L'Italia preromana. I siti etruschi: Vetulonia

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

L'Italia preromana. I siti etruschi: Vetulonia

Anna Talocchini
Mario Cygielman

Vetulonia

di Anna Talocchini

Piccolo centro (etr. vetluna, vatluna, vetalu) della Toscana a nord-ovest di Grosseto, situato sopra un’altura che domina la pianura grossetana un tempo occupata dal mare. Su questo colle, sormontato dal paese di Colonna di Buriano, al quale nel 1887 fu dato il nome dell’antica città, I. Falchi identificò la città etrusca di V., una delle più antiche e fiorenti dell’Etruria settentrionale.

Già in epoca romana i depositi della Bruna (il fiume che separa la collina di V. da quella di Roselle) e dell’Ombrone avevano chiuso l’imboccatura della baia, trasformando ormai l’insenatura marina in un lago detto lacus Prile o Aprilis o Prelius. In seguito, continuando il processo di interramento, il lago si era trasformato in palude (Palude di Castiglioni) ora completamente prosciugata. Una via interna che, risalendo l’Ombrone, si addentrava sulle colline senesi, congiungeva V. con Populonia a nord-ovest e con Saturnia e Marsiliana a sud-est. La valle della Bruna inoltre era facile mezzo di comunicazione tra V. e Roselle. V. è ricordata da Dionigi di Alicarnasso (III, 57), insieme a Roselle, Chiusi, Volterra e Arezzo, per gli aiuti che promise ai Latini nella lotta contro Tarquinio Prisco. Per Silio Italico (VIII, 484-489) V. dette a Roma i simboli del potere: i fasci con la scure dei littori; la sedia curule d’avorio; la toga con la fascia di porpora e la tromba di guerra. Plinio (Nat. hist., III, 57), descrivendo la divisione amministrativa dell’Etruria sotto Augusto, ricorda i Vetulonienses nell’elenco dei comuni. Altra notizia pliniana (Nat. hist., II, 227) per la regione, che aveva a centro V., è quella relativa alle aquae calidae ad Vetulonios. Tolemeo (Geogr., III, 1, 49) fa menzione di V. tra i centri dell’interno: Volterra, Roselle, Manliana, Siena, Saturnia.

V. aveva perso l’importanza di una volta ed era già decaduta o rimasta come segregata, se non è affatto ricordata fra le città etrusche che nel 205 a.C. aiutarono Scipione; né, dopo, negli Itinerari. Tuttavia la sopravvivenza della città etrusca è attestata, oltre che dall’accenno di Plinio, anche da alcune epigrafi (CIL VI, 2375 b; II, 41 e 2382 a 16) del II sec. d.C., in cui appare il nome di Vetuloniesi che prestano il servizio militare. Nulla ci è stato tramandato intorno all’occupazione di V. da parte dei Romani, tuttavia questa deve essere avvenuta pacificamente, al più tardi nel 241 a.C., negli anni in cui fu costruita la via Aurelia, sul corso della quale V. veniva ad avere una posizione dominante. Dopo la Lex Iulia sembra che anche la popolazione di V. fosse inscritta alla tribù Scaptia (Plin., Nat. hist., III, 52; CIL XI, p. 414). Nel Medioevo due soli documenti, del 1181 e del 1204, ricordano il nome di V. e il suo territorio. Da allora il nome di V. esulò dai documenti e fu sostituito da quello di Colonna, rimasto in vigore fino al 1887. I brevi accenni topografici di Tolemeo e di Plinio e l’incerta tradizione medievale intorno a un podium de Vitolonia e a un castellum de Vitulonnio avevano fatto ricercare e identificare la città di V. per tutta la Maremma in varie località differenti e lontane tra di loro. La controversa identificazione suscitò aspre polemiche, ma la scoperta della ricchissima necropoli sul Poggio di Colonna si prestava a dare piena ragione a Falchi, la cui proposta di identificazione è stata generalmente accettata.

S. Ferri ha ripreso la spinosa questione dell’ubicazione di V. sostenendo che di città col nome di V. ve ne sarebbero state almeno tre: quella identificata da Falchi a Colonna; una seconda presso Massa Marittima, che ha conservato il nome fino al Settecento, e una terza, nella località detta Vecchienna. L’identificazione di Falchi concorda con V. città marittima, posta nell’angolo sicuro di quello che fu un golfo di mare (sul cui lato opposto, a circa 16 km in linea d’aria, si trovava Roselle) quale è personificata in numerose monete con simboli marini (l’asse con l’ancora; il quadrante con Palemone sul dritto e l’ancora sul rovescio; il sestante e l’oncia con Palemone da un verso e il tridente e i delfini dall’altro) e dalla rappresentazione dei Vetulonienses nel trono della statua di Claudio a Caere (Roma, già Museo Lateranense, od. Museo Gregoriano Profano) così indicati nella figura di un giovane con il timone sulla spalla. La città, nel cui ambito è attestata una popolazione di facies villanoviana (tombe) fiorì massimamente dalla fine dell’VIII a tutto il VI sec. a.C., dopodiché dovette subire un’involuzione. Solo nel III sec. a.C., in epoca romana, tornò a essere un centro piuttosto importante. Nulla può essere precisato sull’estensione del territorio della più antica V., ma la sua floridezza nel VII sec. a.C. non poteva non esser legata alle miniere della zona metallifera del Massetano; è quindi molto probabile che i piccoli centri presso il Lago dell’Accesa, a sud di Massa Marittima, fossero stati da essa dipendenti.

La cinta delle mura della città non è chiaramente definita, ma da alcuni tratti superstiti è stato possibile stabilirne l’estensione, che è di circa 5 km, e delineare l’area interna di circa 120 ha. Entro quest’area si trovano anche i resti più tardi, tutti di modesto valore. Il perimetro dell’arce ci è forse indicato dalle mura a scarpata del castello medievale dentro il quale sorge la V. attuale. Incorporato tra le due torri medievali, è visibile un bel tratto di mura in opera poligonale. I resti della supposta cinta della città bassa, il cui andamento è incerto, si presentano a filari irregolari di blocchi squadrati e in parte scalpellati alla superficie, più grossi in basso e agli angoli, più piccoli in alto, e sembrano essere piuttosto muri di terrazzamento che mura utili per la difesa della città. Della città propriamente etrusca nulla, allo stato attuale delle ricerche, è stato individuato, ma, dall’estensione delle sue necropoli, si presume sia stata molto vasta e abbia occupato la vetta più alta, sulla quale sorge oggi il paese, e altre due alture a nord-ovest, cioè Costa Murata e Castelvecchio. A nord-est dell’abitato moderno, a circa 500 m dall’arce è stata messa in luce una piccola parte della città risalente al periodo ellenistico o etrusco-romano, distrutta da un incendio in epoca romana.

Lungo una via lastricata, sinuosa, ma che in complesso segue un andamento est-ovest (decumanus), sono allineate botteghe e case, separate da altre vie trasversali, che salgono verso un poggio (il Poggiarello Renzetti), sul quale sono state rinvenute terrecotte decorative di un piccolo tempio. Più oltre, nella località pianeggiante, denominata Le Banditelle, sono stati trovati mosaici appartenenti a una casa romana e altri ruderi di edifici romani in mattoni e calcestruzzo. Si può supporre che nella zona del convento nuovo di Sestinga si trovassero il centro e il foro della V. romana. L’iscrizione dedicata all’imperatore Caracalla, che serviva da architrave a una bifora del convento, un’edicola e due iscrizioni appartenenti a un sodalizio in onore di Marte sembrano confermare questa ipotesi. Recenti scavi eseguiti in località Costia dei Lippi, a nord dell’attuale paese, tra le due alture di Costa Murata e di Castelvecchio, hanno messo in luce un’altra strada basolata romana, con orientamento est-ovest, fiancheggiata da marciapiedi e da canaletti e muri di terrazzamento di notevole imponenza. Alcuni saggi, effettuati nella stessa località, sembrano attestare l’esistenza, in questa zona, di un quartiere della città risalente al periodo ellenistico.

La necropoli di V. è una delle più vaste, estendendosi a nord-est e a ovest, dai poggi vicini alla città fino alla pianura sottostante. Sui poggi più alti e più vicini sono le necropoli villanoviane di Poggio alla Guardia, Poggio alle Birbe, Poggio al Bello a nord-est; di Colle Baroncio e delle Dupiane a ovest. Sono state qui scoperte tombe a pozzetto, talora con copertura a scudo, di incinerati con ossuario biconico villanoviano. Frammiste alle tombe a pozzetto si trovano alcune rare tombe a fossa e, sul Poggio alla Guardia, i cosiddetti “ripostigli stranieri”, con suppellettile più ricca e numerosa, contenente alcuni oggetti nei quali si credette ravvisare un’importazione straniera. La suppellettile è uguale a quella delle tombe a fossa, che sono di un periodo posteriore e appartengono al cosiddetto “Villanoviano evoluto” o alla fase di transizione tra quest’ultimo e il periodo orientalizzante e sono databili alla fine dell’VIII sec. a.C. Intorno a questi sepolcreti arcaici, più in basso, sempre sugli stessi poggi, seguendo con immediata successione topografica e cronologica i primitivi pozzetti villanoviani, si trovano le tombe a circolo. Dapprima i “circoli interrotti” (fine VIII sec. a.C.) formati da pietre rozze confitte nel terreno e distanziate le une dalle altre, che racchiudono e delimitano gruppi di pozzetti (più raramente tombe a fossa) e mostrano una suppellettile, che non si può più definire villanoviana pura, ma di una fase di transizione; seguono poi i “circoli continui” con una o più fosse, spesso limitate da lastre di pietra in modo da formare un cassone, di un periodo più recente (alto VII sec. a.C.).

Sono i cosiddetti “circoli di pietre bianche”, formati da lastre di alberese o sassovivo, messe per ritto, spesso leggermente inclinate in fuori, di un diametro medio di 15-20 m, ma che raggiunge talora più di 30 m. Le tombe a circolo del VII sec. a.C. hanno dato i corredi funebri più ricchi; la suppellettile, assai copiosa, abbonda di oggetti di bronzo, d’oro, d’argento, d’ambra, tutti improntati allo stile orientalizzante. Tra le tombe a circolo più ricche della prima metà del VII sec. a.C. sono da ricordare: il Circolo di Bes; il Circolo dei Monili; il 2o circolo della Sagrona. Della seconda metà del VII sec. a.C. sono: il Circolo dei Lebeti; il Circolo del Tridente; i due Circoli delle Pellicce; la Tomba del Littore; la Tomba del Duce; il Circolo dei Leoncini d’argento. Altre tombe a circolo di modeste proporzioni con suppellettile della fine del VII sec. a.C. sono state trovate a Poggio Valli, un poggio a ovest di V., che si trova alle pendici di Colle Baroncio, il sepolcreto villanoviano scavato dal Falchi.

Alla fase più recente del periodo orientalizzante appartengono le tombe monumentali situate lungo la via denominata dei Sepolcri. Dei molti tumuli esplorati, due sole tombe sono oggi visibili: la Tomba della Pietrera e la Tomba del Diavolino 2 o di Pozzo all’Abate, distinta dalla Tomba del Diavolino 1, trasportata e ricostruita nel giardino del Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Il Tumulo della Pietrera è costituito da una collina artificiale, limitata da un grosso tamburo circolare del diametro di oltre 60 m. La tomba è formata da due camere sovrapposte, la superiore delle quali di pianta quadrangolare con pennacchi angolari, su cui s’innesta la copertura a pseudocupola a massi aggettanti. Non è molto evidente la costruzione della camera inferiore, che sembra non aver avuto pennacchi e aver avuto una pianta circolare. Facevano parte delle strutture le sculture di pietra tufacea (Firenze, Museo Archeologico Nazionale) che sono tra le più antiche rinvenute in Etruria. Esternamente, sui fianchi del tumulo, sono state trovate numerose tombe a fossa, delle quali la quinta sembra contemporanea alla tomba a camera (seconda metà VII sec. a.C.); le altre sono della fine del VII - inizio VI sec. a.C.

L’altra tomba monumentale del Diavolino 2, o di Pozzo all’Abate, ora restaurata, si trova più in basso, sulla sinistra della via detta dei Sepolcri, in un grande tumulo circoscritto da un tamburo assai ampio a tre filari di blocchi squadrati di sassoforte, della metà del VII sec. a.C. È anch’essa a pianta quadrata e pennacchi angolari impostati di traverso, su cui s’innesta la pseudocupola con nel centro un pilastro quadrangolare. Altre tombe a camera di piccole proporzioni, coperte da tumuli, scavate dal Falchi, non sono oggi più visibili. Un’altra tomba a camera con pilastro centrale, la Tomba della Fibula d’Oro, è stata messa in luce sempre in località Diavolino, alle pendici del colle. Alla seconda metà del VII sec. a.C. appartiene una stele di arenaria, con iscrizione lungo il bordo, su tre lati; vi è raffigurato un guerriero, AVILE PHELUSKE, con elmo e scudo rotondo, che regge con la destra una bipenne. Dalle tombe a circolo del periodo orientalizzante provengono numerosi bronzi, quasi tutti di fabbricazione locale: grandi vasi globulari di bronzo laminato su alto piede troncoconico con anse fuse, spesso con protomi di animali e fiori di loto stilizzati; tripodi a bacile emisferico con piedi nastriformi animati da schematiche figurine di cavalli o guerrieri su cavallo schematizzati, caratteristici di V., tipici della quale sono anche i cosiddetti “incensieri”, a forma cilindrica, con pareti concave traforate e coperchio sormontato da maniglia snodabile. Anche i cosiddetti “candelabri a verghetta di bronzo” con figurina umana per cimasa, a vari ordini di rebbi, sembrano essere un prodotto tipico vetuloniese.

Sembrano di fabbricazione locale anche i grossi vasi di impasto alquanto rozzo, a pareti spesse, con decorazione incisa o a impressione. La ceramica locale più recente è più sottile, con superficie lucidata e decorazione incisa o impressa a baccellature e borchiette a rilievo. I buccheri del posto sono piuttosto rozzi, con pareti spesse, molto diversi dai buccheri nero-lucidi delle necropoli dell’Etruria meridionale. Molto frequenti, nelle tombe vetuloniesi del VII sec. a.C., sono gli scarabei e numerosissime le ambre, importate dall’Europa settentrionale. Alcuni prodotti sono sicuramente importati, come i grandi lebeti di bronzo del Circolo dei Lebeti, il carrello porta-vivande di bronzo con anatrelle, sempre del Circolo dei Lebeti. Le navicelle di bronzo della Tomba del Duce, della Tomba delle Tre Navicelle e della Tomba della Costiaccia Bambagini sono di indubbia origine sarda e confermano i rapporti commerciali tra V. e la Sardegna. Importati con tutta probabilità da Caere sono i buccheri a parete sottile, come il bellissimo kyathos della Tomba del Duce con iscrizione a spirale sul piede. Molto rari sono i vasi protocorinzi. Alcuni aryballoi sono probabilmente imitazioni italiche, importati da altre città dell’Etruria meridionale. Due soli frammenti di vaso attico a figure rosse sono stati trovati sul Tumulo della Pietrera e, in due tombe a circolo della piana del Diavolino, sono stati trovati i primi frammenti di vasi attici a figure nere.

La produzione più antica e originale è l’oreficeria. Nessuna città dell’Etruria settentrionale mostra una tale abbondanza e varietà di oreficerie come V. Senza dubbio vi è stata una scuola di orafi fiorentissima, la quale usava le tecniche che divennero abituali nell’oreficeria etrusca, con indirizzo e gusto del tutto particolari. Mentre nell’oreficeria dell’Etruria meridionale si ha prevalenza della decorazione plastica, a V. prevale il gusto disegnativo, come si può notare nella decorazione a granulazione, ridotta in pulviscolo, che serve per sottolineare la forma dell’oggetto e per ornarlo con motivi a disegno. Si trova poi la filigrana, tecnica molto rara nell’Etruria meridionale. Sono sottili nastri di lamina d’oro, uniti insieme da filo d’oro serpeggiante o a meandro. Questa tecnica è usata soprattutto per le armille, di cui esemplari bellissimi sono stati rinvenuti nelle tombe periferiche del Tumulo della Pietrera. Fra le più belle oreficerie vetuloniesi sono quelle della Tomba del Littore, che raggiungono una finezza e una perfezione eccezionali. Della fine del V sec. a.C. sono alcuni dischi di lamina d’oro, brattee o pendagli di collana, sui quali è sbalzata una testa femminile, di tipo attico, incorniciata da un serto di fiori.

Del IV sec. a.C. è un bellissimo kottabos di bronzo con Sileno equilibrista, che regge con la destra il piattello, trovato presso le mura dell’arce. Sempre al IV-III sec. a.C. appartengono numerosi elmi, trovati fortuitamente nel 1905 al limitare delle mura dell’arce, tutti del tipo etrusco a cappello displuviato a base ovale con rientranza, forse intenzionalmente schiacciati. All’ultima fase etrusco-romana appartengono alcuni rilievi fittili con ninfa sorpresa alla fonte, che adornavano il timpano del tempietto del Poggiarello Renzetti. Negli scavi della città furono trovati vasi e statuette fittili e di bronzo. Di età romana due statuette di Lari di bronzo su piedistalli e una grande clava forse appartenente a una colossale statua di Ercole di bronzo. Interessante il rivestimento fittile di un pozzo, con scene bacchiche in altorilievo. Completa o quasi è la serie delle monete, tutte trovate entro il cerchio delle mura e particolarmente nelle località delle Banditelle e di Leccetina. Tra queste numerose sono le monete del III sec. a.C. con la triplice leggenda: CHA, VETULA, PUPLUNA (dove cha sta per chamais, cioè Chiusi, V. e Populonia) che evidentemente avevano formato una federazione economica.

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Scavi e ricerche

di Mario Cygielman

L’esame del materiale conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze ha permesso l’articolazione sempre più precisa del precoce ruolo di V. nella dinamica degli scambi con aree diverse (Etruria meridionale, Sardegna, area bolognese) tra l’età del Ferro e l’Orientalizzante (fine IX - fine VII sec. a.C.). La ricezione di beni suntuari nell’Orientalizzante antico è confermata dalla presenza, nei corredi della necropoli vetuloniese, di oggetti d’importazione di grande prestigio: nella tomba a fossa di Castelvecchio, scavata nel 1964, un sigillo della classe del Lyre-Player Group fa datare la deposizione più antica ancora alla fine dell’VIII - inizio del VII sec. a.C., mentre una coppa d’impasto con decorazione dipinta manifesta una chiara derivazione da quella serie di coppe greco-cicladiche che in quest’epoca affluiscono nei mercati etrusco-meridionali. La continuità d’uso della necropoli delle Dupiane dall’età del Ferro (VIII sec. a.C.) a età romana, con presenze particolarmente ricche nel V e IV sec. a.C., apre nuove prospettive per la conoscenza della vita del centro. Da questa necropoli proviene anche l’alfabetario su lastrone lapideo, prezioso documento epigrafico di età ellenistica.

A questi dati che già di per sé comportano un cambiamento del quadro noto, che vedeva nel corso del VI sec. a.C. un graduale declino di V. a favore di Roselle, si aggiungono ora nuove informazioni provenienti dallo scavo dell’abitato antico: la scoperta negli anni Settanta del Novecento in località Costa Murata di ingenti quantità di ceramiche, per lo più d’importazione, pertinenti forse a un deposito votivo e collocabili cronologicamente tra la fine del VI e la metà del V sec. a.C., costituiscono un’interessante e indiretta conferma dei dati forniti dalla necropoli. Una ripresa demografica ed economica per V. è evidenziata dalla grande attività edilizia documentata nell’abitato tra il III e la metà del I sec. a.C.: si ricorda la scoperta di un tratto della cinta muraria con strada basolata e porta d’ingresso in località Costia dei Lippi e una vasta domus con imponenti resti di decorazione architettonica in località Costa Murata.

In località Poggiarello Renzetti si è messa in luce una nuova casa ad atrium (che suggerisce analogie strutturali con coeve case pompeiane, ad es., Domus Stalli Erotis, Casa del Parnaso, ecc.), del tipo già noto dagli scavi Falchi 1895-96, con fasi di vita ascrivibili a un periodo che va dall’inizio del II alla metà del I sec. a.C., quando la struttura è abbandonata, probabilmente, a causa di un incendio. Il ritrovamento sotto il crollo del tetto dell’atrium di un frammento di lastra architettonica figurata, della serie di quelle già rinvenute nello stesso luogo dal Falchi e generalmente riferite alla decorazione di un naiskos, chiarisce la destinazione di queste lastre anche per uso privato e consente una nuova interpretazione mitologica delle raffigurazioni (Medea a Corinto). Una vivacità di scambi commerciali in questo periodo si denota dalla presenza, tra i materiali provenienti dall’abitato, di anfore rodie, ceramiche iberiche e monete sardo-puniche, mai prima documentate a V. Una conferma indiretta dei dati relativi all’abitato proviene anche dalle recenti acquisizioni fornite dagli scavi della necropoli in località Val di Campo, dove piccole tombe a tumulo della fine del VII sec. a.C. vengono riutilizzate con deposizioni di pieno II sec. a.C. Anche il patrimonio epigrafico, altrimenti scarso, si è notevolmente incrementato con le ricerche recenti.

Non meno importanti risultano le acquisizioni provenienti dal territorio. Il tumulo di Poggio Pelliccia, posto alla fine della grande necropoli vetuloniese, ma ormai isolato da essa, su una direttrice viaria, porta d’accesso ai bacini metalliferi di Ribolla e del Massetano, ha infatti restituito nei corredi di diverse deposizioni collocabili tra la fine del VII e la metà del V sec. a.C. ceramiche d’importazione greco-orientali, corinzie, attiche, etrusche, uova di struzzo istoriate, appliques di bronzo e oggetti personali d’oro, evidenziando anche per il territorio un rigoglioso afflusso di beni suntuari. L’indagine delle necropoli sparse nell’agro vetuloniese – Val Berretta, Selvello, San Germano, Campo della Manganella – tutte dislocate in punti d’accesso alle aree metallifere, ha contribuito a disegnare per questo momento cronologico (fine VII - metà V sec. a.C.) un nuovo quadro insediativo del territorio vetuloniese. La scoperta di queste necropoli, di cui rimangono ancora sconosciuti gli insediamenti di riferimento, insieme allo scavo dell’abitato dell’Accesa, fornisce un ulteriore contributo alla storia del popolamento del territorio, anche se non risulta completamente chiarito il rapporto tra questi centri periferici, legati probabilmente all’estrazione, lavorazione e trasporto dei minerali, e V.

Una ricerca capillare su un campione di territorio ne ha rivelato la frequentazione senza soluzione di continuità dal Bronzo Finale sino all’età romana. Proprio in quest’ultimo periodo l’agro vetuloniese appare densamente popolato con ville rustiche e complessi monumentali di una certa importanza: tra questi ultimi da ricordare la Villa di Clodio nota dalla tradizione letteraria (Cic., Mil., XXVII, 74) da collocare probabilmente alla Badiola al Fango e la Villa delle Paduline (Castiglione della Pescaia) solo in parte indagata alla metà degli anni Settanta del Novecento e per cui è stato possibile individuare almeno due fasi di vita: una tardorepubblicana/giulio-claudia e una flavioadrianea. Un graduale abbandono del territorio si prospetta già in età tardoantica con il progressivo impaludamento del lago Prile e la conseguente formazione di quel lago di Castiglione che tanta parte avrà nella storia del territorio di Castiglione della Pescaia in età medievale e moderna.

Bibliografia

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