L'Italia romana delle Regiones. Regio XI Transpadana

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

L'Italia romana delle Regiones. Regio XI Transpadana

Liliana Mercando

Regio xi transpadana

La regio XI (Transpadana), comprendeva gran parte dell’odierno Piemonte a nord del Po, la Valle d’Aosta, il Canton Ticino e il territorio della Lombardia, con l’esclusione di quello definito nelle attuali province di Brescia, Mantova, Cremona, che era assegnata alla regio X (Venetia et Histria). La valle di Susa faceva parte della provincia delle Alpi Cozie; il territorio a sud del Po, unito alla fascia costiera ligure, formava la regio IX, Liguria. Permane incertezza per Bergamo, assegnata alla regio IX nella divisione augustea e alla regio X in quella di Diocleziano.

Preistoria e protostoria

Nell’area piemontese recenti scoperte attestano la presenza del Paleolitico (reperti in selce nel Vercellese e nel Novarese) la cui manifestazione più notevole è evidenziata dai giacimenti in grotte del Monfenera (presso Borgosesia) e dalle pendici del rilievo isolato di Trino Vercellese, frequentate fin dal Paleolitico inferiore. Anche in Lombardia il Paleolitico non è finora molto rappresentato: reperti attribuibili al Musteriano e al Mesolitico sono venuti in luce nella provincia di Varese; nel Comasco è documentato il Musteriano (grotta del Tanun) e un notevole giacimento del Paleolito medio e superiore (Buco del Piombo). Il Neolitico è attestato in modo diffuso e in particolare nell’importante insediamento dell’Isolino di Varese, con la cultura del “vaso a bocca quadrata” e la successiva cultura della Lagozza (Neolitico superiore). Nell’area piemontese i più noti ritrovamenti neolitici sono compresi nella regio IX; recentemente è stata individuata una facies neolitica a Chiomonte (Valle di Susa) con ripari sotto rocce frequentati fino all’età del Bronzo. Nel Novarese sono state riconosciute officine per la lavorazione della selce scheggiata, con reperti 1180 L’Arco di Augusto ad Aosta. databili tra il Neolitico medio e l’Eneolitico. Per la Valle d’Aosta i ritrovamenti più antichi risalgono al tardo Neolitico; molto più ricco è l’Eneolitico per cui si segnalano l’insediamento di Vollein (Quart), con necropoli di tombe a cista, e l’eccezionale area megalitica di Saint-Martin de Corléans alla periferia di Aosta. Nel complesso, scoperto nel 1969, sembrano individuabili quattro fasi strutturali, di cui particolarmente notevole dovette essere la terza, alla quale sono attribuiti i menhir e le stele antropomorfe che furono poi in parte riutilizzate in grandi tombe a deposizioni multiple. Si ricordano a questo proposito le coeve statue-stele della Valtellina con decorazioni incise, che rientrano nel ricco panorama delle manifestazioni d’arte rupestre di cui fanno parte i complessi della Val Camonica e del Monte Bego, particolarmente famosi. L’Eneolitico lombardo sembra non abbia recepito nell’area occidentale la cultura di Remedello diffusa nella pianura sud-orientale; sono invece distribuite in Brianza e nelle valli bergamasche le sepolture multiple in grotticelle o in ripari sotto roccia caratteristiche dell’area prealpina; è attestata la presenza, se pur sporadica, del vaso campaniforme in Piemonte. Qui si sviluppano nell’età del Bronzo importanti insediamenti lacustri; oltre alle più note torbiere di Mercurago (Lago Maggiore) e Avigliana (Torino), sono stati recentemente riconosciuti nel Lago di Viverone (Biella-Torino) alcuni villaggi palafitticoli sommersi (ne sono state rilevate le planimetrie). Altri frequenti ritrovamenti dell’età del Bronzo sono stati segnalati in provincia di Torino e in Val di Susa.

Non sono stati finora riscontrati elementi attribuibili alla cultura di Polada, nota invece in Lombardia; stazioni palafitticole lacustri sono frequenti nel Varesotto; particolarmente interessanti i ripostigli (asce, collari, armille, pugnali, panetti di bronzo grezzo), dislocati lungo le vie fluviali di grande comunicazione. In Valle d’Aosta insediamenti dell’età del Bronzo sono stati identificati sulle alture e continuano fino all’età del Ferro, in analogia con i tipici “castellieri”. Anche ad Arona (rocca), nel Parco della Burcina (Biella) e a Belmonte sono venuti in luce insediamenti che dalla fine dell’età del Bronzo durano nella successiva età del Ferro fino al VI-V sec. a.C.

Nella media età del Bronzo viene introdotto nella Lombardia occidentale e nell’area orientale del Piemonte il rito dell’incinerazione, attribuito anche all’immigrazione di nuove popolazioni; nel Bronzo Finale si diffonde nella stessa area la cultura protogolasecchiana (XIIX sec. a.C.), cui seguì la cultura di Golasecca che si articola nell’età del Ferro in varie fasi, dal X al IV sec. a.C. I materiali rinvenuti provengono per lo più dalle necropoli, tra cui si segnalano quelle della Ca’ Morta, presso Como, di Sesto Calende, di Castelletto Ticino, di San Bernardino di Briona (in quest’ultimo sepolcreto sono presenti le tombe a tumulo), del Canton Ticino. Tra i corredi più ricchi, del VII sec. a.C., si ricorda quello del guerriero di Sesto Calende (armi, carro, finimenti del cavallo), dove si rinvenne una seconda tomba di guerriero e un’altra tomba principesca femminile, databile alla seconda metà del VI sec. a.C., con notevoli ornamenti e vasellame di bronzo. Il periodo di massima fioritura, fino a livelli protourbani, della cultura golasecchiana risale al V sec. a.C. ed è probabilmente connesso con l’espansione commerciale etrusca nella pianura padana: oggetti etruschi fanno parte dei corredi funerari, le incisioni sono in alfabeto nordetrusco; l’area golasecchiana fu infatti al centro di intensi traffici verso l’Europa settentrionale e il fiume Ticino rappresentò una continua, agevole via di comunicazione. Con l’invasione gallica (388 a.C.) la cultura di La Tène subentrò a quella di Golasecca introducendo cambiamenti radicali sia nei materiali sia nel rito funebre (inumazione); in aree marginali elementi gallici furono recepiti nel superstite contesto golasecchiano e nel corso del tempo si giunse, nel II-I sec. a.C., a un tale processo di osmosi da rendere non distinguibili gli apporti originali. Nei territori compresi tra il Ticino e l’Oglio si erano stanziati gli Insubri, che fondarono Milano sull’area di un precedente sito golasecchiano. Tra le aree più ricche di ritrovamenti si annoverano il Pavese e la Lomellina (Garlasco); nel Novarese questo periodo è documentato dalle importanti necropoli di Gravellona e Ornavasso.

Dalla conquista romana alla tarda antichità

La penetrazione romana a nord del Po ebbe inizio con la vittoria di C. Flaminio sugli Insubri a Casteggio (222 a.C.); nel 218 a.C. vengono fondate le colonie latine di Cremona e Piacenza; nel 196 a.C. M. Claudio Marcello vince gli Insubri e i Comensi nei pressi di Como; dopo la sconfitta dei Boi e la fondazione di Bologna (189 a.C.), cui seguono Modena e Parma (183 a.C.), nel 187 a.C. viene tracciata la via Aemilia (che collegava Rimini a Bologna); nel 181 a.C. viene fondata Aquileia e si presenta la necessità di ampliare la rete stradale: nel 148 a.C. il console Sp. Postumio Albino provvede al tracciato della via Postumia, che attraversava tutta la Cisalpina da Genova ad Aquileia. Nel corso del II sec. a.C. Roma attua la progressiva romanizzazione della Cisalpina; l’area che sarà compresa nella Transpadana significava non solo ricchezza agricola, ma anche una fascia di controllo delle valli alpine e dei paesi verso settentrione nonché della produzione mineraria particolarmente ricca in Valle d’Aosta, a opera dei Salassi, e nella regione della Bessa tra Ivrea e Vercelli.

Ivrea (Eporedia) fu fondata nel 100 a.C. come avamposto strategico all’imbocco della valle stessa, ancora sede dei Salassi, ivi ritiratisi (Strab., IV, 7) dopo l’intervento di Appio Claudio (143 a.C.). La posizione della città fu certo in relazione a un primitivo guado sulla Dora e determinante per il controllo del percorso verso il Grande e il Piccolo San Bernardo, passi che dovettero essere frequentati in epoca preistorica, anche se i ritrovamenti più antichi finora datati risalgono all’età del Ferro. Al Gran San Bernardo la strada per le Gallie correva sotto una rupe sacra; si sono scoperti i resti di un piccolo tempio in antis, con ex voto in bronzo databili tra il I e il II sec. d.C., e di due mansiones attribuite al I sec. d.C.; al Piccolo San Bernardo sono stati individuati un recinto forse attribuibile all’età del Ferro, resti di una mansio romana e di ambienti cultuali.

Riguardo a Ivrea, si nota come la planimetria della città romana si adegui al pendio del terreno che scende verso la Dora. Le altre colonie più antiche sorsero a sud del Po; dopo Tortona (Dertona; 143 a.C.) si attribuiscono altre fondazioni al console M. Fulvio Flacco (125-123 a.C.), cui si deve il tracciato della via Fulvia che da Tortona, attraverso Forum Fulvi raggiungeva Hasta (Asti) e Pollenza. La lex Pompeia (89 a.C.) concedeva il diritto latino (ius Latii) alle comunità transpadane; lo stesso Pompeo Strabone intervenne per la sistemazione di Comum (Como) danneggiata da un’incursione dei Raeti; gli si attribuiscono altri interventi (Pavia - Ticinum, Alba - Alba Pompeia, Lodivecchio - Laus Pompeia), che forse sono riconducibili al figlio Pompeo Magno. Comunque, gli impianti urbani di età repubblicana sono finora poco documentati, né le fonti storiche sono ricche di particolari (Pol., II, 17, sugli usi e costumi delle popolazioni celtiche della Cisalpina; Strab., V, 1, 6; Liv., XXXIII, 36, 14; Plin., Nat. hist., III, 43, 148). Le manifestazioni figurative note non sembrano risalire oltre la metà del I sec. a.C. Le iscrizioni ricordano gentilizi di formazione centroitalica, donde provenivano i coloni; non si può non tener conto anche della loro cultura originaria nella formazione della produzione artistica cisalpina, che nell’area transpadana occidentale denota inoltre particolari legami con le correnti transalpine gallo-romane. L’organizzazione romana del territorio oltre che dalla sistematizzazione dei numerosi percorsi stradali, si può leggere anche nelle tracce superstiti della centuriazione, particolarmente conservata, ad esempio, nell’agro di Ivrea e nella pianura a sud e a ovest di Milano (Mediolanum).

Gli impianti urbani, più addensati nell’area piemontese che in quella lombarda, sono spesso ricostruibili in base a resti sporadici dei tracciati viari e delle mura urbiche; a volte la persistenza del reticolo romano fino all’età moderna (Como, Pavia, Aosta, Torino) suggerisce suddivisioni non altrimenti recuperabili. Spesso l’esistenza di monumenti è nota soltanto da fonti letterarie o epigrafiche; molte lacune si riscontrano nella storia urbanistica delle città e talora neppure la cinta muraria è attestata con certezza. Il principio teorico degli assi ortogonali è stato applicato con notevoli varianti alla ricerca di miglioramenti funzionali; sono evidenti con frequenza gli adattamenti all’assetto geo-morfologico del terreno e a eventuali preesistenze, non sempre peraltro determinabili con sicurezza (Ivrea, Bergamo); si hanno casi di progettazione integrale, casi di ampliamenti successivi (Milano, Como). Tuttavia i criteri distributivi nell’ambito della città sono di solito affini: il forum è generalmente situato all’incrocio del cardo maximus e del decumanus maximus, ma ad Aosta, che pure ha un impianto castrense molto simile a quello della coeva Torino (25 a.C.), si nota che il foro è spostato nell’area a nord del decumanus maximus (lo fiancheggia col lato breve), area dove sono stati previsti tutti gli edifici pubblici, mentre quella meridionale è stata destinata all’edilizia abitativa.

Molte volte del foro si conosce solo l’ubicazione (Milano); a volte la stessa è puramente ipotetica (Bergamo, Torino) o finora sconosciuta (Vercelli, Novara). Al cardo e al decumanus maximi corrispondono in genere le principali porte della città, che si aprono verso le vie di grande comunicazione. Le cinte murarie, spesso arricchite da torri, presentano ingressi monumentali, non sempre completamente conservati. A Vercelli non si sono finora trovate le mura urbiche, che invece sono state messe in luce per alcuni tratti a Novara rendendone così noto il perimetro; come a Torino, anche qui la forma urbana non è perfettamente quadrata, ma è caratterizzata da un taglio obliquo su un lato, probabilmente causato dall’adattamento alla conformazione del terreno, inficiando la perfetta regolarità del perimetro. Un tratto delle mura tardo-repubblicane è stato scoperto a Milano; si è riconosciuto il perimetro delle mura e degli assi principali, il foro è ipotizzato nell’area di piazza San Sepolcro. Intorno a questo nucleo si è riscontrato un reticolato di orientamento diverso, forse successivo, esteso anche all’ampliamento massimianeo. A Massimiano vengono attribuiti notevoli interventi edilizi, quali, appunto, l’ampliamento della cinta muraria, la costruzione del circo e delle terme cosiddette Erculee; a questo stesso periodo risalirebbero anche le terme di via Brisa e i palazzi imperiali, forse identificabili con notevoli resti venuti in luce in piazza Mentana. A Bergamo (Bergomum) la città romana, situata nella parte alta, dovette adattarsi alla morfologia del terreno e forse a un abitato preesistente. Il tracciato delle mura non è certo, mentre è stato individuato il percorso degli assi principali; si ritiene che il foro potesse essere nell’area di piazza Duomo. Resti forse attribuibili al teatro sono documentati sul colle San Giovanni. Como (Comum) sorgeva su un pianoro non molto esteso ed era strutturata secondo l’impianto castrense. Si riconoscono tratti di strade; il foro è ipotizzato al centro, all’incrocio degli assi principali. Si sono scoperti resti delle mura repubblicane e di una delle torri; si conserva in pianta la Porta Praetoria, fiancheggiata da torri ottagonali. Da un’iscrizione si ha notizia di un tempio dedicato all’Eternità di Roma e ad Augusto; si ricorda inoltre che Plinio il Giovane donò alla città un edificio termale e una biblioteca.

Per quanto riguarda Pavia il suo impianto romano è particolarmente leggibile, sottolineato da una rete fognaria ben conservata. Poco si conosce della città; discusso è il percorso delle mura e delle porte si ha memoria letteraria e grafica (la pianta della Porta Nord, verso Milano, fiancheggiata da due torri poligonali, è tramandata da un disegno di Giuliano da Sangallo). Un anfiteatro è citato in documenti medievali e in un’iscrizione. Resti di un ponte romano sono stati individuati non lungi dall’attuale ponte coperto. Delle grandi opere pubbliche, che certamente Roma promosse e che sono ricordate dalle fonti letterarie ed epigrafiche, ben poco resta al di là dei tracciati viari che, per la loro funzionalità, sono rimasti in uso fino a oggi. Si ricordano gli imponenti tratti della strada per le Gallie in Val d’Aosta al Gran San Bernardo e a Donnaz: qui è stato praticato un notevole taglio nella roccia per permettere il passaggio della strada; alcuni ponti (sul Bouthier presso Aosta, a Pont St. Martin, a Pavia); un’interessante opera idraulica in Val di Cogne, a Pondel, che utilizza un ponte, datato dall’epigrafe al 3 a.C., attualmente visibile nel suo aspetto tardoantico o altomedievale.

Le indagini archeologiche sul territorio sono troppo parziali per poter avere un chiaro rapporto tra i centri urbani e le zone circostanti. Resti di ville e impianti rustici sono stati individuati nell’area suburbana di Aosta e lungo la valle, dove ulteriori testimonianze sono attribuibili a vici o a pagi; ritrovamenti analoghi sono avvenuti nell’ager di Ivrea e di Chieri (Carreum Potentia?). A nord di Torino, nella Valle di Susa sono state rinvenute due ville romane. È stato oggetto di particolare attenzione il Novarese, anche a seguito di opere pubbliche moderne: sono stati messi in luce insediamenti rurali piuttosto poveri, databili tra il I e il II sec. d.C. e caratterizzati da una lunga durata nel tempo; viene così confermato il notevole popolamento della zona, anche se il tema deve essere approfondito, soprattutto in rapporto al problema della centuriazione. Oltre il Ticino si segnalano i ritrovamenti di Angera, già identificata con il vicus Sebuinus e probabile sede di una flotta lacustre; la grotta naturale ai piedi della rocca, frequentata fin dal Paleolitico medio, fu poi sede di culto mitriaco. Recenti scavi hanno messo in luce, oltre a un’importante necropoli, un impianto manifatturiero.

Nel Bergamasco sono stati individuati resti di ville rustiche a Ghisalba e a Isso, oltre a cisterne e vasche, che sono venute in luce anche nel Comasco. Nessuno dei ritrovamenti può essere paragonato a quelle che dovettero essere le ville signorili di cui rimane memoria, come quelle di Plinio, sulla riva del lago di Como, denominate Comoedia Tragoedia, o quelle sul Garda (Sirmione, Desenzano) nella regio X.

L’arco cronologico dei ritrovamenti funerari è ampiamente documentato dal periodo repubblicano al tardoantico. Accanto ai materiali provenienti da vecchi scavi e purtroppo spesso avulsi dai contesti originari (si ricordano in particolare i bellissimi vetri del Piemonte e della Lomellina) si possono annoverare recenti scoperte non solo sporadiche, ma anche riferibili a grandi sepolcreti, che sono stati oggetto di accurate campagne di scavo e hanno offerto una ricca documentazione. Tra questi ricordiamo ad Aosta la necropoli fuori Porta Decumana, con tombe a semplice fossa o a recinto, corredi databili dal I al IV sec. d.C., prevalenza della cremazione diretta, introduzione del rito inumatorio in età antoniniana; a Vercelli una vasta necropoli a incinerazione, databile al I-II sec. d.C.; la necropoli di Biella caratterizzata dalla presenza di piccole sculture fittili, simili a quelle diffuse nell’area verbano-ticinese e presenti nella necropoli di Angera. Qui sepolture a cremazione (diretta e indiretta) coesistono con quelle a inumazione che, però, sono più frequenti dall’età adrianea al III sec. d.C.; le fasi più antiche furono probabilmente distrutte e si trovavano nell’area più vicina al vicus romano.

Fanno parte dei corredi oltre ai vetri e alle sculture fittili, oggetti di metallo a pareti sottili, terra sigillata e invetriata, ceramica comune, monete ecc., rari gli ornamenti preziosi. Le urne cinerarie sono di vario tipo in marmo o pietra, di piombo, di vetro e di ceramica. Mancano finora precise connessioni tra le sepolture e le stele funerarie, ritrovate in genere avulse dalle tombe. I rilievi delle stele, come delle are, rappresentano un ampio panorama della scultura popolare: accanto alle frequenti, varie interpretazioni del ritratto del defunto, si sviluppano scene di genere, di banchetto, temi mitologici, figurazioni legate al mestiere e alla professione del morto. I motivi ornamentali appartengono a un repertorio derivato per lo più dall’architettura monumentale; sono ormai lontani dalle manifestazioni originarie e vengono costretti in una dimensione riduttiva.

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