L'Ottocento: fisica. Faraday e la genesi del concetto di campo

Storia della Scienza (2003)

L'Ottocento: fisica. Faraday e la genesi del concetto di campo

Friedrich Steinle

Faraday e la genesi del concetto di campo

Faraday assistente di chimica alla Royal Institution

Gli sviluppi più spettacolari dell'elettromagnetismo si ebbero in un luogo preciso: il laboratorio della Royal Institution a Londra. In questa sede, dov'erano a disposizione per la ricerca sperimentale i migliori strumenti di tutta l'Inghilterra, Humphry Davy (1778-1829) si occupò degli argomenti più disparati, come l'analisi chimica, la pila di Volta, la lampada di sicurezza per i minatori, i rivestimenti in rame per le imbarcazioni e l'elettromagnetismo; nel 1813 aveva assunto come assistente di laboratorio il giovane Michael Faraday (1791-1867). Figlio di un maniscalco, Faraday era cresciuto in un ambiente ancor più modesto di quello da cui proveniva Davy e da ragazzo era stato apprendista in una legatoria, dove per un breve periodo aveva fatto il mestiere del rilegatore. Era animato però da un forte interesse per la filosofia naturale, che lo aveva spinto a studiare una gran quantità di materie diverse, perlopiù da autodidatta, e a cimentarsi in qualche esperimento di chimica. Un giorno, un cliente della legatoria dove lavorava gli regalò alcuni biglietti per assistere alle lezioni di chimica che Davy teneva alla Royal Institution, un lusso che il giovane Faraday non si sarebbe potuto permettere con i propri mezzi. Fu così che riuscì a entrare in contatto con il grande studioso, e quando, di lì a poco, si rese disponibile un posto di assistente di laboratorio, Davy lo offrì a Faraday, che accettò e abbandonò il mestiere di rilegatore. Per i successivi cinquant'anni, la Royal Institution divenne la sua casa, con l'unica interruzione rappresentata da un viaggio nel Continente europeo, negli anni delle guerre napoleoniche fra il 1813 e il 1815, in occasione del quale accompagnò Davy come suo segretario personale. Davy apprezzava molto il lavoro del suo nuovo assistente e lo incoraggiò a fare ricerca per proprio conto; da parte sua, Faraday apprese la pratica di laboratorio lavorando insieme a Davy, che ammirava profondamente. Dal 1816 in poi, Faraday pubblicò numerosi articoli minori riguardanti l'analisi chimica e le leghe dell'acciaio, persino sulle "Philosophical Transactions". Nel 1821 accaddero alcuni avvenimenti di grande importanza per il giovane scienziato: la sua posizione alla Royal Institution migliorò, essendo stato nominato 'sovrintendente della casa'; sposò Sarah Barnard e aderì alla comunità di Robert Sandeman, una piccola setta con un'intensa vita religiosa, basata su un'interpretazione molto letterale della Bibbia, piuttosto che su qualche sofisticata teologia.

Faraday aveva assistito in passato ad alcuni esperimenti di Davy sull'elettromagnetismo, in parte eseguiti insieme a William H. Wollaston (1766-1828). Decise dunque di iniziare le sue ricerche sull'argomento preparando un articolo di rassegna assai minuzioso, per il quale studiò dettagliatamente la letteratura specifica, ripetendo la maggior parte degli esperimenti. Faraday individuò un problema fondamentale: nessuno aveva ancora formulato una legge generale per il comportamento dell'ago magnetico, in particolare per quei casi nei quali l'asse di sospensione non era sullo stesso piano del filo conduttore. Esperimenti accurati lo portarono a scoprire, nel settembre del 1821, che i movimenti dell'ago erano più complessi di quanto si pensasse e immaginò di poterli adeguatamente rappresentare mediante un percorso circolare di ciascun polo magnetico intorno al filo del circuito. Faraday non fu il primo a proporre uno schema concettuale che superava quello, classico, di attrazione e repulsione: in effetti, qualche tipo di azione circolare era stato preso in considerazione sia da Hans Christian Oersted (1777-1851) sia da Davy, ma nessuno aveva mai tradotto quell'idea in un fenomeno di moto vero e proprio. È quanto riuscì a realizzare Faraday, con grande successo: la rotazione elettromagnetica continua da lui ottenuta non fu solamente un fenomeno spettacolare, ma rappresentò una seria sfida alla più avanzata teoria elettromagnetica del tempo, quella di André-Marie Ampère (1775-1836), che considerava unicamente attrazione e repulsione, ma non le rotazioni. Faraday pubblicò immediatamente la scoperta nella memoria On some new electro-magnetical motions, and on the theory of magnetism (1821) e spedì a diverse comunità scientifiche in tutta Europa alcuni piccoli apparecchi che producevano le rotazioni. Purtroppo la gioia della sua prima scoperta fu ben presto guastata dalle voci (infondate) diffuse da quanti sostenevano che avesse rubato l'idea a Wollaston; malgrado ciò Faraday aveva ormai conquistato fama internazionale.

A causa di altri impegni, nei dieci anni che seguirono, Faraday poté tornare a occuparsi di elettromagnetismo soltanto sporadicamente. In quelle rare occasioni si dedicò senza successo, come peraltro altri scienziati dell'epoca, alla ricerca di un effetto, che si supponeva dovesse esistere, inverso a quello scoperto da Oersted: ossia all'azione del magnetismo sull'elettricità. Faraday si occupò anche di un fenomeno misterioso, riferito da Dominique-François Arago (1786-1853) nel 1825: un disco metallico che da fermo non presentava alcuna traccia di magnetismo, fatto ruotare al di sopra di un ago magnetico era in grado di metterlo in movimento, e viceversa. Tale fenomeno venne osservato per una gran quantità di sostanze non magnetiche e molti ricercatori, come, per esempio, Charles Babbage, John Herschel, Peter Barlow, Samuel H. Christie, Siméon-Denis Poisson e Ampère, lo analizzarono e ne attribuirono la causa all'induzione temporanea di qualche tipo di magnetismo. L'idea non venne mai definita formalmente e l'effetto di Arago rimase incompreso per molti anni.

Nel 1823 Faraday scoprì la liquefazione dei gas e nel 1827 pubblicò la sua unica monografia, un manuale di chimica dal titolo Chemical manipulation. L'elezione a membro della Royal Society nel 1824 ebbe la conseguenza di allontanarlo in qualche modo da Davy, che, all'epoca presidente dell'istituzione, si era opposto alla sua elezione sia per rompere con il tradizionale clientelismo delle precedenti gestioni sia perché non era facile per lui assistere alla brillante ascesa del giovane Faraday, mentre la propria produttività scientifica andava rapidamente declinando. Nel 1825 Faraday fu nominato direttore del laboratorio della Royal Institution, ma ciò non gli valse comunque una maggiore libertà di dedicarsi alle proprie ricerche; fra i molti impegni vi erano le lezioni pubbliche, cui si dedicava con passione e per le quali divenne famoso; da questo punto di vista, lo scienziato rappresentò un motivo di orgoglio per la Royal Institution ancor più di quanto non lo fosse stato Davy a suo tempo.

Nel 1829 Faraday accettò l'incarico di professore di chimica alla Royal Military Academy di Woolwich, anche con la speranza di acquistare maggiore indipendenza; dopo la morte di Davy, avvenuta nello stesso anno, cercò di liberarsi di parecchi impegni. Tutta la sua ricerca successiva fu profondamente caratterizzata, come scrisse John Tyndall nel 1868 in Faraday as a discoverer, da "una continua oscillazione dalla chimica alla fisica", che lo accompagnò per tutta la vita e lo portò a pubblicare articoli in entrambi i settori disciplinari, come testimoniano le Experimental researches in chemistry and physics del 1859.

L'induzione elettromagnetica e lo stato elettrotonico

Nel 1831 Faraday s'impose definitivamente nel campo dell'elettromagnetismo con la spettacolare scoperta dell'induzione elettromagnetica. La realizzazione del particolare dispositivo sperimentale con cui il 29 agosto ottenne per la prima volta l'effetto fu con ogni probabilità stimolata dalle considerazioni sui potenti elettromagneti dell'americano Joseph Henry (1797-1878), egli stesso giunto molto vicino a scoprire l'induzione. Il fenomeno aveva tuttavia alcune caratteristiche assolutamente inaspettate: il passaggio della corrente indotta si verificava soltanto nel momento in cui si chiudeva il circuito induttore, oppure si avvicinava un magnete. Ancora più misterioso era il fatto che, non appena s'interrompeva il circuito induttore o si allontanava il magnete, nel circuito indotto si manifestava una corrente di verso opposto. Questo carattere transiente (a causa del quale l'effetto era sfuggito per così tanto tempo all'attenzione degli sperimentatori) rendeva il fenomeno altrettanto sconcertante di quello scoperto da Oersted undici anni prima, ma con una differenza fondamentale rispetto al contesto scientifico: nell'autunno del 1820, chiunque avesse intrapreso una ricerca sull'elettromagnetismo avrebbe potuto esser certo che molti altri studiosi ne stessero facendo di simili e che non c'era tempo da perdere se si intendeva arrivare per primi. Al contrario, nel 1831 Faraday sapeva di essere solo con la sua scoperta e, pur consapevole della grande notorietà che ne avrebbe ricavato, si concesse molto tempo per ulteriori esperimenti: la scoperta fu annunciata dopo ben dodici settimane e l'articolo uscì soltanto nell'aprile del 1832. Nel frattempo, Faraday si dedicò a una rilevante attività esplorativa, fatta di esperimenti, ipotesi, battute d'arresto, rettifiche e revisioni.

Lo scopo principale di Faraday era quello di formarsi un'idea generale su quali fattori fossero importanti per il nuovo effetto e di riconoscere alcune regolarità. Nel tentativo di semplificare i fenomeni osservati per mezzo del suo primo e piuttosto complesso apparato sperimentale, Faraday distinse due diversi tipi di induzione, l'una causata dal passaggio della corrente ('induzione elettrovoltaica') e l'altra dovuta al magnetismo ('induzione magnetoelettrica'), e cercò di ottenere separatamente ciascuno dei due tipi.

Secondo Faraday, le regolarità dell'induzione elettrovoltaica potevano basarsi sul concetto, proposto da Ampère, di correnti interagenti e, per spiegare il carattere transiente dell'effetto, egli introdusse un nuovo concetto teorico: lo 'stato elettrotonico'. Faraday ipotizzò che, al passaggio della corrente nel circuito induttore, si instaurasse nel filo del circuito indotto questo particolare stato che si contrapponeva al fluire della corrente di induzione, interrompendola rapidamente. Non appena si apriva il circuito induttore, lo stato elettrotonico cessava e si generava la corrente inversa osservata. A dispetto di tutti i suoi sforzi, comunque, Faraday non riuscì a ottenere una caratterizzazione fisica più specifica di tale stato.

Il caso dell'induzione magnetoelettrica risultò persino più complicato; gli effetti dipendevano in maniera complessa non soltanto dalla configurazione geometrica del sistema, ma anche dal moto grazie al quale quella determinata configurazione era raggiunta. Faraday fece il possibile per trovare un sistema di riferimento opportuno in cui descrivere la disposizione spaziale e il moto degli oggetti (un sistema di riferimento di questo tipo era necessario per evidenziare alcune regolarità), ma l'approccio iniziale, basato sulle ipotetiche correnti che Ampère aveva supposto essere causa del magnetismo, si dimostrò assolutamente insufficiente. Faraday considerò allora le 'curve magnetiche' formate dalla limatura di ferro intorno a una calamita. Queste curve erano state segnalate già da lungo tempo e proprio nel 1831 Peter M. Roget (1779-1869) aveva pubblicato un complesso tentativo di spiegazione matematica delle loro proprietà, ma Faraday le utilizzò in un modo completamente nuovo: il risultato fu che facendo ricorso a questo concetto fu effettivamente possibile esprimere le regolarità dell'induzione magnetoelettrica.

La condizione essenziale dell'induzione era la seguente: il filo elettrico e il magnete avrebbero dovuto muoversi l'uno rispetto all'altro, in modo che le curve magnetiche fossero 'tagliate' dal filo. Considerando la direzione dell'inclinazione magnetica terrestre analoga a una curva magnetica, Faraday poté tenere conto degli effetti di induzione dovuti al magnetismo terrestre. A questo punto però aveva due schemi concettuali diversi e fra loro incompatibili: l'uno per l'induzione elettrovoltaica e l'altro per quella magnetoelettrica. Solo la seconda (che comportava un movimento) poteva essere trattata utilizzando le curve magnetiche, mentre solamente la prima richiedeva l'ipotesi dello stato elettrotonico.

Questi due quadri concettuali entrarono in conflitto nel momento in cui Faraday cominciò a studiare, dedicandovi un impegno notevole, l'effetto di Arago. La sua ipotesi era che il fenomeno fosse causato dalle correnti indotte, ma quando, contro ogni previsione, esso si verificò anche con le spirali elettriche oltre che con i magneti, fu costretto a interpretarlo come un effetto di tipo puramente elettrovoltaico, nonostante ciò implicasse il fattore estraneo del moto. Questo risultato rappresentava una seria sfida per l'intera concezione dicotomica, tanto più che Faraday si accorse improvvisamente che anche l'effetto di Arago poteva essere spiegato ricorrendo alle curve magnetiche: se soltanto fosse stato possibile supporre l'esistenza di quelle curve anche intorno al filo percorso da corrente, sarebbe risultato che in realtà esse erano tagliate dal disco rotante. Un'interpretazione di questo tipo metteva in crisi la stessa distinzione fra l'induzione elettrovoltaica e quella magnetoelettrica; tuttavia, non era sufficiente a rendere conto di tutti quegli effetti elettrovoltaici che non implicavano alcun moto. Nel marzo del 1832, poco prima di dare alle stampe l'articolo, Faraday ebbe un'intuizione che risolse il problema e lo condusse a una revisione delle sue idee. Poteva esprimere il comportamento dell'induzione magnetoelettrica e di quella elettrovoltaica con un'unica condizione: che le curve magnetiche fossero tagliate. Il solo passaggio concettuale richiesto era di considerare le curve attorno al filo elettrico libere di muoversi ed effettivamente in moto al momento della chiusura o dell'apertura del circuito; in questo modo, tuttavia, il concetto stesso di stato elettrotonico perdeva di significato. Faraday non poté apportare modifiche sostanziali al testo in via di pubblicazione, per cui l'articolo aveva la curiosa caratteristica di far ricorso lungo un intero capitolo alla nozione di stato elettrotonico mentre nelle note a piè di pagina se ne negava l'esistenza. L'introduzione di uno strumento di sviluppo fondamentale come le 'curve magnetiche' ebbe conseguenze di notevole portata che sarebbero apparse chiare soltanto molto più tardi, quando Faraday ne avrebbe cambiato il nome in 'linee di forza'.

I diversi tipi di elettricità e l'attività chimica

Con l'induzione elettromagnetica, Faraday aveva aggiunto una nuova sorgente di elettricità a quelle comunemente note nel 1832 ‒ voltaica, termica, animale ‒ e si dedicò allo studio di queste diverse forme, per capire se tutte quante avessero o meno un'identica natura. Com'era solito fare, Faraday non prese in considerazione alcuna teoria microscopica, ma piuttosto analizzò sistematicamente i dati sperimentali, sia propri sia altrui. I risultati, riportati in una tabella, furono ampiamente riconosciuti come una valida dimostrazione del fatto che, in tutti questi diversi casi, si trattava sempre esattamente della stessa elettricità. Molti dei campi della tabella rimasti vuoti furono riempiti in seguito.

Faraday, stimolato da quelle ricerche, tornò a occuparsi dell'elettrochimica e ricavò, ancora una volta sulla base di numerosi esperimenti accuratamente realizzati, sia le due fondamentali leggi che portano il suo nome sia la teoria della dissociazione elettrolitica. La prima legge stabiliva che l'azione elettrochimica non dipendeva dalla forma o dal materiale dei poli elettrici, ma solamente dalla quantità di elettricità che attraversava la soluzione; come misura di tale quantità, Faraday fece essenzialmente ricorso al numero di giri di una macchina elettrica. La legge offrì per la prima volta un fondamento concreto all'antica idea di realizzare uno strumento che permettesse di misurare la quantità di elettricità a partire dagli effetti chimici e Faraday propose il progetto di un 'elettrometro di Volta'. La seconda legge stabiliva la proporzionalità fra le quantità di sostanze depositate e i rispettivi pesi chimici equivalenti.

Più tardi, Faraday avrebbe preso parte alla discussione sulla teoria chimica della pila, non solamente fornendo ulteriori ed efficaci argomentazioni sperimentali, ma contribuendo anche ad articolare la stessa teoria in una forma maggiormente elaborata. Gli esperimenti resero inoltre Faraday sempre più scettico nei confronti dell'idea di elettricità come fluido formato da particelle agenti a distanza. La stessa nozione di 'polo' cominciò ad apparirgli inadeguata, se non addirittura ingannevole, per tutti gli esperimenti di elettrochimica, tanto che, consapevole dell'importanza della terminologia, si preoccupò di trovare soluzioni alternative: in seguito a un lungo scambio di opinioni con William Whewell (1794-1866) e con altri studiosi, Faraday propose nuovi nomi che si ponessero in una posizione neutrale rispetto alla teoria del fluido elettrico. Così, il termine 'polo' fu sostituito da 'elettrodo' (distinto in 'anodo' e 'catodo'), la sostanza che veniva dissociata prese il nome di 'elettrolita' e le sue particelle furono dette 'ioni', suddivisi in 'anioni' e 'cationi'.

Le leggi elettrochimiche di Faraday si basavano in gran parte su misurazioni condotte su vasta scala: dopo tutto, la pratica dell'analisi chimica gli aveva procurato familiarità con le tecniche quantitative. Si mette in risalto spesso il fatto che egli non abbia mai elaborato una teoria matematica alla maniera di Poisson, Ampère o Barlow, ma che, al contrario, la quantificazione e le misurazioni siano state in molti casi il nucleo stesso della sua ricerca. Faraday aveva bisogno dei dati e non li usava per costruire teorie matematiche, ma per sviluppare o meglio definire i concetti fondamentali, come dimostrano gli studi sull'elettricità (statica) ordinaria, per i quali egli si servì degli strumenti più precisi a sua disposizione: gli elettrometri e la bilancia di torsione di Coulomb.

La capacità induttiva specifica

Faraday si rese conto che lo studio dell'elettricità stava attraversando una fase critica, in cui tipi diversi di elettricità (in particolare, quella voltaica e quella ordinaria) dovevano essere trattati a parte, senza che fosse possibile includervi i nuovi concetti elettrochimici da lui scoperti; né si riusciva a dare una risposta a domande fondamentali, per esempio riguardo a quale fosse il processo fisico che tratteneva l'elettricità all'interno dei corpi. Per formarsi un'idea più generale, Faraday diede inizio a una revisione critica dei concetti di base e, come nel caso dell'induzione elettromagnetica, elaborò i nuovi concetti attraverso numerosi tentativi, e sempre nel contesto di un vasto lavoro sperimentale. Gli anni fra il 1836 e il 1838 furono in effetti per lui un nuovo periodo di 'esplorazione', con lunghe fasi di incertezza. Faraday esitava a definire e a pubblicare le sue idee su un argomento tanto studiato anche perché le conclusioni a cui giungeva erano in aperto contrasto con le teorie matematiche più autorevoli dell'epoca.

Egli cominciò con il porsi la domanda se la materia potesse caricarsi di elettricità di un solo tipo, in maniera indipendente da quella di tipo opposto; la questione, in apparenza semplice, era in realtà profonda e a essa riuscì a dare una risposta negativa solo dopo molti esperimenti, che culminarono con la realizzazione della 'gabbia di Faraday'. Nonostante tutti gli sforzi e pur variando la disposizione degli oggetti, non gli fu possibile caricare alcun corpo posto all'interno di un cubo il cui spigolo misurava 12 piedi (più di 3,5 m) e le cui pareti avevano un'elevata capacità di conduzione, senza che, contemporaneamente, un altro corpo esterno al cubo si caricasse con segno opposto. Faraday trasse la conclusione che la carica riguardava una relazione fra due o più corpi, piuttosto che lo stato di un corpo isolato.

Al fenomeno della mutua induzione egli attribuì un ruolo centrale e improvvisamente il mezzo isolante frapposto ai corpi conduttori coinvolti acquistò un interesse particolare nella sua ricerca. In una notevolissima serie di misurazioni, Faraday studiò in che modo l'induzione dipendesse dalle proprietà dei mezzi isolanti e, con un ulteriore insieme di esperimenti, dimostrò che essa si manifestava secondo linee curve.

L'idea generale cui infine pervenne era del tutto nuova: vi si attribuiva un ruolo fondamentale alle 'linee di forza induttiva', che attraversavano i mezzi isolanti (chiamati per questo 'dielettrici') e provocavano in essi uno stato di tensione 'induttivo'. Questo stato dipendeva, inoltre, dalla 'capacità induttiva specifica' dei dielettrici, una grandezza che forniva una misura di quanto il dielettrico in questione fosse un buon 'conduttore' per le linee di forza. Lo stato di tensione induttivo era caratteristico soltanto degli isolanti e ne polarizzava le particelle. Al contrario, i conduttori non potevano trovarsi in tale stato: le linee di forza induttiva non li attraversavano, ma si fermavano in corrispondenza della loro superficie e, per questo motivo, la carica elettrica si manifestava solamente sulla superficie esterna dei conduttori. Più tardi, per William Thomson (lord Kelvin, 1824-1907), quegli esperimenti sarebbero divenuti il punto di partenza per una formulazione matematica delle idee di Faraday.

Il concetto di 'linee di forza induttiva' era molto più astratto di quello di 'curve magnetiche'. Le curve elettriche non potevano essere viste direttamente, ma si potevano solamente definire tramite misurazioni e rappresentazioni geometriche dei dati. La situazione cambiò quando Faraday cominciò a studiare il processo di scarica elettrica in tutte le sue forme: per conduzione, per elettrolisi, di tipo disruptivo (scintille e scariche), e persino attraverso gas rarefatti. Fra le altre cose, egli analizzò dettagliatamente l'effetto dell'arco elettrico riuscendo, con speciali tecniche sviluppate da Charles Wheatstone (1802-1875), a rendere visibili le curve elettriche.

Questo esperimento rappresentò un valido supporto empirico per la sua poco ortodossa interpretazione del fenomeno; egli riteneva che le scintille fossero provocate da un'istantanea caduta di tensione all'interno di un dielettrico e non, come invece si credeva tradizionalmente e l'apparenza sembrava perlopiù suggerire, dal flusso di qualche sostanza elettrica.

Nella realizzazione degli esperimenti Faraday collaborava talvolta con altri e godeva di ampia stima per le sue ingegnose scoperte; per contro, egli era piuttosto isolato per quanto riguardava le sue idee innovative. Nel 1832 il concetto di curve magnetiche da lui introdotto non aveva avuto alcuna risonanza e lo stesso avvenne nel 1839 per le linee di azione induttiva. Nessuno le prese sul serio né comprese ciò che Faraday intendeva; d'altra parte, l'esposizione dei suoi concetti non sempre era sufficientemente chiara. A quanti, in Inghilterra, miravano sempre più insistentemente alla matematizzazione, e tra questi Babbage, Herschel, Whewell, Barlow e David Brewster (1781-1868), i concetti di Faraday suonavano strani. La situazione avrebbe iniziato a cambiare soltanto verso la metà degli anni Quaranta, quando William Thomson (1824-1907) si rese conto dell'effettiva importanza di quelle idee.

Il fatto, degno di nota, che Faraday proseguisse comunque le proprie ricerche nella direzione che aveva individuato, va attribuito al suo profondo convincimento di essere sulla buona strada. Tale approccio non soltanto lo portò ad affrontare nuovi problemi e a realizzare nuovi esperimenti ma fu esteso fruttuosamente a un campo di fenomeni sempre più vasto. Questo era il modo in cui Faraday, anche per via della sua fede religiosa, concepiva il dovere di ogni ricercatore di 'leggere il libro della Natura'. La sua straordinaria capacità di sostenere lunghi periodi di incertezza concettuale sarebbe stata inconcepibile senza la sicurezza istituzionale garantita dalla Royal Institution e dalla Woolwich Academy. La fede in Dio profondamente radicata e la partecipazione assidua, sua e della moglie Sarah Barnard, alla vita della comunità sandemaniana ebbero un ruolo molto importante per la stabilità personale dello scienziato; non a caso, Faraday attraversò il suo periodo più critico quando nel 1844, a causa di conflitti interni, fu espulso per un breve periodo dalla congregazione.

Magnetismo, materia e luce

Faraday sapeva bene che le sue nuove ipotesi avevano una portata che andava ben oltre la semplice questione dell'elettricità e, nel 1844, presentò una prima relazione per spiegare come quelle idee fossero riconducibili a una concezione generale della materia (al riguardo, non sorprende che egli non sostenesse la teoria di Dalton degli atomi materiali su cui agivano forze esterne ma considerasse, piuttosto, le stesse particelle di materia come centri di forza). Lo scienziato inglese cercò anche di stabilire se le sostanze diverse dal ferro e dal nichel possedessero proprietà magnetiche e, nell'agosto del 1845, diede inizio a una sistematica ricerca degli effetti dell'elettricità sulla luce polarizzata, stimolato da una questione sollevata da Thomson; non avendo ottenuto risultati, passò a considerare gli effetti del magnetismo.

Dopo molti tentativi, in cui utilizzò sostanze diverse e modificò più volte l'apparato sperimentale, Faraday riuscì nell'intento grazie a un particolare tipo di vetro pesante, del quale si era già servito nel 1830 in occasione delle sue ricerche sul vetro ottico. Faraday considerò un raggio luminoso che passava attraverso una barretta di vetro e trovò che il suo piano di polarizzazione ruotava se un potente elettromagnete veniva posto accanto a questa con entrambi i poli dallo stesso lato del vetro. Il grado di rotazione risultò proporzionale all'intensità del magnete e al cammino percorso dalla luce all'interno del vetro. Faraday ripeté subito l'esperimento, ottenendo lo stesso effetto per un gran numero di altre sostanze, solide e liquide. Il quadro concettuale di riferimento era quello delle 'linee di forza magnetiche', come aveva rinominato le sue vecchie curve magnetiche. Faraday scoprì, per esempio, che il fenomeno si manifestava solo quando la direzione di propagazione della luce era parallela alle linee di forza e rimase affascinato dalla possibilità di ricavarne un mezzo per studiare il percorso di quelle linee persino all'interno dei corpi solidi. In stretta analogia con il caso elettrico, egli introdusse il termine 'dimagnetico' (poi cambiato in 'diamagnetico') per quelle sostanze che potevano essere attraversate dalle linee di forza senza esserne magnetizzate. L'effetto magnetoottico (tuttora noto come 'effetto Faraday') confermò la sua idea generale riguardo la possibilità di convertire l'una nell'altra tutte le forze fisiche. Negli anni successivi, Faraday sarebbe ritornato molte volte su questo punto. Non essendo riuscito a trovare un'azione dell'elettricità sulla luce, cercò di generare elettricità dalla luce o, in seguito, di rilevare qualche interazione fra la gravità e l'elettricità: i suoi sforzi non ebbero successo.

La scoperta dell'effetto magnetoottico fu però di stimolo per un altro filone di ricerca estremamente importante. Faraday analizzò il vetro pesante per scoprirne eventuali ulteriori proprietà ottiche e ottenne immediatamente un risultato: una barretta di vetro posta fra i poli di un forte elettromagnete subiva addirittura una rotazione; la posizione che assumeva, tuttavia, non coincideva con la linea di congiunzione tra i poli (come sarebbe stato per un pezzo di ferro), bensì risultava a essa ortogonale; Faraday parlò di una disposizione 'equatoriale' (contrapposta alla consueta direzione 'assiale'). Anche in questo caso egli fu in grado di presentare un lungo elenco di altri materiali con lo stesso comportamento, che includeva le sostanze più disparate, dallo spato d'Islanda all'olio di oliva. Alla fine del 1845 Faraday propose dunque una nuova classificazione di tutte le sostanze in base al loro comportamento magnetico, a seconda cioè che presentassero l'ordinaria forma di magnetismo, da lui chiamata 'ferromagnetismo', o invece mostrassero il nuovo e molto più debole diamagnetismo, da lui appena scoperto e definito in base alla disposizione equatoriale del piano di polarizzazione rispetto ai poli magnetici.

La scoperta del diamagnetismo fu molto importante e sollevò interrogativi profondi. Oltre allo stesso Faraday, che iniziò una fase di ricerche sul magnetismo durata cinque anni, molti altri scienziati si sentirono spinti a studiare più da vicino questi argomenti, come per esempio Wilhelm Weber a Gottinga, Antoine-César Becquerel a Parigi, Ferdinand Reich a Friburgo, in Sassonia, Julius Plücker a Bonn, Michele Bancalari a Genova, Oersted a Copenaghen e il giovane JohnTyndall a Marburgo e più tardi a Londra. Ciò generò un flusso costante di nuovi risultati sperimentali e di spiegazioni teoriche. Tuttavia, a differenza del periodo precedente, per lo meno un altro scienziato era disposto a prendere sul serio le idee di Faraday, William Thomson. Per diversi anni, i due ebbero importanti scambi: un clima che si differenziava in modo significativo da quello in cui si era svolta la maggior parte delle precedenti ricerche di Faraday.

Le sostanze diamagnetiche presentavano uno strano comportamento: nonostante fossero sempre respinte dai poli di una calamita e mai attratte, non possedevano alcuna polarità magnetica. Dato che il loro moto non poteva essere spiegato ricorrendo alle solite curve magnetiche, per un breve periodo Faraday introdusse un nuovo insieme di curve, dette 'diamagnetiche'. Quando queste si rivelarono inadeguate, egli passò a rappresentare i moti non più per mezzo di linee ma per posizione: essi si verificavano sempre "da un punto di azione magnetica più forte a un punto di azione magnetica più debole" (Faraday 1932-36, annotazione 8118-8119). È in questo contesto che Faraday introdusse per la prima volta la nozione di campo, inteso come 'campo d'azione'.

In tal modo, però, egli non soltanto si trovava ad avere due diversi tipi di magnetismo ma era anche costretto a trattarli facendo ricorso a concetti differenti. Nel tentativo di trovare una soluzione al problema, Faraday estese l'analogia all'elettricità e provò a trattare i fenomeni in termini di differenze specifiche fra il materiale e il mezzo circostante (in breve tempo erano state dimostrate le proprietà diamagnetiche di molti gas), ma sorse il problema di come andasse considerato lo spazio vuoto. La situazione divenne ancora più complicata nel 1847, quando Plücker, che ammirava moltissimo Faraday, riferì che alcuni cristalli reagivano all'azione dei magneti in maniera assai più complessa: venivano orientati in direzione equatoriale o assiale, a seconda della direzione del loro asse ottico e della distanza dei poli magnetici; egli affermò inoltre di avere scoperto una polarità in certe sostanze diamagnetiche, per esempio nel bismuto. Quando Faraday eseguì ‒ in parte insieme a lui e poi con Tyndall ‒ alcuni esperimenti in proposito prese in considerazione, su proposta dello stesso Plücker, l'esistenza di un nuovo tipo di forza, la forza magnetocristallina. Per descriverne l'effetto, introdusse alcune linee di minima resistenza per le curve magnetiche, un'idea suggerita da Thomson. La possibilità di un'interpretazione coerente della questione appariva sempre più lontana e si poneva il problema di quale fenomeno andasse considerato come l'effetto fondamentale del diamagnetismo, ossia la repulsione, l'orientazione equatoriale o l'orientazione lungo certi assi ottici; oppure quale fosse il sistema appropriato cui fare riferimento: la curva magnetica o i punti di intensità più debole. Faraday, però, era convinto che le tre forze ‒ magnetica, diamagnetica e magnetocristallina ‒ dovessero essere spiegate nell'ambito di un solo quadro concettuale.

Solamente nel 1850, al termine di molti ulteriori esperimenti, dopo aver scartato diverse ipotesi avanzate da altri e aver rivisto le proprie, e grazie a fruttuosi scambi di opinione con Thomson, Faraday giunse a elaborare una visione generale del problema. Tutti i comportamenti magnetici potevano essere classificati e spiegati in termini di linee di forza magnetiche, delle loro interazioni reciproche e con i diversi corpi. Le sostanze diamagnetiche opponevano qualche resistenza al passaggio delle linee di forza e le facevano divergere; le sostanze paramagnetiche erano agevolmente attraversate e facevano convergere le linee di forza; i materiali ferromagnetici, infine, erano sostanze paramagnetiche caratterizzate dalla capacità di trattenere un po' di magnetismo. Lo spazio vuoto manifestava un comportamento intermedio fra paramagnetismo e diamagnetismo per quanto riguardava la conduttività. I moti magnetici erano spiegati attraverso una specie di principio di minima azione: tutti i corpi, sia diamagnetici sia paramagnetici, si disponevano in modo tale da perturbare il meno possibile la normale distribuzione delle linee di forza.

Prima della matematizzazione: quantità e intensità nel concetto unificato di campo

La spiegazione di Faraday per i fenomeni magnetici era a quel punto assolutamente analoga alla sua teoria dell'elettricità. Le sostanze paramagnetiche, così come i conduttori di elettricità, facevano convergere le linee di forza; le sostanze diamagnetiche e i dielettrici opponevano una certa resistenza al passaggio delle linee, facendole divergere. Questa stretta analogia apriva addirittura la strada a una trattazione delle interazioni elettromagnetiche fondata unicamente sulle linee di forza. Faraday aveva fatto osservazioni ed espresso idee molto valide e suggestive, ma tale argomento sarebbe stato affrontato approfonditamente soltanto in seguito da James C. Maxwell (1831-1879), per il quale quelle idee ebbero un'enorme importanza. Si tenga presente che la portata e la varietà dei fenomeni che rientravano nella concezione di Faraday era enormemente più vasta rispetto a quella di qualsivoglia teoria elettrica o magnetica precedente: da questo egli trasse fiducia nelle proprie idee e Maxwell, che ne era a sua volta consapevole, su questo fece affidamento. Sin dalla stessa introduzione, nel 1832, delle curve magnetiche, Faraday non aveva cessato di sottolinearne il carattere puramente strumentale e descrittivo, ma negli anni Cinquanta cominciava a sentirsi abbastanza sicuro da abbandonare ogni riluttanza nel sostenere l'effettiva realtà fisica di quelle linee.

Negli scritti di Faraday restava però qualche punto poco chiaro. Particolarmente importante era la questione di quali grandezze fossero implicate nel concetto di 'linee di forza', un problema che Faraday aveva già incontrato nella trattazione dell'elettrostatica. Nel considerare, per esempio, due conduttori separati da un dielettrico, egli ipotizzò che ogni sezione del dielettrico attraversata dalle linee della forza induttiva, e tale da includerle tutte, dovesse essere uguale, riguardo alla somma delle forze, alla somma delle forze in ogni altra sezione. Faraday interpretò quella somma costante come una rappresentazione della 'tensione' fra i due conduttori, ma il fatto che egli parlasse nello stesso modo della 'quantità di elettricità' presente sulle superfici dei conduttori dimostra che questi concetti non erano realmente definiti. Mentre la somma era costante, qualcos'altro variava lungo la singola linea di forza: si trattava di una sorta di intensità, agente sulle particelle del dielettrico e da cui dipendeva anche l'azione reciproca delle linee. Gli esperimenti mostravano chiaramente che le due grandezze erano diverse e che, tuttavia, in ogni data situazione sperimentale il loro rapporto era costante. Nei suoi lavori di elettrostatica e in quelli di elettrochimica, dove per la prima volta aveva introdotto tale distinzione, Faraday non aveva mai definito quei concetti né introdotto una terminologia coerente, ma quando cominciò a trattare tutti gli effetti magnetici usando solo il concetto di linee di forza il problema si presentò nuovamente ed egli provò a spiegarlo in modo più chiaro rispetto a prima. Faraday sottolineò il fatto che la quantità che misurava la somma delle linee di forza su una sezione del dielettrico poteva essere modificata indipendentemente dal valore dell'intensità lungo le linee. Dato che l'elettricità e il magnetismo erano legati più strettamente che in precedenza, la quantità di corrente sviluppata dall'induzione elettromagnetica poteva servire a misurare la quantità (o l'intensità?) delle curve magnetiche che avevano dovuto essere tagliate. Tuttavia Faraday non riuscì a formulare una spiegazione esauriente dei concetti implicati nella sua teoria. Questo è uno dei principali punti critici che Thomson dovette affrontare quando si rese conto, a partire dal 1845, della validità delle idee di Faraday. Il problema si sarebbe riproposto con il tentativo, da parte di Maxwell, di fornire una spiegazione matematica dell'interazione elettromagnetica in termini di linee di forza.

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