in parte di derivazione, si riscontra una particolare attenzione all'invenzione formale e alle tecniche di rifinitura. In questo periodo abbiamo la produzione di ceramica a superficie rossa levigata, spesso nota come "hittita"; in realtà si tratta di una produzione dell'altopiano che difficilmente può essere collegata a un elemento etnico indoeuropeo penetrato forse intorno alla metà del III millennio a.C. È comunque evidente che durante il Bronzo Medio si pongono le basi per gli elementi iconografici che saranno quasi canonici e irrigiditi nel Bronzo Tardo.

La documentazione della plastica è limitata a una serie di idolini di piombo (o alle loro matrici), fusi in stampi monovalvi, singoli o a gruppi, talvolta costituenti una triade. Si tratta di ex voto, assai interessanti per l'iconografia di alcune divinità come Ishtar e per la storia del culto e del costume. Questa dovrebbe essere la prova di una discontinuità con la produzione del Bronzo Antico, se alcuni vasi antropomorfi non aprissero uno spiraglio su una documentazione che, al momento, è carente. Tuttavia il ritrovamento di un gruppo di avori, forse da Acemhöyük e ora al Metropolitan Museum, mostra come le maestranze locali fossero in grado di competere con le migliori botteghe delle grandi civiltà meridionali. Si tratta in parte di sfingi, leoni e aquile che sono elementi di una tarsia e in parte di sfingi a tutto tondo, probabilmente montanti di un qualche mobile.

Il periodo che comprende il Bronzo Medio e Tardo in Anatolia orientale è assai poco noto in tutta l'area, a causa di insufficienti ricerche e scavi. Anche con le recenti indagini siamo ben lontani dal poter ricostruire un quadro pur sommario delle culture che si sono succedute in questa vasta regione, che occupa quasi un terzo della penisola. Si può tuttavia constatare, in base a ritrovamenti sporadici, la presenza di tratti ceramici che la collegano con l'altopiano occidentale della Persia (ceramica di Urmia del II millennio a.C., Haftavan Tepe e Gijlar Tepe) e con le zone della Georgia e del Mar Caspio.

Per quanto riguarda il Bronzo Medio, solamente materiali di superficie consentono di individuare aree distinte che comprendono, oltre all'Anatolia orientale, l'Armenia e la Georgia. A quanto risulta vi è un mutamento culturale rispetto a quanto precede; i tipi di sepolture sembrano avere confronti calzanti con i tumuli della cultura di Trialeti in Georgia. Karagündüz, sulla riva del Lago di Van, è di grande interesse perché, oltre ad avere una sequenza del III millennio a.C. con ceramica transcaucasica, ha fornito importanti dati sulla fase preurartea con tombe a camera a sepolture multiple (fino a 80 inumazioni) dai corredi molto variati. Oltre alla ceramica, divisibile in due gruppi, vi sono recipienti e armi di metallo e oggetti personali, in cui il ferro è ampiamente usato. Questa necropoli mostra l'esistenza di una unità culturale a settentrione dei laghi di Van e di Erçek, precedente la nascita del regno urarteo (si confrontino i materiali del sito di Hasanlu IV e Dinkha Tepe 2 a mezzogiorno del Lago di Urmia).

A Giricano, sul corso dell'alto Tigri, oltre a importanti dati del Calcolitico (abbandonato prima dell'introduzione delle bevelled rim bowls) è stata scavata una serie di tre grandi strutture successive in cui, oltre alla ceramica tipica dell'area siro-mesopotamica settentrionale come quella del Khabur, si trova materiale ceramico caratteristico dell'Anatolia orientale. Un gruppo di tavolette cuneiformi sporadiche attesta la presenza di un commerciante assiro dell'età del Ferro, attivo nella regione. Il limu (funzionario) delle tavolette è Ili-iddina, menzionato nell'Obelisco Spezzato di Ashur-bel-kala. In età successiva in questa località è presente un tipo di ceramica fatto a mano, con scanalature sotto l'orlo, corrente all'inizio del I millennio a.C., che è noto anche da altre località dell'Anatolia orientale come Ziyaret Tepe, presso la confluenza del Batman Çay con il Tigri, dove è una lunga sequenza tra il Neolitico tardo e il periodo medievale.

Particolare è l'insediamento del Bronzo Medio e assai interessante quello della seconda metà del II millennio a.C., che attesta l'espansione dello Stato medioassiro in questa regione, costituendone uno dei più avanzati avamposti all'interno delle alte terre. Durante l'età del Ferro il centro presenta una rapida urbanizzazione ed è forse la capitale regionale di Tushan. A Pulur-Sakyol, presso Erzurum, è stato recuperato un piccolo cimitero inserito entro un insediamento abbandonato; i materiali di corredo, specialmente le cuspidi di freccia, mostrano somiglianze con tipi oltremontani come Trialeti, Tepe Sialk e Tepe Giyan. Il materiale ceramico indica una datazione compresa tra il XIV e il XIII sec. a.C. Nel Bronzo Medio e Tardo, a Tilmen Höyük, nella piana di İslâhiye, viene costruito un palazzo decorato, nella fase più antica, con ortostati di basalto, organizzato intorno a un'ampia corte e che subisce una distruzione e una ricostruzione; un'altra grande struttura e un edificio forse templare occupano l'acropoli. Notevole è il circuito di mura con due cortine, distanti tra di loro e concentriche. È possibile che si abbia qui la testimonianza di una capitale provinciale, forse distrutta durante l'attività militare di Khattushili I in Siria.

Di grande impatto sia nel Bronzo Medio sia nel Bronzo Tardo è la presenza di teste di ponte e addirittura di colonie vere e proprie (come è il caso di Mileto e probabilmente di Iasos) dei Minoici prima e dei Micenei dopo. Gli insediamenti passano di mano, in seguito ai rivolgimenti che avvengono nell'Egeo, e spesso si sovrappongono strati con ceramiche micenee su quelli con ceramiche minoiche, come è il caso di Ialysos a Rodi. Il problema del regno di Akhiyawa, noto dai testi hittiti (lettera di Tawagalaga, ecc.) non è ancora risolto su basi incontrovertibili, per quanto si ritenga ora che il regno si trovasse in un'area che comprende la zona costiera e le isole vicine, rappresentando peraltro una cultura mista, in cui le componenti indigene (e anatoliche) sono prevalenti; sia che questo Stato miceneo si trovasse sul continente anatolico oppure che si debba, meglio, collocarlo nelle isole prospicienti alla costa (Rodi), l'interazione tra queste due potenze ha in effetti scarso valore dal punto di vista delle specifiche società.

I rapporti commerciali, fitti sulla costa (materiale miceneo si trova in quasi tutti i centri d'età classica come Elea, Erythrai, Clazomene, Focea, Colofone, Efeso, Assarlik, Cnido, Alicarnasso, Telmessos e nell'entroterra come a Sardi, Stratonicea, Didyma, Afrodisiade, Larisa, Gödelesin Höyük presso Konya e Beycesultan; anche sul Ponto Eusino ad Akalan), sono assai sporadici nell'interno (come Maşat e Fraktin) ed equivalgono a importazioni di oggetti esotici e di pregio, per quanto in molti casi siamo in presenza di imitazioni egee. La presenza egea sulla costa ionica si lega a quella attestata a Cipro e sulla costa siro-palestinese nel Tardo Elladico IIIC. La migrazione verso oriente, riflessa anche nel ciclo dei Nostoi e nella leggenda di Mopsos, riguarda la fine dell'età del Bronzo e interessa soprattutto la Cilicia. Recentemente a Panaztepe, anticamente un'isola presso Smirne, è stato scavato un insediamento con un'importante necropoli, forse recintata con un muro, in cui si trovano una serie di sepolture entro pithoi, costume tipicamente anatolico, e una tholos con un breve dromos; all'interno i nove scheletri avevano un rimarchevole corredo funerario, oltre a tre vasi micenei del Tardo Elladico IIIA e a una spada di un tipo del XIV-XIII sec. a.C.

Bronzo Tardo - L'età del Bronzo Tardo è dominata dallo sviluppo dello Stato hittita che si afferma, grazie ai contatti con la Siria e la Mesopotamia e la reintroduzione della scrittura, come la potenza egemone del continente, sino al crollo poco prima della fine del II millennio a.C. Tuttavia, non va dimenticato che è l'unità della penisola e dei suoi fenomeni culturali a permettere uno sviluppo di tal genere. Attraverso l'Antico Regno e poi l'impero, lo Stato hittita si adegua allo status di grande potenza, dotandosi di tutti gli elementi artistici e ideologici delle culture del Vicino Oriente. Non altrettanto evidenti sono i livelli raggiunti dagli altri regni anatolici contro cui la potenza hittita lottava a intervalli ricorrenti. È sufficiente, tuttavia, un rapido sguardo alla carta archeologica per vedere come lo Stato hittita non occupi tutta l'Anatolia ma solo una zona relativamente ristretta. Se si pensa, inoltre, a quello che i testi tramandano circa la composizione etnica e la struttura dello Stato, è evidente che la realtà dello sviluppo interno delle varie province ci sfugge pressoché totalmente. Mentre vi sono notizie e dati archeologici cospicui per la capitale hittita e altri pochi centri importanti, per il restante corpo della penisola emerge un quadro poco noto. È infatti vero che conosciamo assai meglio il tessuto connettivo di altri periodi, quando sono pienamente percettibili le correnti commerciali e gli sviluppi regionali.

È noto che l'area della "patria" hittita, concluso l'insediamento in Anatolia secondo un processo lento e graduale che taluno vorrebbe far risalire sino al Bronzo Antico, si consolida all'interno della grande ansa del fiume Kızıl Irmak. Da questo territorio, che può corrispondere a circa un quarto dell'Anatolia, ha avuto inizio l'espansione hittita che già sotto Murshili conosce il primo, rapido successo con la razzia di Babilonia e la fine della dinastia di Hammurabi (recentemente la data di questo avvenimento è stata ascritta al 1499 a.C.). Una pluralità di entità statali grandi e piccole fa corona al territorio hittita, sia verso mezzogiorno, dove si trova l'importante regno di Kizzuwatna, sia a occidente, dove la compagine maggiore, formata probabilmente da una sorta di agglomerato di regni e principati, va sotto il nome di Arzawa. Numerosi altri Stati, come Pala, Masha, Mira, Karkisha e altri danno segno di vitalità e spesso di opposizione al potere hittita.

All'interno del Paese hittita vero e proprio si trovano città come Boğazköy, Alaca, Alişar Höyük, cui si devono aggiungere i nuovi siti, di grande interesse, di Kuşaklı (antica Sarissa) e di Ortaköy (antica Shapinuwa), ambedue fiorenti nell'Antico Regno e l'ultimo con un nuovo grande archivio di tavolette cuneiformi in hittita e in hurrico. Con queste due località si colmano i dati per quanto riguarda l'Antico Regno; la situazione potrà cambiare in seguito a progetti di ricognizione come quello nell'area di Kaman-Kalehöyük e nell'Amuq. Allo sbocco del Calicadno (od. Göksu), il sito di Kilise Tepe (con una lunga sequenza di occupazione) non pare essere una grande capitale regionale; del resto la situazione è analoga a quella della regione di Konya. In quest'area va collocata probabilmente Tarkhuntashsha, un regno collaterale a quello della dinastia di Khattusha, come attestano il rilievo e l'insediamento di Hatip. Tarso e Mersin in Cilicia devono avere svolto la medesima funzione che per il passato, come dimostrano i non abbondanti dati di questo periodo.

Nella piana di Isso, nel Golfo di Alessandretta, Kinet Höyük, con una lunga sequenza, attesta l'interesse degli Hittiti per il controllo della strada verso la Siria e testimonia contatti con Cipro. Si stanno conducendo inoltre numerose ricognizioni di superficie sia nell'area centrale sia nella piana dell'Amuq e sicuramente il tessuto connettivo degli insediamenti risulterà con maggiore chiarezza. A occidente, l'unico grande sito scavato (e pubblicato in maniera dettagliata) è Beycesultan; la sua posizione su un affluente del Meandro gli ha conferito una qualità strategica per i contatti tra altopiano e zona costiera. Sulla costa egea, in un altro ambito culturale, i siti di Limantepe e Panaztepe presentano testimonianze di contatti con il mondo egeo durante l'età del Bronzo Tardo. L'Anatolia nord-occidentale è rappresentata assai bene da Troia VI e VII con le sottofasi. L'architettura militare, che mostra tanta perizia (frutto anche dello sviluppo locale), si riaggancia ai monumenti dell'Egeo e dell'Anatolia interna, ma senza che sia possibile veramente discernere gli anelli della catena.

Le grandi strutture della capitale dimostrano che gli Hittiti ebbero abili architetti, tanto che è stata ventilata l'ipotesi di una influenza egiziana nel progetto del Tempio I; tuttavia, anche se la monumentalità può essere stata mutuata dall'esterno, la realizzazione è tipicamente anatolica. Lo schema planimetrico dei templi mostra un modulo di base indigeno, così come i propilei di accesso; i perimetri, con blocchi che sporgono all'esterno, sono basati sostanzialmente sullo schema delle abitazioni di carattere nobile. La lavorazione della pietra, sia blocchi a superficie piana sia con il bugnato centrale, nelle assise inferiori è tipica delle costruzioni hittite; si passa dai grandi blocchi a paramento polito e a giunture poligonali sino al concio tagliato, a bozze molto sporgenti e a spigoli accuratamente levigati.

Mentre i santuari sono ben documentati, assai minori dati si posseggono sulle residenze reali: del palazzo della capitale restano solo incassi nella roccia e la sorte ha voluto restituirci la planimetria parziale di un sito settentrionale (Maşat) dell'epoca di Tudkhaliya I (fine del XV sec. a.C.), dove già si vede la sistemazione del cortile centrale con portici attorno, anche se non è stato possibile identificare la sala del trono. Elemento innovativo è la sala ipostila (attestata sia nella capitale sia a Maşat), forse il prototipo delle strutture di rappresentanza persiane (apadāna), attraverso una filiazione urartea. Gli edifici amministrativi sono ben documentati nell'acropoli della capitale e nel non lontano sito di Ortaköy presso Çorum, dove negli ultimi anni è in corso uno scavo che ha permesso il recupero di un importante archivio cuneiforme.

La storia dello sviluppo di un centro urbano di grande importanza è illustrata dall'antica Sarissa (od. Kuşaklı), distrutta parzialmente nella prima metà del XIV sec. a.C., ma ricostruita. Il Tempio C costituisce un caposaldo della storia dell'architettura, collocandosi tra le strutture di Kültepe del Bronzo Medio e i templi di Khattusha del Bronzo Tardo. In generale è evidente una forte discontinuità con le strutture palaziali del Bronzo Medio. Il tipo di costruzioni in cui la pietra ha una grande importanza è attestato dai tunnel o dalle postierle (Boğazköy, Alişar, Alaca) in cui è impiegata la falsa volta. Questo elemento mette in contatto l'area hittita con la Siria settentrionale (Ugarit), con Cipro e con la Grecia continentale (Tirinto e Gla). La predilezione per l'elemento lapideo è dimostrata anche nella quantità di rilievi in punti strategici delle vie di comunicazione (Sirkelı, Hamide, Hanyeri, Fraktin, Fasiler, Hatip), in santuari particolarmente importanti (Eflatun Pınar) o in luoghi comunque connessi al sacro (Imamkulu, Karasu, Gâvur Kalesi).

Conosciamo ben poco della grande plastica; salvo il frammento di una statua stante di cui manca la parte superiore da Alaca Hüyük (che somiglia fortemente a una piccola figura di cristallo di rocca da Tarso), la plastica a tutto tondo è scomparsa. Restano il grande "catalogo" del santuario rupestre di Yazılıkaya presso la capitale (con il Pantheon ufficialmente dispiegato nel santuario, in parte funerario, e con i geroglifici in hurrico e non in hittita, datati verso la fine dell'impero), nonché le decorazioni delle porte delle mura meridionali della città (Porta del Re, delle Sfingi e dei Leoni). Da poco sono stati recuperati frammenti di leoni e sfingi dai santuari minori presso i piccoli massicci della città alta (Nişantaş). Tuttavia, come ad Alaca Hüyük, le figure sono irrigidite in una sontuosa formalità. Un caso a parte è costituito da alcuni rilievi della porta di quest'ultima località, anche se adesso si propende per una datazione al XIII sec. a.C., contemporaneamente al grande ampliamento della capitale.

Alla scarsità della grande plastica sopperiscono alcuni bronzetti, trovati spesso fuori contesto, che su base stilistica possono essere inseriti in una serie che da figure dotate di una sorta di movimento si sviluppa in una staticità ieratica; i luoghi di ritrovamento vanno dall'Egeo (Tirinto, Nezero e Lindos) a tutta l'Anatolia e nascono, forse, sulla scorta dell'ampia produzione siriana dell'età del Bronzo ma con una interpretazione del tutto diversa. Per quanto attiene alla ceramica, si possono sostanzialmente distinguere quattro grandi aree di produzione (ma con infiniti sottogruppi, in pratica uno ‒ o quasi ‒ per ogni regione geograficamente definibile): l'area centrale (dove viene fabbricata la cosiddetta "ceramica hittita" o meglio dell'età del Bronzo Tardo dell'altopiano, che più correttamente si definisce come "ceramica centrale", evitando etichette etniche assai fuorvianti); la Cilicia; l'area sud-occidentale e quella nord-occidentale con la Troade e le zone circostanti, tutte in connessione tra di loro. Una particolarità della produzione hittita è costituita dai grandi vasi (Bitik, Inandık, Eskiyapar e Hüseyindede) decorati a rilievo con scene di culto (processioni e simili). La concezione è del tutto nuova nel Vicino Oriente; una scena di culto più ristretta è esemplificata nel grande rhytòn d'argento della Collezione Schimmel, frutto di scavi illegali. I vasi di Inandık ed Eskiyapar provengono invece da complessi templari.

Purtroppo il mondo anatolico del II millennio a.C. non ha restituito necropoli che si possano confrontare a quella di Alaca Hüyük; cimiteri come quelli di Yanarlar, Osmankayası, Ilica e Gordion, nell'Anatolia interna, attestano l'uso della inumazione e della cremazione, rito quest'ultimo che era impiegato anche per i sovrani.

Età del ferro

Nell'ultimo quarto del II millennio a.C. si assiste, almeno nella zona sud-orientale, al crollo della struttura statale hittita e probabilmente di altre, anche a causa dei sommovimenti collegati ai cosiddetti Popoli del Mare che devastano pure gli Stati della costa siro-palestinese. Dopo un intervallo considerevole, le entità che ne risultano (e che in alcuni casi non hanno perso il contatto con le culture dell'età del Bronzo) si chiameranno Frigia e Tabal nell'Anatolia interna, Lidia, Licia e Caria in Occidente, Urartu in Oriente. Questi regni dell'età del Ferro svilupperanno ancora una volta caratteristiche più o meno indipendenti, collegate al momento della loro emergenza documentaria ora all'Occidente greco, ora a prototipi di tipo asiatico. Esemplare è il caso della Frigia, dove l'alfabeto, probabilmente introdotto dal mondo greco, si salda a elementi ancestrali delle tribù frigie scese dalle steppe pontiche, come è attestato dalle facciate rupestri della Città di Mida e dai materiali del fastoso Tumulo M di Gordion. L'Urartu rappresenta un caso paradigmatico di acculturazione dal mondo assiro, con uno specifico contributo indigeno, traendone scrittura e modelli ideologici adattati alla realtà di una popolazione di montagna, in espansione al di qua e al di là della catena degli Zagros. Nelle regioni occidentali si costituiscono i regni di Licia, Lidia, Caria, Misia e Bitinia. In queste regioni, numerose sono le testimonianze dei periodi più antichi, ma in località come Sardi o Afrodisiade la fondazione di monumenti d'età posteriore ha spesso obliterato le tracce delle precedenti occupazioni.

Frigia - I Frigi, parlanti un idioma indoeuropeo, fanno probabilmente il loro ingresso in Anatolia dalla Penisola Balcanica intorno al XII sec. a.C.; a questo primo momento si può collegare un tipo particolare di ceramica trovato a Troia VIIb2, a Kaman-Kalehöyük e in Tracia. Un re Mita di Pakuwa è citato dal re hittita Arnuwanda III e intorno al 1100 a.C. cinque re dei Mushki, che i Greci conoscono come Frigi, combattono contro Tiglatpileser I presso le sorgenti del Tigri. Nell'VIII e VII sec. a.C. sono il gruppo più importante, culturalmente e politicamente, nell'Anatolia centrale e nord-occidentale. Lo Stato frigio occupa l'area hittita all'interno dell'ansa del fiume Halys e la zona a occidente lungo il Sangario, dove si trovano i più importanti insediamenti ‒ Gordion e la cosiddetta Città di Mida ‒ nella cui area sono le imponenti facciate rupestri. Queste zone, difformi dal punto di vista geomorfologico, costituiscono la Grande Frigia, che raggiunge il punto di massima potenza anteriormente all'incursione dei Cimmeri, tradizionalmente indicato nel primo quarto del VII sec. a.C. (Eusebio e Giulio Africano).

L'ethnos frigio, dopo le distruzioni dell'invasione dei Cimmeri, si lega a quelli di Lidi, Medi e Persiani, per poi cadere nell'orbita ellenistica e romana. Alcuni caratteri "nazionali" permangono per tutta la storia frigia, diluendo sempre più i tratti originari. Si deve tener presente infatti che i Frigi si trovano a cavallo tra la costa dell'Egeo e i centri politici orientali e sud-orientali, l'Assiria, l'Urartu e gli Stati neosiriani settentrionali, di scarsa estensione territoriale ma di attiva produzione artistica. Le comunicazioni con le diverse aree devono avere influenzato sia l'approvvigionamento di materiali di lusso (come l'avorio e l'oro) sia la trasmissione di motivi figurati e concettuali. Tra questi ultimi si ricordi l'adozione dell'alfabeto (testimoniato già nell'VIII sec. a.C.) dall'ambito greco, prevalentemente in iscrizioni monumentali (si veda per tutti il Monumento di Mida). Non è evidente inoltre quale fosse il patrimonio culturale che queste genti recarono con sé, ma è probabile che alcuni caratteri identificati come propri della posteriore arte delle steppe possano avere fatto parte del patrimonio frigio. La cronologia frigia si divide in due momenti principali: l'VIII sec. a.C. sino alla invasione cimmeria e la rinascita sotto la dominazione lidia, durante il VI secolo, con diverse partizioni.

Alla prima fase risalgono le città principali tra cui Gordion, la Città di Mida e altri centri dell'altopiano come Boğazköy, Alişar Höyük, Pazarlı, Alaca Hüyük, Ankara, Dınar, Eskiyapar, Tatarlı Höyük, Yalıncak e molte località minori. Si ritiene che le facciate rupestri intorno alla Città di Mida si dividano in due gruppi, prima e dopo l'invasione cimmeria; si tratta di monumentali facciate, alla cui base si trova una porta o un sacello entro cui era la statua della pothnia theròn o Matar o Matar Kubeleya, che può essere rappresentata anche aniconica (Monumento di Arslantaş). Esiste un gruppo più antico, databile alla fine dell'VIII sec. a.C. grazie anche a confronti con i materiali figurati dei tumuli di Gordion (specialmente con quelli della Tomba del Fanciullo): ne fanno parte il Monumento di Mida (o Yazılıkaya), Maltaş nella valle di Köhnuş e Delikli Taş, a occidente di Kütahya, che riproducono una struttura lignea spesso decorata con un motivo geometrico a rilievo e un acroterio sommitale. L'iscrizione è apposta verticalmente o sull'aggetto superiore. Il Monumento di Mida è il capostipite della serie con tutti gli elementi che saranno canonici anche nel secondo gruppo di monumenti, attribuiti al VI sec. a.C. (Arezasti, Bakşeyiş, Büyük Kapı Kaya, Küçük Kapı Kaya, Kumca Boğaz, Büyük Arslantaş e il più monumentale Yılan Taş; altri, come quelli di Solone, Kümbet, Çukurca, Ayazin, Kastamonu, sono di età ellenistica e romana). Gli elementi floreali delle cornici e dell'acroterio trovano un confronto con le terrecotte architettoniche di Larisa, che sono databili alla prima metà del VI sec. a.C. Nonostante l'assenza di monumenti tra l'invasione cimmeria e la prima metà del VI secolo, la linea di sviluppo delle strutture rupestri appare continua e coerente.

L'architettura è rappresentata principalmente dalla capitale (Gordion), dove l'acropoli è caratterizzata dal complesso dei megara che potrebbero trovare un confronto in quelli di Hasanlu nella Persia occidentale. La plastica si sviluppa solamente a partire dal recupero posteriore ai Cimmeri, sotto diversi influssi (greci, ciprioti e siriani). Si ricordino sia la nicchia da Bahçelievler (Ankara) sia il gruppo della dea stante con i musici dall'ultima fase della porta dell'acropoli di Boğazköy, che ha tratti sia occidentali sia orientali. La piccola plastica, le cui testimonianze ancora una volta provengono dai corredi dei tumuli, mostra una specializzazione nella produzione di oggetti di ridotte dimensioni, dove la cura del dettaglio si unisce a diversi formulari, sia siriani sia dell'arte delle steppe. I materiali del Tumulo P e del Megaron 3 della città mostrano una decorazione geometrica esclusivamente frigia. Di estremo interesse è la mobilia, trovata nei tumuli, con l'abile impiego della decorazione a tarsia. La varietà di oggetti di bronzo, specialmente quelli provenienti dal Tumulo MM, attesta la produzione delle fabbriche locali (ciotole a omphalòs, brocche, attingitoi) anche in concorrenza con la produzione urartea, come per il caso dei lebeti. Un caso a sé è rappresentato dalle fibule del gruppo XII esportate in Grecia. Per converso le due situle configurate del Tumulo MM sono importate dall'Assiria o dalla Persia occidentale. La ceramica è stata suddivisa in quattro stili successivi: protofrigio a motivi geometrici e animali stilizzati (750-730 a.C.), di transizione (735-725), maturo a decorazione geometrica totale, tardo (postcimmerio) più povero.

Urartu - Il regno di Urartu, con il suo centro nell'Anatolia orientale sul Lago di Van, nasce in quanto tale all'inizio del IX sec. a.C., estendendo progressivamente il suo territorio sino a comprendere parte dell'Armenia e dell'altopiano persiano. Dopo la prima visita di E. Schultz nel 1827 e una serie di visite e di scavi desultori ‒ specialmente da parte dei Russi ‒ nei primi decenni del Novecento, le ricerche, gli scavi e le ricognizioni sono opera di archeologi turchi a partire dalla fine degli anni Cinquanta e sono in piena attività almeno per quanto riguarda la cultura urartea; altrettante ricerche sono state condotte nell'Azerbaigian iraniano, soprattutto a cura di Tedeschi e Italiani. Contemporaneamente, sono stati attivi gli scavi clandestini che hanno fatto affluire sul mercato internazionale una grande quantità di prodotti, specialmente metallici. Non si dimentichi che il territorio urarteo è attualmente spartito tra Turchia, Armenia e Iran.

Per quanto precede la formazione dello Stato urarteo, in questi ultimi tempi sono state recuperate testimonianze di unità locali, soprattutto sulle sponde del Lago di Sevan, che forniscono un precedente dell'architettura fortificata urartea che quindi trae le sue origini dall'humus sociale e culturale del massiccio armeno. Le strutture politiche e amministrative del regno sono modellate su quelle dello Stato rivale per eccellenza, quello assiro, interessato alle materie prime e ai rifornimenti in genere degli altipiani anatolico-persiani; tuttavia vi sono collegamenti anche con l'area del Lago di Urmia, il cui controllo viene assicurato dalla seconda generazione di sovrani. Con il primo sovrano, Sarduri, l'acculturazione dall'Assiria è denunciata dall'iscrizione di fondazione di Van, in lingua assira. Dalla successiva generazione si adotta invece l'urarteo.

Purtroppo le due capitali, la rupe di Van e Toprakkale, sono state severamente distrutte e spogliate dei materiali da costruzione, ma in generale gli scavi hanno permesso una ricostruzione della struttura del regno urarteo fornendo grande quantità di materiali. Numerosi scavi clandestini hanno saccheggiato abitati e necropoli e sul mercato antiquario sono comparsi lotti di materiali illegali, senza alcuna documentazione circa la provenienza. La documentazione storica è fornita, in genere, non da tavolette cuneiformi ma dagli annali reali incisi sulle pareti di roccia, specialmente nella rupe di Van, oltre che da iscrizioni le quali attestano conquiste o semplicemente l'attività di un sovrano.

Il territorio è controllato dalla capitale sul Lago di Van e da altri centri palaziali. Tra di essi sono scaglionati fortezze e posti minori che assicuravano il controllo delle diverse regioni, quasi a vista (postazioni per segnali con fuoco sono state trovate a Bastam). La prima capitale viene fondata da Sarduri I nel IX sec. a.C. sulla rupe di Van, sulla sponda orientale del lago. Una coppia di fortezze di recente indagine è quella di Anzaf (superiore e inferiore), erette probabilmente da Ishpuini (ca. 830-820 a.C.); nel castello superiore si trova un tempio susi con la muratura di mattoni crudi ben conservata e con iscrizioni regali. La fortificazione presenta un paramento rettilineo privo di bastioni, che saranno introdotti in seguito sotto il successore Menua.

Argishti I fonda nell'attuale Armenia il sito fortificato di Argishtihinili (Armavir), forse la struttura più complessa (il circuito di mura è di oltre 2 km), con due fortezze alle estremità del rilievo e frammezzo una serie di altre strutture, collocate, come di consueto, lungo lo sperone che si eleva sulla pianura. Oltre a questo sito, egli fonda anche la cittadella di Arin-Berd presso Erevan.

A 7 km di distanza dalla rocca di Van, la sede amministrativa viene spostata, forse per mancanza di spazio nella sede ancestrale, a Toprakkale (Rusahinili) da Rusa II (685-645 a.C.) sul fianco del monte Zimzim, di recente al centro dell'attenzione degli archeologi turchi che hanno messo in luce il basamento del tempio susi. La città era già stata oggetto di scavi più o meno sistematici durante l'occupazione russa tra il 1912 e il 1915. La pianta dei pochi resti sopravvissuti ha permesso di individuare, oltre al tempio susi, l'area del palazzo, i magazzini e una grande cisterna sul fianco della montagna. Solo le foto degli inizi del XX secolo testimoniano le mura costruite con blocchi di andesite e di calcare grigio disposti a scacchiera. Dalle rovine dell'incendio che distrusse la città è stata recuperata una grande quantità di materiali di alto pregio. Rusa II fondò anche la fortezza e la città di Karmir-Blur (Teshebaini) vicino a Erevan, che assume le funzioni della precedente e non lontana Arin-Berd, e il centro di Kef Kalesi, presso Adilcevaz, con un palazzo e una cortina di mura che collega l'acropoli al centro abitato; all'interno del palazzo una sala con pilastri, decorati con geni sullo sfondo di una cinta muraria, è stata interpretata anche come luogo di culto.

Çavuştepe (una fondazione di Sarduri II della metà dell'VIII sec. a.C.), che controlla la strada che dalla capitale conduce verso le sorgenti del Piccolo Zab e l'altopiano persiano, presenta la situazione classica, su uno sperone di forma allungata alto sulla pianura. Sfruttando la morfologia, i fianchi sono stati fortificati a mezza costa e sulle due eminenze sono stati eretti gli edifici principali usando con perizia il poco spazio disponibile. Sulla sommità occidentale si trova il tempio susi, di tipo standard, con lo zoccolo di bella pietra azzurrina squadrata, provvisto di una iscrizione dedicatoria. La fortezza di Karmir-Blur mostra l'impianto del pianterreno o del sotterraneo entro cui era il sistema di magazzinaggio; su questo poggiava il piano di ricevimento e di abitazione. L'elemento più cospicuo è dato dal perimetro murario, che in parte coincide con la sezione costruita e in parte circonda un largo spazio destinato alle attività all'aria aperta. Verso l'ingresso si trova un edificio che potrebbe essere una stalla, come a Bastam.

Il sito più occidentale è Altıntepe (costruito nella seconda metà dell'VIII sec. a.C.), presso Erzincan: nella pianura si eleva un cono montuoso sulla cui sommità si trova un centro fortificato di grande importanza per la presenza di un tempio susi ben conservato, circondato da un muro che all'interno presenta un portico. Successivamente, forse in età achemenide, è stata costruita una sala ipostila con tre file di sei colonne ciascuna; questa struttura è impostata in maniera tale da occludere l'ingresso al tempio. Di notevole interesse sono tre sepolcri sotterranei costruiti con pietre squadrate; in una tomba si trovano due sarcofagi monolitici di pietra con coperchio a botte. Nei pressi è situato un luogo di culto composto da tre stele a sommità arrotondata; di fronte è collocata una ciotola di pietra con la base forata per evidenti riti funerari (un sigillo cilindrico mostra una situazione analoga).

In Persia si trova la capitale provinciale di Bastam (fondata anch'essa da Rusa II), posta su un alto sperone con tre fortezze (superiore, media e inferiore) e due porte: una principale a nord, con gli edifici delle stalle e il ricovero dei carri vicino, e l'altra a sud verso la città. All'interno, nonostante il dilavamento, l'opera degli archeologi tedeschi ha magnificamente fatto risorgere l'acropoli, individuando strutture abitative, il tempio susi e i magazzini. In pianura si stende la città bassa, che testimonia la disposizione ordinata delle abitazioni lungo assi viari definiti. Alle spalle della piana di Urmia, in posizione molto forte, sempre sfruttando l'orografia, si trova la fortezza di Qaleh Ismail Agha (Uaiaish), assediata invano da Sargon II durante la sua campagna del 714 a.C. Sfruttando un ampio anfiteatro naturale dove si trovano i terrazzamenti, il castello alto si eleva alla sommità del rilievo, mentre in basso, su un piccolo sperone, è collocato il castello inferiore (la presenza, insolita, di due strutture fortificate ha permesso di collegare il testo di Sargon II con questa località). Le difese sono assicurate dalla parete rocciosa verso sud, opportunamente modificata specialmente verso la porta maggiore, e da un grande terrapieno (sul quale si doveva fondare una muratura ora scomparsa), alla cui base si trova la porta minore che conduce al fiume. Un canale circonda su due lati la fortificazione. All'interno si trovano due camere tombali scavate nella roccia, con ingresso a pozzo; sono le uniche strutture funerarie all'interno di una piazzaforte, oltre a quelle della rupe di Van. È possibile che la fondazione risalga al momento dell'assunzione di controllo della regione all'epoca del viaggio rituale a Musasir di Ishpuini e Menua (IX sec. a.C.).

È stata tentata più volte una tipologia delle fortificazioni, ma i risultati non sono univoci. È quindi possibile che elementi particolari abbiano portato a soluzioni diverse. Le fortezze sono per lo più poste su uno sperone fortificato, collegato al massiccio montuoso retrostante; talvolta sono stati recuperati sistemi di approvvigionamento idrico. Le murature vanno da tipi più semplici e lineari ad altri più complessi con contrafforti e torri aggettanti, sia quadrate sia semicircolari, per quanto nel territorio armeno permangano in parte tipologie più antiche e le testimonianze dell'area dell'Urmia e di Van non si uniformino. Le cortine murarie sono di basalto, andesite o calcare e terminavano in alto con un coronamento più o meno elevato di mattoni crudi. Secondo la descrizione di Sargon II, nel resoconto della campagna del 714 a.C., le mura potevano elevarsi sino a 20 m con un coronamento di merli, come è testimoniato anche da una lastra di bronzo. L'interno dell'area fortificata era sistemato a terrazze, sulle quali si elevavano le diverse strutture di rappresentanza, abitazione, amministrazione e magazzinaggio e culto (templi susi).

La residenza reale di Arin-Berd (Erebuni), eretta da Argishti I (786-764 a.C.) e in uso sino alla catastrofe finale, è la più antica e meglio conservata: vi si trovano aree separate e connesse da cortili e passaggi coperti, ambienti di rappresentanza, magazzinaggio e ricovero per i cavalli oltre a due strutture templari, una di tipo susi, l'altra simile a un tempio del fuoco d'età persiana. È interessante la presenza di un portico antistante al tempio quadrato, secondo un sistema che trova la migliore esemplificazione nel sito di Altıntepe. Caratteristiche dei palazzi sono le sale ipostile con due file di basamenti per colonne; l'origine potrebbe essere persiana, viste le strutture simili ad Hasanlu prima della conquista urartea; è anche possibile una filiazione verso l'ambiente dei Medi e degli Achemenidi, sia pure su scala assolutamente diversa. Particolarmente interessanti sono le decorazioni parietali eseguite ad affresco con motivi standardizzati e anche figure divine ed elementi "paesaggistici". Altri palazzi, come quello di Armavir e di Çavuştepe, hanno una struttura analoga.

I templi susi sono a pianta quadrata con torrioni agli angoli, ricostruiti come una torre con copertura a quattro spioventi sia grazie al rilievo di Sargon II (dove sono raffigurati la cattura e il saccheggio del tempio di Khaldi a Musasir, nella Mesopotamia settentrionale) sia grazie al ritrovamento della parte inferiore della struttura in molte località, come Armavir, Çavuştepe, Karmir-Blur, Bastam e Toprakkale. Nel caso di Çavuştepe, sui blocchi isodomici dell'esterno si trova l'iscrizione di dedica. È possibile che questo tipo di tempio abbia generato le torri cultuali di Pasargade e di Naqsh-i Rustam in Persia. I palazzi e alcuni templi urartei erano decorati con affreschi (Altıntepe, Karmir-Blur e soprattutto Arin-Berd), con motivi religiosi ma anche con scene di caccia, gruppi di animali da allevamento e scene di attività agricola. Una serie di elementi decorativi ‒ come i merli, le rosette, le palmette, l'albero sacro con divinità o geni ai lati, i quadrati dai lati concavi verso cui si inchinano tori androcefali, leoni e tori ‒ vengono mutuati dall'Assiria, ma interpretati con uno spirito indipendente.

Le tombe scavate nella roccia della capitale Tushpa, destinate alla dinastia, sono monumentali e consistono in grandi camere con un vano centrale da cui se ne dipartono altri minori; nelle pareti sono scavate nicchie rettangolari. Altrove sono fuori dell'insediamento, come ad Alishar presso Nahicevan, Malaklu e Sangar. Recentemente sono state indagate necropoli fuori degli abitati, come ad Altıntepe presso Van. Con soffitto piano o bombato, le sepolture presentano una serie di nicchie e una o più camere secondarie; ad Altıntepe vi sono tombe sotterranee costruite con blocchi squadrati e sarcofagi litici con copertura a botte.

La produzione artistica urartea a nostra disposizione è ampia e variegata; le armi difensive e offensive sono state ritrovate in quantità nei fortilizi come Karmir-Blur, tra cui spiccano gli scudi votivi con decorazione di file di animali a rilievo e incise. Due gruppi di oggetti attestano il gusto per la decorazione con una scansione lineare: si tratta di un numeroso gruppo di cinture di bronzo provenienti dal saccheggio di tombe, che è stato possibile collocare cronologicamente, almeno in parte, sulla scorta della sintassi decorativa e dell'iconografia. Accanto alle cinture vi è il gruppo delle lamine votive ‒ per lo più fuori contesto ‒ che presentano anche versioni "popolari" dei motivi divini ufficiali e figure forse di devoti resi in maniera ingenua ma efficace.

La plastica di grandi dimensioni è scarsamente sopravvissuta (si veda la distruzione delle statue dei sovrani urartei a grandezza naturale da parte delle truppe di Sargon a Musasir); qualche statuetta di bronzo ce ne può dare un'idea. Il rilievo di Adılcevaz con una figura divina su un toro, scolpita su una serie di blocchi sovrapposti, è di grande interesse. Già in un frontino per cavallo, datato dall'iscrizione al regno di Menua, si rappresenta una divinità alata montata su un toro. Questo tipo di raffigurazione, che ha antecedenti nell'iconografia del II millennio a.C., pare precedere l'analoga tipologia assira. I blocchi architettonici di Kefkalesi mostrano un edificio con torri e mura merlate. Molti elementi risalirebbero al mondo hurrico. Una componente siriana o neohittita sarebbe visibile nella produzione degli avori di Altıntepe, ma la lavorazione pare locale. La ricostruzione del trono di Khaldi eseguita da R.D. Barnett sulla base dei ritrovamenti, ora divisi tra il British Museum e l'Ermitage di San Pietroburgo, mostra la composizione di elementi decorativi in forma di sirene, grifoni, divinità su animali, basi cilindriche, montanti, ecc., tipici del gusto degli Stati siriani e assiri.

Le componenti maggiori della cultura materiale sono basate sostanzialmente su prototipi assiri e siriani dell'inizio del I millennio a.C., ma reinterpretati sulla tradizione locale. L'elemento iconografico resta ancora parzialmente da esplorare con altri documenti a disposizione: un esempio può esser dato dalla lastra che reca l'immagine di un carro con cavalli privo di guidatore da Toprakkale, con nemici uccisi; in un altro caso, un sigillo, una figura ‒ probabilmente un sovrano ‒ è in adorazione di fronte a un albero cui è legato un carro. Problematica è anche l'identificazione delle diverse figure divine in posizioni inconsuete, ovvero impiegate come elementi in scene non principali. Di carattere urarteo sono le prese decorate dei lebeti di bronzo; sia le protomi taurine, leonine, a testa di grifone, sia le prese a testa di "sirena" o di genio godono larga diffusione (Tumulo MM di Gordion, Olimpia, Vetulonia).

La produzione ceramica presenta aspetti distintivi: accanto alla ceramica comune e a quella dipinta (con connessioni ancora non chiare con la produzione del II millennio a.C. dell'Azerbaigian, come la cosiddetta "ceramica di Haftavan"), la cui tradizione locale pare indubitabile, esiste la classe di ceramica cosiddetta "di palazzo", di colore rosso con bella levigatura a stecca: una sua filiazione dalla ceramica transcaucasica dell'età del Bronzo pare proprio fuori discussione.

Neohittiti - Dopo il crollo degli Stati centralizzati, verso la fine del II millennio a.C., nelle espressioni artistiche delle compagini statali che sopravvivono o si ricompongono (etichettate come neohittite, luvie, siro-hittite o aramaiche o neosiriane, come ha proposto P. Matthiae), dominando limitati tratti di territorio nell'Anatolia orientale e nell'area siriana settentrionale, si trova l'eco della tradizione imperiale hittita, di esperienze hurrite e di moduli iconografici e stilistici che si sono sviluppati in questa area di forti interrelazioni tra filoni culturali diversi quali quelli, dominanti, siriani, aramaici, fenici e assiri. Non si tratta quindi di una "rinascita" hittita più o meno larvata, ma di una nuova tradizione propria della fine del II e del I millennio a.C., con eredità provenienti dalle diverse tradizioni.

A parte la città di Malatya (Meliddu) che si trova nella zona dell'alto Eufrate, gli altri centri si scaglionano nella parte settentrionale della Mezzaluna Fertile: Karkemish, Zincirli (Samal) e Maraş (Gurgum). All'interno di una complessa storia politica, che coinvolge in un primo momento la Siria con i suoi diversi Stati e poi l'Assiria, l'elemento più vistoso è dato dalla decorazione delle porte urbiche e palaziali e dagli ortostati decorati posti alla base dei muri delle residenze palatine. Altri centri come Karatepe, Tell Halaf, Ain Dara e la cava di Yesemek mostrano il versante più cosmopolita di questa produzione e si legano maggiormente ai gruppi siriani e aramaici. Insediamenti e decorazioni parietali si possono collocare tra l'ultima parte del II millennio e l'VIII sec. a.C. Recentemente, per quanto attiene a Malatya, la ricerca vuole collocare il principale gruppo di rilievi della Porta dei Leoni al XIII sec. a.C., reimpiegati da una struttura precedente alla conquista assira di Sargon (721-705 a.C.).

La classificazione della documentazione artistica è stata impostata da E. Akurgal e proseguita da W. Orthmann e da H. Genge; di recente una nuova prospettiva è stata proposta da Matthiae, che pone l'accento sulla unità di queste esperienze nella multiforme storia degli Stati siriani dell'età del Ferro I e II. La suddivisione delle fasi è diversa a seconda degli autori, ma in tempi recenti il riesame delle fonti documentarie ha permesso una più precisa collocazione temporale dei diversi monumenti, peraltro collegabili per elementi stilistici e "scuole" di scalpellini. Questi hanno operato in diversi centri o sono stati influenzati da quanto si produceva nelle località di maggiore rilievo come Karkemish.

In quest'area viene ad assumere grande importanza l'elemento aramaico, talvolta sostituendo quello di tradizione anatolica (Til Barsip, Zincirli, Tell Halaf, Maraş), anche se la presa del potere deve avere assunto forme diverse che non hanno sradicato ex abrupto l'elemento etnico più antico; si consideri inoltre che le iscrizioni, databili tra il X e l'VIII sec. a.C., sono spesso rese in luvio geroglifico.

Il caso di Malatya (Arslantepe) è particolare: qui si riscontra una forte impronta della tradizione imperiale hittita (come è attestata ad Alaca Hüyük e a Boğazköy), tradizione che viene interpretata secondo moduli "provinciali" ma di forte intensità espressiva; ne fanno fede le lastre reimpiegate nella posteriore Porta dei Leoni, attribuite a un sovrano (o a due omonimi) della linea vicereale di Karkemish del XII sec. a.C.; altri rilievi, come quelli con scene di carri, devono avere una datazione più tarda, vicino al X secolo, come dimostrano i confronti con altri centri come Karkemish e Zincirli. Nella nuova tradizione operante nelle pianure della Siria settentrionale si collocano i leoni della porta omonima; qui il senso delle grandi masse trova una sponda nella produzione di Zincirli. Quanto poi alla grande statua dell'ultimo re di Malatya, Mutallu di Kummukh, il confronto con Sakçagözü è vistosissimo e attesta una tradizione diversa, attiva poco prima della conquista sargonide del centro anatolico. In sostanza, le risposte, pur traendo spunti sia iconografici sia stilistici dalla tradizione anatolica del II millennio e da quella siro-mesopotamica, sono fortemente differenziate.

La tradizione del II millennio è attestata anche in altri rilievi come quello del Kizildağ, nella parte meridionale della pianura di Konya, in cui il re Hartapush, figlio di un Murshili, siede in trono; secondo il riesame di J.D. Hawkins l'opera è ascrivibile al IX secolo; vi si affianca una iscrizione geroglifica (in un'altra sono citati i Mushki incontrati da Tiglatpileser intorno al 1110 a.C.).

La documentazione del maggior centro di questo periodo si trova nell'importante città di Karkemish, che controlla l'attraversamento dell'Eufrate lungo la via di comunicazione tra Mesopotamia e Anatolia, già sede del vicereame hittita imperiale in Siria. I rilievi, a seconda dei diversi complessi, sono datati tra l'XI e l'VIII sec. a.C. La produzione più antica è rappresentata dalle lastre della Porta dell'Acqua, dove paiono prevalenti gli elementi mitologico-simbolici. Del X sec. a.C. sono i complessi del Lungo Muro delle Sculture e della Porta del Re, da attribuire al sovrano Sukhi. Mentre il primo gruppo pare riprodurre, secondo una logica composita, una processione di dei e altre figure che entrano in città, il secondo mostra una serie di elementi apotropaici con uno stile che rifugge dal rilievo. Questo è invece ben presente nel gruppo di rilievi dell'Ingresso Processionale, databili al regno di Katuwa tra X e IX sec. a.C. che rivelano, sia pure nella monotonia delle figure, altre concezioni rispetto a quelle dell'eredità anatolica, rafforzata, anche ideologicamente, dal Contrafforte Reale, realizzato dal reggente Yasiri; è stata ventilata la possibilità che vi sia l'eco di un rilievo di Alaca Hüyük, ma il dato, anche se suggestivo, pare non confermabile.

Sempre alla seconda fase sono ascritti i complessi di Zincirli, le scene con i carri di Malatya, i complessi aramaici di Tell Halaf, Ain Dara e altri. Va comunque rilevato che ogni località esprime, salvo alcuni casi, una propria specificità anche se è possibile individuare delle botteghe attive in più località. Assai interessante per la comprensione del contesto in cui si svolgeva l'attività degli scalpellini è il ritrovamento nella cava di Yesemek, non lontano da Maraş, di blocchi con figure sbozzate pronte per il trasporto. Il tipo di rilievo con due o tre divinità (esemplificate nei rilievi di Ain Dara) che sostengono un sole alato risale certo alla tradizione hittita imperiale, come risulta dal complesso cultuale di Eflatun Pınar e da una tavoletta d'avorio trovata a Megiddo, ma la nuova lettura di un tema antico fa parte della storia dell'età del Ferro, a prescindere dai precedenti.

Per quanto attiene alle strutture architettoniche il più grande apporto in quest'area è l'impiego del bīt ḫilāni testimoniato in località come Karkemish, Tell Tainat, Sakçagözü e specialmente Zincirli (tra la metà del IX e la prima metà del VII sec. a.C.), dove gli edifici, sostanzialmente in sé isolati, formano un complesso monumentale specializzato di rappresentanza. I precedenti sono attestati nella Siria settentrionale, ad esempio, ad Alalakh, anche se si è cercato di vedere un precedente in una delle strutture dell'acropoli della capitale hittita.

Bibliografia

In generale:

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Neohittiti:

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Acemhöyük

di Paolo Emilio Pecorella

Sito sull'altopiano anatolico (Turchia), non lontano da Aksaray e dal Lago Tuz, forse da identificare con la Purushkhanda del II millennio a.C.

L'insediamento ha forma ellittica (600 × 700 m) con un'acropoli e una città bassa, parzialmente occupata dal villaggio di Yeşilova. Gli scavi, diretti da N. Özgüç, sono iniziati nel 1962 e sono ancora in corso. A., la cui acropoli fu insediata almeno a partire dal III millennio a.C., fu uno dei centri maggiori dell'altopiano anatolico durante il Bronzo Medio, il periodo delle colonie commerciali assire. A parte i livelli V e IV, indagati solo parzialmente, è il livello III che costituisce il periodo di massimo splendore della città, coevo ai livelli II e IB del kārum (stazione commerciale) di Kanish; in questo periodo l'occupazione si estese anche alla città bassa.

Lo scavo ha riportato in luce numerosi edifici, tra i quali particolarmente importanti sono le due grandi strutture palaziali sull'acropoli (Sarıkaya e Hatipler), molto interessanti anche per le tecniche architettoniche. I materiali rinvenuti comprendono: ceramica, numerosissime cretule con impronte di sigilli cilindrici (specialmente siriani) e a stampo (dei tipi noti anche da Kültepe e da Karahöyük di Konya), alcune con i nomi di Shamshi-Adad re di Assiria, Aplakhanda re di Karkemish, Anum-Khirbi re di Mama e di una figlia di Zimri-Lim re di Mari; elementi d'avorio di decorazione di mobilio lavorato sul posto; vasi di cristallo di rocca e di ossidiana; gioielli aurei con pietre quali il lapislazzuli; tessuti decorati con perle di faïence cucite con filo d'oro; tavole da gioco di pietra e d'avorio; lingotti di bronzo e numerose armi. L'insediamento terminò con un grande incendio, ma il palazzo di Sarıkaya venne abitato anche durante il successivo livello II, coevo al livello IB di Kanish, e le case furono ricostruite sopra i resti dei palazzi, in parte riutilizzandoli. Il livello I (inizio del Bronzo Tardo o periodo hittita) ha restituito solo modesti resti architettonici e ceramica frammentaria. Durante il periodo ellenistico A. ebbe una parziale occupazione dell'acropoli, testimoniando anche in questa fase la centralità del sito nella regione.

Bibliografia

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Alaca hüyük

di Paolo Emilio Pecorella

Sito della Turchia ubicato 25 km circa dalla capitale hittita Khattusha. Scavato per la prima volta nel 1861 da G. Perrot, in seguito vi vennero condotte indagini da E. Chantre (1863), H. Winckler (1906) e Th. Makridi (1907), finché nel 1935-38 R.O. Arık e H.Z. Koşay misero in luce il livello del tardo III millennio a.C. Gli scavi continuarono tra il 1940 e il 1966, con interruzioni, da parte di Koşay e quindi per iniziativa di M. Akok negli anni Settanta. La sequenza del sito è così articolata: fase I (frigia); fase II (hittita ovvero Bronzo Medio e Bronzo Tardo), con "ceramica di Cappadocia" sporadica; fase III (Bronzo Antico II, chiamato Copper Age), e fase IV (Calcolitico).

L'abitato assai mal conservato di Alaca Hüyük V, corrispondente al periodo di uso delle tombe reali, venne distrutto da un terremoto e poi rioccupato. Le 13 tombe del Bronzo Antico II, disposte su livelli successivi, corrispondenti a diverse generazioni, sono situate extra moenia ma non lontano dall'insediamento, o alla periferia interna di quest'ultimo. La tomba media è di 4 × 8 × 0,75 m, con pietre alla base della fossa; il defunto, talvolta rivestito di ocra rossa, era deposto in un angolo, in posizione contratta, con il viso verso sud. I corredi, spesso assai ricchi (fino a 150 oggetti nella tomba H) erano diversi a seconda del sesso: armi per gli uomini e gioielli e oggetti da toilette per le donne; i dischi "solari" e le figurine si trovavano di fronte al defunto. La tomba era coperta da travi, argilla e terra; sulla copertura venivano posti una fila di pietre e, accanto a questa, crani e zampe di animali sacrificati. Numerose e di squisita fattura sono le statuette di tori e di cervi e i cosiddetti "stendardi", probabilmente parti di carri e di letti funebri. Si potrebbe trattare dell'espressione "mandarina" di una cultura indigena, che continua anche in periodo hittita, o di una cultura eclettica, composta di elementi indigeni e stranieri. È stata proposta anche una dipendenza dalla cultura transcaucasica di Maikop e dai suoi materiali, con statuette di tori assai simili a quelli di A.H. È possibile che i principi di A.H. e di Maikop abbiano tratto le loro origini dallo stesso centro etnico di diffusione. Per T. Özgüç e P. De Jesus l'origine di questa cultura si trova nell'area ricca di minerali tra Tokat e Amasya, dove sono le necropoli di Horoztepe e di Mahmatlar.

La ceramica, a mano, è divisa in grezza monocroma, quella cosiddetta di Alişar I e quella anatolica orientale del Bronzo Antico o Early Transcaucasian Ware. Compare anche una ceramica dipinta della fine del Bronzo Antico III, utile per la datazione. Koşay data la necropoli tra il 2500 e il 2000 a.C.; per K. Bittel, invece, quest'ultima dura solamente duecento anni. Alcuni oggetti mostrano somiglianze con Troia II e con il Cicladico Antico. Per quanto riguarda la plastica, si ricordano le due figure femminili e il bambino, forse un gruppo, che mostrano qualità stilistiche diverse ovvero una dicotomia della produzione, probabilmente da attribuirsi a centri al di fuori di A.H. La teoria che vede in questa popolazione i Protohittiti (specie Bittel e la scuola turca) sembra in contraddizione con il dato archeologico e non tiene conto della differenza tra l'arte hittita e quella espressa nelle tombe.

L'abitato del Bronzo Medio e Tardo, forse l'antica Arinna, mostra lo sviluppo maggiore, con il muro di fortificazione con due porte di accesso (la Porta delle Sfingi a sud-est e la postierla a ovest), l'ampia struttura definita "tempio-palazzo", a cui si accede attraverso un piccolo propileo e che mostra caratteristiche comuni alle strutture palaziali e templari hittite, e l'abitato. La struttura meglio conservata è la Porta delle Sfingi, con due monumentali figure monolitiche, visibili solo frontalmente e con figure a bassorilievo ai fianchi, alte più di 2 m; altre due si trovavano all'uscita nella parte interna. All'esterno delle due torri d'ingresso, parzialmente in situ, si trova una serie di blocchi decorati a bassorilievo: a sinistra scene di sacrificio e una scena di saltimbanchi, a destra un corteo procede verso una divinità. Altri blocchi, trovati fuori contesto, dovevano appartenere alla fila superiore: importanti sono quelli con scene di caccia al cinghiale, al toro e al cervo, forse legate al rituale. La scena in cui sono due uomini che reggono uno stendardo e due figure affrontate, di cui la maggiore presenta un'ascia rituale a un personaggio ignudo, indica forse la presentazione dell'erede al trono. Su un'altra lastra, probabilmente connessa con la famiglia reale, sono sei bambini in marcia. La porta è datata al 1400-1200 a.C., ma, almeno per i blocchi meno formali e rigidi, si può ritenere ragionevole una datazione alla fine del XV o all'inizio del XIV sec. a.C.

Bibliografia

In generale:

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Plastica:

M.J. Mellink, Observations on the Sculptures of Alaca Höyük, in Anadolu, 14 (1970), pp. 15-27; J.V. Canby, The Child in Hittite Iconography, in J.V. Canby (ed.), Ancient Anatolia. Aspects of Change and Cultural Development. Essays in Honor of Machteld J. Mellink, Ann Arbor 1986, pp. 54-69; H. Baltacioglu, Four Reliefs from Alacahöyük, in M. Mellink - E. Porada - T. Özgüç (edd.), Aspects of Art and Iconography. Anatolia and its Neighbours. Studies in Honor of Nimet Özgüç, Ankara 1993, pp. 55-60; A. Ünal, The Textual Illustration of the "Jester Scene" on the Sculptures of Alaca Höyük, in AnatSt, 44 (1994), pp. 207-20.

Ali̇şar hüyük

di Paolo Emilio Pecorella

Sito dell'Anatolia centrale (Turchia), dove scavi di H.H. von der Osten e di E.F. Schmidt (1929-32) hanno fornito, per la prima volta, una sequenza quasi ininterrotta tra il Bronzo Antico e le invasioni turche.

Il monticolo ha un'acropoli (Citadel Mound, M) e una città bassa (City Terrace, T) che non presentano la stessa sequenza, correlata quindi in vari modi. Secondo un riesame della situazione la sequenza viene ad articolarsi per i periodi più antichi in: livello 0 del Bronzo Antico IA (19-15 M) e del Bronzo Antico IB (14-12 M); livelli IA (7 M) e IB (8-11 M) del Bronzo Antico II; livello III (6 M) del Bronzo Antico III; livello II del Bronzo Medio o periodo delle colonie assire di Cappadocia e antico-hittita (5-4 M, 11-10 T); livello IV dell'età del Ferro. Secondo W. Orthmann, A.H. IB apparterrebbe in buona parte (11-8 M, 14-13 T) al Bronzo Antico II; al Bronzo Antico III una parte del livello IB (7 M) e parte del livello III (6 M), di cui una seconda parte (5 M, 12 T) costituirebbe il periodo intermedio prima di A.H. II (11-10 T), definito come "antico hittita".

Purtroppo nessun edificio di rappresentanza è stato ritrovato ed è assai lamentevole lo iato che comprende buona parte del periodo imperiale hittita e il passaggio tra II e I millennio a.C. Durante il Bronzo Antico I, A.H. pare essere già un sito rilevante. Le caratteristiche generali sono quelle dell'altopiano in questo periodo: abitazioni di mattoni crudi a pianta rettangolare. La ceramica, a mano, spesso brunita, ha forme alquanto specializzate: notevoli sono i grandi vasi a profilo biconico e a bocca larga e le grandi ciotole su alto piedistallo rigonfio ("fruttiere"). La decorazione, geometrica, è a incisione o excisione, talvolta riempita di materia bianca od ocra; meno frequente è quella in colore bianco su superfici scure. Durante il Bronzo Antico II vi sono tracce di una cinta muraria intorno all'acropoli e alla città bassa con strutture a essa allineate. I materiali mostrano un elaborato livello di vita: si vedano le statuette femminili a disco e a otto, di pietra o di terracotta. Tra i sigilli, accanto a quelli con decorazione geometrica, ve ne sono di forma lenticolare con figure di animali.

Due classi ceramiche, collocate dagli scavatori nel Bronzo Antico ma ora attribuite all'inizio del Bronzo Medio, sono particolarmente interessanti: la "ceramica intermedia", con decorazione dipinta a semplici motivi geometrici, che comincia con il livello 7 M, e la "ceramica di Cappadocia" o di A.H. III (trovata per la prima volta nei livelli 6-5 M e 12 T): a mano, con un'ingubbiatura di colore camoscio o rosso, ha una decorazione policroma geometrica. Si noti il ritrovamento di un depas (bicchiere biansato) confrontabile con quelli di Troia II-IV e l'imitazione locale di una bottiglia "siriana". Il Bronzo Medio o A.H. II rappresenta il periodo delle colonie commerciali assire e quello hittita antico. Sull'acropoli si trovano tracce di fortificazioni, oltre al muro della città bassa costituito da un doppio paramento, rinforzato da muri trasversali, con una linea spezzata da una serie di riseghe di 30 cm. Tale muro comprende, inoltre, torri rettangolari sporgenti, una porta principale a sud, con torri e una camera centrale, apparentemente non connessa con il circuito murario, altre minori a sud-est e a nord e una postierla sotterranea a est con copertura a falsa volta, secondo un modello presente nella capitale hittita e ad Alaca Hüyük.

Nella fase più antica l'abitato ha in alcune zone uno sviluppo ordinato, con case a più vani, addossate le une alle altre, lungo il perimetro delle mura e lungo gli assi viari che si irradiano dalla cittadella. Il materiale è genericamente "hittita" (sigilli in geroglifico o decorati a spirale corrente, guilloche, il cosiddetto royal symbol, ecc.). Le 70 tavolette assire (livelli 10 c-b T) sono coeve al livello IB di Kültepe e al kārum (quartiere commerciale) di Khattusha. Il periodo termina con un incendio e le mura mostrano tracce di riparazioni. L'insediamento è stato in via assai ipotetica identificato con l'antica Ankuwa. La ceramica di questo periodo mostra forti analogie con quella della Cappadocia; si tratta della cosiddetta "ceramica hittita", dalla superficie rossa levigata, con slanciate forme metalliche (brocche con becco allungato e tagliato), note da centri come Kültepe e Khattusha. Significativi sono i recipienti configurati a scarpa, a gatto, a leone e a coniglio tipici del periodo delle colonie assire. Particolarmente interessanti sono anche i vasi a rilievo collegabili con quelli dell'Antico Regno hittita (Bitik e Inandık).

Dopo la distruzione del centro "hittita", l'abitato viene parzialmente rioccupato (periodi posthittita e frigio). Si crea una nuova fortificazione (livello 4 M), con un solo paramento e torri a intervalli, leggermente aggettanti verso l'esterno, a ventaglio con il vertice imperniato sulla cittadella, le cui difese sono rimesse a nuovo. Nella città bassa le abitazioni sono allineate lungo gli assi viari. Il materiale ceramico è caratterizzato da una produzione monocroma e dipinta: sono caratteristici i grandi contenitori biansati a bocca larga, con decorazioni di cerchietti e di cervi stilizzati, e i recipienti con decorazioni geometriche policrome. È presente anche la glittica geroglifica. La seconda metà del II millennio vede un insediamento assai modesto; da notare le coppe decorate a stampo, la ceramica "galata" e la sigillata. A.H. nel periodo romano-bizantino è un piccolo insediamento, privo di fortificazioni, gravitante verso centri come Aquae Saravenae e Basilica Therma. Ancora abitato tra il IV e il VI sec. d.C., viene abbandonato con le invasioni sasanidi del VII sec. d.C. Si notano una cappella absidata e una serie di "bagni". Durante il periodo selgiuchide fu luogo di accampamento dei nomadi, mentre durante quello dei primi sovrani ottomani vi furono eretti alcuni scarni edifici di carattere seminomadico, talvolta inseriti entro le rovine bizantine, non lontano da un cimitero.

Bibliografia

H.H. von der Osten - E.F. Schmidt, The Alishar Hüyük. Season of 1927. Part 1, Chicago 1930; E.F. Schmidt, Anatolia through the Ages. Discoveries at the Alishar Mound, 1927-29, Chicago 1931; Id., The Alishar Hüyük. Season of 1928-1929, Chicago 1932; H.H. von der Osten, The Alishar Hüyük. Seasons 1930-32, Chicago 1937; R.L. Gorny, The 1993 Season at Alisar Höyük in Central Turkey, in Anatolica, 20 (1994), pp. 191-202; Id., The Alisar Regional Project 1994, ibid., 21 (1995), pp. 65-100; Id., Hittite Imperialism and Anti-Imperial Resistance as Viewed from Alishar Höyük, in BASOR, 299-300 (1995), pp. 65-89; S.A. Branting, The Alisar Regional Survey 1993-1994. A Preliminary Report, in Anatolica, 22 (1996), pp. 145-58; R.L. Gorny, The 1998 Alisar Regional Project Season, ibid., 25 (1999), pp. 149-83.

Armavir

di Wolfram Kleiss

Insediamento urarteo (urart. Argištihinili) che si estende su una serie di alture rocciose nella pianura dell'Aras, a sud-ovest di Yerevan, in territorio armeno, non distante dal confine turco.

Le indagini hanno evidenziato che il sito, in parte cinto da mura e composto da due ampi complessi fortificati a occidente e a oriente, era alimentato da un sistema di canali che prendevano l'acqua dall'Aras e irrigavano le pianure circostanti. L'area dove Argishti I fondò A. nella prima metà dell'VIII sec. a.C. risulta abitata già nel III millennio. All'epoca di Argishti I risalgono, secondo le fonti epigrafiche, parte dei canali e i due complessi fortificati che hanno restituito anche iscrizioni di Sarduri II, Rusa I e Rusa III. La città ha vissuto per circa centoventi anni, dal 785-760 fino al 655-654 a.C.

A. presenta, comprese le due cittadelle, una lunghezza complessiva di circa 3100 m e un'ampiezza che nella zona della cittadella orientale raggiunge i 600 m. L'area fu abitata in maniera diversificata a causa della conformazione del terreno, ma comunque intensa, come indicano i ritrovamenti di ceramica urartea. Tra le due cittadelle si trovavano fattorie orientate in senso est-ovest, al di fuori di un evidente piano stradale. Le abitazioni appartengono a tre tipi principali. Il primo comprende edifici particolarmente rilevanti dal punto di vista architettonico, a una sola entrata con risalti sulle pareti esterne; al centro si trova una sala con due colonne lignee, intorno alla quale si dispongono gli ambienti di abitazione e di servizio, accessibili tramite un ingresso, come nella Casa del Portasigilli. Il secondo tipo è composto da case più piccole, di pianta quasi quadrata, con un solo ingresso e un ambiente posteriore ripartito, con un corridoio che permette l'accesso alle stanze disposte sui due lati; la parte di servizio è costituita dal magazzino ricavato nei due ambienti più grandi al di sopra dell'ingresso, come nella cosiddetta Casa dei Medici. Il terzo tipo, infine, presenta case a pianta rettangolare, con corte centrale, intorno a cui si dispongono gli ambienti di abitazione e quelli di servizio, i più grandi dei quali sono occupati dai magazzini.

Degne di nota nella cittadella occidentale sono le costruzioni con corte, che si sviluppano nell'architettura urartea e vengono trasmesse, attraverso quella meda, a quella achemenide. Un tipo è caratterizzato da piccoli ambienti che si aprono sui quattro lati di una corte quadrata o rettangolare, come nei palazzi delle cittadelle e nelle stazioni stradali; un altro presenta sale di forma rettangolare allungata, a tre o a due navate, con pilastri quadrati di pietra o colonne lignee, come a Bastam. A. ha restituito molta ceramica urartea, sia di produzione raffinata sia di uso comune, in parte ornata e bollata, vasi decorati con indicazione del contenuto e altri con impronte di sigilli cilindrici. Sono stati rinvenuti inoltre bronzi e oggetti di ferro, fra cui spiccano punte di freccia e matrici di fusione per metallo; manufatti di pietra come mortai, lisciatoi, statuette di divinità e vasi, per lo più di basalto. A. presenta al centro dell'impianto un piccolo insediamento del primo periodo armeno e tombe della stessa fase presso le pendici occidentali della cittadella orientale, mentre le necropoli urartee si trovano a ovest della cittadella occidentale.

Bibliografia

In generale:

R.D. Barnett, The Urartian Cemetery at Igdyr, in AnatSt, 13 (1963), pp. 163, 166; B.N. Arakeljan, Alcuni risultati della ricerca archeologica ad Armavir, in SMEA, 14 (1971), pp. 41-55; A.A. Martirosjan, Raskopki Argištichinili [Scavi ad Argištihinili], ibid., pp. 228-36; Id., O social'no-ekonomičeskoj strukture goroda Argištichinili [Sulle strutture socio-economiche della città di Argištihinili], in SovA, 3 (1972), pp. 38-54; Id., Argištichinili, Erevan 1974; W. Kleiss, Urartäische Architektur, in H.J. Kellner (ed.), Urartu. Ein wiederentdeckter Rivale Assyriens (Catalogo della mostra), München 1976, pp. 28-43; K.K. Ghafadarian, Architecture de la ville d'Argištihinili, in G. Ieni - B.L. Zekiyan (edd.), Atti del Primo Simposio Internazionale di Arte Armena (Bergamo, 28-30 giugno 1975), Venezia 1978, pp. 197-206; J.P. Mahé, Le site arménien d'Armawir. D'Ourartou à l'époque hellénistique, in CRAI, 1996, pp. 1279-312; G. Tirac`yan, Armawir, in REtArm, 27 (1998-2000), pp. 135-300.

Iscrizioni:

F.W. König, Handbuch der chaldischen Inschriften, Graz 1955, nn. 91, 93, 97, 98, 113, 114, 115, 116 a-c, 132; G.A. Melikišvili, Urartskie klinoobraznye nadpisi [Iscrizioni cuneiformi urartee], Moskva 1960, nn. 142, 143, 165, 171, 172, 288; N.V. Arutjunjan, Novaja urartskaja nadpis' iz Davti-Blura [Nuova iscrizione urartea da Davti-Blur], in VesDrevIstor, 97, 3 (1966), pp. 91-105.

Arslantepe

di Marcella Frangipane

A. (in turco "collina dei leoni"), situato nella piana di Malatya (Turchia) a pochi chilometri dalla riva destra dell'Eufrate, è un tell di circa 4,5 ha, alto 30 m, il cui antico nome era Malitiya nelle fonti hittite, Melid, Meliddu o Meliteya in quelle neoassire e urartee. La storia di A. inizia almeno dal VI millennio a.C. e continua ininterrotta fino alla fine dell'VIII sec. a.C., quando, nel 712, Sargon II di Assiria conquistò e distrusse la città. Dopo un periodo di abbandono, l'abitato fu rioccupato come semplice villaggio rurale in età tardoromana e bizantina e riutilizzato come cimitero alla fine di questo periodo.

Gli scavi iniziarono negli anni Trenta del Novecento con una missione francese diretta da L. Delaporte, che indagò la parte alta del tell, portando in luce i resti di un palazzetto neoassiro (VII-VI sec. a.C.) e parte di un palazzo neohittita (XII-VIII sec. a.C.). La missione fu interrotta dalla seconda guerra mondiale e, dopo una breve e poco fruttuosa fase di ripresa degli scavi negli anni 1947-51 da parte di C. Schaeffer, le ricerche nel 1961 passarono in mano italiana con una nuova missione di scavo diretta all'inizio da P. Meriggi e S. Puglisi, poi solo da quest'ultimo. In seguito la direzione della missione, uno dei grandi progetti archeologici dell'Università di Roma "La Sapienza", fu assunta da A. Palmieri e infine da M. Frangipane.

La prima occupazione risale almeno al VI millennio a.C. (tardo Calcolitico 2, 4300-3900 a.C.), ma i più antichi livelli di abitato raggiunti si riferiscono a una fase immediatamente post-Ubaid: un'area con case di mattoni crudi, cortili e forni, che rivelano un aspetto culturale locale con correlazioni nella regione a ovest dell'alto Eufrate. Al periodo VII (tardo Calcolitico 3-4, 3800-3400 a.C.) sono attribuiti nell'area nord-orientale case comuni di mattoni crudi, con sepolture sotto i pavimenti, e nell'area occidentale imponenti edifici posti a una quota molto più alta. Le pareti dipinte, le colonne costruite in terra e intonacate di bianco, la collocazione topografica e il materiale rinvenuto lasciano pensare a una residenza privata forse d'élite. Le funzioni religiose sono documentate da un grande tempio (Tempio C), isolato ed eretto su una piattaforma di pietre e fango, nella cui sala centrale, decorata con nicchie multiple dipinte, si svolgevano distribuzioni di pasti mediante ciotole prodotte in massa. Questa pratica, insieme alla presenza di cretulae, suggerisce l'inizio di un processo di centralizzazione di beni e lavoro, che si consoliderà ad A. alla fine del IV millennio a.C. In questo periodo (VIA, tardo Calcolitico 5, 3350-3000 a.C.) il tempio viene abbandonato e si edifica, nella zona sud-occidentale della collina, un imponente complesso architettonico costituito da edifici con diverse funzioni (templi, magazzini, edifici di rappresentanza) disposti su più terrazzi e collegati da corridoi: forse il più antico esempio di "palazzo" pubblico del Vicino Oriente. L'ideologia religiosa si fonde con una complessa organizzazione amministrativa per il controllo dei beni documentata da magazzini, da centinaia di ciotole per la distribuzione di razioni e da migliaia di cretulae con impressioni di sigilli, rimaste sui pavimenti o gettate in apposite discariche all'interno del palazzo. La ceramica, prevalentemente fatta al tornio, mostra tipologie locali ma fortemente influenzate dai modelli mesopotamici della cultura di Uruk. Il rinvenimento in un ambiente del palazzo di un gruppo di armi documenta l'alta qualità tecnologica raggiunta dalla metallurgia e, per la prima volta, l'uso della spada. Intorno al 3000 a.C. un devastante incendio distrugge l'intero palazzo, ponendo fine per sempre anche all'organizzazione protostatale.

Nel Bronzo Antico I (3000-2750 a.C., periodo VIB) si riconoscono due fasi. Nella prima fase (VIB1), sulle rovine degli edifici antichi, si insediarono gruppi di tradizione transcaucasica con occupazioni probabilmente stagionali, costituite da capanne lignee rivestite di intonaco di fango. Le ceramiche rosso-nere, fatte a mano, ricalcano il vasellame di tradizione transcaucasica. Probabilmente alla fine di questa fase è da attribuire la cosiddetta Tomba Reale, costruita ai margini del villaggio, che consisteva in una cista di pietra, scavata sul fondo di una grande fossa, con un individuo adulto accompagnato da un ricchissimo corredo. Sulle lastre di copertura si trovavano i corpi di quattro adolescenti, probabilmente sacrificati. Nella fase successiva (VIB2), A. partecipa nuovamente ai rapporti con l'ambiente siro-mesopotamico, ma limitatamente alle aree gravitanti su medio e alto Eufrate. La ceramica è nuovamente in gran parte tornita, anche se permangono classi di tradizione est-anatolica.

L'insediamento, anch'esso distrutto da un incendio, è un villaggio di case di mattoni crudi e zone destinate ad attività specifiche, come la metallurgia o la macellazione degli animali. Data al periodo VIC (Bronzo Antico II, 2750-2500 a.C.) un ampio edificio abitativo terrazzato situato verso la cima del tell. Le attrezzature domestiche, tra cui un focolare con spalliera a ferro di cavallo, e il materiale in situ mostrano un radicale cambiamento culturale e organizzativo ascrivibile a una completa separazione delle comunità dell'alto Eufrate dalla storia mesopotamica. La ceramica, totalmente fatta a mano, si distingue in due classi principali, rosso-nera e dipinta. L'abitato del periodo VID (Bronzo Antico III, 2500-2000 a.C.) si espande dalla sommità del tell verso il pendio, secondo un assetto urbanistico ben pianificato, con strade e, alla fine del periodo, anche sistemi di canalizzazione. L'abitato viene cinto da un muro di fortificazione di pietra e mattoni crudi con bastioni semicircolari. La produzione ceramica continua e sviluppa la realizzazione delle due classi, mostrando l'appartenenza del sito a una provincia culturale piuttosto ristretta. La presenza di un'officina metallurgica con numerose forme di fusione e la stessa ceramica dipinta rivelano una notevole specializzazione dell'artigianato.

La maggior parte delle testimonianze relative al periodo VA (Bronzo Medio, 2000-1750 a.C.) è stata scavata nell'area sud-occidentale. L'architettura si limita a poche strutture complete. La presenza di una grande casa con focolare monumentale a doppio ferro di cavallo suggerisce continuità con il periodo precedente, come anche la ceramica. Nel periodo VB (Bronzo Tardo I, 1750-1600 a.C.) l'insediamento ha un sistema di fortificazione costituito da una struttura di terra, in cui si inserisce una porta fiancheggiata da due torri quadrangolari bipartite, di tipo centro-anatolico. Al periodo IV (Bronzo Tardo II, 1600-1200 a.C.) risale una porta monumentale detta Porta Imperiale di tipo a "tenaglia", collegata alle mura di cinta costruite su fondazioni di pietra con elevato di mattoni. Data a questa fase anche una galleria a falsa volta, forse un condotto per raggiungere la falda acquifera.

La città hittita subisce probabilmente una violenta distruzione. Al periodo III sono da ascrivere una cospicua quantità di resti architettonici, tra cui la Porta dei Leoni, accesso principale al palazzo reale. Numerose case sono addossate alla cinta muraria ormai in disuso, riutilizzando talvolta i resti delle strutture dell'antica porta hittita. Questo periodo viene obliterato da uno strato di bruciato, testimonianza di un ulteriore evento distruttivo. Datano al periodo II, poco conosciuto, resti di edifici e strutture incomplete, ma dal materiale archeologico emerge un legame ininterrotto con la tradizione del periodo precedente.

Bibliografia

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Aznavur tepe

di Wolfram Kleiss

Collina alta circa 300 m sulla pianura di Patnos, situata 2 km a nord-ovest della città omonima (Turchia orientale), a nord del Lago di Van.

Diverse iscrizioni dei re urartei Ishpuini e Menua testimoniano l'esistenza, intorno all'800 a.C., di regolamenti edilizi nel territorio di Patnos e parlano della città e roccaforte di Aludiri, da identificare con A.T. o con Girik Tepe. Sulla base di indicazioni fornite nel 1960 da scavatori clandestini, gli archeologi turchi K. Balkan e R. Temizer indagarono tra il 1961 e il 1964 il rilievo su cui sorgeva un edificio urarteo, forse un tempio. Sulle sue pendici occidentali e sud-occidentali e nella pianura si conserva un'imponente cinta muraria. Torri quadrate di 8 m di lato si innalzano a intervalli pressoché regolari di circa 20 m, sia all'esterno sia all'interno della cinta; lo spessore della cortina va dai 3,7 ai 3,9 m. Non sono oggi riconoscibili né il collegamento delle mura al basamento del tempio, né l'impianto delle porte. All'interno dell'area fortificata sono visibili solo alcuni resti di muri; una fossa, scavata nella parte sud-ovest dell'impianto, potrebbe essere una cisterna per l'acqua.

La sommità della collina fu spianata per la costruzione del tempio, degli edifici circostanti e dei terrazzamenti della cittadella; sulla base della ceramica i resti delle strutture sono stati datati al VII sec. a.C., corrispondente all'ultima fase della civiltà urartea. È probabile che l'impianto fosse prima un accampamento militare, poi un insediamento civile fortificato. Il tempio del dio Khaldi, il cui perimetro esterno è di 14 m, corrisponde al tipo del tempio urarteo a torre quadrata con risalti angolari. La cella (5 × 5 m), con tracce di affreschi in blu e rosso, presenta un'unica porta bipartita sul lato meridionale. Sui due fianchi esterni della porta, nella parte inferiore, sono presenti iscrizioni del re Menua con norme edilizie e rapporti di campagne militari. A nord del tempio sono visibili altre pitture murali con tori inginocchiati di colore rosso-bruno a contorni neri su fondo blu; infine, nell'area intorno all'edificio sacro è stato rinvenuto da scavatori clandestini nel 1960 un leone di bronzo.

A 4 km a sud di Patnos, a Girik Tepe è stata portata alla luce durante le indagini del 1961 parte di un palazzo. Intorno al tepe si doveva estendere, come indicherebbe la ricchezza dei rinvenimenti ceramici, l'insediamento urarteo, probabilmente l'antica Aludiri. È stata trovata un'ampia sala di 25 × 7,5 m, circondata sui quattro lati da un corridoio, al quale si collegavano sul lato nord tre vani con funzioni di servizio. La sala, interpretata come "sala del trono", ha tre ingressi sul lato meridionale e una nicchia su ognuno degli altri lati; il soffitto era sorretto da almeno quattro colonne lignee. L'ambiente mostra analogie, sia nella funzione sia nelle dimensioni, con le strutture della parte nord-occidentale della zona mediana della rocca di Bastam. La distruzione dell'intero edificio è da imputare a un grosso incendio. A est di Girik Tepe un altro monticolo, Pasa Tepe, ha rivelato materiali di età posturartea; infine, due necropoli rupestri urartee sono state indagate presso Dorf Lic e Dedeli, vicino a Patnos.

Bibliografia

K. Balkan, Ein urartäischer Tempel auf Aznavurtepe bei Patnos und hier entdeckte Inschriften, in Anadolu, 5 (1960), pp. 99-131; C.A.T. Burney - G.R.J. Lawson, Measured Plans of Urartian Fortresses, in AnatSt, 10 (1960), pp. 177-96; E. Weidner, Anzavurtepe, in AfO, 20 (1963), pp. 237-38; W. Orthmann, Patnos, ibid., 21 (1966), p. 168; C. Burney - D.M. Lang, The Peoples of the Hills. Ancient Ararat and Caucasus, London 1971, pp. 140-41; M.J. Mellink, Archaeology in Asia Minor, in AJA, 79 (1975), p. 208; W. Kleiss - H. Hauptmann, Topographische Karte von Urartu, Berlin 1976, nn. 45, 117, 145, 155; W. Kleiss, Urartu. Ein wiederentdeckter Rivale Assyriens, München 1976, p. 36; V. Sevin, Urartu mezar mimarisine yeni katkılar [Novità sull'architettura funeraria urartea], in AnadoluAraş, 10 (1986), pp. 329-40; W. Kleiss, Aspekte urartäischer Architektur, in IranAnt, 23 (1988), pp. 181-91; E. Oybak, Patnos (Ağrı) kazısı yanmış hububat tanelerinin (arkeobotanik) analiz sonuçları [Resti di cereali carbonizzati dagli scavi di Patnos presso Ağri. Studi analitici], in AnadoluYil, 1997, pp. 11-14.

Bastam

di Wolfram Kleiss

Cittadella fortificata (urarteo Rusa-i Uru.Tur, "cittadina di Rusa") nella provincia iranica dell'Azerbaigian occidentale, 85 km a sud-est di Maku e 54 km a nord-ovest di Khoy, a circa 1300 m s.l.m. Situata sulla strada che dalla capitale Tushpa (Van) portava nella regione orientale di Urartu, B. fu insediata a partire dal III millennio a.C., come testimonia il tepe ai piedi della cittadella.

B. fu fondata da Rusa II (685-645 a.C.) probabilmente subito dopo la sua ascesa al trono: un'iscrizione su pietra, scoperta nel 1910 dal conte Kanitz a Maku, riporta il toponimo urarteo, il nome del re e l'indicazione della fondazione di un tempio di Khaldi. Verso la fine del regno di Rusa II la città venne abbandonata e fu parzialmente rioccupata in età medo-achemenide e in età partico-sasanide; tra il IX e il XIII sec. d.C. vi si stabilì un insediamento fortificato armeno, ma dopo l'invasione dei Mongoli il sito fu definitivamente abbandonato.

Scoperta nel 1967 da W. Kleiss e scavata tra il 1968 e il 1978, B. si articola in tre parti. L'edificio orientale del VII sec. a.C. era una costruzione rettangolare di 162 × 130 m, che sorgeva isolata nella pianura 365 m circa a est della cittadella, con mura con contrafforti. Sul lato orientale si trovavano una porta e accanto a essa ambienti per le guardie e una lunga stalla a tre navate per i cavalli. L'abitato, posto alle pendici settentrionali della cittadella, lungo 600 m e largo 300 m, sorse nel VII sec. a.C. per alloggiare i funzionari e i mercanti attivi nella fortezza. Le case, a più ambienti, erano rettangolari e orientate in senso est-ovest. L'insediamento era circondato da case più grandi e isolate, dette Edificio Nord, Edificio Est ed Edificio con Sala. L'abitato fu abbandonato in seguito alla distruzione della fortezza. La cittadella, lunga 800 m e larga 400 m circa, venne costruita nel VII sec. a.C. sul luogo di una precedente stazione urartea, forse di IX-VIII sec. a.C. In una prima fase essa si componeva di tre parti: quella inferiore (Unterburg) comprendeva la porta meridionale, le scuderie, gli alloggi per le truppe e la casa del comandante, oltre agli ambienti di servizio per la guarnigione che doveva controllare il passaggio attraverso la gola del fiume Aq Chay.

La parte mediana della cittadella (Mittelburg) comprendeva il tempio quadrato a torre di Khaldi, con terrazze, ampi ambienti di rappresentanza e magazzini dove sono stati rinvenuti pithoi alti fino a 2,06 m e larghi 1,3 m. In un deposito di carne, distrutto in un incendio, sono state trovate 600.000 ossa animali assieme a 1240 bullae di argilla per la registrazione e per l'inventario della carne. La parte superiore della cittadella (Oberburg) era la residenza del governatore e, nei momenti di pericolo, anche la residenza del re. Al nucleo della cittadella fu aggiunta a nord, in una seconda fase, un'altra costruzione per il miglioramento della difesa e per il potenziamento dell'accesso settentrionale dall'abitato, con una terrazza e con una porta di accesso. A questo primo ampliamento furono successivamente aggiunti, a nord, una porta esterna ed edifici; a est, una linea difensiva supplementare; a ovest, un altro gruppo di edifici; a sud, una torre come rinforzo alla porta.

Tra i ritrovamenti più significativi si segnalano due tavolette di argilla di corrispondenza reale, con istruzioni per i funzionari; frammenti di altre tavolette di argilla; parte di una corona con foglie d'oro (forse una borchia di mobile); bullae di argilla; quattro sigilli cilindrici; frammenti di un rilievo di pietra con merlatura; infine numerose ceramiche urartee, tra cui in particolare un vaso a forma di protome di gazzella.

Bibliografia

In generale:

W. Kleiss, Urartäische Plätze in Iranisch-Azerbadjan, in IstMitt, 18 (1968), pp. 23-31; Id., Ausgrabungen in der urartäischen Festung Bastam (Rusahinili) 1969, in AMI, 3 (1970), pp. 7-65; Id., Ausgrabungen in der urartäischen Festung Bastam (Rusahinili) 1970, ibid., 5 (1972), pp. 7-68; Id., Ein urartäisches Gazellenkopf-Trinkgefässe aus Bastam, ibid., 6 (1973), pp. 91-93; Id., Die urartäischen Anlagen in Bastam nach der Grabung 1973, ibid., 7 (1974), pp. 107-14; S. Kroll, Keramik urartäischer Festungen in Iran, in AMI, Suppl. II (1976); W. Kleiss et al., Bastam, I. Ausgrabungen in den urartäischer Anlagen 1972-75, Berlin 1979; W. Kleiss et al., Bastam, II. Ausgrabungen in den urartäischer Anlagen 1977-1978, Berlin 1988. Iscrizioni: F.W. König, Handbuch der chaldischen Inschriften, in AfO, 8 (1955), n. 129.

Beycesultan

di Paolo Emilio Pecorella

Villaggio della Turchia collocato sull'alto corso di un braccio del Meandro, in una regione di passaggio tra l'Anatolia occidentale e l'altopiano centrale.

J. Mellaart e S. Lloyd, tra il 1954 e il 1959, hanno scavato le due alture che coronano l'insediamento, alto 21 m, con una ampiezza massima di 700 × 500 m. Sull'altura occidentale gli scavi hanno rivelato testimonianze del Bronzo Antico, mentre su quella orientale sono venuti in luce livelli del Bronzo Medio e del Bronzo Tardo. Sul monticolo occidentale un saggio ha rivelato una lunga sequenza che inizia con il Calcolitico, con 21 livelli, suddivisi in 4 fasi: Calcolitico tardo I, II, III e IV. La sequenza più antica si trova nel Calcolitico antico di Hacılar (livelli 5-1), contemporaneo a Mersin 24-20.

Sin dall'inizio vi sono strutture a pianta tendenzialmente rettangolare, con focolari fissi al centro e ripostigli lungo le pareti, e spesso un secondo vano anteriore o posteriore. Talvolta si ha una struttura che tende verso quella del megaron. Il materiale ceramico mostra una vasta gamma di tipi, a superfici scure brunite con decorazione in bianco a motivi geometrici, con forme semplici. Mellaart collocherebbe il Calcolitico tardo tra il 4750 e il 3500 a.C., ma M.J. Mellink ritiene che non possa risalire oltre il 3000 a.C. Le culture associabili comprendono parte dell'Anatolia sud-occidentale, escluse le regioni montagnose della costa. Le origini di questa cultura potrebbero essere cercate nelle aree di nord/nord-ovest. Le tre fasi del Bronzo Antico hanno prodotto una sorprendente serie di sacelli all'interno di un circuito difensivo sin dal livello 19, sebbene le strutture del Bronzo Antico I siano separate da quelle del Bronzo Antico II da un episodio di distruzione. I sacelli sono sempre in coppia, differenziati a seconda del sesso della divinità come si evince dai particolari dell'arredo. La forma tipica della costruzione è quella di un ambiente, con porta d'ingresso in asse con l'altare, preceduto da un portico e seguito da una sacrestia, protetta da uno schermo sorretto da due pali. L'altare è formato da due stele a base rettangolare, la cui parte superiore è perduta, con alle spalle ricettacoli per offerte liquide e solide. Davanti si trova un paio di "corna di consacrazione". Uno o due semicerchi concentrici delimitano lo spazio per il fedele. Dalla sacrestia del livello 17 proviene una serie d'idoletti piatti di marmo locale, con braccia abbozzate e testa ridotta a una lunga appendice, confrontabili con esemplari di Yortan e di Afyon. Ci sono forme ceramiche imitanti prototipi metallici, spesso decorate con scanalature orizzontali o verticali, uno sviluppo della tradizione calcolitica. L'insediamento del Bronzo Antico I risulta distrutto.

La ceramica del Bronzo Antico II, sempre a mano, rompe con il passato e mostra forme ampie e pesanti con decorazione a scanalature, spesso tortili; compaiono le brocche con i versatoi tagliati, come a Kusura B. Si tratterebbe di un'influenza della Troade e aree limitrofe, dove gli insediamenti del Bronzo Antico I sono distrutti e non più rioccupati. I confronti più diretti sono con Troia II-III, Poliochni V e l'Heraion I di Samo, ma anche con la Pisidia e con le aree di Afyon e di Elmalı. Le 10 fasi architettoniche di questo periodo dovrebbero coincidere con le 13 fasi di Troia II. Il Bronzo Antico III, dopo un'ulteriore distruzione, presenta ancora strutture tradizionali ma non cultuali: i megara sono costruiti, sembra, uno accanto all'altro, con fondazioni di pietra. Si ipotizza l'arrivo di una popolazione, parlante una lingua indoeuropea (Luvi), con l'introduzione della cultura costiera derivata da quella di Troia II. Sono tipici di questa fase l'introduzione del tornio, che porta a uno scadimento della produzione, e l'impiego di vernici diluite di colore rossiccio o bruno; permangono peraltro piccole quantità di recipienti fabbricati secondo i metodi tradizionali. Le forme non sono particolarmente attraenti, ma sono da notare le anse spesso sopraelevate, le basi ad anello e i profili carenati, specie delle ciotole. Forme tipiche sono il depas nel Bronzo Antico IIIA e le ciotole decorate con una croce rossa nel Bronzo Antico IIIB, elemento che segna la fine di questo periodo.

Il passaggio al Bronzo Medio (1900-1450 a.C.), nonostante le tracce di un disastro, non segna una vera frattura. Viene eretto, sul monticolo orientale, un palazzo, confrontato a torto con quelli cretesi. L'area dovrebbe essere di 80 × 80 m circa, sebbene non sia stato possibile indagare l'ingresso a sud-ovest e le zone dei servizi e dei magazzini. Mancano pavimenti solidi e identificabili. Il cortile centrale presenta, come pavimentazione, una serie di tronchi posti a intervalli di circa 50 cm l'uno dall'altro, con un riempimento di pietrame abbastanza grosso. Alla base dei muri di mattoni crudi e legname correvano talvolta delle canalette coperte, connesse tra loro, con passaggi al di sotto delle soglie, il cui singolare scopo sarebbe quello di condutture per l'aria calda. Il palazzo si articola intorno al cortile centrale, circondato da un colonnato che sorregge una balconata, su cui si affaccia il piano nobile: tre vani si aprivano direttamente sulla corte. In generale si può ritenere che un primo piano esistesse per le ali occidentali e, forse, orientali. Il quartiere che fornisce maggiori dettagli è quello sud-orientale, forse di "servizio" e accessibile anche dall'esterno. Mellink pensa a una rioccupazione, cui è seguito l'incendio finale. Accanto al palazzo, sulla collina occidentale sono stati indagati alcuni edifici considerati "pubblici" e due santuari poco a settentrione con una struttura a megaron, accanto a un'altra a compartimenti successivi. I confronti collegano B. con la costa e con località dell'altopiano centrale.

La distruzione intorno al 1750 a.C. potrebbe essere collegata alla fine delle colonie assire di Cappadocia. I livelli successivi alla distruzione (definiti spesso come una rioccupazione da parte di squatters) mostrano un recupero lento, contemporaneo alla rinascita della compagine statale hittita, sino al 1450 a.C. I livelli III e II, appartenenti al Bronzo Tardo, vedono una sistematica ricostruzione, con case ben edificate con fondazioni di pietra, e una nuova cultura materiale. Nel livello II l'insediamento del monticolo orientale viene fortificato e ristrutturato con strade parallele, con edifici ai lati, per un'area di circa 100 m di diametro. Si notino il Piccolo Palazzo (composto da almeno due unità strutturali), il Megaron A, le stalle e una coppia di "botteghe". Di particolare interesse sono due sacelli a megaron sull'acropoli occidentale, eretti nel livello III, ricostruiti nel II e distrutti in un incendio, che riprendono elementi di quelli del Bronzo Antico.

Bibliografia

W. Lamb, Some Early Anatolian Shrines, in AnatSt, 6 (1956), pp. 87-94; S. Lloyd - J. Mellaart, Beycesultan, I. The Chalcolithic and Early Bronze Age Levels, London 1962; Iid., Beycesultan, II. Middle Bronze Age Architecture and Pottery, London 1965; Iid., Beycesultan, III, 1. Late Bronze Age Architecture, London 1972; M.J. Mellink, Beycesultan: a Bronze Age Site in Southwestern Turkey, in BiOr, 24 (1967), pp. 3-9; J. Mellaart, Western Anatolia, Beycesultan and the Hittites, in Mansel'e armağan: Mélanges Mansel, I, Ankara 1974, pp. 493-526.

Capo gelydonia

di Paolo Emilio Pecorella

Promontorio in Turchia, a 20 miglia da Finike, che chiude a occidente il Golfo di Adalia.

Nelle acque prospicienti C.G. è stato scavato nel 1960, da G.F. Bass e da P. Throckmorton, un relitto con metodi per la prima volta accurati e archeologicamente corretti. Solamente pochissimi elementi del vascello, lungo circa 10 m, si sono conservati, ma il ricco carico è stato per la maggior parte recuperato. Si tratta di un complesso di materiali metallici (oltre a vari altri), caricati assai probabilmente a Cipro. Di particolare interesse è il ritrovamento di 39 lingotti di rame "a pelle di bue" (a parte strumenti come picconi, zappe, asce, accette, scalpelli, chiodi, incudine, pugnali, lance, frammenti di un sostegno e di un tripode, ecc.). Secondo l'opinione corrente si tratta di un carico di metallo, in pani e sotto forma di pezzi da rifondere, destinato all'area egea. Gli strumenti, che sono in parte da attribuire al corredo del battello, trovano confronti con i materiali dei "ripostigli" ciprioti, come il Trésor de Bronzes di Enkomi, attribuiti da W. Catling al XII sec. a.C.

Sulla scorta di numerosi argomenti Bass, oltre ad attribuire il battello alla marineria siriana (o fenicia secondo la sua definizione), data il naufragio al XIII sec. a.C., opinione non condivisa dagli studiosi dell'area egea come G. Cadogan e J.T. Hooker. Bass inoltre ritiene che la produzione dei lingotti sia un appannaggio dei Levantini (sulla linea che vede nella lineare A una lingua semitica), che ne avrebbero curato l'esportazione e anche la realizzazione in loco nei luoghi di approdo (fino in Sardegna). È da condividere comunque l'opinione secondo la quale si trattava non solo di un commerciante (come dimostrano la serie di pesi e gli altri materiali), ma anche di un fonditore itinerante (da notare il ritrovamento di ossido di stagno, proveniente dall'Oriente). Oltre a un sigillo cilindrico di stile siriano (probabilmente un possesso familiare del capitano), cinque scarabei di produzione levantina sono attribuiti da R. Giveon alla XX Dinastia, il che concorderebbe con una data per la composizione del carico a partire dal 1200 a.C.

Bibliografia

G.F. Bass, Cape Gelydonia: a Bronze Age Shipwreck, Philadelphia 1967; Id., Cape Gelydonia and Bronze Age Maritime Trade, in H.A. Hoffner (ed.), Orient and Occident. Essays Presented to Cyrus H. Gordon on the Occasion of his Sixtyfifth Birthday, Neukirchen 1973, pp. 29-38; R. Giveon, Dating the Cape Gelydonia Shipwreck, in AnatSt, 35 (1985), pp. 99-101; G.F. Bass, Return to Cape Gelydonia, in Institute of Nautical Archaeology Newsletter, 15, 2 (1988), pp. 2-5; Id., Evidence of Trade from Bronze Age Shipwrecks, in N.H. Gale (ed.), Bronze Age Trade in the Mediterranean, Jonsered 1991, pp. 69-82.

Deği̇rmentepe

di Paolo Emilio Pecorella

Monticolo sulla sponda destra dell'Eufrate, 25 km a nord-est di Malatya (Turchia).

Il sito, scavato da U. Esin tra il 1978 e il 1986, nell'area della diga di Karakaya, è ampio (200 × 150 m), anche se basso (10 m ca.). A parte una serie di livelli mal documentati del periodo medievale, di quello tardoromano o bizantino, della prima età del Ferro (una piccola fortezza a pianta circolare, con bastioni, e una necropoli entro pithoi e ciste) e dell'età del Bronzo Antico (cultura di Karaz o Early Transcaucasian), sono i livelli del Calcolitico antico e medio che costituiscono il maggior interesse del sito. È stata documentata una cultura locale dipendente da quella di Ubaid, già individuata in altri siti nell'area del Keban. Tipica di questo complesso è la ceramica monocroma e dipinta. L'architettura, definita come tripartita, presenta, all'interno di un muro di difesa spesso su fondazioni di ciottoli, strutture di ampie dimensioni, a cortile o sala centrale, una scala per il piano superiore e due ali contrapposte, con vani per la lavorazione della selce e del minerale di rame.

Secondo Esin le strutture maggiori sono luoghi di culto, sulla base del ritrovamento di tavole per offerte di argilla, talvolta riempite di materia colorata; affreschi con motivi di un sole stilizzato, vegetali e geometrici entro metope, in rosso e nero; buche piene di ossa di animali; sepolture di bambini entro fosse e di infanti entro vasi (gli adulti venivano inumati entro fosse nel pavimento), oltre a una gran quantità di sigilli e di cretule. Questi materiali costituiscono un'eccellente esemplificazione per motivi (geometrici, animali e antropomorfi) che trovano confronti, anche se non puntuali, in siti come Tepe Gawra, Norşuntepe, Arpachiyah e Ninive. L'impiego dei sigilli (per la chiusura di recipienti e simili e in pochi dubbi casi di porte) e la struttura dell'insediamento spingono audacemente Esin a definire la cultura di D. come "protourbana", ponendo in primo piano l'attività commerciale sia a media che a lunga distanza, attribuibile a una classe dirigente che avrebbe larga parte nel culto.

Bibliografia

U. Esin, 1979 Değirmentepe Kazıları [Scavi a Değirmentepe 1979], in 2. Kazı Sonuçları Toplantısı (Ankara, 11-15 Şubat 1980), Ankara 1981, pp. 91-99; Ead., 1980 Değirmentepe Kazısı Sonuçları [Scavi a Değirmentepe 1980], in 3. Kazı Sonuçları Toplantısı (Ankara, 9-13 Şubat 1981), Ankara 1981, pp. 39-41; Ead., Zur Datierung der vorgeschichtlichen Schichten von Değirmentepe bei Malatya in der östlichen Türkei, in R.M. Boehmer et al. (edd.), Beiträge zur Altertumskunde Kleinasiens. Festschrift für Kurt Bittel, Mainz a.Rh. 1983, pp. 175-90; Ead., Değirmentepe (Malatya) Kazısı 1981 [Scavi a Değirmentepe (Malatya) 1981], in 4. Kazı Sonuçlari Toplantisi (Ankara, 8-12 Şubat 1982), Ankara 1983, pp. 39-48; U. Esin - G. Arsebuk, 1982 Değirmentepe (Malatya) Kurtarma Kazısı [Scavi di salvataggio a Değirmentepe 1982], in 5. Kazı Sonuçları Toplantısı (Istanbul, 23-26 Mayis 1983), Ankara 1984, pp. 71-79; U. Esin, Değirmentepe (Malatya) Kurtarma Kazısı 1983 yili raport [Scavi di salvataggio a Değirmentepe 1983 rapporto annuale], in 6. Kazı Sonuçlari Toplantisi (Izmir, 16-20 Nisan 1984), Ankara 1985, pp. 11-29; Ead., Some Small Finds from the Chalcolithic Occupation at Değirmentepe (Malatya) in Eastern Turkey, in M. Liverani - A. Palmieri - R. Peroni (edd.), Studi di Paletnologia in onore di Salvatore M. Puglisi, Roma 1985, pp. 253-63; U. Esin - A. Harmankaya, 1984 Değirmentepe (Malatya) Kurtarma Kazısı [Scavi di salvataggio a Değirmentepe 1984 (Malatya)], in 7. Kazı Sonuçları Toplantısı (Ankara, 20-24 Mayis 1985), Ankara 1986, pp. 53-85; U. Esin, Doğu Anadolu'da Bulunan Obeyd Tipi, Canak, Comlek ve Değirmentepe (Malatya) Kazıları, in IX Türk Tarik Kurumu Kongresi 1981, Ankara 1986, pp. 81-91; Ead., An Early Trading Center in Eastern Anatolia, in K. Emre et al. (edd.), Anatolia and the Ancient Near East. Studies in Honor of Tahsin Özgüc, Ankara 1989, pp. 135-42; Ead., The Functional Evidence of Seals and Sealings of Değirmentepe, in P. Ferioli (ed.), Archives before Writing. Proceedings of the International Colloquium (Oriolo Romano, October 23-25 1991), Torino 1994, pp. 59-81.

Demi̇rci̇ höyük

di Carlo Persiani

Insediamento situato presso Eskişehir nell'Anatolia nord-occidentale (Turchia).

Gli scavi furono avviati da K. Bittel nel 1937 e ripresi estensivamente da M. Korfmann dal 1976 al 1978 su una superficie di 850 m2, per arrestarsi all'affioramento della falda acquifera. I 17 livelli architettonici del sito rientrano nel Bronzo Antico I-II (3000-2500 a.C.), con scarse tracce del Bronzo Medio. Per tutta la sua durata, l'abitato ha mantenuto una forma radiale, composta da una serie di edifici trapezoidali con i lati adiacenti, l'ingresso verso il centro dell'abitato e le pareti posteriori prive di aperture. Korfmann ha riconosciuto un impianto simile in altri abitati del tardo Calcolitico e del Bronzo Antico, definendo così lo "schema radiale anatolico". Le case, formate da due ambienti in asse, avevano muri con zoccolo di pietra, pavimenti di pietrisco, focolari al centro e forni sul lato a sinistra dell'ingresso. Si riconoscono le tracce di piattaforme, forse destinate ai giacigli, telai e scaffali di mattoni crudi. L'abitato era difeso da un muro di cinta di pietra alto e robusto, munito di torri, circondato da un fossato anulare e da una palizzata. I due soli varchi corrispondono a porte urbiche protette da ali sporgenti.

Più di metà del sito era scomparsa per l'erosione, ma sulla base dei dati disponibili è stata proposta la ricostruzione di un abitato del diametro di 70 m con 26 case, 4 accessi dall'esterno e uno spazio aperto al centro, occupato da numerosi contenitori parallelepipedi di argilla cruda o tavole, interpretati come cisterne e granai. Secondo Korfmann il calcolo del loro volume, in rapporto alla popolazione che D.H. poteva ospitare, indica che l'abitato doveva far parte di un sistema socioeconomico regionale, nel cui ambito svolgeva il duplice ruolo di sito fortificato e di deposito di cereali.

Bibliografia

K. Bittel - H. Otto, Demirci Hüyük. Eine vorgeschichtliche Siedlung an der phrygisch-bithynischen Grenze, Berlin 1939; M. Korfmann, Demircihüyük, I. Architektur, Stratigraphie und Befunde, Mainz a.Rh. 1983; M. Korfmann (ed.), Demircihüyük. Die Ergebnisse der Ausgrabungen 1975-1978, I-V, Mainz a.Rh. 1983-96; J. Seeher - G. Jansen (edd.), Die bronzezeitliche Nekropole von Demircihüyük Sariket. Ausgrabungen des Deutschen Archäologischen Instituts, in Zusammenarbeit mit dem Museum Bursa, 1990-1991, Tübingen 2000.

Domuztepe

di Paolo Emilio Pecorella

Sito della Cilicia orientale (Turchia), ai piedi dell'Antitauro, di fronte a Karatepe ma sulla riva sinistra del Ceyhan (Pyramos), che controlla la strada che risale verso la Cappadocia.

D. venne scoperto in concomitanza con Karatepe da H. Bossert e U.B. Alkım nel 1947; quest'ultimo tra il 1948 e il 1950 vi effettuò lo scavo ripreso poi da H. Çambel nel 1986-87. Globalmente le ricerche hanno messo in luce una lunga sequenza stratigrafica, con alcune interruzioni. La collina naturale ha rivelato sulle pendici, adattate con terrazzamenti, un insediamento del Neolitico (VI millennio a.C.), con capanne dalle fondazioni di pietra ben spaziate tra loro e con materiali che trovano riscontri con quelli di Mersin XXXII-XXVI. Seguono un'occupazione del Calcolitico tardo coevo al livello IV di Sakçagözü, quindi una fortificazione a casematte del Bronzo Medio con paramento esterno di basalto e con materiale ceramico analogo a quello di Tarso e di Mersin. Più in alto è stata rinvenuta una seconda fortificazione a casematte del Bronzo Medio e Tardo, nonché la fortificazione con contrafforti dell'età del Ferro. A questo periodo vanno riferiti i monumenti figurati neohittiti trovati parzialmente fuori posto.

Alkım ritiene che si possa ricostruire un primo insediamento del IX sec. a.C., cui apparterrebbero due leoni provenienti da una porta e un terzo leone, e un secondo insediamento dell'VIII sec. a.C., a cui ascrivere una base di statua con tori, provvista di un'iscrizione geroglifica. A una fase posteriore apparterrebbe, su base stilistica, un ortostato con due soldati, mentre un altro con una raffigurazione antitetica di due figure umane ai lati di un albero della vita, sormontata da un sole alato, è assai simile ad alcuni materiali della porta di nord-est di Karatepe, tanto da far ritenere che si tratti di un'opera delle medesime maestranze. Il sito ha fornito il basalto per i rilievi di Karatepe. Materiale ceramico e monetale attesta la presenza di un abitato, forse munito di una fortificazione, durante il periodo ellenistico. Meglio documentato risulta il periodo romano: oltre al rinvenimento di ceramiche comuni, di sigillata orientale e di una moneta coniata nel 150 a.C., è stata scavata una villa rustica tardoromana, con almeno 18 vani e attrezzi per la produzione di olio e vino; poco lontano si trovano i resti di una basilica. La cinta muraria continuò a essere impiegata anche se con rifacimenti e alterazioni.

Bibliografia

U.B. Alkım, The Results of the Recent Excavations at Domuztepe, in Belleten, 16 (1952), pp. 238-50; H. Çambel - M. Özdoğan, 1984 Yılı Domuztepe çalışmaları [Indagini a Domuztepe, 1984], in 6. Kazı Sonuçları Toplantısı (Izmir, 16-20 Nisan 1984), Ankara 1985, pp. 259-72; H. Çambel, Karatepe-Aslantaş ve Domuztepe 1984 yılı çalışmaları [Indagini a Karatepe-Aslantaş e Domuztepe, 1984], in 7. Kazı Sonuçları Toplantısı (Ankara, 20-24 Mayis 1985), Ankara 1986, pp. 271-85; Ead., Karatepe-Aslantaş ve Domuztepe 1985 yılı çalışmaları [Indagini a Karatepe-Aslantaş e Domuztepe, 1985], in 8. Kazı Sonuçları Toplantısı (Ankara, 26-30 Mayıs 1986), I, Ankara 1987, pp. 329-43; H. Çambel - A. Aksoy - M.A. Isin, Karatepe-Aslantaş ve Domuztepe 1988 yılı çalışmaları [Indagini a Karatepe-Aslantaş e Domuztepe, 1988], in Höyük, 1 (1988), pp. 43-49; H. Çambel, Eine Villa rustica in den südlichen Ausläufern des Antitaurus am Füsse des Domuztepe, in Festschrift für Jale Inan. Jale İnan armağani, Istanbul 1989, pp. 191-98; J.J. Rossiter - J. Freed, Canadian-Turkish Excavations at Domuztepe, Cilicia, 1989, in EchosCl, 10 (1991), pp. 145-74.

Gedi̇kli̇

di Refik Duru

G. si trova 20 km a nord di İslahiye nell'Anatolia sud-orientale (Turchia). La collina misura 240 × 190 m alla base e si eleva 24,5 m al di sopra dell'attuale livello della piana circostante.

J. Garstang fu il primo a menzionare il sito. L'İslahiye Region Excavations and Research Committee, diretto da U.B. Alkım, vi ha condotto scavi tra il 1964 e il 1967 in tre aree: la trincea A sul pendio orientale; la trincea B sulla sommità della collina e la trincea C sul declivio sud-orientale. Resti architettonici degli insediamenti furono rinvenuti nelle trincee A e B, mentre la trincea C era un'area cimiteriale usata in periodi diversi. Il più antico periodo individuato (periodo IV, tardo Calcolitico) consta di cinque livelli architettonici (IVf - IVb), in cui sono stati rinvenuti solamente lacerti di pavimentazioni lastricate con frammenti ceramici. Tuttavia, nel livello IVa, alcuni buchi per travi lungo quest'area pavimentata indicano una copertura a cannicciata. I tipi ceramici caratteristici di questa fase sono le Coba bowls e la ceramica dipinta nello stile di Ubaid.

Il periodo III (Bronzo Antico) aveva uno spessore totale di 18 m con 14 distinti livelli insediamentali. La maggior parte della ceramica di questi strati era del tipo Brittle Orange Ware, tipica della regione di İslâhiye, prodotta al tornio e finemente lustrata, con impasti di colore rosso-arancione. Il lato sud-orientale del tell fu adibito in questa fase a luogo di sepoltura. Le tre tombe più antiche sono del tipo "a camera" con dimensioni massime di 3,5 × 1,5 m e un'altezza media di 1,6 m. Due ulteriori piccole tombe a cista sono state rinvenute in questa stessa area. A sud, nei pressi delle tombe a camera e immediatamente sotto la superficie in declivio della collina, è stato rinvenuto un edificio lungo 7 m con muri di pietra e una copertura di lastre di pietra piatte. La costruzione si sviluppa secondo le forme di un tunnel, largo approssimativamente 1 m e alto 1,5 m, che termina in una camera di 1,5 × 3 m, nel punto in cui raggiunge il livello della pianura. Verso la fine del Bronzo Antico, la zona settentrionale dell'area cimiteriale fu riservata per sepolture a cremazione. In questa area, di circa 100 m2, furono rinvenute urne e coppe utilizzate come contenitori per le ceneri, di cui 270 esemplari in buono stato di conservazione e 200 frammentari. È stato possibile osservare che le ossa rimaste dopo la cremazione erano ricoperte con un pezzo di tessuto, fissato con un ago di bronzo, e poste nelle urne, all'interno delle quali, in alcuni casi, sono state trovate anche coppe più piccole e vari tipi di oggetti bronzei.

Si conosce molto poco del periodo II (Bronzo Medio), sebbene sia stata rinvenuta ceramica dipinta, ben nota nella stessa regione e in Siria settentrionale, assieme a un'altra classe di ceramica dipinta detta Khabur Ware. Gli insediamenti del periodo I di G. consistono di due livelli architettonici datati all'età del Ferro. Per le epoche più tarde sono stati individuati sulla sommità della collina esigui resti di "insediamenti misti" in pessimo stato di conservazione, che coprono un ampio arco di tempo, dall'età ellenistica all'età moderna.

Bibliografia

U.B. Alkım, İslahiye Bölgesi Araştırmaları ve Gedikli (Karahüyük) Kazısı (1965) - The Excavations at Gedikli (Karahöyük): the First Preliminary Report, in TürkAD, 14 (1965), pp. 79-86; Id., İslahiye Bölgesi Araştırmaları ve Gedikli (Karahüyük) Kazısı (1966) [Ricognizione nella regione di İslahiye e scavi a Gedikli (Karahöyük) (1966)], ibid., 15, 2 (1966), pp. 39-48; U.B. Alkım - H. Alkım, Gedikli (Karahöyük) Kazısı: Birinci Ön-rapor [Scavi a Gedikli (Karahöyük): primo rapporto preliminare], in Belleten, 30 (1966), pp. 1-57; U.B. Alkım, İslahiye Bölgesi Araştırmaları Gedikli ve Kırışkal Höyük Kazıları (1967) [Ricognizione nella regione di İslahiye. Scavi a Gedikli (Karahöyük) e Kırışkal Höyük (1967)], in TürkAD, 16, 2 (1967), pp. 5-13.

Gordi̇on

di Massimo Osanna

Capitale originaria della regione frigia, la città sorge su una collinetta presso la riva destra del fiume Sangarius (Sakarya), 96 km a sud-ovest di Ankara. Identificata nel 1900 dai fratelli A. e G. Körte, è stata indagata regolarmente a partire dal 1949 dallo University Museum of Pennsylvania.

La frequentazione dell'area risale già alla prima età del Bronzo e si intensifica nel periodo hittita. Intorno alla metà dell'VIII sec. a.C. sembra definirsi l'insediamento frigio, destinato a diventare la capitale del regno di Mida. Il re è datato da Eusebio al 738-696 a.C. e coincide probabilmente con il Mita, re di Mushki, che secondo fonti assire nel 717 sarebbe riuscito a sottrarsi temporaneamente all'egemonia assira. Devastata dai Cimmeri (nel 696 a.C. secondo la cronologia di Eusebio; nel 676 a.C. secondo Giulio Africano), G. perse il ruolo di capitale. Riedificata probabilmente dai Lidi di Aliatte, entrò a far parte del regno achemenide in seguito alla sconfitta di Creso; fu conquistata da Alessandro nel 334 a.C. Poche le vicende note che interessarono il centro in età ellenistico-romana: una cesura significativa dell'esperienza inseditiva nella zona è segnata dalle invasioni galliche avvenute nel 278/7. Occupata da Manlio Vulsone nel 189 a.C., la città continua comunque a vivere anche in età romana, sebbene in maniera modesta, assumendo il nuovo nome di Iulia Gordos.

Della più antica città frigia si conoscono i resti di una cittadella imponente che viene a occupare la collina nell'VIII sec. a.C. La monumentale porta sud-orientale con blocchi di poros, che si conserva per un elevato di circa 9 m, dava accesso, tramite una rampa lastricata, al palazzo reale articolato intorno a due corti, su cui affacciano ambienti con pianta a megaron. Di questi il più ampio (Megaron 3), con duplice fila di sostegni per il tetto, ubicato nel cortile interno, costituisce il nucleo centrale dell'intero complesso reale. Particolare interesse presentano anche i megara 1 e 2 nel cortile esterno: il primo di legno e mattoni crudi, il secondo di legno e blocchi di poros, con decorazioni incise sulla parete esterna e pavimento a mosaico di ciottoli policromi con motivi geometrici nel vano principale. A sud-ovest, su una terrazza estesa per oltre 100 m, due strutture allungate con vani a megaron corredati di focolare circolare sono state interpretate come cucine e ambienti destinati alla produzione tessile.

Nella valle a ovest della città sono disseminati grandi tumuli per i defunti, che generalmente presentano una camera quadrangolare realizzata con travature lignee, preceduta da un dromos e coperta da un tetto a doppio spiovente. I ricchi materiali di corredo mostrano una cultura raffinata aperta a contatti su vasto raggio: i bronzi dei tumuli W e MM (ultimo quarto dell'VIII sec. a.C.) provengono verosimilmente dalla Siria settentrionale; nel Tumulo MM erano inoltre due situle bronzee zoomorfe, ornate da paste vitree e pietre, provenienti dall'Assiria e calderoni con protomi taurine o di sirena dall'Urartu. Precoci contatti con la Grecia (adombrati già dalle tradizioni sui doni di Mida a Delfi: Hdt., I, 14), oltre che dalle importazioni ceramiche del VII-VI sec. a.C. sono documentati dalle iscrizioni frigie del Tumulo MM (il più grande fra quelli noti, alto ca. 50 m, con un diametro massimo di 250 m, noto localmente come "tomba di Mida"), redatte in un alfabeto adattato sulla base di quello greco.

Dopo le distruzioni dei Cimmeri, la cittadella sembra abbandonata per circa un secolo, anche se la frequentazione dell'area in forme più contratte è attestata da tumuli e rinvenimenti vari databili nel corso del VII sec. a.C. Forse su iniziativa dei Lidi di Aliatte o di Creso la cittadella viene ricostruita riprendendo in parte l'antica planimetria, ma in forme più monumentali, intorno alla metà del VI secolo. In questa fase sono attestate terrecotte architettoniche (sima, fregi di lastre di rivestimento). A sud-ovest della collina e a est del tumulo maggiore viene eretta una fortezza di mattoni crudi, a pianta triangolare, raccordata da mura alla cinta principale della cittadella, nota oggi come Küçük Hüyük. L'edificio fu distrutto da un incendio, messo in rapporto con l'avanzata di Ciro contro la Lidia. Nella seconda metà del VI sec. a.C. venne aggiunto alla cittadella un piccolo edificio con pitture di stile greco e soggetti anatolici. In quest'epoca sono documentate strutture abitative di tipo greco decorate da pitture parietali di tipo ionizzante.

Alla fine del V secolo all'estremità sud della collina si innalza un edificio con ingresso porticato e mosaico pavimentale. A movimenti tellurici viene generalmente ascritta la fase di distruzione che interessa gran parte degli edifici della cittadella tra fine V e inizio IV sec. a.C. Una grande fase di riorganizzazione complessiva e di ingrandimento dell'abitato ha inizio in età protoellenistica con un ambizioso progetto che causa l'obliterazione parziale dei livelli più antichi, grazie a un'ingente opera di livellamento del suolo. Appartengono a tale fase una serie di strutture abitative articolate intorno a una corte interna. La fine della vita nell'area sembra coincidere con la facile occupazione di Gneo Manlio Vulsone nel 189 a.C., il quale trovò la città già abbandonata dai suoi abitanti. La vita sembra riprendere in forma contratta sul lato ovest della collina solo in età imperiale.

Bibliografia

G. Körte - A. Körte, Gordion. Ergebnisse der Ausgrabung im Jahre 1900, Berlin 1904; M.J. Mellink, A Hittite Cemetery at Gordion, Philadelphia 1956; R.S. Young, The Phrygian Contribution, in E. Akurgal (ed.), The Proceedings of the 10th International Congress of Classical Archaeology (Ankara - İzmir, 23-30.9.1973), Ankara 1978, pp. 9-24; K. DeVries (ed.), From Athens to Gordion. The Papers of a Memorial Symposium for R.S. Young, Philadelphia 1980; R.S. Young, Gordion Final Reports, I. Three Great Early Tumuli, Philadelphia 1981; K. DeVries, Phrigian Gordion before Midas, in A. Çilingiroglu (ed.), Anadolu demir çağlari - Anatolian Iron Ages. Papers Presented to the I. Anatolian Iron Ages Symposium (Izmir, 24th-27th April 1984), Izmir 1987, pp. 6-12; T. Saatçi - A. Kopar, Gordion Kizlarkayasi tümülüsü kazısı 1989 [Scavi al tumulo Kizlarkayasi, Gordion 1989], in Anadolu Medeniyetleri Müzesi, 1989, pp. 69-78; K. De Vries, The Gordion Excavation Seasons of 1969-1973 and Subsequent Research, in AJA, 94 (1990), pp. 371-406; G.K. Sams, s.v. Gordion, in EAA, II Suppl. 1971-1994, II, 1994, pp. 823-26; A. Çilingiroglu - D.H. French (edd.), Anatolian Iron Ages, III. The Proceedings of the Third Anatolian Iron Ages Colloquium (Van, 6-12 August 1990), Ankara 1994.

Karatepe

di Serena Maria Cecchini

K., nella Turchia sud-orientale, circa 135 km a nord-est di Adana, altura naturale sulla riva destra del Ceyhan (Pyramos), fu l'antica Azatiwataya, cittadella di frontiera del regno tardohittita di Adana, sorta a controllo della carovaniera detta Agyol, Akyol o Kocayol, "strada bianca", che andava dalla Cilicia all'Anatolia centrale. In due coppie di iscrizioni bilingui in luvio geroglifico e in fenicio Azatiwatas/Azatiwada, vassallo di Awariku re dei Danunim (forse Urikki re di Que, vassallo di Tiglatpileser III), celebra la costruzione della città a protezione della pianura di Adana.

Scoperta da H.Th. Bossert e H. Çambel nel 1946, K. fu scavata per conto dell'Università di Istanbul, della Società Storica Turca e della Direzione Generale delle Antichità e dei Musei dal 1947 al 1950 sotto la direzione di Bossert, dal 1952 sotto quella di Çambel; attualmente le rovine sono organizzate in un museo all'aperto. Dal 1997 le ricerche proseguono in collaborazione con il Deutsches Archäologisches Institut di Istanbul. La sommità del colle era cinta da un poderoso circuito di mura, spesse circa 4 m, a contrafforti esterni quadrangolari, con due porte monumentali a nord-est e a sud-ovest decorate con rilievi e iscrizioni e una postierla sul lato est. Si notano chiaramente tracce di una cinta muraria esterna. Sono stati individuati tre strati di insediamento, di cui i primi due impossibili da datare per la scarsezza dei resti. Il terzo, a cui appartenevano le decorazioni delle due porte urbiche e alcuni edifici all'interno della città (il cd. "palazzo sulla sommità"; la costruzione sul pendio nord; il cd. "tempio"), è datato al IX-VIII sec. a.C.

Le due porte urbiche erano formate da una rampa di accesso e da una scala, che conducevano a un atrio situato davanti alla porta vera e propria, oltre il quale erano due camere laterali; ai lati dell'atrio si trovavano, dinanzi alla porta nord-orientale, due sfingi e, dinanzi a quella sud-orientale, due leoni; all'interno di questa era una statua divina, sul cui tronco è un'iscrizione fenicia, posta su una base con due tori. L'atrio e le stanze laterali erano decorati con lastre scolpite in basalto, alcune con iscrizioni, parzialmente conservate; si individuano due gruppi di rilievi stilisticamente diversi, la cui datazione è tuttora oggetto di discussione. Il primo, presente soprattutto nella porta nord-orientale, si avvale di uno stile arcaico, o arcaizzante, ispirato alla tradizione siro-hittita di Zincirli del X sec. a.C., che rielabora vivacemente con un linguaggio popolaresco, originale anche negli insoliti schemi compositivi a due registri e in alcuni particolari, sia temi tradizionali (come la caccia al cervo, i musicanti, gli offerenti), sia temi antichi della tradizione siriana (quali la dea che allatta un fanciullo, la lotta dell'eroe con il leone), sia temi fenici (come l'immagine del dio Bes e la rappresentazione di un battello marittimo). Nella porta nord-orientale questa serie di lastre è integrata da rilievi stilisticamente diversi, che trovano paralleli nella serie che decorava la porta sud-orientale. I temi illustrati, per lo più dignitari e inservienti incedenti, interpretando con un vivace idioma dialettale le innovazioni formali delle botteghe di Samal della fine dell'VIII sec. a.C., permettono di attribuire dell'età di Azatiwada questo secondo gruppo di rilievi e, generalmente a tale re, la costruzione delle due porte e la sistemazione della decorazione.

Bibliografia

H.Th. Bossert - H. Çambel, Karatepe, First Preliminary Report on a New Hittite Site, Istanbul 1946; P. Matthiae, Studi sui rilievi di Karatepe, Roma 1961; W. Orthmann, Untersuchungen zur späthethitischen Kunst, Bonn 1971; H. Genge, Nordsyrisch-südanatolische Reliefs, I-II, Kobenhavn 1979; I.J. Winter, On the Problems of Karatepe: the Reliefs and their Context, in AnatSt, 29 (1979), pp. 115-51; W. Orthmann, s.v. Karatepe, in RlA, V, 1976-80; H. Çambel, Corpus of Hieroglyphic Luwian Inscriptions, II. The Inscriptions of Karatepe-Aslantas, Berlin - New York 1999; J.D. Hawkins, Corpus of Hierogliphic Luwian Inscriptions, I. Inscriptions of the Iron Age, 1-3, Berlin - New York 2000; M. Sicker-Akman, Die Fürstensitz der späthethitischen Burganlage Karatepe-Aslantas, in IstMitt, 50 (2000), pp. 131-42; H. Çambel - A. Özyar, Karatepe-Aslantaş, Azatiwataya: die Bildwerke, Mainz a.Rh. 2003.

Keban

di Gian Maria Di Nocera

Il distretto di K., che fa capo al villaggio omonimo, è localizzato nella Turchia centro-orientale vicino ad antiche miniere di piombo e argento nella provincia di Elâzığ, lungo il corso dell'alto Eufrate. Collocata tra le valli delle catene del Tauro sud-occidentale e dell'Antitauro orientale, quest'area mostra un'altitudine media di 700 m s.l.m., sebbene sia circondata da montagne che superano i 1500 m.

All'inizio degli anni Sessanta del XX secolo fu progettata un'imponente diga, il cui invaso avrebbe coinvolto buona parte di questa regione e dei territori orientali adiacenti, come quelli di Aşvan e dell'Altınova. Gli sforzi di cooperazione per la salvaguardia e il recupero di monumenti antichi e di siti archeologici, minacciati dall'inondazione per la costruzione della diga, favorirono la costituzione di una organizzazione formata da diverse istituzioni, tra cui il Dipartimento di Preistoria dell'Università di Istanbul e il Dipartimento per il Restauro dei Monumenti Antichi della Middle East Technical University di Ankara (METU). Sotto l'egida e il coordinamento di queste organizzazioni le autorità turche iniziarono nel 1966 le prime indagini di superficie per l'individuazione di specifiche località di interesse storico-archeologico. Nell'anno seguente partecipò alla ricognizione un'équipe americana dell'Università del Michigan coordinata da R. Whallon, ma altre istituzioni straniere, inglesi, americane, olandesi e tedesche hanno mostrato in seguito vivo interesse a condurre ricerche nella regione.

Le aree d'indagine hanno riguardato soprattutto quei territori entro il confine del bacino idrico progettato per la diga e nel 1968 iniziarono i primi scavi sistematici, che coinvolsero i siti di Kalaycık, Aşvan Kalesi, Fatmalı-Kalecik, Taşkun Kalesi, Taşkun Mevkii, Çay Boyu, Habusu Körtepe, Korucutepe, Norşuntepe, Pulur, Tepecik, Tülintepe, Han İbrahim Şah, Değirmentepe. La completa costruzione della diga e il riempimento dell'invaso idrico, nel 1974, portarono alla chiusura degli scavi in corso e alla scomparsa definitiva di siti importanti. Questa esperienza, condotta su vasta scala per un arco di tempo di poco meno di un decennio, spinse le numerose équipes di ricerca coinvolte a sperimentare nuovi metodi di scavo e a proporre tecniche innovative, per quell'epoca, di rilevamento del territorio e di documentazione. L'effetto di questi avvenimenti ebbe una ricaduta positiva sull'archeologia turca e una risonanza significativa in ambito internazionale. Inoltre, l'atmosfera di costante fermento intellettuale per l'archeologia del K. favorì l'interesse anche in altri campi della ricerca affini all'archeologia, come l'architettura rurale, l'etnoantropologia e gli studi sul paleoambiente.

Prima del Progetto K. pochissimi erano stati i siti scavati in tutta l'Anatolia sud-orientale e i risultati ottenuti in quegli anni hanno dimostrato l'importanza della regione sul piano storico e archeologico dall'epoca paleolitica fino al Medioevo, stimolando in seguito ulteriori ricerche lungo il medio corso dell'Eufrate.

Bibliografia

H. Hauptmann, Norşun-Tepe. Historische Geographie und Ergebnisse der Grabungen 1968-69, in IstMitt, 19-20 (1969-70), pp. 21-78; Keban projesi 1968 çalışmaları. Keban Project. 1968 Activities, Ankara 1970; S. Pekman (ed.), Keban projesi çalışmaları. Keban Project. Activities, II-V, Ankara 1971-76; M. Özdöğan, Lower Euphrates Basin 1977 Survey, Istanbul 1977; M.N. van Loon (ed.), Korucutepe, II-III, Amsterdam 1978-80; S. Pekman (ed.), Keban projesi 1973 çalışmaları. Keban Project. 1973 Activities, VI, Ankara 1979; R. Whallon, An Archaeological Survey of the Keban Reservoir Area of East-Central Turkey, Ann Arbor 1979; S. Pekman (ed.), Keban projesi 1974-1975 çalışmaları. Keban Project. 1974-1975 Activities, VII, Ankara 1982.

Khattusha

di Jürgen Seeher

Kh., conosciuta anche come Boğazköy, è situata circa 150 km a est di Ankara, nella provincia di Çorum nella Turchia centrale, vicino al moderno villaggio di Boğazkale (il vecchio nome di Boğazköy).

Nel 1834 Ch. Texier scoprì le rovine di Kh. e credette di aver trovato Pteria, una città dei Medi; in seguito il sito fu identificato anche con la città galata-romana di Tavium. Solo dopo i primi scavi risultò chiaro che era l'antica Kh., la capitale dell'impero hittita, una delle maggiori potenze dell'antico Oriente nel II millennio a.C. Tra il 1650/1600 e il 1200 a.C. i loro Gran Re governarono su gran parte dell'Anatolia e sulla Siria settentrionale. I primi scavi a Boğazköy furono condotti nel 1893-94 da E. Chantre, che aprì diverse trincee. Nel 1906 H. Winckler e Th. Makridi avviarono nuovi scavi e le tavolette cuneiformi allora scoperte permisero l'identificazione della città. Nel 1907 cominciarono gli scavi del Deutsches Archäologisches Institut e della Deutsche Orient-Gesellschaft; tra i direttori sul campo vi erano O. Puchstein, Winckler e Makridi; fu allora prodotta la prima vera documentazione sulle rovine, comprensiva di piante e foto. Nel 1911-12 Winckler e Makridi condussero campagne di scavo più brevi. Dal 1931 al 1939 e dal 1952 a oggi gli scavi sono continuati annualmente per opera del Deutsches Archäologisches Institut, con la cooperazione della Deutsche Orient-Gesellschaft fino al 1975. I successivi direttori sono stati K. Bittel (fino al 1977), P. Neve (1978-93) e J. Seeher.

Il primo stanziamento di abitanti nei dintorni di Boğazköy ebbe luogo nel VI millennio a.C. durante il periodo calcolitico, con piccoli gruppi di case sparse, in modo particolare sui pendii montani e sugli affioramenti rocciosi. Tale modesto insediamento sulle alture dello sperone di Büyükkaya rappresenta la prima occupazione conosciuta entro i confini della città di Kh. Nei millenni successivi l'insediamento aumentò molto lentamente; solo nel tardo III millennio a.C., verso la fine del Bronzo Antico, fu fondato a Boğazköy un insediamento dei Khatti, indigeni dell'Anatolia centro-settentrionale predecessori degli Hittiti. Resti di questo insediamento, che si chiamava già Khattush, sono stati localizzati sotto il riempimento della città bassa hittita. Durante questo periodo anche gli alti speroni di Büyükkaya e Büyükkale furono occupati e vi sono tracce di mura difensive. Durante i secoli successivi l'occupazione khattica divenne una città di importanza tale da ospitare nel XIX e XVIII sec. a.C. un kārum, un emporio di mercanti assiri che venivano da Assur per procurarsi materie prime come rame, argento, oro e pietre preziose, portando in cambio beni mesopotamici (tra cui stagno, capi di abbigliamento e tessuti). Attorno al 1700 a.C. la città di Khattush fu devastata da un grande incendio.

Verso il 1650/1600 a.C. ha inizio il periodo dell'Antico Regno hittita. La Khattush dei Khatti divenne la Kh. hittita, residenza reale e capitale del Paese. La città comprendeva la stessa area della sua antecedente khattica; la residenza del Gran Re si trovava sull'alto sperone di Büyükkale, mentre la città si stendeva sul pendio inferiore a nord-ovest, raggiungendo la valle sottostante e includendo a nord-est Büyükkaya, protetta da un massiccio muro difensivo. La città racchiusa dalle mura vantava dimensioni di circa 0,9 × 1,2 km, ma potrebbero anche esservi stati quartieri residenziali appena al di fuori delle mura urbiche. La scrittura cuneiforme, caduta in disuso con il collasso della rete commerciale assira, fu nuovamente introdotta e sviluppò una propria tradizione, lasciando negli archivi di tavolette d'argilla di Kh. una vera banca dati: circa 30.000 esemplari, che costituiscono il corpo principale dei testi hittiti trovati finora.

Apparentemente con l'inizio dell'impero hittita (1400/1350-1180 a.C. ca.) cominciò una monumentale ricostruzione della capitale; la maggior parte delle strutture oggi visibili risale a quel periodo. La costruzione, lungo le alture a sud della città, di un nuovo muro difensivo di 3,3 km raddoppiò l'area fortificata. All'interno delle mura furono costruiti molti grandi edifici, tra cui numerosi templi; inoltre la cittadella reale fu completamente rinnovata. Infine il più impressionante luogo di culto hittita, il santuario rupestre di Yazılıkaya con raffigurazioni di divinità maschili e femminili in altorilievo, raggiunse allora il suo definitivo assetto. Kh. era, dopotutto, non solo la capitale politica dello Stato hittita, ma anche il centro religioso del Paese. Alla fine del XIII sec. a.C., con il declino del grande impero, la capitale perse la sua influenza e perciò anche il suo ruolo di centro politico, economico e religioso. Sebbene vi siano tracce di gravi incendi, la città più che saccheggiata quando era ancora in vita sembra essere stata abbandonata attorno al 1200 a.C.

Le prime tracce dell'inizio dell'età del Ferro sono scarse. Piccoli insediamenti del Ferro iniziale, o Dark Age (XII-X sec. a.C.), erano localizzati in diverse aree della vecchia città. Gli abitanti vivevano in case piuttosto rudimentali, che non avevano nulla in comune con l'architettura hittita; anche la cultura materiale era completamente diversa e la scrittura era sconosciuta. Con l'inizio della media età del Ferro, nel IX sec. a.C., un insediamento abbastanza grande si sviluppò a Büyükkale sopra le rovine del palazzo hittita. Verso l'VIII sec. a.C. la comunità si era ampliata, abitando anche parte della città bassa. Tra l'inizio e la metà del VII sec. a.C. gli abitanti fortificarono Büyükkale e fondarono la cittadella meridionale, come pure quartieri abitativi sopra gli stagni a est e vicino Nişantaş sull'acropoli. Allo stesso tempo vi fu una diminuzione notevole della popolazione insediata nella città bassa. Questi insediamenti del Ferro medio e tardo sono tradizionalmente detti "frigi" perché condividono molte caratteristiche con i siti della zona frigia, nell'Anatolia occidentale. In questo periodo gli insediamenti dell'Anatolia centrale e della Cappadocia settentrionale svilupparono ovviamente stretti legami con le regioni occidentali dell'Anatolia centrale, ma una vera migrazione di Frigi nell'area è quanto mai improbabile. Le origini di questi insediamenti e popoli dell'Anatolia centrale sono oggi chiaramente riconoscibili nella prima età del Ferro della regione.

Nel VI e V sec. a.C. il sito sembra aver perso di significato, pur rimanendo abitato al tempo dell'occupazione persiana dell'Anatolia centrale, dopo il 585 a.C. I periodi ellenistico-galata e romano-bizantino (334 a.C. - 1071 d.C. ca.) sono ugualmente attestati. Durante la prima delle due epoche Büyükkale ritornò a essere una cittadella fortificata, mentre un piccolo villaggio occupava parte di quella che era stata la città bassa. La presenza romana è evidenziata da resti di edifici sparsi, sepolture e tracce di attività di cava. In epoca mediobizantina, dal X all'XI sec. d.C., sorse un villaggio nell'area dell'acropoli, ma resti bizantini sono stati trovati anche nella città bassa.

Bibliografia

K. Bittel, Hattuscha. Hauptstadt der Hethiter, Köln 1983; Id., Gli Ittiti, Milano 1983 (trad. it.); P. Neve, Hattuscha-Information, Istanbul 1985; J.G. MacQueen, Gli Ittiti. Un Impero sugli Altipiani, Roma 1990; P. Neve, Hattusa. Stadt der Götter und Tempel, Mainz a.Rh. 1996; J. Seeher, Hattuscha-Führer. Ein Tag in der hethitischen Hauptstadt, Istanbul 2002; S. De Martino, Gli Ittiti, Roma 2003.

Kültepe

di Tahsin Özgüç

Sito dell'Anatolia centrale (Turchia), chiamato in antico Kanish, capitale del regno omonimo che governò nel primo quarto del II millennio a.C., K. si trova 320 km a sud-est di Ankara, 124 km a sud di Khattusha, la capitale hittita, e 21 km a nord-est di Kayseri, la capitale del regno di Cappadocia. Le principali strade storiche e naturali convergevano qui, accrescendo l'importanza di K. nell'antico mondo dei commerci e facendo sì che diventasse un brillante centro commerciale internazionale che univa l'Anatolia, la Mesopotamia e la Siria nel primo quarto del II millennio a.C.

K. è formata da due parti: il tell di K. e la città bassa. Il tell, uno dei maggiori dell'Anatolia centrale, a 21 m sul piano di campagna, è lungo 550 m nord-sud e 500 m est-ovest e ha forma quasi circolare; l'acropoli si eleva 5 m sull'area circostante. Sia l'acropoli che il tell sono circondati da mura. La città bassa, fondata molto dopo il tell e abbandonata molto prima, rimase in vita per duecentocinquanta anni al massimo; essa, denominata kārum Kanish, era il centro del sistema delle colonie commerciali paleoassire in Anatolia, dove i mercanti assiri si insediarono. K. è un nome noto nella letteratura archeologica sin dal 1881, quando fecero la loro comparsa i documenti cuneiformi conosciuti come "tavolette di Cappadocia". Il primo scavo fu diretto da E. Chantre nel 1893-94. A questo ne fecero seguito altri due sul tell, diretti da H. Winckler e H. Grote. B. Hrozný cominciò le ricerche sul tell nel 1925; in seguito scavò nell'area del kārum, provando che le tavolette provenivano dalla città bassa e non dal tell. La prima indagine archeologica sistematica ebbe inizio nel 1948, per proseguire senza interruzioni, a opera di una missione della Società Storica Turca.

Sul tell sono stati identificati 18 livelli costruttivi, il più antico dei quali è datato alla fase finale del Bronzo Antico I, mentre i più recenti sono due livelli romani e uno ellenistico. I livelli 11-13 (Bronzo Antico III) rappresentano uno stadio molto importante, che prelude al periodo delle colonie commerciali assire, a motivo dei contatti economici e culturali con la Mesopotamia e la Siria settentrionale. Il kārum di Kanish comprende quattro livelli, il più antico dei quali (liv. IV) è costruito sul suolo vergine; il livello III appartiene all'inizio del Bronzo Medio (2000-1950 a.C.). La fase più importante è rappresentata dal livello II (1945-1835 a.C.) e dalla fase b del livello I (1800-1730 a.C.).

L'ultimo palazzo (liv. 7, corrispondente al liv. Ib del kārum) sulla cittadella aveva un muro di cinta di 110 × 120 m e stanze raggruppate attorno a una corte centrale, secondo una pianta nuova che si affermerà nei palazzi e nei templi hittiti. Il rinvenimento di cretule e giare da conservazione indica che esso funzionava anche come centro economico, mentre in nessun vano si è trovata traccia di luoghi sacri. Il palazzo aveva due piani, con quartieri abitativi e la residenza del re al piano superiore. Nel vano minore del magazzino ufficiale (liv. 7) fu scoperta una punta di lancia con iscrizione del re Anitta, figlio di Pithana, re di Kushshara e conquistatore di Nesha, dove trasferì la sua residenza, che ha permesso di identificare quest'ultima città con Kanish stessa.

Il Palazzo Vecchio sull'acropoli (liv. 8) era costituito da almeno tre edifici, costruiti secondo l'antica tradizione anatolica. Il palazzo sulla terrazza, lungo 90 m, ha una pianta con due ali ai lati di un corridoio, pavimentato con assi trasversali e pietre piatte, e di un'ampia corte lastricata. Sul tell si trovavano due templi a pianta rettangolare di circa 27 × 22 m, con quattro grandi torri aggettanti agli angoli, che creavano sulla facciata uno spazio probabilmente coperto. Una fila di pietre verticali sulla sommità delle fondazioni costituisce il primo esempio dei successivi ortostati hittiti. Almeno altri due templi del medesimo tipo esistevano nelle vicinanze, a conferma che edifici con funzione e pianta simili erano raggruppati in un unico quartiere della città. Tutti i testi, in paleoassiro, sono stati scoperti in case private e rappresentavano gli archivi personali di mercanti e famiglie assire. Le tavolette e gli involucri erano sistemati in ceste, sacchi, casse di legno e su scaffali; in qualche caso erano disposte lungo i muri in maniera regolare.

I prolungati conflitti tra re anatolici portarono all'incendio e alla distruzione del kārum (livv. II e Ib) e dei templi e dei palazzi sul tell, che non furono più ricostruiti. Nei livelli I (kārum) e 6 (tell), K. diminuì d'importanza e dopo questa fase la città bassa non fu più abitata. Nel periodo tardohittita (livv. 4-5), K. era il centro di uno dei regni appartenenti alla terra di Tabal. Dal X all'VIII sec. a.C. essa mantenne una posizione forte, ma verso la fine dell'VIII secolo fu conquistata e distrutta dagli Assiri. Durante i regni antico, medio- e neohittita il tell non fu abitato.

Bibliografia

T. Özgüç, Ausgrabungen in Kültepe 1948, Ankara 1950; T. Özgüç - N. Özgüç, Ausgrabungen in Kültepe 1949, Ankara 1953; K. Balkan, Letter of King Anum-Hirbi of Mama to King Waršama of Kaniš, Ankara 1957; T. Özgüç, Kültepe-Kaniš, New Researches at the Center of the Assyrian Trade Colonies, Ankara 1959; P. Garelli, Les Assyriens en Cappadocie, Paris 1963; N. Özgüç, The Anatolian Group of Cylinder Seal Impressions from Kültepe, Ankara 1965; Ead., Kaniş karum Ib katı mühürleri ve mühür baskıları. Seals and Seal Impressions of Level Ib from Karum Kaniš, Ankara 1968; E. Neu, Der Anitta Text, Wiesbaden 1974; M.T. Larsen, The Old Assyrian City-State and its Colonies, Copenhagen 1976; T. Özgüç, Kültepe-Kaniš, II. Eski Yakındǧu'nun ticaret merkezinde yeni araştırmalar. New Researches at the Trading Center of the Ancient Near East, Ankara 1986; Id., The Palaces and Temples of Kültepe-Kaniš/Neša, Ankara 1999; N. Özgüç - Ö. Tunca, Kültepe-Kaniš, Sealed and Inscribed Clay Bullae, Ankara 2001; T. Özgüç, Kültepe-Kaniš/Neša, Istanbul 2003.

Maşat hüyük

di Tahsin Özgüç

M.H. (hitt. Tapigga), situata 312 km a nord-est di Ankara e a 150 km da Khattusha, si estende su un'area di 450 × 225 m. Il sito è costituito da una cittadella, costruita in parte sulla roccia vergine e in parte su terrazze artificiali, e da una città bassa.

Nel 1943 fu scoperta sulla superficie di M.H. una tavoletta cuneiforme hittita e sulla base di questo ritrovamento nel 1945 fu condotto il primo scavo, interrotto nello stesso anno. Nel 1973 la Società Storica Turca iniziò gli scavi, proseguiti senza interruzione fino al 1984, che portarono alla luce un palazzo monumentale e il primo archivio hittita al di fuori di Khattusha.

La fase culturale più tarda di M.H. è rappresentata dal periodo frigio dell'età del Ferro, durante il quale era insediata solo la parte più elevata del tell. La seconda fase, con tre livelli costruttivi sulla cittadella, è associata agli Hittiti. La parte iniziale del livello III consiste sostanzialmente di un palazzo monumentale e del suo archivio. La maggior parte degli ambienti scavati appartiene al piano terra. Nell'ala settentrionale vi sono 26 vani rettangolari, identificati come magazzini. Grandi giare per il grano, su cui sono iscritti segni che ne identificano il contenuto, sono state trovate in situ in due vani. Nei vani 8 e 9 è stato trovato l'archivio principale, sebbene alcune tavolette fossero sparse per il crollo causato dall'incendio; esso, infatti, doveva trovarsi al piano superiore, dove i testi erano sistemati su ripiani di legno. L'archivio, completamente scritto in hittita, è costituito da lettere riguardanti i movimenti dell'esercito, i prigionieri di guerra, i fuggitivi, l'insediamento di popolazioni deportate e la sicurezza dei raccolti, scambiate tra il Gran Re e il suo rappresentante a Tapigga e tra le autorità di Khattusha, Tapigga e varie altre città. Inoltre alcuni testi inventariali forniscono liste di soldati, ostaggi, raccolti, utensili e strumenti da guerra.

La corte, la più antica e la più grande (33 × 40 m) corte hittita conosciuta, era delimitata, sui lati nord ed est, da basi di pietra a forma di parallelepipedo, lavorate su tutti i lati e sistemate in file opposte, per i pilastri dei colonnati coperti, ed era pavimentata con un battuto di terra. La collocazione dell'entrata e delle stanze dell'archivio suggerisce che la parte orientale del palazzo fosse usata per scopi amministrativi e il lato settentrionale come quartiere abitativo. Nel quartiere sud-orientale della cittadella è stato scoperto un muro di contenimento curvo, lungo 55 m e alto 2,5 m e costruito con grossi blocchi irregolari, circondato da un secondo muro di contenimento. Lo spazio tra essi era usato come strada. Il muro, contemporaneo al palazzo, continuò a essere usato nel livello II. Il palazzo era la residenza del governatore della zona di confine tra il Medio Regno hittita e i Kashka, popolazione dell'area del Ponto e autori della distruzione dell'edificio all'epoca di Tudkhaliya II (1410-1380 a.C.), secondo quanto testimoniato dal ductus mediohittita delle tavolette e dal nome del re e di sua moglie su due impronte di sigilli a stampo.

Nella città bassa il livello III è rappresentato dal tempio, di cui sono conservate solo l'ala meridionale e una parte della corte centrale. Nella parte ancora esistente sono state scavate 20 stanze, di cui 4 all'estremità sud-orientale differiscono dagli altri vani lunghi che appaiono allineati e appartengono alla cella interna. Appartiene al livello II l'Altar Building, costruito sul pendio nord-occidentale della cittadella da Shuppiluliuma I (1380-1335 a.C.), come conferma il ritrovamento di una cretula con la sua leggenda, immediatamente dopo la distruzione del palazzo e costituito di 17 vani.

Bibliografia

T. Özgüç, Maşat Höyük kazıları ve Çevresindeki Araştımalar - Excavations at Maşat Höyük and Investigations in its Vicinity, Ankara 1978, pp. 49-112; K. Emre, Maşat Höyük'te Eski Tunç Çaği - The Early Bronze Age at Maşat Höyük, in Belleten, 43 (1979), pp. 1-40; S. Alp, Die hethitischen Tontafelentdeckungen auf dem Maşat Höyük, ibid., 44 (1980), pp. 25-59; T. Özgüç, Excavations at the Hittite Site, Maşat Höyük: Palace, Archive, Mycenean Pottery, in AJA, 84 (1980), pp. 305-309; Id., Maşat Höyük, II. Boğazköy'ün Kuzeydoğusunda Yeni bir Hitit Merkezi - A Hittite Center Northeast of Boğazköy, Ankara 1982, pp. 73-143, 145-49; S. Alp, Hethitische Briefe aus Maşat Höyük, Ankara 1991; Id., Maşat Höyüktebulunan Çivi Yazılı Hitit Tabletleri - Hethitische Keilschrifttafeln aus Maşat Höyük, Ankara 1991; K. Emre, The Early Bronze Age at Maşat Höyük, in Bulletin of the Middle Eastern Culture Center in Japan, 9 (1996), pp. 1-86; T. Özgüç, Maşathöyük, in T. Özgüç (ed.), Die Hethiter und ihr Reich, Das Volk der 1000 Götter (Catalogo della mostra), Stuttgart 2002, pp. 168-71.

Mersi̇n-yumuktepe

di Isabella Caneva

Sulla costa sud-orientale della Cilicia, di fronte a Cipro, M.-Y. è il primo sito neolitico identificato in Turchia e tra i pochissimi scavati nel Vicino Oriente prima della seconda guerra mondiale; Yumuktepe riveste tuttora un'importanza particolare per la sua cospicua stratificazione dal Neolitico antico (7000 a.C.) alla fine dell'età bizantina (XIII sec. d.C.). Dai nuovi scavi emerge, inoltre, l'importanza della sua collocazione geografica, tra Anatolia e Siria, cruciale per la correlazione di aree di diversa tradizione culturale.

Il Neolitico antico e medio (corrispondente ai vecchi livv. XXX-XXVI e datato ora al 7000-6000 a.C.) fornisce la più antica documentazione di completa domesticazione animale, in un villaggio con capanne a incannucciata fornite, nella fase finale, di basamenti di pietra (6200 a.C.). I manufatti comprendono sia ossidiana centro-anatolica che ceramica bruna (Dark Faced Burnished Ware) e sigilli a stampo tipici della sequenza siriana, in particolare dell'Amuq (fasi A e B) e del Balikh. Nel Neolitico tardo e finale (livv. XXV-XXIII, 5800 a.C.), l'abitato comprende grandi case rettangolari a spigoli arrotondati, con solidi basamenti di pietra, disposte su terrazzi. Le sepolture, frequenti, sono spesso dotate di vasetti della caratteristica ceramica dipinta a motivi geometrici in rosso su fondo chiaro. Nella successiva fase Halaf, l'architettura è caratterizzata dalla riduzione dei basamenti di pietra e dall'adozione del mattone crudo. La ceramica comprende i ben noti tipi a decorazione dipinta geometrica su fondo beige brunito.

Nel Calcolitico medio (liv. XVI, 4900 a.C.) il sito ha una massiccia fortificazione a contrafforti di pietra e mattone crudo, costituita da una doppia fila di ambienti contigui (alloggi di arcieri o di artigiani), interrotta da una porta monumentale. I fianchi della collina, terrazzati, ospitano altri edifici, allineati lungo strade. La ceramica ha pittura nera a disegni geometrici e smerli su fondo chiaro, ma anche tipi policromi o a superfici nere lucidate. Compaiono le più antiche tracce di attività metallurgica, con accette e scalpelli di rame fuso. Nel Calcolitico tardo (liv. XIIB, 4300 a.C.), la cittadella, cinta da un muro sostenuto da contrafforti, mostra uno spazio interno notevolmente ridotto, che relega l'estensione dell'abitato ai fianchi o alle pendici del tell. La ceramica comprende tipi tardo-Ubaid, come ciotole flint scraped o a decorazione dipinta a larghi festoni. A partire dal Bronzo Antico II (liv. XIIA, 2700 a.C.), l'abitato si estende sui fianchi del tell, in una nuova stratificazione, affiancata alla precedente e non identificata nei vecchi scavi.

Con il declino dell'influenza siriana, si sviluppano, stimolate dalla produzione metallurgica, nuove vie di espansione verso le coste dell'Egeo, come testimonia la presenza di tipi ceramici occidentali tra la ceramica rossa locale. Nelle varie fasi del Bronzo Tardo (livv. XI-VII, III-II millennio a.C.), il sito subisce complesse modificazioni, con livellamenti e terrapieni, per la costruzione di immense fortificazioni a casematte. Tutte le fasi dell'occupazione hittita sono rappresentate, fino alla fase finale, in cui il sito fu capitale del regno di Kizzuwatna. L'insediamento dell'età del Ferro (livv. IV-III, VII-VI sec. a.C.) è documentato da ricchissimi materiali, ma l'architettura è obliterata dai successivi impianti di età medievale. L'insediamento medievale (livv. I-II, VIII-XIII sec. d.C.) comprende un ampio abitato terrazzato e una cittadella fortificata, con edifici religiosi importanti, dotati di poderose fondazioni, impianti di canalizzazione, affreschi e arredi pregiati, con oggetti di importazione siriana e anatolica. La fase finale di occupazione consiste in una vasta necropoli, con tombe prive di corredo.

Bibliografia

J. Garstang, Prehistoric Mersin, London 1953; I. Caneva - V. Sevin, Mersin-Yumuktepe. A Reappraisal, Galatina 2004.

Tarso-gözlükule

di Isabella Caneva

T.-G. è un grande tell sulla costa sud-orientale della Cilicia, nella provincia di Mersin (Turchia), con stratificazione ininterrotta dal Neolitico antico (7000 a.C.) all'età classica. Come per Yumuktepe, la sua collocazione geografica, tra Anatolia e Siria, è cruciale per le comunicazioni aperte, via terra, verso est e nord e, via mare, verso sud e ovest.

Lo scavo, risalente agli anni Trenta-Quaranta del Novecento, consta di una vasta area fino ai livelli del Bronzo Antico I e di un sondaggio profondo di circa 2 m2, per quelli precedenti. Il Neolitico antico e medio documenta aspetti identici a quelli di Mersin-Yumuktepe, con ossidiana centro-anatolica accanto a ceramica bruna (Dark Faced Burnished Ware) e ad altri manufatti tipici dell'Amuq (fasi A e B) e della sequenza nord-siriana. La continuazione dei contatti con l'Anatolia sud-orientale e la Siria settentrionale nel Calcolitico antico (Halaf, Amuq C-D) è attestata dalla presenza della caratteristica ceramica dipinta. Nel Calcolitico medio e tardo (Amuq E-F), si attuano le ultime fasi di parallelismo culturale con le regioni orientali. La ceramica comprende tipi tardo-Ubaid, inornati o a decorazione dipinta a larghi festoni o a strisce, e impasti con paglia simili alla Chaff Faced Ware dell'Amuq F, questi ultimi assenti dalla documentazione del contemporaneo sito di Mersin-Yumuktepe, altrimenti identica a quella di T.-G. in queste fasi.

Benché contatti con l'Amuq permangano nelle fasi G e J, la riduzione delle relazioni orientali continua e culmina con l'assenza della cultura tardo-Uruk dalla Cilicia. L'improvvisa massiccia comparsa di un nuovo tipo ceramico, con brocche ovoidali a becco rialzato, di impasto sabbioso a superficie rossa, a partire dal Bronzo Antico IA, sottolinea l'avvio di relazioni con una regione nuova, da identificarsi nelle zone dei giacimenti metalliferi del Bolkardag, nel Tauro orientale. L'intensificarsi della produzione metallurgica segna la prosperità del sito nel Bronzo Antico, con l'abbondanza di oggetti di bronzo, di lega di arsenico e successivamente di stagno. L'abitato, esteso, soprattutto nel Bronzo Antico II, su terrazzi collegati da strade, viene più volte distrutto da conflagrazioni che coinvolgono anche i poderosi muri di fortificazione. Un nuovo improvviso apporto nel repertorio ceramico è testimoniato nella fase del Bronzo Antico IIIA, successiva alla definitiva distruzione dell'abitato precedente, da ciotole e bicchieri biansati (depata) tipici delle culture dell'Anatolia occidentale (Troia II-III). I nuovi apporti, frutto, presumibilmente, di attacchi marittimi, sono assorbiti dalla cultura locale e trasformati, nel Bronzo Antico IIIB, in tipi affini.

Le fasi del Bronzo Medio, tra la fine del III e l'inizio del II millennio a.C., vedono il rinnovarsi delle relazioni con la Siria e l'Anatolia, nel periodo delle colonie commerciali assire, a conferma del ruolo centrale, cosmopolita, di T. e della Cilicia, in un vasto territorio costiero e interno. L'apice di fioritura del sito si verifica nel Bronzo Tardo, con il vasto insediamento hittita, dotato di un grande tempio costruito intorno a una corte centrale e di una massiccia cinta muraria. L'occupazione hittita, dal Bronzo Tardo I al Bronzo Tardo IIB, cessò con una violenta distruzione del sito a opera di invasori micenei, intorno al 1100 a.C. L'insediamento successivo conserva forni per ceramica, addossati alla precedente cinta muraria, e pochi edifici, profondamente disturbati dalla costruzione di imponenti strutture ellenistiche e romane. L'abitato conserva anche livelli islamici.

Bibliografia

H. Goldman, Excavations at Gözlü Kule Tarsus, II. From the Neolithic through the Bronze Age, Princeton 1956; M.J. Mellink, Anatolian and Foreign Relations of Tarsus in the Early Bronze Age, in K. Emre et al. (edd.), Anatolia and the Ancient Near East. Studies in Honor of Tahsin Özgüç, Ankara 1989, pp. 319-31.

Troia

di Manfred Korfmann

La collina dell'insediamento di Hissarlık, alta 15 m, si trova all'imbocco sud-ovest dell'antico stretto dell'Ellesponto (Dardanelli) nella Turchia nord-occidentale. Questa posizione favorevole dal punto di vista strategico fu la ragione dell'occupazione duratura del sito, il più rilevante e più grande di età preistorica nel contesto geografico più ampio. L'insediamento è stato messo in relazione sin dall'antichità con la città di Troia (W)ilios cantata nell'Iliade di Omero (ca. 700 a.C.). In base a fonti hittite potrebbe trattarsi di Wilusa, in base a quelle egiziane di Dardanya.

Dopo lavori preliminari di F. Calvert, H. Schliemann tra il 1871 e il 1890 condusse sette campagne di scavo, identificando Troia II con la T. dell'Iliade e rinvenendo il leggendario Tesoro di Priamo. W. Dörpfeld, che proseguì gli scavi nel 1893-94 e scoprì l'imponente muro di fortificazione di Troia VI-VII, ritenne il periodo di Troia VI quello della T. omerica. Nel 1932-38 scavò nel sito C.W. Blegen, dell'Università di Cincinnati, e individuò una sequenza di 46 fasi edilizie; egli considerò Troia VIIa come la città della guerra di T. Gli scavi, che continuano ancora, sono ripresi nel 1988 dopo una pausa di cinquanta anni, sotto la direzione di M. Korfmann (Università di Tübingen).

La collina viene suddivisa nei periodi di Troia I-X. Troia I-III viene designata come la "cultura di Troia marittima" (Bronzo Antico II, 2920-2200 ca. a.C.). Troia I (ca. 2920-2550 a.C.) comprende in totale 14 fasi edilizie e, malgrado la struttura ancora da villaggio, ha già un muro di cinta costruito con pietre di cava, più volte rinnovato e rinforzato. Nella cosiddetta "trincea di Schliemann" furono rinvenute allineate una vicina all'altra case a pianta allungata, una delle quali (casa 102) sulla base delle dimensioni e della forma può essere designata già come un primo megaron. La ceramica bruno-nera, parzialmente incrostata di bianco e decorata a incisioni, è esclusivamente fatta a mano. Troia II (ca. 2550-2350 a.C.) indica l'impianto fortificato riferibile evidentemente a un ceto dominante con contatti sovraregionali. Le mura lunghe circa 330 m, con basamento a scarpa costruito con pietra, in parte alto 6 m, e l'alzato con mattoni crudi, circondano la grande cittadella di poco meno di 9000 m2. Imponenti edifici a megaron servivano come luoghi di culto e di riunione. Tre grandi incendi catastrofici (comprensivi di "rinvenimenti di tesori") sono documentati nel corso delle circa otto fasi edilizie. I reperti testimoniano rapporti commerciali in tutto il mondo: lo stagno impiegato a T. con estrema precocità e in abbondanza doveva essere importato da lontano (Asia Centrale?). In quest'epoca viene introdotto a T. il tornio da vasaio (con ceramica per lo più giallo-rossastra), nell'architettura inoltre la pietra lavorata squadrata. A sud della cittadella si estendeva una città bassa stimata sui 90.000 m2, circondata da una monumentale palizzata di legno. In Troia III (ca. 2350-2200 a.C.) all'interno della cittadella l'edificazione diviene più serrata e divisa in unità più piccole. Una rapida successione di almeno quattro fasi edilizie, una delle quali trovò la fine a causa di un grande incendio, fa dedurre condizioni di vita sempre più difficili. Il repertorio dei rinvenimenti presenta poche differenze rispetto a quello di Troia II. Troia IV-V viene designata come "cultura di Troia anatolica" (Bronzo Antico III - inizio del Bronzo Medio, ca. 2200-1700 a.C.). L'edificazione sull'altura dell'acropoli si estese gradualmente fino a una superficie di circa 18.000 m2. Per Troia IV si sono potute accertare sette fasi di incendio una dopo l'altra e anche Troia V si può suddividere in più fasi. Con Troia IV si modificano le condizioni economiche e la cultura materiale presenta maggiori influssi dall'Anatolia interna: nelle case costruite una vicino all'altra (cd. "schema di insediamento anatolico") si trovano forni a cupola, che segnalano il cambiamento delle abitudini di cottura del cibo e quindi anche di alimentazione.

Troia VI-VIIa (= VIi) è la cosiddetta "alta civiltà troiana" (Bronzo Medio - Bronzo Tardo, 1700-1180 ca. a.C.), presumibilmente la T. di Omero o (W)ilios o la Taruwisa o Wilusa degli Hittiti o Dardanya degli Egiziani. T. può essere definita ora come città residenziale e commerciale, al margine del mondo storico-politico degli Stati di civiltà avanzata dell'Asia sud-occidentale e dell'area del Mediterraneo orientale. Sulla collina dell'insediamento viene eretto un potente impianto fortificato, senza riguardo per le strutture più antiche. In particolare nel XIII sec. a.C. la cittadella e la città bassa (Troia VIh) ‒ presumibilmente in seguito a un terremoto ‒ vengono ristrutturate con una regolare pianificazione (VIIa = VIi). Le mura a scarpa della cittadella realizzate in pietra, provviste adesso di torri e bastioni, con alzato di mattoni crudi di oltre 10 m di altezza, circondano un'area di circa 20.000 m2. Insieme alla città bassa, che viene delimitata da un piccolo fossato di difesa, la zona abitata comprende circa 330.000 m2. Sembra che siano stati incorporati insediamenti più piccoli nei dintorni. Intorno al 1180 a.C. la città viene distrutta in un evento chiaramente bellico. Resti di una necropoli con cremazioni e inumazioni si trovavano al di fuori del fossato. Una necropoli simile nella baia di Beşik (ca. 8 km a sud-ovest di Hissarlık) fu abbandonata già verso la fine di Troia VI. Gli abitanti di Troia VI hanno continuato a servirsi di una cavità artificiale con acqua sorgiva utilizzata dal III millennio a.C. Complessivamente, dai rinvenimenti degli scavi, non emerge nessuna conferma esplicita né smentita per l'identificazione del luogo con Wilusa, la città vassalla degli Hittiti. Una simile constatazione si può fare anche riguardo alla Troia/Ilios di Omero.

In Troia VIIb1 o Troia VIj (Bronzo Tardo - primissima età del Ferro, 1180-1150 ca. a.C.) dopo una modesta ricostruzione di alcune parti si delineano i primi influssi dai Balcani. L'insediamento termina con una nuova parziale distruzione. Troia VIIb2-3 (prima età del Ferro, 1150-950 ca. a.C.) è la cosiddetta "cultura di Troia con impronta dei Balcani". In queste fasi vengono continuate antiche tradizioni, ma sono anche introdotti nuovi elementi tramite immigrati. Accanto alla tradizionale ceramica al tornio compare improvvisamente in considerevoli quantità vasellame fatto a mano, simile a quello noto dall'area orientale dei Balcani. L'edificazione a piccole unità si concentra nell'area all'interno e direttamente all'esterno della cittadella. In Troia VIIb2 le parti inferiori dei muri sono rivestite con irregolari lastre di pietra verticali (ortostati). Si sono potuti documentare i resti di almeno una fase ulteriore (VIIb3). Le poche attività edilizie successive potrebbero essere poste in connessione con un eventuale santuario.

Troia VIII (dall'età arcaica fino all'ellenismo, ca. 700-85 a.C.) è la Ilios greca. I più antichi edifici di un santuario documentabili archeologicamente sorsero solo dopo il 700 a.C., tuttavia offerte votive attestano che il luogo era già considerato sacro anche in epoca anteriore. A una fase povera in età classica, nel III sec. a.C. seguì la mirata venerazione della "sacra città di Ilios" come (presunto) teatro della guerra troiana, con un tempio di Atena sull'altura della cittadella e un altro santuario con i suoi templi. Ilios divenne all'interno di una lega di città il centro religioso e politico della regione. Alla fine del III sec. a.C. intorno alla città bassa, pianificata in base a uno schema urbanistico con assi stradali perpendicolari, fu eretto un muro di cinta lungo circa 3,5 km. Nell'85 a.C. il generale romano ribelle Fimbria distrusse la città sacra.

Troia IX (85 a.C. - 500 ca. d.C.) è la Ilium romana. Sotto Augusto nella "città madre di Roma" (secondo l'Eneide di Virgilio) tra i vari interventi fu edificato nuovamente il tempio di Atena. Fu costruito un nuovo odeion, ristrutturato sotto Adriano e Caracalla. Lo sviluppo di Ilios, grazie al mecenatismo della casa imperiale, durò fino al III sec. d.C. Nell'area della cittadella sorsero edifici pubblici di rappresentanza e la città bassa con il suo tradizionale sistema a insulae fu rinnovata. Il centro urbano comunque sempre meno significativo trovò la sua fine intorno al 500 d.C. a causa di almeno due terremoti. Troia X è la Ilion bizantina (ca. XIII-XIV sec. d.C.). Già dalla metà del IV sec. d.C. Ilios era nominalmente sede episcopale. Dopo una pausa di circa ottocento anni, solo verso il 1300 fu impiantato un nuovo insediamento nella parte sud-occidentale dell'altura della cittadella. L'intensità della popolazione si può documentare indirettamente attraverso numerose tombe localizzate in differenti punti della città. Alla fine del XIV sec. d.C. l'occupazione del luogo si arrestò definitivamente.

Bibliografia

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Van

di Paolo Emilio Pecorella

Sulla sponda orientale del Lago di Van su un massiccio calcareo dell'Eocene si trovano i resti di V., la prima capitale urartea (Tushpa), eretta nel IX sec. a.C. La rupe e il territorio circostante sono stati indagati sin dall'Ottocento.

I primi scavi furono opera di C.F. Lehmann-Haupt (1895-96), ma la prima vera esplorazione fu dovuta a due russi, N.J. Marr e I.A. Orbeli, nel 1915. Solo alla fine degli anni Settanta cominciarono lavori esaustivi a opera di un gruppo di studiosi turchi sotto la guida di A. Erzen, E. Bilgiç e M.T. Tarhan. La rupe è lunga circa 1,5 km e larga tra i 70 e gli 80 m con la sommità circa 100 m al di sopra della pianura. La parete meridionale è quasi verticale mentre il versante settentrionale, più dolce, è stato fortificato sin dalla fondazione della capitale. Tushpa resta il centro principale almeno sino alla costruzione della fortezza di Toprakkale (Rusahinili), il centro amministrativo, poco distante da V., a opera di Rusa I (ca. 730-714 a.C.). Il crollo dello Stato urarteo e il seguente saccheggio, insieme alla continuità di insediamento, hanno ridotto le strutture della rocca a pochi resti se si eccettuano quelli di muri inglobati nella cittadella superiore e delle grandi camere scavate nella roccia.

La struttura più antica è il cosiddetto "castello di Sarduri", all'estremità del rilievo, sulla riva del lago: sulle cinque assise di blocchi calcarei si trovano diverse copie dell'iscrizione di Sarduri I (ca. 840-830 a.C.), in cuneiforme e in lingua assira. L'acropoli è divisa in sezioni da due profondi fossati scavati trasversalmente alla sommità; su di essa si trovano due palazzi: quello occidentale è attributo ad Argishti I, mentre quello centrale è inglobato nelle più tarde fortificazioni. L'elemento più vistoso della capitale sono le grotte, di cui le maggiori sono tombe reali come quelle di Khorkhor (Argishti I), dove gli annali reali sono incisi sulla parete del sentiero roccioso, il complesso della grande spianata con le tombe di Naftkuyu e di Içkale (forse di Sarduri) e la cosiddetta "tomba orientale". Le tombe sono scavate nella roccia e consistono di una sala centrale da cui si dipartono da 4 a 7 camere secondarie; in alcuni casi nelle pareti sono scavate nicchie rettangolari forse per le urne cinerarie. Non sono stati trovati sarcofagi (come ad Altıntepe), ma è possibile che fossero collocati su piattaforme. La copertura è piana o a botte. Vi sono tracce di decorazione parietale. A oriente si trova la "tomba a cremazione", una larga sala nella roccia con nicchie su tre pareti e 78 loculi per le urne; al di fuori si trova una piattaforma con due gradini dove forse si svolgeva il rogo funebre. L'origine di questa architettura funeraria rupestre è dibattuta ma è evidente, al di là di ipotetici confronti (Paflagonia, Frigia, Assiria), che gli Urartei elaborarono una loro tipologia anche se poco attestata in altre località a parte Kayalıdere (Turchia), Sangar o Qaleh Ismail Agha (Iran). Sul versante nord, al di sotto della grande piattaforma centrale si trova, scavata nella roccia, la cosiddetta "sala di Menua", in realtà una stalla dove erano custoditi gli animali per i sacrifici. A nord si trova l'area sacra eretta da Sarduri II (Hazıne Kapısı) con due nicchie cultuali, due stele con iscrizioni relative ai culti, condotti per liquidi sacrificali, circondata da un muro di difesa.

La città bassa, di recente investigata, si trova sui due lati della rocca, circondata da una muraglia difensiva. L'insediamento più antico risale all'età del Bronzo Antico e due sono gli strati principali urartei, con case simili a quelle di Karmir-Blur. L'abitato venne usato come area cimiteriale nell'età del Ferro finale.

Bibliografia

C.F. Lehmann-Haupt, Armenien einst und jetzt, I-III, Berlin - Leipzig 1910-31; B.B. Piotrovskij, Il regno di Van-Urartu, Roma 1966; M. Salvini, Urartäisches epigraphisches Material aus Van und Umgebung, in Belleten, 37 (1973), pp. 279-87; M. Korfmann (ed.), Die Ausgrabungen von Kirsopp und Silva Lake in den Jahren 1938 und 1939 am Burgfelsen von Van (Tušpa) und in Kalecik, in Berytus, 25 (1977), pp. 173-200; M.T. Tarhan, Recent Researches at the Urartian Capital Tushpa, in TelAvivJA, 21, 1 (1994), pp. 22-57.

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