L'archeologia dell'Iran. La frontiera indo-iranica

Il Mondo dell'Archeologia (2005)

L'archeologia dell'Iran. La frontiera indo-iranica

Massimo Vidale

La frontiera indo-iranica

Termine oggi applicabile non a una realtà culturalmente e cronologicamente omogenea, ma a una importante fase della ricerca archeologica pre- e protostorica che, all'incirca tra il 1930 e il 1980, interessò l'area grosso modo corrispondente alle valli interne delle grandi catene del Baluchistan, in un immenso arco compreso tra i confini orientali dell'altopiano iranico e le pendici dell'Hindukush.

Tra la fine degli anni Venti del Novecento, con le ricognizioni in Baluchistan di A. Stein e le meno note ricerche preistoriche di H. Hargreaves, e la metà degli anni Trenta, con la ricognizione preliminare di N.C. Majumdar nel Sind e nel Sindhi Kohistan, furono segnalate e campionate decine di importanti siti preistorici, in larga misura databili al Calcolitico e all'età del Bronzo (ca. 5000-1000 a.C.). Queste scoperte, in un ambiente scientifico fortemente legato all'idea che la civiltà urbana della valle dell'Indo fosse stata in qualche modo influenzata dall'evoluzione sociale in Mesopotamia e nell'altopiano iranico, iniziarono a colmare, anche se "a macchia di leopardo", un enorme vuoto archeologico. Fu però solo agli inizi degli anni Cinquanta che si diffuse, grazie alle ricerche di W.A. Fairservis Jr. e ad alcuni accurati scavi stratigrafici di B. De Cardi, l'idea che le valli del Baluchistan avessero ospitato un vasto mosaico di culture preistoriche e protostoriche locali e che proprio in queste culture andassero ricercate le radici della stessa Civiltà dell'Indo.

Conscio di poter affrontare solo in minima parte quell'immenso patrimonio archeologico, Fairservis privilegiò ricognizioni di superficie e saggi di scavo molto limitati, nella valle di Quetta, tra il passo del Bolan e Sibi, nelle regioni di Zhob e Loralai e in territorio afghano. Presso Quetta, Fairservis identificò e sondò sino al terreno sterile il sito di Kili Ghul Mohammad, che tuttora rimane, insieme ai livelli più antichi di Mehrgarh, uno dei pochi contesti archeologicamente noti per le fasi del Neolitico tardo o del Calcolitico antico della regione. In alcuni siti della valle di Quetta, come Damb Sadaat, Fairservis riconosceva la prima espressione di uno dei caratteri più distintivi dell'urbanistica della Civiltà dell'Indo, consistente nella dicotomia tra comparto monumentale rialzato e città bassa; inoltre, nell'impressionante serie di terrazze monumentali a gradoni di pietra scoperta a Edith Shahr, nel Sud del Baluchistan, o almeno in parte di esse, egli riteneva si dovessero riconoscere dei basamenti per costruzioni sacre, analoghe alle più tarde ziqqurrat della tradizione mesopotamica. Ancora, Fairservis ipotizzava che le comunità locali avessero sperimentato su scala limitata pratiche agricole e zootecniche in seguito adottate dalla Civiltà dell'Indo e riconosceva in alcuni disegni, comuni nelle ceramiche di diverse culture della Frontiera Indo-Iranica, simboli di notevole rilevanza culturale, con legami di diretta continuità con la Civiltà dell'Indo.

Tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Sessanta del XX secolo, mediante alcuni sondaggi nei siti di Anjira e Siah Damb nella valle di Kalat e di Bampur (Iran sud-orientale), De Cardi stabiliva precisamente la presenza e la cronologia relativa di alcune produzioni ceramiche, rivelatesi poi essenziali per la ricostruzione degli sviluppi culturali protostorici in spazi geografici molto più ampi. Alla fine degli anni Sessanta, i dati raccolti da Fairservis e De Cardi indicavano il carattere sostanzialmente autonomo della protostoria delle culture del Baluchistan, ormai relazionabili ad altri importanti complessi archeologici individuati nel contempo in Turkmenistan (culture pedemontane del Kopet Dagh) e in Afghanistan (scavi di J.M. Casal a Mundigak presso Kandahar).

La successione fondamentale delle ceramiche preistoriche della regione era stata ricostruita nel modo seguente: ceramiche fabbricate a mano, spesso con impronte di cesti (V millennio a.C., Kili Ghul Muhammad); prime ceramiche al tornio e sequenza di Togau (stabilita ad Anjira con varianti stilistiche interne, IV millennio a.C.); ceramiche policrome di Kechi Beg (ultimi secoli del IV millennio a.C.); ceramiche di Quetta a decorazione geometrica (fine del IV - inizi del III millennio a.C.); vari tipi di ceramiche grigie, policrome, color camoscio e rosse, localmente prodotte e circolanti in diverse aree della regione nell'arco del III millennio a.C. (scavi e cultura materiale di Bampur, Shahi Tump, Nal-Sohr Damb, Nindowari). Altre scoperte hanno via via ampliato il panorama delle culture locali e dei loro rapporti con la Civiltà dell'Indo, di cui emergono ora chiaramente processi formativi indigeni, documentabili a partire dal 3000 a.C. circa in siti di pianura come Amri e Kot Diji, nel Sind meridionale e centro-settentrionale, scavati nei primi anni Sessanta.

Tuttavia, sono state le indagini francesi a Mehrgarh, iniziate negli anni Settanta e protrattesi per trent'anni, a rivoluzionare quanto precedentemente ipotizzato sullo sviluppo della vita sedentaria e dell'agricoltura in Baluchistan e nel bacino dell'Indo. Scavi italiani nel Sistan iraniano hanno invece portato alla luce la civiltà dell'Hilmand, con due poli demografici e politici, rispettivamente a Mundigak (Afghanistan) e Shahr-i Sokhta (Iran). Ancora scavi francesi nei siti di Shahi Tump e Miri Qalat, nell'odieno Makran pakistano, hanno svelato le profonde radici delle locali culture protostoriche e il loro improvviso contatto con la Civiltà dell'Indo. Una significativa interazione con la Civiltà dell'Indo è documentata anche dalla civiltà di Kulli, nel Baluchistan centro-meridionale, all'apice dello sviluppo nella metà del III millennio a.C., mentre legati a interessi commerciali della Civiltà dell'Indo sono senz'altro gli avamposti fortificati lungo le coste del Makran e, probabilmente, presso il confine orografico della catena del Kirthar.

Altre comunità commerciali strettamente legate alle civiltà protourbane della Battriana e della Margiana (ritrovamento del cd. "tesoro di Quetta" e delle aree cimiteriali di Sibri presso Mehrgarh) sono attestate, negli ultimi secoli del III millennio a.C., nel cuore del Baluchistan e in diverse altre regioni dell'Oriente iranico. Infine, di recente scoperta è la civiltà di Jiroft, nel bacino del fiume Halil Rud, con le sue ricche necropoli devastate, mentre i grandi monumenti di mattone crudo di Konar Sandal sono ora interpretati da molti come i veri predecessori delle strutture a gradoni mesopotamiche, riportando all'attualità le ipotesi di Fairservis. Alla luce di tanti e tali dati, quella che appariva in passato come una semplice zona di trasmissione delle forme organizzative e delle tecnologie dell'Occidente mesopotamico e iranico verso il Subcontinente indiano si rivela in realtà composta di culture e civiltà protostoriche distinte, diversamente adattate in tempi successivi a ecosistemi e contesti geopolitici completamente diversi, in circostanze storiche ben precise, con implicazioni che sino a pochi decenni addietro nessuno avrebbe nemmeno osato ipotizzare.

Bibliografia

A. Hargreaves, Excavations in Baluchistan, Calcutta 1929; A. Stein, An Archaeological Tour in Waziristan and Northern Baluchistan, Calcutta 1929; Id., An Archaeological Tour in Gedrosia, Calcutta 1931; N.C. Majumdar, Explorations in Sind, Delhi 1934; A. Stein, Archaeological Reconnaissances in North-Western India and South-Eastern Iran, London 1937; W.A. Fairservis Jr., Preliminary Report on the Prehistoric Archaeology of the Afghan-Baluchi Areas, New York 1952; Id., Excavations in the Quetta Valley, West Pakistan, in AnthrPAmMusNatHist, 45 (1956), pp. 239-40; B. De Cardi, New Wares and Fresh Problems from Baluchistan, in Antiquity, 33 (1959), pp. 15-24; W.A. Fairservis Jr., Archaeological Survey in the Zhob and Loralai Districts, West Pakistan, in AnthrPAmMusNatHist, 47 (1959), pp. 277-448; J.-M. Casal, Fouilles de Mundigak, II, Paris 1961; W.A. Fairservis Jr., The Harappan Civilization. New Evidence and More Theory, New York 1961; B. De Cardi, Exploration by Foreign Archaeological Missions. British Expedition to Kalat, 1948 and 1957, in PakA, 1 (1964), pp. 20-29; Ead., Excavations and Reconnaissance in Kalat, West Pakistan, ibid., 2 (1965), pp. 86-182; J.-M. Casal, Nindowari. A Chalcolithic Site in South Baluchistan, ibid., 3 (1966), pp. 10-21; B. De Cardi, The Bampur Sequence in the 3rd Millennium BC , in Antiquity, 41 (1967), pp. 33-41; Ead., Excavations at Bampur, S.E. Iran. A Brief Report, in Iran, 6 (1968), pp. 135-55; J.F. Enault - J.F. Jarrige, Chalcolithic Pottery from Four Sites in the Bolan Area of Pakistan, in SAA [1971], pp. 181-96; J.G. Shaffer, The Prehistory of Baluchistan. Some Interpretative Problems, in Artic Anthropology, 11 (1974), pp. 224-35; W.A. Fairservis Jr., The Roots of Ancient India, Chicago 1975; B. De Cardi, Archaeological Surveys in Baluchistan, London 1983; L. Costantini - L. Costantini Biasini, Agricolture in Baluchistan between the 7th and the 3rd Millennium B.C., in Newsletter of Baluchistan Studies, 2 (1985), pp. 16-30; W.A. Fairservis Jr., Sir Mortimer Wheeler and I. Archaeological Methodologies in the Indo-Iranian Borderlands, in G. Gnoli - L. Lanciotti (edd.), Orientalia Josephi Tucci Memoriae Dicata, Roma 1985, pp. 343-54; G.L. Possehl, Kulli. An Exploration of an Ancient Civilization in South Asia, Dhuram 1986; L. Flam, Excavations at Ghazi Shah 1985-1987. An Interim Report, in PakA, 28 (1993), pp. 131-58; M.D. Harvey - L. Flam, Prehistoric Soil and Water Detention Structures (Gabarbands) at Phang, Sindh Kohistan, Pakistan. An Adaptation to Environmental Change?, in Geoarchaeology. An International Journal, 8 (1993), pp. 109-26; L. Flam, The Other Side of the Mountains. Explorations in the Kirthar Mountains Region of Western Sindh, Pakistan, in C.S. Phillips - D.T. Potts - S. Searight (edd.), Arabia and its Neighbours. Essays on Prehistorical and Historical Developments, Turnhout 1998, pp. 315-26.

Mundigak

Nome di un moderno villaggio, 55 km circa a nord-ovest di Kandahar (Afghanistan meridionale), che designa anche un importante sito protourbano nella valle del Kishk-i Nakhod Rud, alla confluenza dell'Arghandab con l'Hilmand. La principale collina artificiale di M., fortemente erosa, è circondata da altri sei monticoli, designati con lettere alfabetiche (da A, per la collina principale, a G); l'intero comprensorio è racchiuso in un'area di circa 20-25 ha.

Il sito fu scavato estensivamente da J.-M. Casal tra il 1951 e il 1958. Vi fu riconosciuta una sequenza di sette periodi principali, a loro volta divisi in varie fasi: periodo I (fine del V - prima metà del IV millennio a.C.); periodo II (seconda metà del IV millennio a.C.); periodo III (fine del IV - inizi del III millennio a.C.); periodo IV (ca. 2800-2000 a.C.); periodo V (metà del II millennio a.C.); periodo VI (ca. 1200-1000 a.C.); periodo VII (metà del I millennio a.C.). Il centro, secondo le prime interpretazioni, si sarebbe inizialmente sviluppato come stazione carovaniera tra Iran, Afghanistan e Turkmenistan, per poi trasformarsi in un isolato avamposto di vita urbana sotto l'influenza delle contemporanee culture iraniche e della Civiltà dell'Indo. M. Tosi, dopo i suoi scavi nel Sistan iraniano, ha invece dimostrato che M. e Shahr-i Sokhta rappresentavano due poli urbani di una stessa grande area culturale protostorica sviluppatasi in piena autonomia e da lui battezzata "civiltà dell'Hilmand", cui sono probabilmente riferibili anche i siti di Deh Morasi Ghundai (Baluchistan) e Said Qala Tepe (Afghanistan).

Le costruzioni più antiche di M., nel periodo I, 1-3, sono tende o capanne (testimoniate da buche di palo), seguite (periodo I, 4) dalle prime abitazioni di mattone crudo, di piccole dimensioni e monolocali. Al periodo I, 5 risalgono altre abitazioni simili, forse a due stanze, ma costruite su profonde fondazioni e più densamente raggruppate, con fornaci esterne, forse per ceramiche. La ceramica è in maggioranza fine, di colore rosa o bruno chiaro, fatta in parte con cercini assottigliati al tornio, affine alle ceramiche del Calcolitico antico della piana di Kachi e del Baluchistan (tradizioni di Togau, Kechi Beg, Kili Gul Mohammad II, III). Sono presenti frammenti di oggetti di rame, di vasi di alabastro, punzoni di osso e figurine di argilla cruda (bovine e, a partire da I, 4, anche antropomorfe). Al periodo II appartengono abitazioni più fitte (rinforzate da contrafforti e composte da una stanza grande e una piccola) e un pozzo profondo circa 8 m. La ceramica è molto più grossolana di quella precedente e, al contrario di quanto asserito da Casal, non segnata da profonde trasformazioni tecniche. Compaiono proiettili per fionda di argilla cruda, punte di freccia di selce, fusaiole di terracotta di forma troncoconica e il primo esemplare di sigillo a stampo di pietra.

Nel periodo III le abitazioni, a una o due stanze, sono oramai addossate le une alle altre, formando isolati separati da percorsi irregolari o viottoli; parte dell'abitato insiste su una grande terrazza artificiale e si serve di pozzi. Nei livelli superiori di questo periodo compaiono grandi case a più stanze, regolarmente dotate di focolari a pianta quadrata e sponde rialzate; una costruzione era dotata di scale per accedere a un piano superiore. La ceramica mostra una proliferazione di forme, un uso più intenso del tornio e un forte sviluppo delle decorazioni dipinte (disegni policromi geometrici eseguiti dopo la cottura e motivi monocromi corsivizzati tipici della civiltà dell'Hilmand; disegni "stereometrici" analoghi a quelli della ceramica "di Quetta" del Baluchistan settentrionale e degli orizzonti Namazga III della zona pedemontana del Kopet Dagh; rari motivi ispirati al repertorio di Kot Diji, come la foglia di pipal o le "scaglie di pesce"). Al periodo III, 6 si datano anche alcune sepolture collettive entro ciste o camere rettangolari di mattone crudo (un'analoga coincidenza tra questo tipo di sepoltura e la comparsa di grandi case a più stanze si rintraccia, nel periodo Namazga III, nel Turkmenistan meridionale). Si diffondono i sigilli a stampo e l'industria microlitica di selce.

Nel periodo IV, 1 la parte centrale di M. diviene un comparto fortificato, con mura di mattone crudo. Le planimetrie, benché mutile, suggeriscono che l'abitato fosse suddiviso in due o tre comparti interni. Le fortificazioni erano formate da due muri, quello esterno più spesso, con ambienti quadrangolari nello spazio di risulta, dotati di singoli accessi dall'interno; il muro esterno sembra scandito da semipilastri a distanze regolari e da torrioni quadrangolari, anch'essi con semipilastri o contrafforti. Nella collina A le costruzioni precedenti furono abbandonate, troncate e sistemate a terrazze, sulle quali fu costruita in più fasi una complessa struttura palaziale, o più probabilmente templare, a gradoni sovrapposti. Di questo edificio era rimasta parte di due facciate monumentali sovrapposte, con altrettante file di semicolonne intonacate in bianco; quella inferiore era coronata da un fregio con andamento a zig-zag, fatto di mattoni disposti con andamento scalare. Le partizioni architettoniche interne ai gradoni, considerate da Casal resti di cortili e stanze, sono oggi interpretate come sostruzioni. L'edificio fu distrutto dal fuoco e abbandonato intorno al 2500 a.C.

La collina G, a est del sito, copriva i resti di un altro grande edificio (un tempio, secondo Casal), con doppia cortina esterna, a pianta forse quadrangolare suddivisa in celle e muro esterno scandito da proiezioni triangolari, che restano un unicum nell'architettura protostorica dell'Asia meridionale. La cinta racchiudeva un complesso edificio centrale a più stanze. Resti di tubature di terracotta negli edifici principali ricordano analoghe soluzioni a Shahr-i Sokhta e nella valle dell'Indo. Al periodo IV, 3 sembra risalire una statua di calcare grigio, di cui rimane la testa, raffigurante un personaggio maschile con benda frontale che trova stretti confronti con altri esemplari trovati nel Sistan, a Mohenjo Daro (Pakistan) e Dholavira (India), oggi accostati a produzioni della Battriana o del Baluchistan. Nella ceramica del periodo IV, 1 spicca la coppa globulare ad alto piede (verre ballon) decorata con figure di capridi, felini, uccelli, pesci e foglie di pipal. Per tutto l'arco del III millennio a.C. le ceramiche ebbero forme molto variate e vistose decorazioni geometriche, che si semplificarono col tempo; divenne più comune una ceramica dipinta in nero su sfondo rosso. Le somiglianze e i casi di identità con le contemporanee ceramiche di Shahr-i Sokhta (periodi II e III) sono molteplici. La produzione degli ornamenti di pietra semipreziosa, dei sigilli a stampo di pietra, dei vasi e delle lampade portatili di alabastro, di utensili e oggetti ornamentali di rame conobbe il massimo sviluppo, ma agli inizi del II millennio a.C. il centro fu investito da una grave crisi e in breve completamente abbandonato.

Dopo uno iato di alcuni secoli, il periodo V vide l'esclusiva rioccupazione delle rovine dell'edificio della collina A, sulle quali fu eretto il cosiddetto Monument Massif, un grande edificio, mal conservato e di funzione ignota, che inglobò in vaste piattaforme di mattone crudo i vecchi gradoni. L'edificio conteneva ceramiche completamente diverse, secondo Casal fatte a mano, con decorazioni rosso-violetto su spesse ingubbiature rosso vivo (bande orizzontali campite a reticolo, con motivi a zig-zag, losanghe e sottili triangoli con vertice in basso). Mentre il periodo VI è descritto su base ceramica come una fase di abbandono (e dovrebbe corrispondere alla transizione Bronzo-Ferro), il periodo VII (ca. 500 a.C.?) indica una fase finale di occupazione sedentaria. La cima della collina A fu spianata e riempita con strati di pietre, terra e cocci; vi furono erette delle basi rialzate, file di bassi muretti paralleli, interpretati come basi per granai, e forse alcune strutture difensive. La ceramica è non dipinta, fatta al tornio ed è stata accostata a forme della tradizione achemenide in Asia Centrale.

Bibliografia

J.-M. Casal, Fouilles de Mundigak, I-II, Paris 1961; L. Dupree, Deh Morasi Ghundai. A Chalcolithic Site in South-Central Afghanistan, in AnthrPAmMusNatHist, 50 (1963), pp. 59-135; R. Biscione, Relative Chronology and Pottery Connections between Shahr-i Sokhta and Mundigak, Eastern Iran, in Memorie dell'Istituto Italiano di Paleontologia Umana, 2 (1974), pp. 131-35; A. Cattenat - J.-C. Gardin, Diffusion comparée de quelques genres de poterie caractéristiques de l'époque achéménide sur le Plateau Iranien et en Asie Centrale, in J. Deshayes (ed.), Le Plateau Iranien et l'Asie Centrale des origines à la conquête islamique, Paris 1977, pp. 225-48. J.G. Shaffer, Prehistoric Baluchistan, New Delhi 1978; C. Jarrige - M. Tosi, The Natural Resources of Mundigak, in SAA 1979, pp. 115-42; G.F. Dales, Stone Sculptures from the Protohistoric Helmand Civilization, Afghanistan, in G. Gnoli - L. Lanciotti (edd.), Orientalia Josephi Tucci Memoriae Dicata, Roma 1985, pp. 220-24; A. Bouquillon - B. Barthélémy, Analyse de matériaux. Eléments de parures de Mundigak, Paris 1992; J.G. Shaffer, The Indus Valley, Baluchistan and Helmand Traditions. Neolithic through Bronze Age, in R. Ehrich (ed.), Chronologies in Old World Archaeology, Chicago 19923, I, pp. 441-64.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE