La formazione dello stato egiziano e l’Antico Regno

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

La formazione dello stato egiziano e l'Antico Regno

Emanuele Ciampini

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, edizione in 75 ebook

La ricostruzione moderna del processo che porta alla nascita dello stato egiziano deriva da due tipi di fatti tra loro correlati, e tuttavia distinti nella natura e negli intenti: le evidenze archeologiche, che ci offrono un quadro complesso e articolato del fatto storico, e la rielaborazione antica del momento formativo come fatto culturale e politico. Per questa via si possono delineare le tappe che hanno portato progressivamente alla formazione di uno stato territoriale unitario, la cui natura si identifica ben presto con la figura del suo leader, il faraone di epoca storica. Ma nello stesso tempo si possono anche riconoscere quegli elementi fondanti che saranno rielaborati dalla cultura egizia in termini di semantica dello stato e del potere.

Lo spazio geografico

La cultura faraonica fiorisce nella regione attraversata dal basso corso del Nilo, il cui regime annuale di piene determina le caratteristiche fisiche del paesaggio: la conformazione del territorio è caratterizzata da una fascia irrigua fertile di larghezza variabile (da poche centinaia di metri a vari chilometri); il regime del fiume determina anche il carattere agricolo del paese, la cui economia è sempre legata allo sfruttamento della terra. Il popolamento, sin dai tempi antichi, è stanziale, legato a insediamenti di dimensioni più o meno grandi, di regola presso la zona irrigua; altre aree d’insediamento sono le oasi, mentre le fasce desertiche sono popolate da gruppi seminomadici. La Terra Nera (dizione antica per l’Egitto) si identifica con la regione che va dalla costa mediterranea alla prima cateratta del fiume, in corrispondenza di Elefantina (attuale Aswan): per oltre tre millenni questo è stato il cuore dello stato, diviso in due metà, Alto e Basso Egitto, uniti nella zona di Menfi, presso l’attuale Cairo, e delimitato dalle propaggini desertiche della catena libica (ovest) e arabica (est). Subito a ovest della valle, a sud della regione menfita, è la depressione del Faiyum, regione acquitrinosa bonificata già in antico e servita dal Bahr Yussuf. A ridosso del paese si dispongono le aree periferiche che ebbero con esso sempre uno strettissimo rapporto: il deserto libico è costellato da oasi (Kharga, Dakhla, Farafra, Bahariya e, più a ovest, Siwa), abitate già in epoche antichissime e collegate da una rete di piste carovaniere che si spinge sino in Sudan; a est è il deserto arabico, meta di spedizioni minerarie mirate alla ricerca di pietre pregiate e oro; passaggio obbligato verso il Levante, la penisola del Sinai a nord-est costituisce un’altra area estrattiva importante (rame, turchese). A sud, l’Egitto confina con la Nubia, dizione che indica realtà etnico-territoriali diverse tra loro, periodicamente sottoposta al controllo diretto del potere faraonico: un territorio vasto, ricco di risorse minerarie e oro, tramite il quale giungevano i prodotti esotici provenienti dall’Africa.

Le origini della storia egiziana

Le prime evidenze di popolamento in Egitto ci restituiscono un quadro complesso, fatto di gruppi dai modelli culturali specifici di determinate aree; lentamente questi gruppi si riuniscono, nel corso del IV millennio a.C., in unità politiche regionali spesso in conflitto tra loro; i tratti distintivi di questi gruppi (culture) si riconoscono in determinate produzioni, come la ceramica o le tavolozze per il trucco di uso cerimoniale. Tra queste culture alcune prendono il sopravvento, diffondendo i propri modelli anche al di là dei propri confini. Nel corso del periodo, la cultura di Naqada (dal sito alto-egiziano che ne è il cuore) si afferma ben oltre i propri confini originari, imprimendo al processo formativo dello stato una notevole accelerazione.

Le caratteristiche formali della cultura di Naqada mostrano chiaramente la presenza, talvolta a livello embrionale, degli elementi semantici della cultura faraonica di epoca storica, tra cui il serekh (motivo decorativo architettonico a nicchie e lesene, identificativo degli edifici regali) la cui prima attestazione è stata individuata in un primitivo palazzoedificato a Ierakonpoli; altro tratto distintivo è l’icona del sovrano, come testimoniato dalla testa di mazza del Re Scorpione o dall’ancor più significativa tavolozza di Narmer, con la celebrazione della vittoria del re del sud su territori settentrionali. In queste rappresentazioni un ruolo centrale è attribuito al dio falco Horo di Hierakonpoli (la “Città del Falco”, in egiziano Nekhen), modello del potere che s’incarna nel sovrano regnante; la sua figura domina il nome regale scritto nel serekh – chiamato nome di Horo – e attribuisce al sovrano una connotazione divina. La conflittualità del periodo vede come protagonisti centri del sud (Naqada, Hierakonpoli, Abido) e sarà rielaborata come conflitto fondante dello stato; l’effettiva unificazione del paese è fatta coincidere tradizionalmente con l’avvento della I Dinastia e la fondazione di Menfi, città legata al potere centrale. Fondatore della dinastia, secondo la stessa tradizione egiziana, è Meni (in greco Menes), identificato da alcuni con Aha, con il quale si apre la cosiddetta epoca thinita, da Tjenu (in greco Thinis), città di origine delle famiglie regnanti.

Alla progressiva unificazione culturale, guidata dal modello di Naqada, si accompagna un sempre più marcato processo di gerarchizzazione nella società, che porterà alla nascita di quelle élites che possono dirsi le vere fruitrici di quegli stessi modelli culturali. Le scene più indicative che si affermano nell’iconografia del periodo (battute di caccia, guerre, processioni) sono espressione di quegli elementi distintivi dei gruppi dominanti che si raccolgono intorno alla figura di un capo dalla forte connotazione sacrale: il leader di queste comunità prefigura l’immagine del faraone di epoca storica, interfaccia tra la comunità degli uomini e gli dèi, e dio incarnato egli stesso. Un contributo determinante alla riuscita del processo è anche l’affermarsi nel mezzo scrittorio come supporto nella gestione dello stato: fanno la loro comparsa i primi tentativi di una notazione iconica (che permarrà costante nel geroglifico), dietro la quale si può intravedere un modello embrionale di scrittura; a questi primi tentativi seguiranno col tempo rese sempre più complesse e articolate, che si possono considerare i primi passi verso un sistema razionale di registrazione e di memoria.

Il periodo Thinita (Dinastie I-II: 3032/2982-2707/2657 a.C. ca.)

Il cosiddetto periodo Thinita costituisce il passaggio fondamentale per lo sviluppo dello stato territoriale egiziano, retto da un potere dai tratti aggressivi, come testimoniano alcuni nomi regali del periodo (Aha, “il Combattente”; Djer, “Colui che rapisce”; Den, “il Furioso” ecc.). I dati annalistici del periodo ci mostrano uno stato organizzato, il cui leader incarna il processo di unificazione legittimato dal consesso divino; questo processo si cristallizzerà con l’adozione, in epoca storica, del titolo tradizionalmente tradotto con “re di Alto e Basso Egitto”, formato dall’unione dei termini indicanti il re del sud (nesu) e del nord (bit). In realtà, la titolatura regale del periodo conferma il tema dell’unione territoriale anche nel titolo di “Quello delle Due Signore”, evocativo delle dee dinastiche del sud (Nekhbet) e del nord (Udjo).

Seguendo la tradizione più antica, questi sovrani continuano a essere sepolti nella necropoli arcaica di Abido, in una località desertica che porta il nome attuale di Umm el-Qa’ab (la “Madre dei vasi”, per la gran quantità di frammenti ceramici presenti nel suolo). Le tombe sono strutture monumentali di forma regolare (parallelepipedo) che coprono diversi ambienti sotterranei riservati alla sepoltura e all’immagazzinamento del corredo: nella loro organizzazione, questi impianti mettono insieme in modo organico tutti gli elementi sedimentatisi nella tradizione funeraria, determinando così un momento fondamentale per la cultura funeraria faraonica. Collegate ai sepolcri, ma più spostate verso la zona coltivata, sono delle strutture formate da ampi cortili aperti, delimitati da possenti murature decorate con il serekh. Definiti convenzionalmente palazzi funerari, questi edifici possono essere interpretati come spazi cerimoniali della regalità usati dal sovrano post mortem: tramite la corsa nel cortile il re prendeva possesso del paese, unificato dalla sua marcia. Per la costruzione di questi edifici si usa principalmente il mattone crudo, abilmente combinato con altri materiali leggeri (legno, incannucciati); l’uso della pietra è invece ancora sporadico.

Verso la fine del periodo thinita (II Dinastia) sembrano prodursi alcuni mutamenti nell’assetto del potere, riflessi nei nomi regali – Hetepsekhemui: “i due Potenti sono pacificati”; Khasekhemui: “i due Potenti si sono intronizzati” – che fanno riferimento allo scontro tra Horo e Seth, protagonisti nel mito fondante dello stato; questa insistenza sul tema del confronto divino può essere illuminante per riconoscere, una volta di più, la fluidità del processo formativo del modello statale e dei suoi apparati ideologici. Nello stesso tempo, particolarmente stretti si devono esser fatti i rapporti con le vicine regioni levantine, come testimoniano i materiali egizi del periodo scoperti in diversi siti dell’area (soprattutto palestinesi).

A fronte di questa ricca tradizione regale, meno appariscenti sembrano essere le fondazioni sacre, più legate a tradizioni costruttive e simboliche regionali e della quali rimane memoria nei secoli come luoghi di culto specifici di determinate divinità (ad esempio di Neith o di Min); evidenze di edifici sacri sono emerse in diversi centri del paese (Hierakonpoli, Copto ecc.), e a volte questi edifici arcaici costituiscono la fase più antica di aree sacre sviluppatesi in epoche successive: è questo il caso di Elefantina, dove un tempio arcaico, installatosi nel recesso naturale di una formazione di granito, si è conservato nei livelli di fondazione del più tardo tempio di Satet.

Le dinastie thinite segnano anche l’affermazione di un sistema scrittorio iconografico che si avvia verso una regolarizzazione nell’uso dei segni; la notazione grafica si fa sempre più strumento duttile e complesso, in grado di registrare non più solo dati concreti (notazioni amministrative, nomi, titoli ecc.), ma anche i fatti che diventano parte integrante della realtà “(de)scrivibile”.

Le dinastie thinite segnano anche l’affermazione di un sistema scrittorio iconografico che si avvia verso una regolarizzazione nell’uso dei segni; la notazione grafica si fa sempre più strumento duttile e complesso, in grado di registrare non più solo dati concreti (notazioni amministrative, nomi, titoli ecc.), ma anche i fatti che diventano parte integrante della realtà “(de)scrivibile”.

La III Dinastia (2707/2657 a.C. ca.)

Con il passaggio alla III Dinastia l’Egitto entra in una fase nuova, che segna la maturazione dell’esperienza thinita e apre le porte al modello statale menfita. Momento significativo del processo è il regno di Netjerikhet (conosciuto dalle fonti successive con il nome di Djeser), il cui nome è evidenziato nel Papiro dei Re di Torino (elenco dei sovrani d’Egitto a partire dagli dal regno degli dèi, redatta su papiro in epoca ramesside) con l’inchiostro rosso. In effetti, lo sviluppo culturale subisce in questo periodo una svolta decisiva: lo spostamento della necropoli regale a Saqqara (regione di Menfi), segna una cesura importante con la tradizione più antica, come anche l’adozione della pietra quale materiale da costruzione, e la scelta della piramide a gradoni come fulcro architettonico dell’intera sepoltura; il complesso regale è il risultato della combinazione di modelli architettonici diversi, riconducibili in sostanza alle tradizioni del nord e del sud, cui corrispondono anche edifici legati alle cerimonie regali, come le cosiddette “case del nord e del sud”. L’interpretazione del suo complesso deve tuttavia ancora molto al modello arcaico, che pone l’accento sulla cerimonialità regale ripetuta post mortem: ciò permette di interpretare la presenza di settori, usati dal re defunto per veder confermata la sua natura, e costituiti da strutture murate inaccessibili, una sorta di quinta teatrale formata da edifici interamente in pietra e quindi eterni dove lo spirito del sovrano si muove per ripetere all’infinito le cerimonie d’incoronazione e di conferma del suo status (insieme di riti definiti “giubileo regale”, in egiziano heb-sed); troviamo così riuniti in un sistema unitario tutta una serie di edifici cerimoniali (come le cinte abidene o i simulacri di templi divini) il cui scopo è di eternare la dimensione regale e divina di Djeser.

Al regno di Djeser risale anche un’importante testimonianza proveniente da quello che diverrà uno dei più prestigiosi centri religiosi egiziani, Heliopoli (in egiziano Iunu): qui furono rinvenuti, in una favissa (deposito rituale), i frammenti di un tabernacolo consacrato da Djeser e la cui funzione non è ancora del tutto chiara (parte di una fondazione per il culto divino o per il culto regale).

L’età menfita (Dinastie IV-VI: 2639/2589-2216/2166 a.C. ca.)

La IV Dinastia (2639/2589 - 2504/2545 a.C. ca.) – Alla fine della III Dinastia l’Egitto entra a pieno titolo nella fase storica definita Antico Regno: l’affermarsi della piramide formalmente regolare può essere un macroindicatore del completamento del processo, cui si accompagnano un’organizzazione politica dello stato e uno sviluppo della cultura verso un progressivo uniformarsi del paese al modello culturale della residenza menfita. Il divenire di questo processo si riconosce già nel regno di Snofru, primo re della IV Dinastia, cui sono attribuite ben tre piramidi: una a Meidum, dove termina il monumento del predecessore Huni, e due a Dahshur; un programma architettonico decisamente ampio, che non può essere dovuto all’abbandono di monumenti per motivi tecnici (così è stato proposto, ad esempio, per il sepolcro di Meidum, dove sono stati riscontrati danni alla struttura), ma piuttosto come il segnale di un potere forte, in grado di coinvolgere tutto il paese in un impegno costruttivo unico, legato alla natura divina del suo leader.

Questa tendenza si consolida definitivamente con i successori di Snofru, che inaugurano a Giza, nel settore nord dell’ampia necropoli menfita, un insieme di complessi funerari la cui monumentalità non conosce pari. Le piramidi di Khufu (abbreviazione di Khnumkhuefui, in greco Cheope), Khaefra (Chefren) e Menkaura (Micerino) dominano l’intera area, favorendo lo sviluppo di un cimitero di corte che offre una delle più straordinarie testimonianze non solo di monumentalità, ma anche di autorappresentazione di una società che si raccoglie intorno alla figura del sovrano.

I complessi funerari del re e della sua famiglia – che costituiscono in questo periodo l’ossatura dell’amministrazione – sono anche gangli economico-amministrativi fondamentali per la gestione e redistribuzione delle risorse: il mantenimento del culto funerario e del relativo personale è, infatti, garantito dalla rendita di proprietà fondiarie a questo preposte (le cosiddette fondazioni pie), mentre la gestione del territorio è affidata ad agenzie regali (in egiziano hut) che controllano il razionale sfruttamento delle risorse del territorio.

Il modello di stato che si va delineando costituisce lo scenario ideale per la riuscita di quei cantieri nazionali posti in opera per l’edificazione delle piramidi: la perizia tecnica, affinatasi in un arco di tempo relativamente breve (tra la piramide a gradoni di Djeser e i monumenti di Giza passano circa 100 anni), si può avvalere, pertanto, di una rigorosa razionalizzazione della forza lavoro, che affianca a maestranze specializzate (tecnici, scalpellini ecc.) una forza lavoro più generica, da identificare con gli stessi abitanti del paese che svolgono il lavoro al cantiere regale in forma di corvée annuale, coincidente con il periodo di ferma dei lavori agricoli per la piena del Nilo. Questa straordinaria capacità organizzativa è alla base del programma monumentale funerario che vede nella piramide il fulcro di un complesso di strutture (il cosiddetto tempio a valle, presso un canale che collega l’area cimiteriale con il Nilo, e il tempio funerario addossato al sepolcro) che ci forniscono anche una preziosa chiave interpretativa per definire il destino post mortem del re: da un’originaria ritualità regale si passa ora sempre più chiaramente a una dimensione oltremondana legata al modello della rinascita solare, come testimoniato dall’orientamento est-ovest degli stessi impianti funerari.

La V e VI Dinastia (2504/2454-2216/2166 a.C. ca.). Il modello statale delineatosi all’epoca delle piramidi rimane alla base delle successive dinastie (V e VI), che segnano la maturità del modello menfita. Una testimonianza preziosa della gestione amministrativa ed economica del periodo è costituita dai Papiri di Abusir, lotto di documenti scoperti nel tempio funerario di Neferirkara-Kakai (V Dinastia, 2483/2433-2463/2413 a.C.): la regolamentazione del personale e delle risorse utili al mantenimento della struttura è prova della rigorosa organizzazione di un modello statale nel quale il re e la sua famiglia sono il nucleo gestionale e redistributivo delle risorse e della forza lavoro.

Tuttavia, il quadro politico che si delinea mostra un progressivo spostamento degli equilibri di controllo del territorio, con una sempre più decisa partecipazione della provincia al governo e alla gestione delle risorse. Questo passaggio è segnato sul territorio dalla fioritura di necropoli provinciali, dove i signori locali fanno approntare i loro sepolcri, segno tangibile di una presenza e di un rapporto con il proprio territorio che va oltre la morte. Ciò non implica un indebolimento generalizzato del potere regale, quanto piuttosto una sua rielaborazione; i segni di questo fenomeno sono diversi, e vanno dall’affermarsi, nel corso della V Dinastia, del sempre maggiore legame della regalità con la dottrina solare di Heliopoli, ben evidenziato dalla titolatura regale, incentrata sul nome di persona del sovrano che lo definisce nella natura di figlio del dio Sole Ra, alla serie di edifici sacri definiti templi solari, e la cui funzione sembra meglio definirsi all’interno di forme di culto della regalità in associazione con il modello della cosmogonia solare. Ma la più straordinaria forma di proclamazione della regalità nella sua dimensione divina si può riconoscere piuttosto in quelle formule funerarie che fanno la loro comparsa negli appartamenti funerari regali a partire dalla fine della V Dinastia (piramide di Unis a Saqqara, 2367/2297 a.C.), e che per la loro collocazione sono stati definiti Testi delle Piramidi: si tratta di materiali di natura eterogenea (soprattutto rituali), spesso molto antichi e il cui scopo è segnare le tappe di rinascita del sovrano sino alla pienezza della sua divinizzazione.

Sovrano e privato nell’Antico Regno

Testi delle Piramidi, formula 273

Le raccolte funerarie regali di Antico Regno attingono a tradizioni diverse, incentrate sul ruolo divino del re nel suo processo di rinascita. Tra queste, è la formula di cui si riporta qui uno stralcio, nella quale il re defunto si nutre degli dei per acquisirne il potere e per raggiungere il proprio status divino.

Il cielo si oscura, le stelle impallidiscono; tremano gli Archi [= volta celeste], rabbrividiscono le ossa di Akeru [= dèi della terra]. Essi cessano i movimenti quando hanno visto il re Unis che appare possente come un dio che vive dei suoi padri e che si nutre delle sue madri […] Unis è il dio, il più anziano degli anziani, lo servono le moltitudini, gli fanno offerta le folle; gli è dato un documento di grande Potente da Orione, il padre degli dèi! Unis è apparso nuovamente in cielo, incoronato come signore dell’orizzonte; ha contato le vertebre, preso i cuori degli dèi, mangiato la corona rossa, ingoiato la corona verde [= le due corone del Basso Egitto] […] È soddisfatto di vivere di cuori, come della loro magia.

Nell’ultima fase dell’Antico Regno (Dinastie IV-VI) il processo di formazione del modello culturale e politico egizio sembra essere dunque particolarmente avanzato: lo stato unitario è ormai un dato consolidato, pur con la presenza di una componente provinciale che prende sempre più coscienza del proprio status. Inoltre, il controllo del territorio costituisce la premessa per una intensificazione di contatti di tipo militare e commerciale con regioni spesso lontane: basti pensare ai frammenti di fasi in pietra della IV Dinastia scoperti a Ebla (Siria), o le spedizioni organizzate da funzionari nel Levante e a sud della prima cateratta (autobiografie di Uni e Herkhuf).

Sovrano e privato nell’Antico Regno

Il privato nell’Antico Regno: l’autobiografia di Harkhuf di Elefantina dalla sua tomba a Qubbet el-Hawa

Il brano è tratto dal lungo testo autobiografico riportato sulla facciata della tomba di Harkhuf, e costituisce una delle testimonianze più significative dell’ampiezza dei contatti che l’Egitto di fine Antico Regno seppe intrattenere con le lontane regioni nubiane.

La maestà del re Merenra, mio signore, mi mandò con mio padre, l’amico unico e ritualista Iry, a Iam [una regione nubiana] per esplorare il paese verso quella regione: io lo feci in soli sette mesi e ne riportai ogni genere di prodotto […] e fui molto lodato per questo.

La sua maestà mi mandò una seconda volta, da solo. Uscii lungo la strada da Elefantina, scesi verso Irtjet, Makher, Tereres, Iretjetj [regioni nubiane] in otto mesi; quando tornai, portai moltissimi doni da questa terra: mai era stato riportato nulla di simile qui [= Egitto].

La cultura del periodo

La complessità del processo che porta alla formazione del modello statale faraonico rimarrà sempre una marca distintiva dell’Antico Regno: gli stessi Egizi guardarono a questo momento come a una fase determinante per una semantica in grado di permanere nei secoli; a questo prestigio contribuì anche la nascita della scrittura, che rese possibile il contatto diretto, anche a distanza di secoli, con voci degli antichi esponenti delle élites faraoniche. Figure quali Djeser (nome diffuso nel Nuovo Regno per indicare il re conosciuto nelle fonti coeve con il nome di Horo di Netjerikhet) o Snofru godranno di fama e prestigio anche a distanza di secoli: il primo per il suo monumento funerario, totalmente in pietra, da cui l’epiteto attribuitogli di “colui che ha inaugurato la pietra da taglio”; il secondo per la reputazione di sovrano giusto ed equo, divinizzato nell’area delle sue piramidi di Dahshur e nel Sinai.

Espressione significativa della cultura di Antico Regno è l’uso della scrittura e la definizione di un ideale linguistico, cristallizzato come classico nelle epoche successive; tramite la scrittura, l’Antico Regno lascia tracce di una società gerarchizzata che si riconosce nel modello della residenza regale menfita, e che viene teorizzata anche nel genere letterario sapienziale (Insegnamento per Kagemni, Insegnamento di Herdedef, Insegnamento di Ptahhotep): testi considerati dalla critica più tardi delle epoche cui vogliono risalire (databili almeno alla fine dell’Antico Regno), ma che delineano un modello ideale di Stato tipico dell’età menfita.

Le prime forme scrittorie, nate per identificare soggetti e fatti, si sviluppano in forme sempre più complesse, cui danno un contributo decisivo le autobiografie private, sviluppatesi dalle sequenze di titoli di funzionari, e i Testi delle Piramidi. Nelle autobiografie l’individuo si rispecchia nel modello sociale menfita, presentandosi secondo uno schema formulare incentrato sul rispetto del proprio status e nella glorificazione del sovrano presso il quale egli opera. Per questo, le iscrizioni descrivono un cursus honorum nel quale è evidente il peso della figura regale, come testimoniato dall’autobiografia di Uni (VI Dinastia): “Ero un bambino e annodai la cintura al tempo della maestà di Teti (…) Fui promosso ritualista e anziano di palazzo al tempo della maestà di Pepi; sua maestà mi fece “amico”, ispettore dei sacerdoti della sua città (…) Non era mai stato fatto nulla di simile in passato per un servo, tanto ero prezioso al cuore della sua Maestà (…)”. Nello stesso tempo, queste iscrizioni autobiografiche possono avere un fondamentale valore storico, fornendo notizie relative alla vita del paese e alle sue relazioni con le regioni esterne.

Nei Testi delle Piramidi, patrimonio esclusivo dell’aldilà regale (i privati non hanno accesso alla stessa forma di sopravvivenza, rimanendo nella zona della necropoli dove sono fatti oggetto di culto funerario), si celebra invece la natura divina del re che partecipa a una sopravvivenza che ha sempre più una connotazione solare. Nello stesso tempo, riecheggiano ancora elementi rituali che affondano le loro radici nelle fasi formative dello Stato, come dimostra il passaggio: “Appare la Bianca (corona del sud) che ha inghiottito la Grande (corona del nord)”, con un richiamo al processo di unificazione del paese. In questo modo, il destino del re esce dall’esclusivo apparato cerimoniale – tipico del periodo più arcaico – per delineare uno status che lo avvicini sempre più alla complessità del divino; dal sepolcro egli aspira a inserirsi nei ritmi eterni di rigenerazione che si collocano in cielo, dove la barca solare si muove seguendo un ritmo incessante di morte e rinascita.

Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, Il Vicino Oriente Antico, Storia

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