L'Europa tardoantica e medievale. Il cristianesimo. La vita cenobitica nelle regioni occidentali: Farfa

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

L'Europa tardoantica e medievale. Il cristianesimo. La vita cenobitica nelle regioni occidentali: Farfa

Maria Letizia Mancinelli

Farfa

Monastero benedettino intitolato a Maria Vergine Madre di Dio, situato nel Lazio, in Sabina, circa 40 km a nord-est di Roma, lungo il corso del torrente omonimo; sorge nel luogo di un preesistente insediamento romano di cui non sono state ancora precisate estensione, tipologia e funzione: per alcuni studiosi si tratterebbe di una villa rustica, per altri di un’area cultuale pagana, forse dedicata alla dea sabina Vacuna.

Secondo una recente ipotesi, il complesso abbaziale si sviluppò in corrispondenza di una statio legata all’attraversamento del Farfa, attestata nella Tabula Peutingeriana e posta lungo un importante diverticolo dell’antica via Salaria, che continuò a essere utilizzato anche in epoca medievale; in conseguenza di tale posizione, F. venne a occupare un punto focale nel quadro delle comunicazioni dell’Italia centrale nell’Alto Medioevo, nella zona di confine fra il ducato longobardo di Spoleto e il ducato romano e ciò contribuì alla rapida crescita in potenza dell’abbazia benedettina, che progressivamente assunse un ruolo egemone politico ed economico, oltre che culturale e religioso. La tradizione monastica collega le origini di F. alla figura di Lorenzo, monaco siro, fuggito in Italia con un gruppo di compagni al tempo della persecuzione di Anastasio I (491-518). Al primitivo cenobio farfense era probabilmente associato anche un insediamento a carattere eremitico sul Mons Acutianus, oggi Monte San Martino, che sovrasta l’abbazia, dove è stato individuato un oratorio medievale sorto al di sopra di un ambiente ipogeo riferibile a epoca paleocristiana. Sempre secondo la cronaca farfense, il monastero venne distrutto in seguito all’invasione longobarda e riedificato soltanto alla fine del VII secolo, a opera di un gruppo di monaci guidati dall’abate Tommaso, nativo della Moriana, in Savoia.

La ricostruzione avvenne con l’appoggio del duca di Spoleto Faroaldo II, che elargì consistenti donazioni, dalle quali ebbe inizio il patrimonio di terre e di beni immobili di F. che, arricchitosi progressivamente, raggiunse l’apogeo fra VIII e IX secolo, con proprietà distribuite in tutta l’Italia centrale. I privilegi di cui l’abbazia aveva goduto durante il regno longobardo, infatti, aumentarono quando questo venne incorporato nell’impero carolingio: nel 775 Carlo Magno concesse a F. l’esenzione da ogni potere civile e religioso, assoggettandola alla sola autorità imperiale; anche i successivi sovrani franchi rinnovarono la loro protezione al monastero che, inserito in un contesto europeo di forte rinascenza, con evidenti influenze nelle realizzazioni architettoniche riferibili a questo arco di tempo, raggiunse il suo momento di massimo splendore. Dopo il periodo critico seguito alle incursioni saracene, che vide F. in balia dell’aristocrazia romana, con il rinnovarsi dell’impero sotto la dinastia degli Ottoni l’abbazia rifiorì, grazie anche all’introduzione della riforma cluniacense; nella prima metà dell’XI secolo le sue fabbriche furono ampiamente restaurate e nel 1060 la chiesa venne solennemente riconsacrata da papa Niccolò II. In seguito il monastero “imperiale”, vicinissimo a Roma, centro e sede della cristianità, venne coinvolto nel conflitto fra Chiesa e impero: per motivi di sicurezza nel 1097 l’abate Berardo II decise il trasferimento della comunità – mai realizzato – sul vicino Mons Acutianus, dove si diede inizio alla costruzione di una nuova chiesa, rimasta incompiuta, della quale sono oggi visibili imponenti ruderi. Con il concordato di Worms (1122) il cenobio farfense passò sotto il diretto controllo dell’autorità pontificia e ciò diede l’avvio a un progressivo declino, politico ed economico. Nel 1400, per porre fine allo stato di crisi, venne istituita la commenda abbaziale, con il conseguente affermarsi a F. dell’egemonia di diverse importanti famiglie baronali romane; con gli Orsini venne realizzata una nuova chiesa, quella attualmente esistente, consacrata nel 1496, che comportò la quasi completa obliterazione del preesistente edificio di culto medievale. Dopo l’Unità d’Italia l’abbazia venne soppressa; parte del fondo librario e archivistico e molti reperti archeologici mobili furono trasferiti altrove. Soltanto nel 1921, grazie a una comunità benedettina proveniente da S. Paolo f.l.m. a Roma, fu possibile riaprire il monastero.

Le indagini archeologiche e le ricognizioni topografiche effettuate a cura della British School at Rome fra il 1978 e il 1985 nel sito di F. hanno evidenziato testimonianze di una continuità insediativa dall’epoca romana fino ai nostri giorni: in particolare, hanno confermato, avvalorando il racconto tradizionale, l’esistenza di una comunità nell’ambito del VI secolo, il cui carattere cristiano potrebbe essere attestato dal ritrovamento di una scodella frammentaria di sigillata africana (tipo Hayes 104A) con decorazione a stampo raffigurante una croce centrale affiancata da due kantharoi, associata a una moneta di Giustino II (565-578). Altre esplorazioni e ricerche erano state svolte nella prima metà del Novecento da P. Markthaler e da G. Croquison e ampi restauri erano stati eseguiti negli anni 1959-62 dalla Soprintendenza ai Monumenti del Lazio: l’analisi delle strutture riportate alla luce, insieme alla lettura delle fonti, ha permesso di proporre una sequenza delle fasi edilizie per l’epoca medievale, anche se le opinioni degli studiosi in proposito non sono sempre concordi.

Al di sotto dell’edificio di culto attuale, con disposizione ortogonale rispetto a esso, è stata individuata la preesistente chiesa medievale, posta a una quota non molto diversa da quella quattrocentesca, dal momento che la pavimentazione orsiniana incluse i resti del piano in opus sectile carolingio; a navata unica, l’edificio presentava a nord-ovest un transetto sporgente con abside semicircolare, fornita di cripta e inclusa in un deambulatorio, mentre a sud-est terminava con un corpo quadrangolare fiancheggiato da due torri, conservatosi in buona parte fino ai nostri giorni, inglobato nelle successive strutture abbaziali. Non si tratta di una costruzione unitaria, ma del risultato di differenti interventi edilizi, per i quali è difficile offrire una ricostruzione diacronica certa e univoca, per l’insufficienza dei dati archeologici e documentari. Sulla base di elementi oggettivi è comunque possibile ipotizzare l’esistenza di un primitivo edificio con navata unica, transetto sporgente e abside semicircolare rivolta a nord-ovest, probabilmente riferibile all’VIII secolo, quindi alla piena età longobarda, quando il monastero rivestiva, come si è visto, un ruolo di particolare importanza; in un momento successivo venne rialzato il pavimento nell’area presbiterale, creando una cripta semianulare, dotata di fenestella confessionis, la cui tipologia e funzione inducono ad attribuirne la realizzazione alla prima metà del IX secolo.

Varie considerazioni di carattere sia archeologico sia tecnico-stilistico portano a collocare in questo stesso secolo la costruzione, dalla parte opposta dell’edificio, del corpo quadrato affiancato da due torri gemelle, una delle quali sopravvive nell’attuale campanile. Questa struttura, la cui immagine, significativamente, si conserva nello stemma del monastero, trova precisi confronti nel Westwerk di ambiente transalpino di epoca carolingia; dotata probabilmente di una cripta, in simmetria con la parte occidentale dell’edificio, potrebbe essere identificata con i lavori dell’abate Sicardo (830-841) descritti nella documentazione farfense. Lo studio delle fonti archeologiche e archivistiche ha permesso anche di arricchire le nostre conoscenze sull’insediamento monastico medievale, che, oltre alla chiesa, doveva comprendere: un ambiente porticato e un’area cimiteriale riservata ai monaci, in parte costituita da un deambulatorio, contigui all’abside altomedievale; un massiccio torrione (15 x 11 m), destinato nel XV secolo alla residenza del cardinale-abate, forse identificabile con il palatium dove trovarono ospitalità gli imperatori in visita a F.; chiostri separati per i religiosi e per i laici; varie cappelle, una delle quali (forse quella di S. Pietro) individuata nel corso degli scavi nell’area a nordest della chiesa più antica. Tutto il complesso era circondato da mura (nelle fonti munitum et turritum): durante le indagini archeologiche sono emerse, presso la controfacciata della chiesa attuale, le fondazioni di un muro massiccio e di una costruzione turriforme, probabilmente resti delle strutture di fortificazione di epoca medievale.

Bibliografia

Fonti:

Il Chronicon Farfense di Gregorio di Catino (ed. U. Balzani), Roma 1903.

In generale:

P. Markthaler, Sulle recenti scoperte nell’abbazia imperiale di Farfa, in RACr, 5 (1928), pp. 68-86.

G. Croquison, I problemi archeologici farfensi, ibid., 15 (1938), pp. 37-71.

L. Pani Ermini, L’abbazia di Farfa, in M. Righetti Tosti-Croce (ed.), La Sabina medievale, Cinisello Balsamo 1985, pp. 34-59.

R. Hodges, In the Shadow of Pirenne: San Vincenzo al Volturno and the Revival of Mediterranean Commerce, in R. Francovich - G. Noyé (edd.), La storia dell’Alto Medioevo italiano (VI-X secolo) alla luce dell’archeologia, Firenze 1994, pp. 117-19.

F. Betti - G. Curzi - D.B. Whitehouse, s.v. Farfa, Abbazia di, in EAM, VI, 1995, pp. 83-95.

M.L. Mancinelli, Nuove acquisizioni sulla viabilità della Sabina tiberina in età tardoantica e medievale, in Z. Mari - M.T. Petrara - M. Sperandio (edd.), Il Lazio tra Antichità e Medioevo. Studi in onore di Jean Coste, Roma 1999, pp. 445-67.

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