L'archeologia dell'Estremo Oriente: Cina

Il Mondo dell'Archeologia (2002)

L'archeologia dell'Estremo Oriente: Cina

Roberto Ciarla

Gli storici cinesi sembrano essersi ben presto serviti dell'archeologia; significativo è il noto passo del Yuejue shu (Annali perduti di Yue) in cui nel capitolo sulle spade preziose si narra come il filosofo Feng Huzi, intorno al V sec. a.C., ammaestrando il principe di Chu sulla storia delle armi e degli utensili, ricordava che al tempo degli Imperatori Mitici (Xuan Yuan, Shen Nong e He Xu) per tagliare alberi e costruire case erano utilizzati utensili in pietra che venivano poi sepolti con i morti. Quindi, al tempo dell'Imperatore Giallo (Huang Di), per costruire case, tagliare alberi e dissodare la terra erano impiegati utensili di giada, anche questi sepolti con i morti; in seguito, con la dinastia Xia, erano entrati nell'uso utensili di bronzo, adoperati anche per la costruzione di canali. Soltanto in tempi più vicini al narratore, Feng Huzi, le armi e gli utensili erano costruiti in ferro. Tuttavia, fu probabilmente nell'epoca compresa tra la dinastia Han (206 a.C. - 220 d.C.) e quella Song (960-1279) che venne a radicarsi, come conseguenza di convinzioni filosofiche e religiose, la singolare relazione che lega l'uomo cinese agli oggetti antichi, soprattutto bronzi e giade rituali, che, perdendo il loro carattere di documento e di informazione storica e culturale, acquisirono un valore quasi feticistico, denso di valenze estetiche e magiche nello stesso tempo. La civiltà cinese è civiltà "letterata" per eccellenza e l'unica vera arte è la calligrafia, in qualsiasi forma, compresa quella per immagini, la pittura. Per tale motivo, quindi, l'interesse degli eruditi si è concentrato dall'epoca della dinastia Song soprattutto sulle iscrizioni dei bronzi e delle giade (che vengono dagli stessi assegnati all'epoca delle Tre Prime Dinastie), il cui contenuto è fonte di cavillose diatribe a conferma o a confutazione delle teorie confuciane sull'etica e la morale dell'età dell'oro, quella cioè dei mitici eroi-sovrani. Questo tipo di interesse, comunque, ha dato vita alla scuola paleografica ed epigrafica cinese Jin shi xue (Studio delle iscrizioni su bronzi e pietre). Un brevissimo periodo di studi di tipo archeologico, riguardante gli oggetti antichi nelle collezioni di corte e private, si ebbe però proprio durante la dinastia dei Song Settentrionali (960-1126). È infatti del 1092 il Kaogu tu (Repertorio illustrato di antichità) di Liu Dalin, in cui 211 pezzi della collezione imperiale e 37 di collezioni private vengono illustrati e catalogati per tipo e contenuto dell'iscrizione, provenienza, dimensione, peso e possessore del pezzo. Nel Xuan He bo gu tu lu (Repertorio illustrato delle antichità conservate nello Xuanhe), pubblicato tra il 1107 e il 1111, vengono studiati 839 oggetti della collezione imperiale. Per quanto meno esauriente e preciso del Kaogu tu, vengono però analizzati i bronzi privi di iscrizione e si inizia a descriverne i motivi decorativi, la cui nomenclatura viene canonizzata proprio in quest'opera. Come nel Kaogu tu, inoltre, i diversi tipi di vaso con iscrizione vengono designati dal nome della forma preceduto da un nome personale o da una formula contenuta nell'iscrizione, mentre quelli che ne sono privi vengono designati dal nome della forma del vaso preceduto dal nome del motivo decorativo principale, instaurando il metodo ancora oggi seguito in Cina. Diverse motivazioni storiche, particolarmente il conformismo confuciano degli intellettuali in epoca Ming (1378-1644), determinarono la totale perdita di interesse per la cultura materiale e per l'arte del passato a favore del solo documento scritto. L'archeologia sarebbe rinata solo nella seconda metà del XIX secolo. Nel 1860 l'inglese J. Anderson effettuò infatti una missione esplorativa nelle regioni del Sud-Ovest, collezionando utensili litici che descrisse nel resoconto del suo viaggio. La prima trattazione scientifica di strumenti preistorici cinesi è, però, opera di E.H. Giglioli, che nel 1898 descrisse una zappa di giada proveniente dalla zona di Fuzhou e una zappa rettangolare in pietra dalla regione dello Shaanxi. Nel 1889 la spedizione russa dei fratelli Grum-Gržimajlo esplorò il Turkestan cinese; nella stessa regione seguirono una spedizione francese nel 1892 (Grenard-de Rhins) e la leggendaria spedizione svedese del 1896 guidata da S. Hedin, mentre il giapponese T. Riuzo dal 1895 esplorò la Manciuria, tradizionalmente area di interessi ed espansione nipponica. Pochi anni dopo, tra il 1898 e il 1899, uno studioso dello Han Lin (l'Accademia Imperiale), Wang Yirong, venne casualmente in possesso di frammenti di ossa fossili usate nella farmacopea cinese. Wang notò che quelle "ossa di drago" recavano alcuni segni incisi che, insieme all'amico Liu E, riconobbe come la più arcaica forma di scrittura cinese. Nasceva così una nuova disciplina: Jia gu xue o Jia gu wen (Studio, o lettura, dei gusci di tartaruga e delle ossa). Nel 1904 le iscrizioni vennero collegate da Sun Yirang alle pratiche divinatorie della dinastia Shang (XVI-XI sec. a.C.) che, così documentata, uscì dalla leggenda per rientrare nella storia. Nello stesso periodo un allievo di Sun, Luo Zhenyu, scoprì il luogo di provenienza delle ossa, una località vicino al villaggio di Xiaotun, non distante da Anyang (Henan): in quell'area si riconobbero i resti dell'ultima capitale Shang, Yin Xu, di cui già il grande storico Sima Qian nello Shiji (Memorie storiche) aveva fornito, nel II sec. a.C., la localizzazione e la descrizione. Gli acquisti di manoscritti, sete e dipinti databili tra il VII e il XIII-XIV secolo effettuati da sir Aurel Stein nel 1907 presso l'antico monastero buddhista delle grotte di Mogao (Gansu) per conto dell'Inghilterra, ai quali seguirono quelli condotti da P. Pelliot nel 1908 per la Francia, da Z. Tachinaba nel 1911 per il Giappone, da S. Oldenburg nel 1914 per la Russia e da L. Warner nel 1923 per gli Stati Uniti, certamente non possono essere considerati parte della storia dell'archeologia, sebbene di enorme rilievo storico e artistico. Mentre la filologia, attraverso le iscrizioni oracolari, risvegliava l'interesse degli eruditi cinesi per l'antica età del Bronzo, era destino che alla geologia dovesse spettare il compito di scoprire la preistoria cinese. Un ruolo determinante svolse la National Geological Survey of China (NGS) con i suoi membri cinesi e i consulenti occidentali: basti ricordare Wang Wenhao, direttore negli anni a cavallo del 1920, A.W. Grabau, primo paleontologo della NGS e professore di Paleontologia all'Università di Beiping, il paleontologo O. Zdansky, i geologi P.L. Yuan, H.C. T'an e T.O. Chu e il geologo svedese J.G. Andersson, padre fondatore dell'archeologia preistorica in Cina, il quale nel 1921 presso il villaggio di Yangshao (Henan) individuò, per la prima volta in Cina, resti del Neolitico. In quegli anni un ruolo di rilievo svolsero anche i due gesuiti francesi P. Teilhard de Chardin ed E. Licent, i quali tra il 1921 e il 1922 avevano scoperto nella regione dell'Ordos i primi attrezzi litici attribuibili al Paleolitico (letti fossiliferi di Nihewan e Sanggan). Gli anni Venti furono un decennio di eccezionale importanza nella storia dell'archeologia, basti pensare che tra il 1923 e il 1924 nella remota provincia di Gansu vennero individuati i resti di una nuova cultura neolitica, quella di Majiayao, e di due culture della prima età dei metalli, la cultura Xindian e la cultura Qijia. Forse i rinvenimenti più eclatanti furono però quelli effettuati nel sito di Zhoukoudian, pochi chilometri a sud-ovest di Pechino, scoperto da Andersson nel 1920. Nel 1927 furono messi in luce frammenti di ossa fossili riconosciuti di tipo umano, nel 1929 a tali frammenti di ossa lunghe si aggiunsero i crani: si trattava del fondamentale ritrovamento del Sinanthropus pekinensis, un tipo di Homo erectus vissuto nel medio Pleistocene. Nell'effervescente clima politico e culturale della Rivoluzione Nazionalista del 1911 e del Movimento del 4 maggio 1919 si era venuta intanto a formare una nuova intellighenzia che, stimolata dai progressi compiuti nello studio delle ossa oracolari, riaccese il dibattito iniziato al principio del XX secolo da Kang Youwei (1858-1927) e da Liang Qichao (1873-1928) sulla periodizzazione della storia cinese. Il Gu shi bian (Revisione critica della storia antica), pubblicato nel 1926 da Gu Jiegan, divenne così il manifesto metodologico di quegli studiosi che, insoddisfatti del conformismo dei paleografi e dei filologi, proponevano un nuovo approccio alla storia antica (sintetizzato dallo slogan "vediamo le prove!") basato sulle evidenze archeologiche, sullo studio del folklore e sulla revisione critica delle storie mitiche e leggendarie. Il dibattito trovò un ideale palcoscenico nel 1923 con la fondazione della Società Archeologica di Cina, seguita nel 1928 dalla fondazione dell'Istituto di Storia e Filologia (ISF) dell'Academia Sinica. Con l'istituzione dell'ISF prese avvio il periodo dell'archeologia cinese moderna. Fin dall'inizio studiosi di discipline diverse, tra cui Bei Wenzhong della National Geological Survey e Xu Bingzhang dell'Istituto Nazionale di Ricerca di Pechino, cooperarono con filologi e archeologi, quali Fu Sinian (primo direttore dell'ISF), Dong Zuobin, Ding Weijang (conosciuto in Occidente come V.K. Ting e direttore della NGS prima del 1928), Li Chi (primo direttore della Sezione di Archeologia dell'ISF istituita nell'inverno del 1928-29). Tra i pionieri dell'archeologia cinese, Li Chi fu probabilmente colui che maggior peso esercitò sulla neonata scuola archeologica cinese, dirigendo insieme a Liang Siyong tra il 1928 e il 1937 lo scavo della capitale Shang a Yin Xu. A quella scuola si formarono i protagonisti dell'archeologia cinese: Shi Zhangru, Yin Da, Yin Huanzhang, Gao Chuxun, Zhao Qingfang, Xia Nai, solo per citare i più eminenti. Sebbene non archeologo di campo, non poca influenza esercitò il letterato, filologo, storico e rivoluzionario sichuanese Guo Moruo (1892-1978), che si impose come uno dei maggiori studiosi della Cina antica, con i suoi lavori scritti nel decennio di esilio giapponese, tra il 1927 ed il 1937, ed in seguito per gli eccezionali scritti e ricerche sulle ossa oracolari e sui bronzi di epoca Shang. Intanto, nel 1934, nella regione compresa tra la colonia portoghese di Macao e quella inglese di Hong Kong, un missionario italiano, padre R. Maglioni (1891-1953), dava inizio a quella serie di ricognizioni e saggi di scavo che avrebbero gettato le basi per un primo riconoscimento delle fasi culturali preistoriche e protostoriche della Cina meridionale costiera. Il 7 luglio del 1937, con l'inizio del conflitto sino-giapponese, le ricerche di campo si arrestarono in tutto il territorio nazionale; a quell'epoca, comunque, erano ormai stati raccolti i dati fondamentali per delineare un primo quadro della preistoria e della protostoria cinese e inoltre erano state gettate le basi di quella metodologia di scavo di tipo "wheeleriano" che ancora oggi viene rigorosamente praticata dagli archeologi cinesi. Alla fondazione della Repubblica Popolare Cinese (1° ottobre 1949) i sopravvissuti dell'ISF che avevano scelto di restare nella madrepatria andarono a formare i quadri dell'Istituto di Archeologia della nuova Accademia Cinese delle Scienze, in cui l'eminente figura di Guo Moruo, dal 1950 fino alla morte, avrebbe ricoperto la carica di presidente. Il decennio dal 1950 al 1960 vide, da una parte, un vasto impegno in scavi di salvataggio e in ricognizioni estensive di ampie aree interessate dai piani di ricostruzione e di sviluppo agricolo e industriale, dall'altra, la prosecuzione o l'inizio degli scavi estensivi di importantissimi siti, soprattutto necropolari, sia preistorici sia di diverse epoche storiche. È del 1952 il rinvenimento di un sito urbano sotto la città di Zhengzhou (Henan), riconosciuto come sito di epoca Shang ma più antico di Yin Xu presso Anyang. A partire dal 1954 importanti, talvolta eccezionali, rinvenimenti si susseguirono a ritmo vertiginoso. A Dingcun presso Xianfeng (Shanxi) vennero alla luce resti fossili del medio Pleistocene riferibili ad un Homo erectus di tipo neandertaloide, associati a faune e strumenti litici; presso il villaggio di Banpo, Xi'an (Shaanxi), fu scoperto un abitato neolitico di epoca Yangshao eccezionalmente ricco e ben conservato; nella provincia di Hubei, a Panlongcheng, si rinvenne il primo abitato di epoca Shang (contemporaneo a quello di Zhengzhou) fuori dalla valle del Fiume Giallo, mentre a Qujialing fu individuata una nuova cultura neolitica caratterizzata da vasi in ceramica a pareti sottilissime e resti di riso coltivato. L'anno successivo nella provincia sud-occidentale di Yunnan, geograficamente parte della fascia settentrionale dell'Asia sud-orientale, venne scoperta a Shizhaishan la necropoli reale del piccolo stato di Dian, fiorito tra la fine dell'epoca Stati Combattenti e la dinastia Han Occidentali che lo inglobò nel 109 a.C. Nel 1956 ebbe avvio lo scavo dei resti della capitale degli Han Occidentali, Chang'an, il terminale orientale della Via della Seta presso l'odierna Xi'an. Nel 1959, a seguito del rinvenimento presso Yanshi (Henan), nel sito di Erlitou, di resti urbani più antichi di Yin Xu e Zhengzhou, si riaccese il dibattito sulla storicità della dinastia Xia, che secondo le antiche cronache avrebbe preceduto gli Shang; il sito si trova infatti nell'area riconosciuta dagli storiografi come l'area nucleare dei Xia. Gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta videro anche il rinvigorirsi del mai sopito "dibattito sulla periodizzazione della storia cinese". In quegli anni furono infatti pubblicati centinaia di articoli e libri sui più diversi aspetti della periodizzazione; i vari punti di vista, comunque, si basavano per la maggior parte sui principi comuni del marxismo-leninismo. Nel caso della storia cinese, veniva però riconosciuto un altro fattore determinante di sviluppo: il nazionalismo o patriottismo (di cui l'archeologia diventava uno dei principali numi tutelari). Tale elemento, di notevole peso politico per la neonata Repubblica Popolare, sarebbe scaturito prima dall'interazione tra i Cinesi di nazionalità Han e le diverse altre etnie cinesi, soprattutto le popolazioni di allevatori nomadi settentrionali, durante il lungo periodo che va dagli Shang (XVI-XI sec. a.C. circa) alla dinastia mancese dei Qing (fondata nel 1644 d.C.), poi dall'opposizione tra i Cinesi di tutte le etnie (quindi intesi come nazione) e gli stranieri occidentali, per il periodo che va dalla fine del XVIII a tutto il XIX secolo. Alla visione engelsiana di sviluppo storico unilineare con gli stadi del comunismo primitivo, della schiavitù antica, del feudalesimo medievale e del capitalismo moderno vengono però aggiunti due stadi ulteriori ritenuti specifici dello sviluppo storico cinese: lo stadio del capitalismo incipiente (fine dell'età feudale) e quello semicoloniale e semifeudale dalla Guerra dell'Oppio alla fondazione della Repubblica Popolare Cinese (1840-1949). Nel frattempo l'archeologia in Cina si è definita anche dal punto di vista istituzionale. Lo stato viene riconosciuto come il fondamento della ricerca archeologica e organismo statale è l'Accademia Cinese delle Scienze (Zhongguo Kexueyuan), da cui dipendono due istituti di ricerca archeologica: l'Istituto di Archeologia (Kaogu Yanjiusuo) e l'Istituto di Paleontologia dei Vertebrati e Paleoantropologia (Gu Jijui Dongwu yu Gu Renlei Yanjiusuo). Sotto il diretto controllo del Consiglio di Stato è invece l'organo amministrativo per la gestione e la protezione dei "reperti culturali" o Wenwu (solitamente tradotto in lingua inglese come Cultural Relics) e l'Amministrazione Nazionale dei Reperti Culturali (Guojia Wenwu Shiye Guanlijiu). A quest'organo compete la concessione delle licenze di scavo e da esso dipendono gli organi amministrativi periferici di provincie, regioni autonome e città autonome. Con la pubblicazione di Xin Zhongguo de kaogu shouhuo (Archeologia della Nuova Cina) nel 1961 sono stati resi noti i risultati delle ricerche degli anni Cinquanta, mentre hanno visto la luce i rapporti dei più importanti scavi eseguiti in quel decennio. Solo allora in Occidente si è avuta notizia di nuove culture neolitiche, quali quella di Dawenkou nello Shandong, di Majiabang nel Zhejiang, di Daxi nel Sichuan, della scoperta di una struttura urbana di epoca Zhou presso il sito di Houma nello Shanxi, dello scavo delle tombe di epoca Han a Luoyang (Henan), decorate da pitture murali con scene a soggetto astronomico e mitologico, dell'apertura della tomba, ricca di pitture parietali, appartenuta alla principessa Yongtai della dinastia Tang. Le tendenze metodologiche e teoriche dell'archeologia cinese dei primi anni Sessanta sono esposte in un articolo dell'allora direttore dell'Istituto di Archeologia, Yin Da (1906- 1983), pubblicato nel 1963 nella rivista Kaogu (Archeologia). In sintesi, Yin Da indicava quali linee programmatiche dell'archeologia cinese la raccolta dei dati attraverso scavi pianificati, la descrizione scientifica dei fenomeni archeologici nei singoli siti in modo completo e sistematico, l'elaborazione di cronologie assolute e relative, la necessità di ricostruire culture e società archeologiche nella loro interezza. Inoltre, metteva in discussione il problema della terminologia e dei mezzi di espressione dell'archeologia, sottolineando il dovere degli studiosi di tradurre, nella divulgazione, la terminologia archeologica in un linguaggio accessibile; infine, stabiliva come irrinunciabile l'interdisciplinarità nella ricerca archeologica. Con l'inizio della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, nell'estate del 1966, è stata sospesa la pubblicazione di tutte le riviste di carattere archeologico; lo slogan "abbattere i quattro vecchi" (vecchia cultura, vecchio pensiero, vecchie abitudini e vecchie tradizioni), insieme alle poche notizie che filtravano dalla Cina in quel periodo, ha contribuito non poco a far immaginare la distruzione di monumenti e vestigia storiche da parte delle squadre di giovani Guardie Rosse. Quale che sia la "verità storica" sulla Rivoluzione Culturale, sta di fatto che non poca sorpresa ha destato la ripresa delle pubblicazioni archeologiche nel febbraio del 1972 e la ricca mostra che, tra la fine del 1973 e il 1975, ha visitato l'Europa, l'America Settentrionale, il Messico e il Giappone con i più preziosi rinvenimenti effettuati durante i sei anni di silenzio; tuttavia, di non pochi archeologi si sono perse proprio allora le tracce. Nel primo fascicolo dell'anno 1972 della rivista Kaogu, oltre alle prime datazioni con il metodo del radiocarbonio eseguite in laboratori cinesi, venivano pubblicate due citazioni dalle opere del presidente Mao: "Nostro primo dovere è studiare il nostro patrimonio storico attraverso il metodo della critica marxista. La nostra nazione ha vari millenni di storia, ha sue proprie caratteristiche e suoi inestimabili tesori", "usare il vecchio per il nuovo, lo straniero per il nazionale". Queste due citazioni, insieme all'articolo di apertura a firma della redazione di Kaogu, hanno costituito il manifesto ideologico a cui si è informata la ricerca fino agli ultimi anni Settanta. Il principio ispiratore della nuova linea ‒ la cultura al servizio del popolo ‒ ha avuto ripercussioni senza precedenti nell'ambito scientifico: si sono moltiplicati i "comitati di studio" (in teoria formati da operai-contadini-soldati e intellettuali) e, almeno a dar fede agli autori degli articoli, l'archeologia è entrata nei laboratori scientifici, nelle officine, nelle fabbriche, nelle comuni popolari e nelle caserme. In realtà, non è facile distinguere l'apporto degli operaicontadini- soldati da quello degli intellettuali, né è facile stabilire se veri e propri "specialisti", durante i frequenti periodi di "partecipazione al lavoro manuale e produttivo", abbiano fatto parte di quelle squadre. Probabilmente una conseguenza di questa tendenza è stata un timido sviluppo dell'archeologia sperimentale, dello studio delle tecnologie antiche, dell'etnoarcheologia: d'altra parte ne è derivato anche un certo abbandono del rigore analitico che aveva caratterizzato la prima metà degli anni Sessanta. Alla fine degli anni Settanta, con l'affermarsi della "linea delle modernizzazioni" di Deng Xiaoping, l'archeologia faticosamente ha iniziato a riacquistare i metodi di indagine propri della disciplina, che è divenuta sempre più attenta alle necessità della divulgazione, in particolare delle "grandi scoperte". I rinvenimenti archeologici di quegli anni, sempre più conosciuti in Occidente, hanno infatti contribuito, al di là della loro importanza nella storia degli studi, alla rinascita economica della Cina, ormai aperta al turismo di massa dalla metà degli anni Settanta. Nei primi anni Sessanta erano stati rinvenuti resti fossili umani ancora più antichi del Sinanthropus pekinensis: a Lantian (Shaanxi) un cranio di Homo erectus vissuto 750.000-650.000 anni fa, a Yuanmou (Yunnan) i resti di un ominide vecchio di 1.700.000 anni. È del 1968 la scoperta a Mancheng (Hebei) delle tombe del principe Jing di Zhongshan e di sua moglie Douwan deposti nei famosi "sudari di giada", mentre l'anno successivo a Leitai nel Gansu si è scavata la tomba di epoca Han contenente carri e cavalli di bronzo in miniatura, deposti a costituire un simbolico corteo. Nello stesso anno sono iniziati a Pechino gli scavi di Datu, l'antica capitale della dinastia Yuan, la Kambaloc di Marco Polo. Assolutamente eccezionali sono stati inoltre tre rinvenimenti avvenuti rispettivamente nel 1972, nel 1974 e nel 1976: il primo a Changsha (Hunan) ha messo in luce nella tomba n. 1 il corpo della Marchesa di Dai e il suo ricchissimo corredo; il secondo a Lintong (Xi'an) ha consentito il recupero, nella fossa n. 1, dell'esercito di terracotta del primo imperatore dei Qin; il terzo, a Yin Xu (Anyang), ha portato alla luce la prima tomba nobiliare Shang non violata, quella di Fu Hao, una delle 64 consorti del sovrano Shang Wu Ding, sepolta con 1500 oggetti di corredo, 17 vittime sacrificali e 6 carri. Nel 1978 l'Istituto di Archeologia è passato a far parte della giovane Accademia Cinese di Scienze Sociali (Zhongguo Shehui Kexueyuan) e nel 1979 si è tenuto a Xi'an il I Simposio di Archeologia Cinese, il primo dopo la Liberazione. Nello stesso anno, in occasione del trentesimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare, è stata pubblicata l'opera Wenwu kaogu gongzuo sanshinian 1949-1979 (Trent'anni di archeologia e beni culturali 1949-1979), una sintesi delle scoperte archeologiche avvenute in tutto il territorio nazionale dal 1949 al 1979. È invece del 1982 la promulgazione della "legge per la protezione dei reperti culturali" che regola l'assetto dell'amministrazione e della ricerca scientifica, compresa quella archeologica. Mentre i rapporti di scavo monografici continuano ad essere per la maggior parte pubblicati da due case editrici specializzate, Wenwu chuban she (Editrice Culturale) e Kexue chuban she (Editrice Scientifica), dai primi mesi del 1983 è iniziata la pubblicazione di nuove e sempre più numerose riviste scientifiche, per lo più a cura di musei, di gruppi archeologici municipali, di università o di istituti di archeologia provinciali dell'Accademia di Scienze Sociali, le quali affiancano le tre principali pubblicazioni: Kaogu xuebao (Atti Archeologici), Kaogu (Archeologia), Wenwu (Beni Culturali). Il proliferare di tali pubblicazioni, mentre lascia chiaramente capire come la stragrande maggioranza dei rinvenimenti sia conseguenza di eventi fortuiti, riflette la crescente autonomia degli istituti periferici rispetto sia all'Istituto di Archeologia dell'Accademia di Scienze Sociali con sede a Pechino, sia dell'Ufficio Nazionale per i Beni Culturali. Queste due ultime istituzioni continuano però ad esercitare un forte controllo sulla periferia, sia perché è all'Istituto di Archeologia di Pechino che spetta, di solito, l'indagine dei siti più importanti, sia perché è ad essi che competono i corsi postlaurea che consentono l'esercizio della professione di archeologo. Nel corso degli anni Ottanta, a partire dalle università, è venuto maturando l'interesse per le esperienze dell'archeologia occidentale, particolarmente per quanto attiene agli aspetti tecnici e scientifici della disciplina, sebbene non siano mancati segnali di una certa curiosità anche per gli aspetti teorici e metodologici e, negli ultimi anni, per la New Archaeology, conosciuta attraverso diverse traduzioni e sintesi in lingua cinese. Sulla base di tale interesse, certamente non meno vivo di quello che dall'esterno era ed è rivolto all'archeologia della Cina, aumentato anche dalla crescente partecipazione di archeologi cinesi ad incontri internazionali, sia in Oriente sia in Occidente, si è giunti sul finire degli anni Ottanta alle prime timide forme di cooperazione tra archeologi cinesi e stranieri sul suolo della Repubblica Popolare Cinese, a cui è seguita, nel febbraio del 1991, la promulgazione di una legge ‒ forse ancora troppo rigida per permettere un'adeguata cooperazione ‒ che regola la partecipazione di archeologi stranieri interessati a condurre ricerche in Cina congiuntamente a colleghi o istituzioni locali. Tra le prime istituzioni archeologiche ad aprirsi alla collaborazione internazionale va comunque segnalato l'Istituto di Archeologia della provincia di Xinjiang, che già dai primi anni Ottanta ha avviato collaborazioni con istituzioni statunitensi e francesi, rivelando, tra l'altro, l'enorme mole di lavori e scoperte effettuate a partire dagli anni Cinquanta dagli archeologi dell'Ufficio per l'Amministrazione dei Beni Culturali del Xinjiang e da quelli del già menzionato Istituto di Archeologia. L'intera regione, geograficamente parte dell'Asia Centrale, è stata infatti oggetto di vaste campagne di ricognizione e di scavo che hanno portato ad importanti nuovi ritrovamenti o alla migliore conoscenza di siti e culture inizialmente scoperti dai pionieri dell'archeologia orientale negli anni Trenta e Quaranta. A tale riguardo basti ricordare, ad esempio, le diverse culture microlitiche tardopleistoceniche lungo i versanti della catena del Tianshan; le necropoli del II millennio a.C. che hanno rivelato lungo le rive del Fenghe una cultura totalmente aceramica di età tardo Neolitico-primo Bronzo, probabilmente riferibile a genti di ceppo iranico; le culture neolitiche a ceramica dipinta del Xinjiang orientale. Nella valle dell'Ili le necropoli riferibili a culture nomadiche, probabilmente i Wusun delle fonti cinesi di epoca Han, e le miniere di rame databili tra il II e il I millennio a.C. Sull'altipiano del Pamir le necropoli a incinerazione e a inumazione databili al V sec. a.C. e probabilmente riferibili alle genti Qiang delle fonti cinesi; le città e gli avamposti militari di epoca Han e Tang lungo la Via della Seta, tra cui Loulan, già individuata da Hedin e Stein; il castello di Turfan, presso Miran, di epoca Tang; Jiaohe, presso Turfan, sede dell'antico Regno di Cheshuai; ancora presso Turfan, la città di Gaochang databile dall'epoca Han a quella Tang. La messe dei dati è enorme, anche per l'ottimo stato di conservazione dei reperti ‒ dai corpi dei defunti agli oggetti di corredo, compresi i legni, le fibre, le pelli, i tessuti ‒ determinato dal clima eccezionalmente arido della regione. Xinjiang, il cui significato è Nuova Frontiera, lo è tanto più per l'archeologia orientale nella sua interezza; con tale frontiera ci si dovrà confrontare nei prossimi decenni per riformulare e rivedere teorie di sviluppo storico e archeologico date oggi per certe e acquisite. Non meno importanti e innovativi sono i dati provenienti da scoperte e scavi condotti in altre aree considerate "periferiche" rispetto all'area nucleare della civiltà cinese. Basti pensare alle due grandi fosse sacrificali scavate nel 1986 a Sanxingdui nella provincia di Sichuan, che hanno rivelato una civiltà, con una relativa tecnologia del bronzo, indipendente da quella Shang nella valle del Fiume Giallo, ma ad essa coeva. Inoltre si ricordino le necropoli, riferibili alle popolazioni Xiong Nu delle fonti cinesi, databili tra il IV e il I sec. a.C. messe in luce nella Mongolia interna, con i ricchi corredi in bronzo e oro che includono monili e suppellettili nello "stile animalistico" delle steppe (identici monili e suppellettili sono stati recentemente rinvenuti all'interno di una sepoltura regale di epoca Han a migliaia di chilometri a sud nella tomba del re di Chu, a Shizishan nella provincia di Jiangsu); o ancora i due templi neolitici rispettivamente messi in luce a Fanshan nella meridionale provincia di Zhejiang e a Niuheliang nella settentrionale provincia di Liaoning. Infine, per quanto riguarda l'archeologia tibetana, dopo le pionieristiche spedizioni esplorative del Qinghai e del Tibet da parte di orientalisti occidentali, primo fra tutti G. Tucci, a cui seguirono i ben noti eventi degli anni Cinquanta, si riteneva improbabile che l'archeologia della regione himalayana potesse avere un qualche sviluppo. Con non poca sorpresa fu quindi accolta la pubblicazione, in Wenwu kaogu gongzuo sanshinian 1949-1979 (Trent'anni di archeologia e beni culturali 1949-1979), delle ricerche condotte dagli archeologi cinesi nei territori montani e negli altopiani comprendenti il Tibet e parte del Qinghai, che avevano portato alla scoperta o all'indagine di scavo di siti abitativi, necropolari o monumenti databili dal tardo Paleolitico alle più recenti epoche storiche. Di particolare rilievo sono state le indagini condotte nel sito neolitico di Karuo, nel Tibet orientale, con i suoi livelli più antichi databili intorno alla metà del IV millennio a.C. Ancora più frequenti notizie di indagini, condotte principalmente dall'Ufficio per i Beni Culturali della Provincia autonoma del Xi Zang (nome del Tibet in cinese), negli anni Ottanta sono apparse, sia in monografie sia in riviste specializzate, con particolare attenzione ai siti di epoca paleolitica e neolitica e alle vestigia storiche, soprattutto quelle dell'epoca medievale. Negli anni più recenti, anche in conseguenza del mutato clima politico, alle ricerche di campo si stanno affiancando campagne di ricognizione e di restauro di importanti aree monumentali, come ad esempio l'area templare di T'o-ling.

Bibliografia

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